MERCATO DA SETTE. E VI SPIEGO IL PERCHE’

Prima considerazione: alzi la mano chi avrebbe firmato ad inizio mercato affinchè restassero Serdar, Suslov, Duda Coppola e Tchatchoua? E’ il primo dato importante da cui partire per giudicare il mercato estivo del Verona.

Alla luce dei fatti la necessità vitale di fare plusvalenze del Verona si è ridotta alle cessioni di Noslin e Cabal. Due cessioni da cui la società ha tratto il massimo profitto e che ha messo Setti e Sogliano nelle condizioni di alzare l’asticella della valutazione quando gli altri “gioielli” sono stati richiesti. Niente a che vedere con la maldestra campagne svendite di tre stagioni fa.

Questo dal punto di vista tecnico-tattico rappresenta un vantaggio enorme perchè ha dato la possibilità al nuovo allenatore Zanetti di partire in ritiro con la squadra fatta almeno per il 70/80 per cento cosa che non successe nemmeno con Juric costretto a fare i salti mortali sia al suo primo anno, sia al secondo.

Sogliano ha poi “sfrondato” la rosa, tagliando tutti quei giocatori che per un motivo o per l’altro erano inutili e costosi (alcuni costosissimi). Un lavoro immane che ha “rubato” energie ma che ha consolidato ancora di più la “gestione” finanziaria della società, abbassando ulteriormente il monte ingaggi.Alcune cessioni, lasciatemelo dire, sono state dei “capolavori”.

Per quanto riguarda i rinforzi. Sogliano si è concentrato su un dato: il Verona aveva perso i giocatori che avevano portato concretamente alle ultime due miracolose salvezze: Ngonge e Noslin. Ha cercato quindi di ricostituire anche numericamente quel pacchetto. Il Verona aveva perso anche Bonazzoli, Swiderski ed Henry (oltre al giovane Cruz che si è infortunato ma che probabilmente sarebbe stato ceduto) e quindi non è vero che “siamo pieni di attaccanti” come sostiene qualcuno. Tenete poi presente il fatto che il Verona non può prendere attaccanti da venti gol a stagione. Ed allora Sogliano ha pensato che questi gol vanno “divisi” tra tanti giocatori della rosa. E’ una strategia che ha dato già i suoi frutti perchè nell’ultimo campionato sono stati utili tutti. Bonazzoli, Swiderski e persino Henry.

Maggiori critiche ha ricevuto il mercato della difesa. Un mercato che non è decollato. La verità è che Sogliano non ha ricevuto offerte per far “uscire” dei giocatori e al contempo farne entrare degli altri. Al di là di qualche “mal di pancia” espresso da qualcuno ma senza concrete offerte non è stato possibile fare operazioni. L’unico ad uscire è stato Ceccherini ed infatti è entrato al suo posto Daniliuc. Faraoni è rimasto. Con il peso del suo ingaggio e con un ruolo di secondo piano. Se fosse stato piazzato sicuramente anche il mercato dei difensori sarebbe stato diverso. Ora però toccherà al giocatore dimostrare di non essere un peso. Nei suoi confronti non c’è nessuna preclusione e se se lo meriterà giocherà e sarà utile alla causa.

Ultima analisi sulla qualità di chi è entrato: qui siamo nel campo dell’imponderabile ovviamente, ma qualcosa si può dire. Ci sono tre tipologie di giocatori. Le “Grandi Scommesse” a basso costo, come Mosquera e Livramento, le “Scommesse Ragionate” come Tengstedt, Sarr e Alidou e le “Certezze Probabili” come Kastanos e Harroui. Il mix è molto interessante, ci affidiamo all’intuito e al tocco magico di Sogliano, capace di portare a Verona giocatori funzionali alla piazza, che costano poco e che hanno sempre tante motivazioni. Un criterio di scelta che guida il ds del Verona è vedere quanta voglia ha un giocatore di venire a giocare nell’Hellas. Non appena intravvede un tentennamento, ve lo posso assicurare, Sean cambia obiettivo. La fame e la gioia di vestire il gialloblù sono doti primarie, anche a scapito magari della qualità tecnica. Oltre a queste tre categorie ci possiamo aggiungere anche la quarta: “Giovani con l’X Factor” come Sishuba e Loumbarde (costato zero, ci tengo a dirlo. Al Rennes andrà solo il venti per cento di una futura rivendita e alcuni bonus).

