MA DOVE VAI SE LA PUNTA NON CE L’HAI

Polvere di stelle al Bentegodi. Giochi anche bene ma la logica è stringente: se non segni non vai da nessuna parte. Anzi sì: vai in serie B. Aggiungiamoci un pessimo arbitro che nell’epoca della Var si ritiene così bravo da non interpellarla nemmeno su un fuorigioco dubbio e il risultato è la brutta batosta che il Verona ha rimediato con il Genoa.

E’ una batosta prima di tutto morale: è l’ennesima gara in cui il Verona pare prossimo a girare la sua stagione e invece la prende nei denti. Hai voglia a continuare a parlare di crescita se poi non riesci a fare punti, anzi li butti via in questo modo. E poi è una batosta tecnica perchè dimostra l’inconsistenza del reparto offensivo che senza Pazzini mette in campo solo giovani scommesse.

Le considerazioni stanno a zero se non riesci a segnare in 46 minuti. Così come la buona prova del Verona che purtroppo si scontra con il risultato negativo. Gira e gira torniamo sempre là. La coperta è corta, Pecchia ha pochissime alternative e magari scopriremo un giorno che sta tirando fuori il sangue dalla rape, altrochè rosa all’altezza.

Pericolo scoramento dietro l’angolo. Se perdi a Ferrara puoi dire addio alla serie A. Bella hawaiana attaccate a ‘sta banana, cantava Alberto Sordi. Noi ci attacchiamo alla speranza. Ultima a morire.

VADO CONTROCORRENTE E DICO CHE…

Ho sempre pensato che per salvarsi il Verona debba vincere. Soprattutto in casa, soprattutto gli scontri diretti. E’ ovvio che questo sia il fine ultimo e che nulla è corroborante come un successo. Basta pensare all’entusiasmo che ha creato il derby vinto con il Chievo, in cui il piccolo Hellas, acciaccato pieno di giovani scommesse è riuscito a sconfiggere i ricchi rivali (parliamo ovviamente della classifica).

Credo però, che proprio per il tipo di campionato che sta uscendo, in cui ci sarà una lunga eterna lotta per la salvezza, sia molto importante anche non perdere. Ecco, quindi stavolta vado controcorrente e dico che lunedì sera contro un Genoa che sulla carta è molto superiore al Verona, sia più importante non perdere che cercare di vincere a tutti i costi. Muovere la classifica diventa prioritario e anche un punticino diventa vitale alla fine. Lo sappiamo benissimo proprio noi dell’Hellas retrocessi nel 2002 proprio per un punto (allora individuammo nella sconfitta con il Torino quel punticino che poteva darci la serie A).

Non dico di giocare per il pareggio. Dico solo che stavolta proverei a giocarmela senza l’assillo dei tre punti a tutti i costi, conscio che anche un pareggio potrebbe essere utile. Pensate ad un attimo se contro il Bologna avessimo pareggiato (ed era un risultato che già andava stretto…): oggi saremmo virtualmente salvi con gli stessi punti della Spal.

Insomma: in questo torneo così complicato credo sia importante anche “grattare” qualche risultato. E magari è proprio il momento in cui inaspettati arrivano i tre punti.

UN VENTO NUOVO

Non è vero che non è cambiato niente come dice Fabio Pecchia. E’ cambiato tantissimo. Si vede negli occhi dei giocatori del Verona, nelle loro facce, nei crampi. La squadra resta sempre quella, ma ora è una squadra che vuole arrivare ad un risultato, che lotta, che ci crede. E’ cambiato che davanti ad un bivio, la squadra, lo spogliatoio, il gruppo, ha scelto: restiamo con Pecchia, con il nostro allenatore. Non è banale, non era scontato. Quante volte abbiamo visto squadre ribellarsi al proprio tecnico, non seguirlo più? Dopo la vittoria con il Sassuolo, è arrivata il derby di Coppa Italia vinto con il Chievo ai calci di rigore.

Una vittoria voluta, cercata, con umiltà. Sia chiaro, non una grande partita, anzi piuttosto brutta, ma giocata con quella volontà che pareva essersi persa a Cagliari e nei venti minuti con il Bologna.

