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PAZZINI, SETTI, SENECA E LE “LEZIONI” DI GROSSO

Ora sembrerebbe perfino tutto ovvio. E infatti lo è. Tranne (sembra) che per Grosso, che in sala stampa – tra un congiuntivo sbagliato e l’altro – minimizza QUEL fatto, IL fatto, che vive, luccica ed esplode fragoroso di luce propria. Parla (tanto, troppo) d’altro, Grosso. Dei giovani, dell’anima, del gruppo, dell’ambiente ostile e banalità varie. Pure della stampa, che – dice il nostro, improvvisandosi professore di giornalismo che neanche Bob Woodward, Carl Bernstein, Indro Montanelli e Leo Longanesi insieme – deve essere meno pessimista. Roba da Pulitzer, ecco spiegata dopo secoli la funzione del quarto potere: non essere pessimista. L’avesse saputo, che so, Oriana Fallaci, ecco forse si risparmiava un sacco di guai.

Pazzini non è dibattito, è sentenza. Inappellabile, indiscutibile. Dinanzi a lui si tace e ci si inchina. Ecco, forse non lo insegnano più a Coverciano, dove  la “new generation” di allenatori che sembrano tutti uguali (è il fordismo standardizzato tecnico-tattico, bellezza!) probabilmente crede di avere inventato il calcio e in un riflusso tardivo di sacchismo mette il modulo davanti ai giocatori, in un avanzo di anti-luddismo pone la macchina davanti all’uomo, in un’illusione di guardiolismo scimmiotta Guardiola mentre Guardiola ha già cambiato.

Grosso dice che lui non prende ordini. Non capisco l’esigenza di doverlo specificare. Gli crediamo e ne prendiamo atto, ci mancherebbe, ma Pazzini è un caso che Setti, volente o nolente, trascina da due stagioni. Lo ha creato e alimentato lui, inopinatamente e inspiegabilmente. E ancora oggi il presidente non dà spiegazioni. Come peraltro su mille altre cose.

Resta la bellezza stasera del “nostro Verona” (Pazzini per spirito, umiltà ed educazione lo rappresenta appieno) che torna a sorridere e a vincere. Resta pure la sensazione che “l’altro Verona”, quello che non ci appartiene (sapete a cosa e chi mi riferisco), un po’ intimamente rosichi.  Resta la rivincita di un vecchio campione che con la classe (in campo e fuori) ha zittito – ancora una volta – le oche starnazzanti, servili, conformiste. E pure contorsioniste, talmente si dannano per difendere l’indifendibile.

“La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità” scrisse Seneca. Pazzini non solo deve giocare, ma deve essere messo nelle condizioni migliori di giocare. Magari anche con Di Carmine (i due sono complementari). Non credo che a Coverciano insegnino un solo modulo…

 

 

 

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