Il mio voto alla campagna acquisti, per quello che può valere e ritenendolo un mero e forse inutile giochetto estivo è un sette pieno. Poteva essere anche otto se la società avesse investito maggiormente su alcuni profili che oggi sono “prestiti con diritto di riscatto” formula che non impegna finanziariamente il club ma che impedisce anche un minimo consolidamento perché è più che evidente che eventuali riscatti saranno esercitati solo se questi giocatori avranno un mercato. E questo significa anche ripartire ogni anno da zero. Una “condanna” che potrebbe essere evitata se Setti trovasse finalmente un socio che desse consistenza economica alla società. Altro capitolo. Ma fondamentale.

PIU’ CHE DELUSIONE, RABBIA DI AVERLA PERSA COSI’

L’ha vinta la Juventus o l’ha persa il Verona? Io non ho dubbi. L’ha persa il Verona. E non perchè abbia giocato male o non ce l’abbia messa, ma perchè ha buttato alle ortiche in maniera sciagurata tutto quello che aveva preparato.

Il tema strategico di Zanetti era ben chiaro: guai scoprirsi con questa Juve di Thiago Motta, perchè quando ti alzi, i bianconeri diventano letali. Tirarti fuori dalla tua metà campo è proprio l’intendimento dell’allenatore italo-brasiliano, per poi colpirti negli spazi che lasci vuoti.

Zanetti l’ha studiata bene. Infatti la Juve non trovava sbocchi e fino al gol era stata noiosissima. A cambiare la partita è stata la palla rubata da Locatelli e data in verticale a Vlahovic, un pallone troppo semplice che la difesa del Verona ha letto in maniera pessima.

Ma c’era ancora tempo e possibilità di raddrizzare la partita. A tagliare le gambe al Verona è stato il secondo gol segnato dalla Juve. Una rete che non è frutto della grande “sapienza” tattica di Motta, assurto a nuovo profeta del calcio mondiale, così come sicuramente leggerete sui giornali nazionali oggi, ma dalla dabbenaggine di una difesa che gol così ne prende da sempre. E’ mia, è tua, è sua, una catena infinita di errori di posizione, di postura, ma anche semplicemente di mancanza di “garra”, di voglia di non prendere un gol così (vedere la chiusura di Tchatchoua col Napoli sull’errore di Frese per capire cosa intendo).

A questo punto frittata, fatta e gara in mano alla Juve col Verona che man mano perdeva distanze e convinzione. Col senno di poi, che è appunto del poi e quindi riempie le fosse, mi chiedo se non fosse meglio giocare dall’inizio con Tengstedt e qualcuno con i piedi buoni come Kastanos (o Harroui) invece del duo Mosquera-Livramento.

Era stato proprio Zanetti a spiegare pre Napoli che il danese è uno dei pochi ad essere arrivato per innalzare subito il livello e che quindi andava fatto giocare. Sono d’accordo, e infatti l’avrei schierato subito anche con la Juventus per lo stesso motivo. Mosquera, a cui voglio molto bene e che è un ragazzo generoso, è ancora troppo acerbo, ingenuo, limitato e in gare simili si vede chiaramente la sua inadeguatezza. Una spintina di Bremer, una spalletta di Gatti, difensori marpioni e per la Juve è stato tutto troppo facile.

Il risultato finale è ingiusto. Non parlo nemmeno del rigore causato da una scivolata folle di Tchatchoua, che spero abbia la conseguenza di “raffreddare” il mercato sull’esterno. Il 3-0 è troppo largo per la Juventus, i demeriti del Verona sono superiori ai meriti dei bianconeri, e questo alla fine è anche un bene. Vuol dire che c’è margine di miglioramento. Avremmo firmato per avere tre punti dopo questa partenza da brividi con Napoli e Juventus. Ma ora con il Genoa, inizia davvero il nostro campionato. Se dio vuole venerdì chiuderà questo folle mercato aperto con il campionato ancora in corso, un abominio sportivo partorito dalle solite menti malate che guardano solo ai profitti immediati e non al prodotto generale. Pensando di fare spettacolo e audience inficiano e penalizzano lo sport. Andrebbero tutti cacciati dal tempio, come fece Gesù, invece continuano a procurare danni alla nostra bellissima passione. Ma questo, me ne rendo conto, è un altro discorso. Noi che tifiamo il piccolo Hellas Verona, speriamo di andare a prenderci un punticino sul maledetto campo di Marassi. L’ultima vittoria fu con un gol di Alfonso Bertozzi. Un secolo fa.

