VERONA, UNA PIAZZA MAGICA. COSA CI INSEGNANO LE STORIE DI JURIC E BARONI

Ivan Juric lo volevano tutti. Napoli, Roma, Lazio. Vi ricordate quella primavera del 2021? La passammo praticamente a elencare le squadre dove il generale Ivan avrebbe potuto andare. Del resto i suoi due miracolosi anni a Verona non erano passati inosservati e il suo manager Beppe Riso si sfregava le mani. Fu un momento tormentato della storia recente del Verona, perché Juric, quando se ne andò lasciò un vuoto incolmabile. Scrivemmo una lettera indirizzata al condottiero quasi d’amore, gli spiegammo che non avrebbe più trovato quella magia trovata a Verona. Ed andò così.

Marco Baroni è arrivato a 60 anni. Ha fatto una onesta, onestissima carriera in tutte le categorie. Ha vinto campionati di B, ha salvato il Lecce. Ma solo a Verona, nella magia di questa piazza, la sua impresa è diventata da copertina. Tanto da meritarsi la panchina della Lazio. Baroni ha avuto l’occasione della vita, se l’è meritata.

Juric nel frattempo non se lo fila più nessuno. Pare un appestato. Due anni al Torino di Cairo lo hanno depotenziato, scaricato, normalizzato, logorato. Nessuna squadra italiana lo vuole, la lite con Vagnati finita sui social gli ha creato l’etichetta di piantagrane.

“There is no world without Verona walls.  But purgatory, torture, hell itself.  Hence-banished is banish’d from the world. And world’s exile is death”. Queste parole che Shakespeare fa dire a Romeo, esiliato da Verona, sembrano profetiche. Come se solo dentro queste mura, dentro quello stadio per traslazione, si compisse la magia dell’amore.

Non credo sia casuale. Verona è una piazza esaltante che va amata per quello che è e che lascia una traccia in tutti coloro che vengono qui a fare calcio. Basta sentire parlare Sogliano, uno che viene da fuori e a cui Verona mancava da morire, per averne la prova. La passione che si respira, che si vede, che si tocca, la gente che nel 2024, in piena era tv, gremisce lo stadio, l’identità scaligera che crea aggregazione a prescindere dalle categorie, sono molle che, per dirla alla Tamberi, ti fanno toccare il cielo.

Lo scriviamo perché è giusto che tutti coloro che vengono qui a lavorare, a giocare, a vestire quella maglia ne devono essere consci. Quando capisci Verona, i veronesi, cosa vogliono, cosa ti chiedono, quando ti sussulta il cuore nel tunnel degli spogliatoi, quando poi, te ne vai e rimpiangi per sempre quella scelta, è il tatuaggio nel cuore che Verona ti lascia.

E l’esilio, vuol dire morte…

UNA GIGANTESCA IMPRESA SPORTIVA

Salvi. Ad una giornata dalla fine. Vincendo a Salerno. Forse, come disse Volpati 39 anni fa, capiremo solo tra qualche anno che razza d’impresa ha compiuto il Verona nel campionato 2023-’24. Contro tutto e contro tutti. Arbitri, Palazzi, Var, avversarie ricchissime. Un elogio alla competenza, all’orgoglio, alla professionalità. Dove non arrivano i soldi arriva la passione. Che muove le montagne e compie miracoli. La passione di un popolo che ama la propria squadra in maniera profonda, viscerale e trasmette questa passione nella pancia e nella mente di chi viene a lavorare qui, tra il Garda e la pianura padana, tra una collina e un bicchiere di amarone.

Verona è una città meravigliosa che meriterebbe più considerazione da chi ne tira i fili, soprattutto più visione, più capacità di sognare. L’Hellas Verona, lo vado dicendo da anni, è un meraviglioso biglietto da visita di una città che ne ha quasi paura, un “orpello” che pare interessare solo al popolo e raramente al potere, che se ne occupa saltuariamente e solo quando fa comodo. Ci sono rare eccezioni, ma proprio perché rare e disinteressate sono quelle che amano meno farsi pubblicità e poco le trovate sui giornali.