E’ un piccolo refolo di aria fresca, un vento nuovo. Nient’altro. Ma si può tramutare in una tempesta perfetta se lunedì sera si riuscirà a battere il Genoa, quella sì la partita della svolta. La attendiamo ora con più fiducia e più ottimismo. Sperando di non vedere un’altra volta le nostre speranze soffocate.

PECCHIA A RISCHIO

Il Verona ha vinto. Prima volta per 2-0. Prima volta fuori casa. Era la gara della vita per Fabio Pecchia. E il Verona ha vinto. Cosa vuol dire? La prima: prendiamo atto che la squadra è con l’allenatore come aveva spiegato l’avvocato Fusco. La seconda: speriamo che Pecchia sia sempre a rischio. E’ l’unico modo che ha il Verona di salvarsi. E’ un paradosso, ovvio. Pecchia a rischio vuol dire più grinta, più attenzione, più voglia. Vuol dire anche un lavoro diverso. E allora che resti sempre a rischio, che tutti giochino per lui, che la squadra di stringa attorno a questo omino che incassa pugni come un punching ball e che barcolla ma non molla.

Cosa è successo a Sassuolo? E’ successo che il Verona ha giocato per il suo allenatore e questa è una buona notizia. E’ una piccola scintilla che forse non diventerà mai un falò, ma è un punto di partenza. Pecchia ha vinto e ha cambiato la storia. Ha rimandato il suo funerale, ha soprattutto compattato la squadra. Il campionato è da scrivere, questa è l’altra buona notizia, l’unica che vogliamo apprendere. Non ci interessa se ci salva Pecchia, se ci salva Fusco, se ci salva Garibaldi. Ci interessa il Verona e questo deve essere l’interesse primario di tutto, soprattutto dei tifosi.

Nessun trionfalismo in ogni caso. Restano sul tappeto prestazioni pessime, gare buttate via, errori inconcepibili. Al netto della vittoria, anche la gara di stasera non è stata perfetta. Anzi. Interpretare questa vittoria soffertissima come un trionfo sarebbe l’ennesima analisi presuntuosa. Questa squadra è deficitaria, è stata costruita male, ha qualche buon giocatore ma così quasi sicuramente non si salverà. Lo diciamo a nuora perchè suocera intenda. Arrivassimo a gennaio in queste condizioni di classifica, ovvero con i giochi aperti, bisognerà mettere mano al portafoglio, aprire la mente, usare contatti, portare buoni giocatori e soprattutto GENTE PRONTA. Per dirla in un’altra maniera: giocatori veri che sappiano dare esperienza e qualità. Non ne servono mille: dico che con tre siamo a posto. Astenersi giovani scommesse, prestiti e amenità del genere. E mi raccomando: sempre con Pecchia a rischio.

GAME OVER

Ci sono numeri impietosi che i dirigenti del Verona non vogliono vedere: cinque sconfitte consecutive, il quart’ultimo posto a quattro punti, 29 gol subiti, due scontri diretti già persi di quel “mini girone” in cui dovresti trovare la salvezza, una sola vittoria contro la peggior squadra di sempre in serie A.

Il Verona sta sprofondando, la gara con il Bologna ha sancito la pochezza di una rosa inadeguata. Il “dato tecnico” spiega che il Verona vinceva con il Bologna per 2-1 e ha perso alla fine 3-2: è terribile e non può essere un’attenuante il fatto di essere stati in vantaggio, anzi è solo un’aggravante.

Lo dico a Filippo Fusco che stasera ha fatto vedere il suo talento di avvocato difensore in una causa persa in partenza. L’evidenza delle prove, il campo, la classifica, le cifre dicono che continuare così vuol dire andare a sbattere addosso ad un muro a 200 all’ora. Non parliamo qui di responsabilità o di colpe. Per quello ci sarà tempo. Si parla di prendere la decisione giusta per dare una chance di salvezza al Verona. Perchè così non si può andare avanti. La squadra vive con una cappa negativa sopra la testa e le decisioni della società assomigliano a quell’accanimento terapeutico che persino papa Francesco la scorsa settimana ha giustamente voluto fermare. Qui non si tratta di tenere in vita una squadra, ma di evitargli una lunga e dolorosa morte.