UN CAPOLAVORO FIRMATO ZANETTI

CA-PO-LA-VO-RO. Il Verona compie un’impresa col Napoli e scrive un’altra pagina leggendaria, quarant’anni dopo quella prima giornata che dava il via alla cavalcata verso lo scudetto.

Sette giorni dopo gli schiaffi rimediati in Coppa Italia, Paolo Zanetti, l’allenatore-butel, dimostra di non essere un mona come supposto da una pletora di frustrati leoni da tastiera, già pronti a blandire la mannaia dell’offesa e metterlo sulla graticola.

Paolo Zanetti, signore e signori, è invece un allenatore con i cocones al posto giusto e un bel po’ di sale in zucca. Un “Sergente di ferro” che magari può sbagliare una volta, e chi non capita, ma raramente non la seconda e soprattutto mai allo stesso modo. Ha capito che i tormenti del Verona non erano nè tattici nè tecnici. Erano tormenti dell’anima, dopo una stagione con l’acceleratore schiacciato, con le motivazioni prosciugate, il mercato aperto. Ha lavorato lì sulla testa, ma anche in campo, preparando la gara perfetta.

Andiamo a comandare, sì, ma con la scaltrezza di una provinciale, facciamoli prima sfogare (grande primo tempo tutto sacrificio, contenimento, distanze giuste) e poi li colpiamo con la nostra qualità. Scelte importanti: Livramento dal primo, e poi quando si fa male Serdar (cioè il migliore dei nostri) dentro il Belhayane piccolo fenomeno, che basta guardarlo in faccia per capire che farà strada, tantissima (Bergomi stasera a Sky facendo i complimenti a Sogliano, lo ha giustamente citato come esempio del nuovo Verona fucina di giocatori sconosciuti).

Ora si tratta di coniugare il giusto entusiasmo per questa grande vittoria, con un sano realismo che non deve mai essere smarrito. Siamo a 36 punti dalla salvezza, forse 37, ci saranno ancora asperità, difficoltà crisi, magari filotti di sconfitte. Non sarà una passeggiata, ma questa vittoria con il Napoli ci permette di

1) avere fiducia sulla squadra e sul futuro.

2) Credere nel lavoro di Sogliano.

3) Aspettare dal mercato quelle mosse che possano consegnarci una squadra che onori l’anniversario del 40′ dallo scudetto. Intanto “Andiamo a comandare…” (scherzo, scherzo, giuro)

RICOMINCIAMO (CON LA SOFFERENZA E SPERIAMO CON L’ENNESIMA GIOIA)

Quarant’anni fa il Verona vinceva lo scudetto. Volpati allora disse: “Ci accorgeremo di quello che abbiamo fatto tra qualche anno”. Ce ne siamo accorti. Ogni anno quella vittoria, quel successo diventa sempre più leggendario e impossibile da raccontare nelle proporzioni. Il Verona vinse il campionato quando la serie A era davvero il torneo più importante del mondo e quando in Italia giocavano i più forti calciatori del pianeta. In mezzo a questi 40 anni c’è stato di tutto. Ancora qualche gioia ma soprattutto tantissimi dolori. Il Verona è fallito nel ’91, ha rischiato di scomparire, è tornato, è sprofondato in B, poi in C, sembrava destinato un’altra volta a fallire, nella migliore delle ipotesi a fondersi con l’altra squadra della città che nel frattempo aveva preso lo scettro del comando sia dal punto di vista “politico” che delle prestazioni sportive.

Negli ultimi anni il Verona è tornato. Non ai fasti dello scudetto, ma almeno al centro del Villaggio. A credere nel Verona, che ci piaccia o meno, non sono stati i veronesi che continuano a ritenerlo inutile o quantomeno una seccatura ma un imprenditore che arriva da una provincia limitrofa. Da dodici anni questo personaggio guida il timone del Verona, per nove anni ci ha tenuto in serie A, per tre volte è stato promosso dalla B. Questo è il suo sesto campionato di serie A, un filotto che prima di lui è riuscito solo al presidentissimo Garonzi e appunto nella magica parentesi degli anni ’80.