Questa salvezza ha un nome e un cognome: Sean Sogliano. E’ stato lui il motore di tutto quello che avete visto in questa stagione. Sean lo conoscete bene, ma forse non fino in fondo, non per quello che merita. E’ un vecchio orso, poco avvezzo a farsi leccare il culo dai soliti lacchè, un ds che per scelta non ha fatto carriera perché secondo lui o si fa calcio in una certa maniera, cioè prendendo decisioni, oppure si è dei maggiordomi. Sogliano è un romantico che vive della benzina della passione. Attenzione: essere romantici non vuol dire essere stupidi o poco intelligenti. Vuol dire solo essere innamorati del proprio lavoro e trovare gratificazione nel dare felicità alla gente. Ecco: quando parlate con Sogliano sentirete proprio queste parole: felicità della gente, felicità del popolo dell’Hellas Verona, di quelli che non mancano mai. Quando Sean se n’è andato da qui, perché fatto fuori da una congiura, non c’era giorno in cui non rimpiangesse questo rapporto speciale. E’ stato a Carpi, a Genova, a Bari, a Padova. Sempre col tarlo di Verona, della gente veronese, di tutti noi. Lo scrivo perchè è giusto che si sappia. Anche se si vede benissimo. 

Parto da Sogliano perché tutto il resto è una conseguenza: Baroni, difeso, protetto, stimolato. Un allenatore che ha fatto un miracolo remando con il suo remo a gennaio su una piccola zattera che a poco a poco ha trasformato in un veloce motoscafo, sempre più bello, veloce, accessoriato. Baroni ha compiuto la rivoluzione silenziosa, abbandonando, finalmente, il calcio di Juric e portando l’Hellas in un’altra dimensione, più solida, più proiettata al futuro, meno vincolata al leader di turno. 

La squadra, piena di talenti a costo irrisorio. Gente che ci ha fatto tornare l’amore per il gialloblù, con fame e voglia di emergere. Suslov, Serdar, Duda e Noslin ma anche i vecchi guerrieri che hanno scelto di restare qui come Montipò, Dawidowicz e Lazovic.

E poi c’è lui, mister Fortuna. Setti Maurizio da Carpi. Ora questa storia della fortuna, ve lo dico chiaro e tondo, a me pare una gran cavolata. Certo è vero che Setti spesso sfida il destino, giocando al tavolo della roulette. Ma lo fa facendo scelte, prendendo decisioni, non rimanendo fermo. Cacciò Grosso, in ritardo, prese Aglietti, poi Juric, costruì il miracolo D’Amico, prese Marroccu ma poi richiamò Sogliano. Non può essere solo fortuna. Il suo modo di lavorare, affinato nel tempo è quello della filiera cortissima, poca gente in società, ruoli chiari, grandi responsabilità, zero soldi. Chiunque se n’è andato da qui, anche finendo in società più danarose e importanti, rimpiange questo modo di lavorare. Sarà anche imposto dalla necessità ma è terribilmente efficace. Il Verona si iscriverà il prossimo anno per la sesta volta al campionato di serie A, date un’occhiata agli almanacchi per trovare un altro filotto del genere.

Napoleone diceva che è meglio un generale fortunato che un generale bravo. Io penso che Setti sia fortunato ma anche bravo. Una intera generazione di tifosi che prima di lui aveva conosciuto solo serie C, retrocessioni e sconfitte da anni si prende soddisfazioni in serie A. E se qualcuno sente di poter fare meglio di lui si faccia avanti. 

STIAMO CALMI, LA SOFFERENZA E’ NEL NOSTRO DNA

Ma secondo voi, cari fratelli gialloblù, potevamo davvero salvarci a due giornate dalla fine, senza sofferenza, senza patemi d’animo, sul velluto? Ma vi pare una cosa da Hellas Verona? Con tutto quello che è successo in questo campionato? Dai su…

E’ scritto nel destino e nelle stelle che chi tifa per questi colori non possa aspirare a vie semplici e diritte. Tutto è tortuoso, irto, duro, difficile. Come se nella sofferenza trovassimo il modo di godere e di divertirci in un perverso gioco sado-masochistico.