Che altro si può fare se non esonerare l’allenatore? Non vedo francamente via d’uscita, anche se questa è sempre la via più semplice e facile e non sempre la più equa. A mercato fermo e nell’impossibilità di cambiare rosa, ds o società, non resta che provare questa soluzione. Ripeto per l’ennesima volta che mi pare assurdo che un presidente non parli in una situazione del genere. Setti resta in silenzio, avallando di fatto ogni decisione di Fusco. Forse, come ha fatto altre volte, per prendere le distanze quando le cose precipiteranno senza possibilità di ritorno. Ma questo, mi dispiace, non vuol dire fare il presidente e nemmeno l’imprenditore. Ruolo che impone di essere un punto di riferimento e attore principale delle scelte.

L’INDIFFERENZA

Mai un Verona è stato così lontano dalla gente, dalla città dal cuore dei suoi tifosi. L’assenza di un presidente, zitto anche dopo una sconfitta grave e lacerante come quella di Cagliari, gli allenamenti a Peschiera, dentro un bunker protetto da uno stuolo di agenti della security, con pochi affezionati al seguito, una freddezza generale che è frutto anche dello sconforto per i risultati, l’indifferenza per una squadra che non scalda il cuore, incapace di mantenere fede alle continue e vuote promesse.

Il Verona sta affondando e lo sta facendo senza più quell’affetto che suscitava qualche tempo fa. E’ una colpa grave, un allarme che qualcuno deve raccogliere e lanciare. Il Verona vive in una realtà parallela con gli eventi del marketing che scandiscono felici il calendario della società, perchè comunque qualcosa bisogna fare anche se si è penultimi in classifica. Eventi distaccati da ogni contesto e che vivono di luce artificiale perchè non alimentati dalla passione.

Allenarsi a Peschiera è un problema. Enorme. Il Verona non è e non sarà mai la Juventus anche se qualcuno magari può crederlo. Guardavo l’altro giorno la squadra a pranzo. Non conoscevo nessuno di quei giocatori. Ho trovato Caceres nel corridoio e l’ho salutato ma a fatica ha ricambiato. Potevo essere il cuoco del ristorante per lui. Lo capisco.

Del resto che frequentazione abbiamo, che conoscenza abbiamo di Cerci e di Caceres, portati a malapena in qualche conferenza stampa in cui al massimo possiamo fare tre domande a testa e alla quarta già c’è il sopraciglio di qualcuno che si muove perchè bisogna lasciare la parola a qualcun altro? Per questo non credo al direttore operativo Barresi quando dice che l’antistadio è pronto. E’ cinque anni ormai che ne parliamo, ma finchè il Verona e intendo la squadra principale non i pulcini, non tornerà ad allenarsi lì con regolarità, l’antistadio resterà solo l’ennesima promessa non mantenuta da questa società.

Povero Hellas Verona, questa indifferenza rischia di essere il colpo mortale al tuo futuro, un colpo che nemmeno i peggiori dirigenti che sono passati di qui erano riusciti a darti. Ci indignavamo allora, ora nemmeno quello. Cercasi in fretta gente con passione.

 

 

CESSIONE DEL VERONA E IL FUTURO DI SETTI

Ne ho viste così tante che voi umani non osate immaginare. C’era una volta un truffatore che voleva acquistare il Verona e smerciava salsa di pomodoro scaduta. C’erano una volta i fratelli Carino. Poi un finto cardinale che doveva fare da mediatore. E colleghi che scrivevano di Berlusconi, Galan, Forza Italia e cordate misteriose. Persino soldi falsi. Un teatro dell’assurdo che mai si potrebbe immaginare e forse solo un replicante potrebbe raccontare.