Tra alti e bassi, errori e redenzioni, Setti ha dato al Verona una continuità che per quasi quarant’anni era sconosciuta. Sia dal punto di vista aziendale, sia da quello sportivo. In mezzo ci sono state anche annate bellissime come la prima di Mandorlini in serie A, la prima di Juric, quella di Tudor. Ma la cifra del Verona di Setti è la sofferenza. Una sofferenza che appartiene proprio al dna della squadra e che permette di superare il gap tecnico-finanziario con le avversarie.

Setti però deve capire che non è possibile fare ogni stagione le nozze con i fichi secchi. Il rischio è altissimo e non sempre ti può andare bene. Accanto alla (giusta) coerenza finanziaria è necessario che il Verona trovi una coerenza tecnica e sportiva. Cedere ad ogni mercato i migliori della squadra e prendere sostituti a costo zero non può sempre riuscire. Leggere che un attaccante da tre milioni di euro come Bozenik diventa un impossibile investimento è sconfortante. Non solo per i tifosi ma anche per gli stessi giocatori e l’allenatore. Tra il prendere Ilic a 14 milioni (una follia vista con gli occhi attuali) o Lasagna a 11 (pazzia totale) e il prendere lo slovacco a 3, c’è di mezzo il mare. Setti deve coniugare questi due aspetti ed è il suo compito più difficile. Inoltre, nemmeno per un secondo, deve pensare di poter condurre da solo il Verona ancora per molto. Non deve smettere mai di cercare un acquirente (che possa essere anche un socio) che rafforzi l’Hellas da questo punto di vista. L’illusione di essere invincibile non lo deve sfiorare. Viceversa rischia di essere travolto da una frana inarrestabile non appena le cose dovessero girare (e nel calcio sappiamo con che velocità girano).

Ci apprestiamo a vivere un’altra annata di durissima sofferenza. L’avvisaglia arrivata alla prima sconcertante partita persa in Coppa Italia contro il Cesena ha spazzato via quel filo di ottimismo che si stava creando nelle nostre menti da tifosi. E l’arrivo di una corazzata come il Napoli ci fa tremare. Se il Verona giocherà come col Cesena sarà sicuramente massacrato dalla squadra di Conte.

E’ necessario quanto prima trovare un minimo di “quadra” tattica e di forza morale nello spogliatoio. I vecchi, i senatori, invece di incarnare lo spirito di questa squadra, appaiono quelli più stanchi, più intristiti. L’allenatore Zanetti, arrivato con la valigia piena di voglia di rivalsa personale e onorato che il Verona l’abbia scelto non è ancora riuscito a entrare nell’anima di questi ragazzi. La speranza è che questa settimana sia servita per un primo serio confronto tra tutti: società, allenatore, ds, giocatori. E che domenica vada in campo il Verona che amiamo di più. Il Verona che santifichi la maglia che indossa, i suoi tifosi e anche quello scudetto vinto 40 anni fa. Perché giocare nell’Hellas Verona, cari ragazzi, è un onore che non vi ricapiterà la seconda volta nella vostra vita da calciatori.

VERONA, UNA PIAZZA MAGICA. COSA CI INSEGNANO LE STORIE DI JURIC E BARONI

Ivan Juric lo volevano tutti. Napoli, Roma, Lazio. Vi ricordate quella primavera del 2021? La passammo praticamente a elencare le squadre dove il generale Ivan avrebbe potuto andare. Del resto i suoi due miracolosi anni a Verona non erano passati inosservati e il suo manager Beppe Riso si sfregava le mani. Fu un momento tormentato della storia recente del Verona, perché Juric, quando se ne andò lasciò un vuoto incolmabile. Scrivemmo una lettera indirizzata al condottiero quasi d’amore, gli spiegammo che non avrebbe più trovato quella magia trovata a Verona. Ed andò così.

Marco Baroni è arrivato a 60 anni. Ha fatto una onesta, onestissima carriera in tutte le categorie. Ha vinto campionati di B, ha salvato il Lecce. Ma solo a Verona, nella magia di questa piazza, la sua impresa è diventata da copertina. Tanto da meritarsi la panchina della Lazio. Baroni ha avuto l’occasione della vita, se l’è meritata.