Fosse ancora vivo il Sommo Poeta, avrebbe trovato sicuramente un girone infernale in cui metterci. Magari uno in cui sei costretto a guardare il Paradiso, quasi a toccarlo, non certo a raggiungerlo se non a prezzo carissimo.

L’illusione immane creata dalla gara con il Torino, l’idea che avremmo finalmente tagliato corto, buttato via i nostri calcoletti e la paura è durata il tempo di prendere due gol assurdi, oltre a un gol annullato che fa parte, pure quello, del Grande Disegno.

Nell’ordine delle cose anche l’aver nominato (invano) il nome di tre o quattro santi che colpa non hanno, di aver mandato a quel paese Baroni, Coppola, Montipò, di esserci sfogati contro il vicino di sedia menagramo ed eccoci qui a esercitare il dono dell’uomo quello che ci differenzia dalle bestie, o se volete, sempre con le parole del Sommo, che ci ricorda che non siamo fatti per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.

Insomma, usiamo la razionalità dopo l’incazzatura, ragioniamo con calma, siamo qui, ancora vivi in un campionato terribile, durissimo, in cui si sono incasinate squadre che spendono dieci volte la nostra, dopo una rivoluzione invernale che doveva portare disperazione e che ha portato invece punti e pure tanti.

Non siamo messi nemmeno male a ben guardare, meglio di tante altre, abbiamo ancora tutto nelle nostre mani ed è finita quando è finita, non adesso che mancano ancora 180 minuti e che vi sono intrighi e intrecci così variabili da farci venire il mal di testa.

Si va a Salerno con speranza di potercela giocare, metterci del carico di pressione inutile e gravoso appare davvero controproducente ed è come martellarsi da soli gli zebedei. La squadra gioca, a tratti anche bene, non deve aver paura, solo evitare distrazioni pesanti come quella sui due gol subiti oggi.

E se pure un puro come Juric ha ammesso alla fine di aver “rubato” la partita, chi siamo noi per pensare di non meritarci questa serie A? Siamo fatti per soffrire ed è questo che fa tutta la differenza del mondo. Tifare Verona non è da tutti. Solo dei matti come noi possono permetterselo.

VENTIDUE ANNI DOPO… CHE CI SERVA DA LEZIONE

Il 5 maggio 2002 il Verona finiva incredibilmente in serie B. Quella data sancisce l’inizio di un incubo. Nessuno si aspettava che la squadra di Malesani potesse precipitare proprio nell’ultima gara, con due risultati su tre a disposizione, dopo aver disputato un campionato sopra le righe. Tanti fattori furono fatali in quella retrocessione. La società che iniziava a scricchiolare in seguito al crollo della Parmalat, calciopoli con i suoi imbrogli, il derby a distanza con il Chievo che aveva fatto perdere di vista l’obiettivo numero uno, cioè la salvezza, infine uno spogliatoio in cui i cialtroni erano probabilmente in numero superiore rispetto agli uomini veri.

Per il Verona, Piacenza segnò un punto di svolta. La società sprofondò in B, senza i paracaduti di oggi e poi inesorabilmente crollò in C, sfiorò la C2, mentre negli uffici importanti della città si teorizzava e si cercava di mettere in pratica la fusione con il Chievo. Così andarono le cose, finché Martinelli, mise fine a questi progetti malsani di cui anche lui aveva fatto parte per un periodo, decidendo di dedicarsi anima e corpo solo al Verona.

L’uscita dall’incubo della serie C, dopo la gara di Salerno, fu l’inizio della rinascita. Il meraviglioso Verona di Mandorlini conquistò prima la B, poi la A e da lì in poi furono tante soddisfazioni e qualche amarezza.