Lungi da me, quindi, alimentare voci sulla cessione del Verona. In questo campo tutto vale il contrario di tutto, tutti smentiscono e poi ammettono fino a quando l’affare non è concluso. C’è un sacco di gente che cerca un quarto d’ora di celebrità ma anche gente seria che analizza i conti e vede i bilanci al di là delle cifre. Solitamente queste trattative non avvengono sui giornali. Ma la carta con cui una cordata americana voleva acquistare il Verona con la richiesta di Setti è ancora in mio possesso, nonostante le smentite della società.

Leggo gli articoli di un collega di Repubblica che mi pare molto ben informato sulla cessione del Genoa ad un finanziere di nome Giulio Gallazzi e vedo spuntare il nome del Verona. So per esperienza che se spunta un nome non è mai a caso. Qualcuno lo deve aver fatto a quel giornalista. Non so se Gallazzi o qualcuno di quella cordata, probabilmente la finalità è diversa da quella che immaginiamo noi a Verona. Probabilmente Gallazzi vuol far capire a Preziosi che il Genoa non è la sola opzione e che altre società possono essere acquistate anche a prezzo inferiore.

Ma perchè proprio il Verona? Ecco è lì che mi insospettisco. Non l’Atalanta di Percassi, non il Chievo di Campedelli ma il Verona di Setti. Che già, dalle parole di Fusco di quest’estate, pure noi abbiamo messo sul mercato. L’operazione di maquillage sui conti del resto è cosa più che evidente. Come il fatto, ammesso dallo stesso Fusco, che da due anni Setti non mette un euro nel Verona che vive, dunque, solo dei proventi che lui stesso (il Verona) genera.

E poi ci sono le voci insistenti di una cordata cittadina di cui è informato anche Palazzo Barbieri. Cordata che avrebbe approcciato Setti chiedendo una valutazione con risposta secca: 35 milioni di euro. Una cifra molto simile a quella che Repubblica riferisce essere stata chiesta a Gallazzi. Strano. Esiste questa cordata veronese? Qualche connotato lo conosciamo, ma i suoi interlocutori per ora se ne stanno al coperto. Credo sia un sintomo di serietà per il fatto che nessuno cerchi notorietà facile da un’operazione simile. Vale 35 milioni di euro il Verona attuale? Ecco su questo possiamo stare qui a discutere in eterno e mi pare sia giusto che sia Setti a fare il prezzo. Non ci sono pregiudiziali nei suoi confronti. Solo l’obbligo di fare un Verona vincente e più vicino alla città e ai tifosi. Un mandato che per quanto riguarda questa stagione è clamorosamente fallimentare. Almeno fino ad oggi. Il mercato di gennaio e le prossime mosse (in base ai risultati) ci diranno se il futuro di Setti a Verona sarà lungo o breve.

 

PECCHIA E QUEL GIOCO CHE A VERONA NON PIACE

Un giorno Cesare Prandelli mi spiegò il segreto del suo Verona: “Sapevamo interpretare perfettamente lo spirito dello stadio e dei suoi  tifosi. E’ importantissimo per un allenatore sapere che tipo di gioco piace ad una città. Io ho cercato di farlo. Verona ama il calcio inglese, niente fronzoli, tanto agonismo. Gioco verticale, ripartenze veloci. Se giochi così lo stadio si infiamma. A Firenze amavano più il bello, il lato estetico. E così adeguai la squadra. A Venezia non ho mai capito che cosa amassero….”.

Tricella, intervenuto martedì al Gialloblù Live ha aggiunto: “Il Verona dello scudetto era essenziale e cinico. Un’alchimia perfetta. Giocavamo in profondità. Pochi fronzoli, tanta praticità. E facevamo male. Il Verona post scudetto, per caratteristiche dei giocatori, era il contrario, tenevamo più la palla, gli altri segnavano”.