Juric nel frattempo non se lo fila più nessuno. Pare un appestato. Due anni al Torino di Cairo lo hanno depotenziato, scaricato, normalizzato, logorato. Nessuna squadra italiana lo vuole, la lite con Vagnati finita sui social gli ha creato l’etichetta di piantagrane.

“There is no world without Verona walls.  But purgatory, torture, hell itself.  Hence-banished is banish’d from the world. And world’s exile is death”. Queste parole che Shakespeare fa dire a Romeo, esiliato da Verona, sembrano profetiche. Come se solo dentro queste mura, dentro quello stadio per traslazione, si compisse la magia dell’amore.

Non credo sia casuale. Verona è una piazza esaltante che va amata per quello che è e che lascia una traccia in tutti coloro che vengono qui a fare calcio. Basta sentire parlare Sogliano, uno che viene da fuori e a cui Verona mancava da morire, per averne la prova. La passione che si respira, che si vede, che si tocca, la gente che nel 2024, in piena era tv, gremisce lo stadio, l’identità scaligera che crea aggregazione a prescindere dalle categorie, sono molle che, per dirla alla Tamberi, ti fanno toccare il cielo.

Lo scriviamo perché è giusto che tutti coloro che vengono qui a lavorare, a giocare, a vestire quella maglia ne devono essere consci. Quando capisci Verona, i veronesi, cosa vogliono, cosa ti chiedono, quando ti sussulta il cuore nel tunnel degli spogliatoi, quando poi, te ne vai e rimpiangi per sempre quella scelta, è il tatuaggio nel cuore che Verona ti lascia.

E l’esilio, vuol dire morte…

UNA GIGANTESCA IMPRESA SPORTIVA

Salvi. Ad una giornata dalla fine. Vincendo a Salerno. Forse, come disse Volpati 39 anni fa, capiremo solo tra qualche anno che razza d’impresa ha compiuto il Verona nel campionato 2023-’24. Contro tutto e contro tutti. Arbitri, Palazzi, Var, avversarie ricchissime. Un elogio alla competenza, all’orgoglio, alla professionalità. Dove non arrivano i soldi arriva la passione. Che muove le montagne e compie miracoli. La passione di un popolo che ama la propria squadra in maniera profonda, viscerale e trasmette questa passione nella pancia e nella mente di chi viene a lavorare qui, tra il Garda e la pianura padana, tra una collina e un bicchiere di amarone.

Verona è una città meravigliosa che meriterebbe più considerazione da chi ne tira i fili, soprattutto più visione, più capacità di sognare. L’Hellas Verona, lo vado dicendo da anni, è un meraviglioso biglietto da visita di una città che ne ha quasi paura, un “orpello” che pare interessare solo al popolo e raramente al potere, che se ne occupa saltuariamente e solo quando fa comodo. Ci sono rare eccezioni, ma proprio perché rare e disinteressate sono quelle che amano meno farsi pubblicità e poco le trovate sui giornali.

Questa salvezza ha un nome e un cognome: Sean Sogliano. E’ stato lui il motore di tutto quello che avete visto in questa stagione. Sean lo conoscete bene, ma forse non fino in fondo, non per quello che merita. E’ un vecchio orso, poco avvezzo a farsi leccare il culo dai soliti lacchè, un ds che per scelta non ha fatto carriera perché secondo lui o si fa calcio in una certa maniera, cioè prendendo decisioni, oppure si è dei maggiordomi. Sogliano è un romantico che vive della benzina della passione. Attenzione: essere romantici non vuol dire essere stupidi o poco intelligenti. Vuol dire solo essere innamorati del proprio lavoro e trovare gratificazione nel dare felicità alla gente. Ecco: quando parlate con Sogliano sentirete proprio queste parole: felicità della gente, felicità del popolo dell’Hellas Verona, di quelli che non mancano mai. Quando Sean se n’è andato da qui, perché fatto fuori da una congiura, non c’era giorno in cui non rimpiangesse questo rapporto speciale. E’ stato a Carpi, a Genova, a Bari, a Padova. Sempre col tarlo di Verona, della gente veronese, di tutti noi. Lo scrivo perchè è giusto che si sappia. Anche se si vede benissimo. 