Il 5 maggio 2024, battendo la Fiorentina, il Verona ha nelle proprie mani la possibilità di iscriversi per la sesta volta consecutiva al campionato della massima serie. Non è salvezza certa, non è matematica, ma ora dipende solo da noi. I tre punti con la Viola conquistati in una gara vera, in cui gli avversari non hanno regalato nulla (ogni riferimento ad altre scandalose partite NON è casuale), sono uno scatto decisivo.

Ma proprio quello che successe quel 5 maggio ci deve servire come lezione. Allora il Verona guidato da Malesani sembrava il Titanic e noi della stampa ma anche i tifosi eravamo l’orchestrina che suonava allegramente mentre ci andavamo a schiantare contro l’iceberg. Mai più sia commesso un simile errore, o un simile scempio. Per questo festeggeremo solo dopo la matematica certezza di poter rimanere ancora in serie A.

Mi piacerebbe tanto, tantissimo oggi rispondere a tutti quelli che dubitavano di Baroni, della rivoluzione di gennaio, persino di Sogliano. Ma son troppo felice e francamente questi gufi pessimisti non meritano nemmeno un secondo della nostra attenzione. Tra tre domenicbe, faranno a gara per salire sul carro. Ne sono certo.

PER I DURI DI COMPRENDONIO…

Per i duri di comprendonio: sarà sofferta, fino all’ultimo respiro. E speriamo di cavarcela. Sarà un miracolo, un’impresa sportiva. 

Per i duri di comprendonio: fosse facile salvarsi, spendendo zero, incassando tanto e bastassero le idee (buonissime) del mercato, lo farebbero tutti. E Sassuolo e Udinese, due corazzate rispetto al Verona, non sarebbero inguaiate dietro di noi.

Per i duri di comprendonio: giocarsela (quasi) alla pari sul campo della Lazio che l’anno scorso fu rivelazione del torneo (seconda) è un fatto eccezionale e non una normalità.

Sempre per i duri di comprendonio. Marco Baroni fa scelte ponderate e in base a conoscenze che noi non abbiamo. Alzi la mano chi non voleva in campo sabato sera Suslov e Duda. I due slovacchi, entrati al momento giusto hanno deluso. E questo non perché siano due giocatori scarsi (improvvisamente), ma perché non stanno bene. Baroni mica ci può raccontare tutto (dovrebbe farlo un po’ di più secondo me per aiutarci a capire), ma è comprensibile che non sia un autolesionista. 

Se non fa giocare i due dall’inizio, un motivo ci sarà. Così come c’era un motivo se non abbiamo visto Centonze dopo l’ottima partita con l’Udinese e Vinagre al posto di un Cabal che ad un certo punto, ammonito, si è messo a giocare con gli avversari.

Per quanto mi riguarda continuo ad apprezzare questo Verona che se la gioca senza paura e a viso aperto anche queste gare impossibili, tentando persino di vincerle, pur con tutti i suoi enormi limiti.

E’ pur vero che ora dobbiamo andare oltre i nostri limiti e tornare a fare punti. Due turni al Bentegodi con squadre di alto valore come Fiorentina e Torino, sono da sfruttare al massimo. 

Continuo a pensare che il vero miracolo, in una stagione così, sia che il Verona non abbia già fatto la fine della Salernitana, retrocessa con abbondante anticipo. 

Vederlo lottare, giocare in questa maniera, ancora vivo, dovrebbe essere un orgoglio per ogni tifoso. E se poi, alla fine dell’ultimo minuto dell’ultima giornata, arrivasse la salvezza, credetemi… andrebbe festeggiata quasi come uno scudetto. 

PECCATO CHE GLI ALTRI NON POSSANO CAPIRE QUANTO E’ BELLO UN GOL DI COPPOLA AL MINUTO 93

E’ stata una serata leggendaria. Una di quelle sere in cui si ringrazia Dio di essere tifosi del Verona. Niente a che vedere con il calcio moderno, con le squadre miliardarie, gli arabi, i fondi Pif, i cinesi, le maglie a strisce. Essere tifosi del Verona vuol dire amare la sofferenza. Uno stato della mente e a volte del fisico che ti porta a provare piacere e raramente gioia quando la conquista della vittoria arriva attraverso una specie di salita al Monte Calvario.

