E’ stata una serata leggendaria. Una di quelle sere in cui si ringrazia Dio di essere tifosi del Verona. Niente a che vedere con il calcio moderno, con le squadre miliardarie, gli arabi, i fondi Pif, i cinesi, le maglie a strisce. Essere tifosi del Verona vuol dire amare la sofferenza. Uno stato della mente e a volte del fisico che ti porta a provare piacere e raramente gioia quando la conquista della vittoria arriva attraverso una specie di salita al Monte Calvario.
Essere tifosi del Verona non vuol dire vincere sempre. Non vuol dire cambiare maglia a seconda di come tira il vento. Non vuol dire salire e scendere dal carro come se fosse il bus della linea 21. Vuol dire essere abituati alla sconfitta, direi temprati, vuol dire passare il lunedì a imprecare contro il o la Var, ipotizzando complotti del Palazzo, vuol dire vivere la vittoria delle avversarie come se tutto il mondo ci fosse contro, come se il destino fosse già scritto facendosi permeare dal pessimismo cosmico e poi in due minuti, come se niente fosse, ipotizzare successi e trionfi e trasferte europee.
Chi non conosce non capisce. Chi non prova questi sentimenti non sa cosa si perde. Schiere di tifosi di altre squadre, abituati a contare gli scudetti, non sanno che a noi ne è bastato uno, ma per tutta la vita, probabilmente per l’eternità. E non sanno che per noi il gol del gigante di Pescantina Diego Coppola, detto Coppolone, è un gol bello come Piazza Bra di notte con l’Arena e gli arcovoli illuminati e l’Orologio che segna, inevitabilmente il minuto 93.
Un gol che farà parte, pure questo, dei nostri racconti, quando avremo 100 anni e racconteremo ai nipoti che il piccolo, povero derelitto Verona, nella stagione 2023-2024, compì il secondo miracolo di fila, dopo la salvezza allo spareggio dell’anno prima.
Ma non è finita, accidenti, non è ancora finita, anche se la spallata al campionato è forte, anche se il colpo di reni è stato potente. Ma ne restano ancora cinque da giocare e pensare oggi di essere salvi vorrebbe dire peccare di presunzione. La sofferenza non è finita, amici miei, però stasera godiamocela un po’, ce lo meritiamo. Sono i momenti in cui uno dice che non cambierebbe mai il suo tifo, perchè ci basta il Bentegodi, il colpo di testa di Coppola, i cori, i butei che corrono fuori dallo stadio felici con i loro motorini e caschi griffati Hellas. Le sciarpe gialloblù al collo e una bandiera in mano.