Parto da Sogliano perché tutto il resto è una conseguenza: Baroni, difeso, protetto, stimolato. Un allenatore che ha fatto un miracolo remando con il suo remo a gennaio su una piccola zattera che a poco a poco ha trasformato in un veloce motoscafo, sempre più bello, veloce, accessoriato. Baroni ha compiuto la rivoluzione silenziosa, abbandonando, finalmente, il calcio di Juric e portando l’Hellas in un’altra dimensione, più solida, più proiettata al futuro, meno vincolata al leader di turno. 

La squadra, piena di talenti a costo irrisorio. Gente che ci ha fatto tornare l’amore per il gialloblù, con fame e voglia di emergere. Suslov, Serdar, Duda e Noslin ma anche i vecchi guerrieri che hanno scelto di restare qui come Montipò, Dawidowicz e Lazovic.

E poi c’è lui, mister Fortuna. Setti Maurizio da Carpi. Ora questa storia della fortuna, ve lo dico chiaro e tondo, a me pare una gran cavolata. Certo è vero che Setti spesso sfida il destino, giocando al tavolo della roulette. Ma lo fa facendo scelte, prendendo decisioni, non rimanendo fermo. Cacciò Grosso, in ritardo, prese Aglietti, poi Juric, costruì il miracolo D’Amico, prese Marroccu ma poi richiamò Sogliano. Non può essere solo fortuna. Il suo modo di lavorare, affinato nel tempo è quello della filiera cortissima, poca gente in società, ruoli chiari, grandi responsabilità, zero soldi. Chiunque se n’è andato da qui, anche finendo in società più danarose e importanti, rimpiange questo modo di lavorare. Sarà anche imposto dalla necessità ma è terribilmente efficace. Il Verona si iscriverà il prossimo anno per la sesta volta al campionato di serie A, date un’occhiata agli almanacchi per trovare un altro filotto del genere.

Napoleone diceva che è meglio un generale fortunato che un generale bravo. Io penso che Setti sia fortunato ma anche bravo. Una intera generazione di tifosi che prima di lui aveva conosciuto solo serie C, retrocessioni e sconfitte da anni si prende soddisfazioni in serie A. E se qualcuno sente di poter fare meglio di lui si faccia avanti. 

STIAMO CALMI, LA SOFFERENZA E’ NEL NOSTRO DNA

Ma secondo voi, cari fratelli gialloblù, potevamo davvero salvarci a due giornate dalla fine, senza sofferenza, senza patemi d’animo, sul velluto? Ma vi pare una cosa da Hellas Verona? Con tutto quello che è successo in questo campionato? Dai su…

E’ scritto nel destino e nelle stelle che chi tifa per questi colori non possa aspirare a vie semplici e diritte. Tutto è tortuoso, irto, duro, difficile. Come se nella sofferenza trovassimo il modo di godere e di divertirci in un perverso gioco sado-masochistico.

Fosse ancora vivo il Sommo Poeta, avrebbe trovato sicuramente un girone infernale in cui metterci. Magari uno in cui sei costretto a guardare il Paradiso, quasi a toccarlo, non certo a raggiungerlo se non a prezzo carissimo.

L’illusione immane creata dalla gara con il Torino, l’idea che avremmo finalmente tagliato corto, buttato via i nostri calcoletti e la paura è durata il tempo di prendere due gol assurdi, oltre a un gol annullato che fa parte, pure quello, del Grande Disegno.

Nell’ordine delle cose anche l’aver nominato (invano) il nome di tre o quattro santi che colpa non hanno, di aver mandato a quel paese Baroni, Coppola, Montipò, di esserci sfogati contro il vicino di sedia menagramo ed eccoci qui a esercitare il dono dell’uomo quello che ci differenzia dalle bestie, o se volete, sempre con le parole del Sommo, che ci ricorda che non siamo fatti per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.

Insomma, usiamo la razionalità dopo l’incazzatura, ragioniamo con calma, siamo qui, ancora vivi in un campionato terribile, durissimo, in cui si sono incasinate squadre che spendono dieci volte la nostra, dopo una rivoluzione invernale che doveva portare disperazione e che ha portato invece punti e pure tanti.

Non siamo messi nemmeno male a ben guardare, meglio di tante altre, abbiamo ancora tutto nelle nostre mani ed è finita quando è finita, non adesso che mancano ancora 180 minuti e che vi sono intrighi e intrecci così variabili da farci venire il mal di testa.