Essere tifosi del Verona non vuol dire vincere sempre. Non vuol dire cambiare maglia a seconda di come tira il vento. Non vuol dire salire e scendere dal carro come se fosse il bus della linea 21. Vuol dire essere abituati alla sconfitta, direi temprati, vuol dire passare il lunedì a imprecare contro il o la Var, ipotizzando complotti del Palazzo, vuol dire vivere la vittoria delle avversarie come se tutto il mondo ci fosse contro, come se il destino fosse già scritto facendosi permeare dal pessimismo cosmico e poi in due minuti, come se niente fosse, ipotizzare successi e trionfi e trasferte europee.

Chi non conosce non capisce. Chi non prova questi sentimenti non sa cosa si perde. Schiere di tifosi di altre squadre, abituati a contare gli scudetti, non sanno che a noi ne è bastato uno, ma per tutta la vita, probabilmente per l’eternità. E non sanno che per noi il gol del gigante di Pescantina Diego Coppola, detto Coppolone, è un gol bello come Piazza Bra di notte con l’Arena e gli arcovoli illuminati e l’Orologio che segna, inevitabilmente il minuto 93. 

Un gol che farà parte, pure questo, dei nostri racconti, quando avremo 100 anni e racconteremo ai nipoti che il piccolo, povero derelitto Verona, nella stagione 2023-2024, compì il secondo miracolo di fila, dopo la salvezza allo spareggio dell’anno prima.

Ma non è finita, accidenti, non è ancora finita, anche se la spallata al campionato è forte, anche se il colpo di reni è stato potente. Ma ne restano ancora cinque da giocare e pensare oggi di essere salvi vorrebbe dire peccare di presunzione. La sofferenza non è finita, amici miei, però stasera godiamocela un po’, ce lo meritiamo. Sono i momenti in cui uno dice che non cambierebbe mai il suo tifo, perchè ci basta il Bentegodi, il colpo di testa di Coppola, i cori, i butei che corrono fuori dallo stadio felici con i loro motorini e caschi griffati Hellas. Le sciarpe gialloblù al collo e una bandiera in mano. 

IL VERONA COME ROCKY BALBOA

Mancava solo che Baroni a fine gara urlasse: “Adrianaaaaaaaaaa”. Ne ha prese tante. Malmenato dall’Atalanta, il povero Verona è uscito dal primo tempo con gli occhi semichiusi, quasi accecato, barcollante. Eppure era ancora in piedi. Il paradosso di una partita che pareva senza storia. Gli scintillanti avversari, reduci dal palcoscenico più importante del mondo, l’Hellas derelitto e con le pezze al culo, senza spartito, senza meta. In quel momento è nata la grande impresa. L’Atalanta aveva fatto il bello e il cattivo tempo. Aveva grandinato sulla carrozzeria dell’utilitaria veronese, al limite dell’umiliazione. Poteva finire 4, 5, forse anche 6 a zero. E l’unica consolazione che si poteva trovare era proprio che il Verona fosse ancora i piedi.

L’orgoglio gialloblù ha trovato pozzi nascosti. Baroni ha limato le follie del primo tempo, ha rimesso a posto l’anima e la griglia tattica, sperando che Apollo Creed peccasse di superiorità, pensasse di averla vinta, di essersi sfogato abbastanza e che ora era tempo di pensare al Liverpool, a giovedì prossimo quando la storia avrebbe di nuovo incrociato il destino.