Si va a Salerno con speranza di potercela giocare, metterci del carico di pressione inutile e gravoso appare davvero controproducente ed è come martellarsi da soli gli zebedei. La squadra gioca, a tratti anche bene, non deve aver paura, solo evitare distrazioni pesanti come quella sui due gol subiti oggi.

E se pure un puro come Juric ha ammesso alla fine di aver “rubato” la partita, chi siamo noi per pensare di non meritarci questa serie A? Siamo fatti per soffrire ed è questo che fa tutta la differenza del mondo. Tifare Verona non è da tutti. Solo dei matti come noi possono permetterselo.

VENTIDUE ANNI DOPO… CHE CI SERVA DA LEZIONE

Il 5 maggio 2002 il Verona finiva incredibilmente in serie B. Quella data sancisce l’inizio di un incubo. Nessuno si aspettava che la squadra di Malesani potesse precipitare proprio nell’ultima gara, con due risultati su tre a disposizione, dopo aver disputato un campionato sopra le righe. Tanti fattori furono fatali in quella retrocessione. La società che iniziava a scricchiolare in seguito al crollo della Parmalat, calciopoli con i suoi imbrogli, il derby a distanza con il Chievo che aveva fatto perdere di vista l’obiettivo numero uno, cioè la salvezza, infine uno spogliatoio in cui i cialtroni erano probabilmente in numero superiore rispetto agli uomini veri.

Per il Verona, Piacenza segnò un punto di svolta. La società sprofondò in B, senza i paracaduti di oggi e poi inesorabilmente crollò in C, sfiorò la C2, mentre negli uffici importanti della città si teorizzava e si cercava di mettere in pratica la fusione con il Chievo. Così andarono le cose, finché Martinelli, mise fine a questi progetti malsani di cui anche lui aveva fatto parte per un periodo, decidendo di dedicarsi anima e corpo solo al Verona.

L’uscita dall’incubo della serie C, dopo la gara di Salerno, fu l’inizio della rinascita. Il meraviglioso Verona di Mandorlini conquistò prima la B, poi la A e da lì in poi furono tante soddisfazioni e qualche amarezza.

Il 5 maggio 2024, battendo la Fiorentina, il Verona ha nelle proprie mani la possibilità di iscriversi per la sesta volta consecutiva al campionato della massima serie. Non è salvezza certa, non è matematica, ma ora dipende solo da noi. I tre punti con la Viola conquistati in una gara vera, in cui gli avversari non hanno regalato nulla (ogni riferimento ad altre scandalose partite NON è casuale), sono uno scatto decisivo.

Ma proprio quello che successe quel 5 maggio ci deve servire come lezione. Allora il Verona guidato da Malesani sembrava il Titanic e noi della stampa ma anche i tifosi eravamo l’orchestrina che suonava allegramente mentre ci andavamo a schiantare contro l’iceberg. Mai più sia commesso un simile errore, o un simile scempio. Per questo festeggeremo solo dopo la matematica certezza di poter rimanere ancora in serie A.

Mi piacerebbe tanto, tantissimo oggi rispondere a tutti quelli che dubitavano di Baroni, della rivoluzione di gennaio, persino di Sogliano. Ma son troppo felice e francamente questi gufi pessimisti non meritano nemmeno un secondo della nostra attenzione. Tra tre domenicbe, faranno a gara per salire sul carro. Ne sono certo.

PER I DURI DI COMPRENDONIO…

Per i duri di comprendonio: sarà sofferta, fino all’ultimo respiro. E speriamo di cavarcela. Sarà un miracolo, un’impresa sportiva. 

Per i duri di comprendonio: fosse facile salvarsi, spendendo zero, incassando tanto e bastassero le idee (buonissime) del mercato, lo farebbero tutti. E Sassuolo e Udinese, due corazzate rispetto al Verona, non sarebbero inguaiate dietro di noi.

Per i duri di comprendonio: giocarsela (quasi) alla pari sul campo della Lazio che l’anno scorso fu rivelazione del torneo (seconda) è un fatto eccezionale e non una normalità.

Sempre per i duri di comprendonio. Marco Baroni fa scelte ponderate e in base a conoscenze che noi non abbiamo. Alzi la mano chi non voleva in campo sabato sera Suslov e Duda. I due slovacchi, entrati al momento giusto hanno deluso. E questo non perché siano due giocatori scarsi (improvvisamente), ma perché non stanno bene. Baroni mica ci può raccontare tutto (dovrebbe farlo un po’ di più secondo me per aiutarci a capire), ma è comprensibile che non sia un autolesionista. 

Se non fa giocare i due dall’inizio, un motivo ci sarà. Così come c’era un motivo se non abbiamo visto Centonze dopo l’ottima partita con l’Udinese e Vinagre al posto di un Cabal che ad un certo punto, ammonito, si è messo a giocare con gli avversari.

Per quanto mi riguarda continuo ad apprezzare questo Verona che se la gioca senza paura e a viso aperto anche queste gare impossibili, tentando persino di vincerle, pur con tutti i suoi enormi limiti.

E’ pur vero che ora dobbiamo andare oltre i nostri limiti e tornare a fare punti. Due turni al Bentegodi con squadre di alto valore come Fiorentina e Torino, sono da sfruttare al massimo. 

Continuo a pensare che il vero miracolo, in una stagione così, sia che il Verona non abbia già fatto la fine della Salernitana, retrocessa con abbondante anticipo. 

Vederlo lottare, giocare in questa maniera, ancora vivo, dovrebbe essere un orgoglio per ogni tifoso. E se poi, alla fine dell’ultimo minuto dell’ultima giornata, arrivasse la salvezza, credetemi… andrebbe festeggiata quasi come uno scudetto. 

PECCATO CHE GLI ALTRI NON POSSANO CAPIRE QUANTO E’ BELLO UN GOL DI COPPOLA AL MINUTO 93

E’ stata una serata leggendaria. Una di quelle sere in cui si ringrazia Dio di essere tifosi del Verona. Niente a che vedere con il calcio moderno, con le squadre miliardarie, gli arabi, i fondi Pif, i cinesi, le maglie a strisce. Essere tifosi del Verona vuol dire amare la sofferenza. Uno stato della mente e a volte del fisico che ti porta a provare piacere e raramente gioia quando la conquista della vittoria arriva attraverso una specie di salita al Monte Calvario.

Essere tifosi del Verona non vuol dire vincere sempre. Non vuol dire cambiare maglia a seconda di come tira il vento. Non vuol dire salire e scendere dal carro come se fosse il bus della linea 21. Vuol dire essere abituati alla sconfitta, direi temprati, vuol dire passare il lunedì a imprecare contro il o la Var, ipotizzando complotti del Palazzo, vuol dire vivere la vittoria delle avversarie come se tutto il mondo ci fosse contro, come se il destino fosse già scritto facendosi permeare dal pessimismo cosmico e poi in due minuti, come se niente fosse, ipotizzare successi e trionfi e trasferte europee.

Chi non conosce non capisce. Chi non prova questi sentimenti non sa cosa si perde. Schiere di tifosi di altre squadre, abituati a contare gli scudetti, non sanno che a noi ne è bastato uno, ma per tutta la vita, probabilmente per l’eternità. E non sanno che per noi il gol del gigante di Pescantina Diego Coppola, detto Coppolone, è un gol bello come Piazza Bra di notte con l’Arena e gli arcovoli illuminati e l’Orologio che segna, inevitabilmente il minuto 93. 

Un gol che farà parte, pure questo, dei nostri racconti, quando avremo 100 anni e racconteremo ai nipoti che il piccolo, povero derelitto Verona, nella stagione 2023-2024, compì il secondo miracolo di fila, dopo la salvezza allo spareggio dell’anno prima.

Ma non è finita, accidenti, non è ancora finita, anche se la spallata al campionato è forte, anche se il colpo di reni è stato potente. Ma ne restano ancora cinque da giocare e pensare oggi di essere salvi vorrebbe dire peccare di presunzione. La sofferenza non è finita, amici miei, però stasera godiamocela un po’, ce lo meritiamo. Sono i momenti in cui uno dice che non cambierebbe mai il suo tifo, perchè ci basta il Bentegodi, il colpo di testa di Coppola, i cori, i butei che corrono fuori dallo stadio felici con i loro motorini e caschi griffati Hellas. Le sciarpe gialloblù al collo e una bandiera in mano.