Così è stato. I ragazzi dell’Hellas, hanno iniziato ad alzare i ritmi, a pungere. Sempre di più, sempre di più. E man mano che avvertivano la stanchezza dell’Atalanta, aumentavano la stima e la fiducia. E’ stato bellissimo vedere come il calcio riesca a sovvertire i pronostici e tutti i commenti. Come tutto cambia in poco, pochissimo tempo. Il pugno di Lazovic, una rasoiata al mento ha fatto barcollare i rivali. E lì il Verona ha pensato di farcela. Energie sconosciute sono arrivate ai muscoli, il taglio di Noslin ha raggiunto i bergamaschi che sono crollati.

Addirittura, per qualche istante, il Verona ha pensato di vincerla. Sarebbe stato eccessivo, forse, ma era più importante non perderla. Bergamo è il nostro Anfield, ed è lì, su quel campo che abbiamo costruito l’impresa più bella, scolpita sui libri di storia per sempre. Non si poteva perdere, non si doveva perdere. Perché come dice Rocky Balboa: “Forte non è colui che non va al tappeto, ma è colui che una volta andato al tappeto ha la forza di rialzarsi”.

Adrianaaaaaaaa… Siamo ancora vivi. Preparatevi a fare i conti con il vecchio, derelitto, povero, Hellas Verona. Non è ancora finita.

IL VERONA SI E’ BUTTATO VIA. ORA TORNIAMO A SOFFRIRE, CIOE’ ALLA NOSTRA NORMALITA’

L’illusione di una salvezza meno sofferta, meno difficile, senza i patemi d’animo della scorsa stagione si è infranta alla fine di Verona-Genoa. Sarà la stessa identica sofferenza, lo stesso identico finale thrilling, speriamo lo stesso epilogo.

Il Verona si è buttato via, c’è poco da fare. Poco aiutato dalla fortuna, ma sicuramente colpevole per due gol che una squadra che si deve salvare non può prendere.

Più in generale: non si può dire che il Verona abbia giocato male, anzi. Ha messo sotto il Genoa ma questo non basta. Non è bastato. E’ una questione di mentalità, di saper “leggere” all’interno della partita, di “congelarla”. Invece il Verona di Baroni non ha questo “fuoco”, continua a lavorare il pallone dal basso, a girare il fronte d’attacco alla ricerca della superiorità, della sovrapposizione giusta, dell’inserimento. Dal primo all’ultimo minuto. Ma questo è un modo di pensare del Milan, dell’Inter, della Fiorentina, della Lazio. Non può appartenere a chi ha l’acqua alla gola, a chi si è appena tirato fuori per respirare. E’ un errore che può costare carissimo.

Nulla è compromesso, ma ora questa botta va assorbita, metabolizzata, dimenticata. Servirà un’impresa, serviranno altre gare da “brutti, sporchi e cattivi”. Creare climi da tregenda, adesso, non serve a niente. Bisogna mantenere i piedi per terra, saldi, analizzare con calma cosa è successo, fare il mea culpa, riprendere il cammino. Una strada che sappiamo percorrere, come già dimostrato e a cui forse lo spogliatoio è paradossalmente più abituato rispetto alla calma e alla tranquillità di una classifica meno sofferta.

Fallito il salto di qualità, saltate tutte le tabelle, non resta che rituffarsi nel campionato. Siamo di nuovo nella melma, intrisi di sofferenza. Il nostro stato mentale, l’habitat del tifoso del Mastino. Non ci spaventa, non ci ha mai fatto paura. E’ la nostra forza.

AD UN PASSO DAL PARADISO

Peccato, peccato davvero. Eravamo vicini, vicinissimi al match ball, abbiamo toccato il paradiso per qualche istante, poi la plusvalenza Sulemana ci ha ricacciati in purgatorio.

Essere qui a recriminare per il punto ottenuto in Sardegna ci dà l’idea di che razza di partita abbia giocato il Verona. Eravamo in molti, forse tutti a firmare in bianco per prendere un pareggio in questa trasferta. Ma alla fine quelli che escono con l’amaro in bocca sono i ragazzi di Baroni.

Il Verona ha fatto di più, molto di più del Cagliari per vincerla e c’è andato vicinissimo. Se il gol di Lazovic non fosse stato annullato per qualche centimetro e Folorunsho e lo stesso Lazo avessero mantenuto la calma davanti a Scuffet, probabilmente il Verona avrebbe guadagnato i tre punti della virtuale salvezza.

Il punto, invece, ci tiene ancora dentro la bagarre, con le antenne diritte e come si dice dalle parti nostre con la “bareta fracà”. E’ ancora lunga, dura, difficile ma certo, i progressi e l’identità che la squadra ha ormai preso sono una certezza.

Le lodi sperticate di Ranieri a fine gara sono state l’esempio di quanto a volte sia difficile guardare in casa propria. Ranieri ha parlato di grande squadra, di un Verona difficile da affrontare, un avversario da prendere con le molle, con ottimi giocatori. E noi dal canto nostro, con la nostra lente d’ingrandimento sempre posizionata sulla squadra, pensiamo addirittura che questa macchina guidata com maestria da Baroni, abbia addirittura delle potenzialità inespresse.

Per esempio: Mitrovic è un diamantino grezzo, tutto da scoprire. Dani Silva un centrocampista che diventerà molto utile e Bonazzoli avrà dato sì è no il 20 per cento del suo enorme talento a questa squadra.

Aggiungeteci Serdar che per molti era una causa persa, aggiungeteci Noslin ormai commovente e Cabal che migliora di minuto in minuto e avrete chiaro il concetto che il meglio deve ancora arrivare. Intanto però portiamo a casa la salvezza, forti di un piccolo vantaggio che ci permette di giocare più liberi, ma senza mai illuderci. Il paradiso è un bel posto. Ma va conquistato con sacrifici, rinunce e persino penitenze.

UNA SCONFITTA CHE FA BEN SPERARE

Ci sono sconfitte e sconfitte. Quella contro il Milan la annoveriamo sotto la voce: sconfitte utili. Ci sono tante buone notizie che arrivano da questa partita. In cui il Verona ha affrontato a testa alta e senza paura una squadra molto forte. Il risultato ci sta, il Milan non ha rubato nulla, ma va detto che ha segnato su tre cavolate grandi come case del Verona e non con azioni schiaccianti.

Il Verona, nonostante tutto, non ha abbassato la testa, ha giocato fino all’ultimo minuto, ha anche illuso di poter riaprire la partita. Baroni ha giocato nel primo tempo cercando di non concedere profondità a Leao e a Theo Hernandez che sarebbero diventati devastanti senza la densità nella nostra metà campo. E’ piaciuto Centonze sulla destra, bene anche Serdar finchè è rimasto in campo, un po’ meno Suslov, Duda e Folorunsho che hanno faticato a trovare la posizione.

Baroni ha cambiato nel secondo tempo. Uomini e modulo. Peccato per il 2-0 propiziato da un errore di Dawidowicz che ha un po’ tagliato le gambe ma è a questo punto che è emersa la capacità di questa squadra di stare dentro le partite. Mitrovic è un giocatore che Baroni non può ignorare, idem Dani Silva. E con Swiderski vicino anche Nosilin è diventato più concreto ed efficace. La sua partita è stata da onorificenza del capo dello Stato, per voglia, grinta e anche qualità.

Ovviamente alzando il baricentro il Verona si è scoperto e il Milan ha avuto più spazi e più occasioni. Leao ha graziato Montipò calciando a lato ma poi Chukwueze ha approfittato dell’ennesima amnesia della difesa sugli sviluppi di un angolo. Ancora una volta, però, il Verona ha avuto un sussulto d’orgoglio e ha cercato fino all’ultimo di riaprire il match, tenuto in frigorifero anche da uno straordinario Maignan su Swiderski.

Morale della storia. Zero punti raccolti, ma la netta sensazione che questo Verona sia pronto a giocarsi la grande battaglia finale che l’aspetta in queste ultime nove partite. Nove gare che non si possono sbagliare. In cui si gioca anche una fetta di futuro del nostro piccolo ma “cazzuto” Hellas Verona.