Ripenso ai più bei Verona degli ultimi anni. Di Bagnoli abbiamo detto e scritto tutto. Poi c’è stato quello di Prandelli, appunto, 4-4-2 classico che virava al 4-2-4 quando salivano Brocchi e Melis. Poi il Verona di Ficcadenti, anche quello molto verticale, con esterni come Dossena e Cassani che raddoppiavano le fasce, e interni come Behrami devastanti negli inserimenti. E poi ovviamente il primo Verona di Mandorlini in serie A. Iturbe e Romulo in stato di grazia anche perchè inseriti perfettamente nello scacchiere. E Toni davastante. Un Verona che accendeva gli animi del Bentegodi con veloci contropiedi, capace di fare male, capace anche di soffrire con quella famosa linea a sei difensori nella quale risaliva il soldatino Gomez, imprescindibile per Mandorlini.

E il Verona di Pecchia? Non ha mai scaldato. Al di là dei risultati credo sia proprio il modo di interpretare il calcio che non piace al Bentegodi. Pochissime verticalizzazioni e il possesso palla che non si sposa con la praticità e la concretezza del popolo gialloblù. E’ una filosofia che non si adegua con il nostro vissuto e con la nostra idea di calcio che ama l’Inghilterra e i giocatori fisici.

Ne consegue una freddezza della piazza che raramente si è scaldata davanti alle partite del Verona. L’unica eccezione, guarda caso, il derby con il Vicenza della scorsa stagione in cui era saltata ogni logica e il Verona aveva abbandonato l’idea del calcio orizzontale. Forse non è una questione di simpatia ma propria di filosofia di calcio. E quella di Pecchia non è quella che vuole Verona.

LE RESPONSABILITA’

Negli Stati Uniti il presidente nei momenti più duri come ad esempio una guerra, diventa “il comandante in capo”.

E’ un’assunzione totale di responsabilità in cui il presidente eletto rappresenta tutta la nazione e ogni componente di quella, comprese le forze armate, rispondono a lui.

In un’azienda, il titolare, cioè colui che detiene la proprietà, è sempre un “comandante in capo”. Le scelte e l’indirizzo dell’azienda dipendono dalle sue decisioni. Sta alla sua bravura, alla sua sensibilità, al suo fiuto “delegare” alle persone giuste, fette della propria responsabilità. Ma la decisione, finale, spetta sempre a lui.

Per questo la settimana scorsa contestavo lo striscione “Pecchia Vattene”. Pecchia è un falso problema, il problema vero, l’unico nodo che oggi si deve affrontare, è relativo alla società. C’è un upper level, un livello superiore, ed è quello della proprietà del Verona, che deve essere affrontato. E’ Setti che ci deve dire se è contento di questo Verona, se siamo in linea con le aspettative e soprattutto con gli investimenti, e quindi se si va avanti con Pecchia. La questione è molto semplice e la ripeto da tempo: o si pensa che questa squadra sia molto più forte di così ed allora Pecchia deve essere cacciato subito, oppure, molto più semplicemente si prende atto che il Verona è stato costruito al risparmio e quindi si rafforza Pecchia. La società deve assolutamente prendere una di queste due decisioni. Dicendo che Pecchia non è il problema (cit. Fusco a fine gara), mi pare chiaro che la seconda opzione sia quella che la società ha sposato. Pecchia allena semplicemente una squadra inadeguata, con un organico all’osso, con troppe scommesse. E quindi resta al suo posto. Lo doveva dire Setti, però e non Fusco.

Ora dirò cosa penso della gara di Cagliari. A parte la considerazione tattica e tecnica, la squadra è molle, senza anima. Giocare una partita del genere quando persino il fato si mette dalla tua parte (gol in apertura, rigore sbagliato) è un gravissimo allarme. Non riesco veramente a capire come si possa essere ottimisti in questo contesto e come si possa girare la frittata dopo aver perso una gara chiave. Si dirà: il campionato è lungo, tempo di rimediare ce n’è. Si ma sono passate dodici partite in cui si è vinto solo con il Benevento (e a fatica) ed è troppo poco. Qualche barlume s’è visto con Chievo, Atalanta e Inter, ma Cagliari ci rituffa nel baratro. E resta lo zero in classifica dopo queste quattro sconfitte. Per ora il Verona non è adeguato alla serie A, ma non ha neppure le armi per lottare con umiltà. Setti, dopo averci detto che la società spende più di quanto incassa (Perchè? magari andava chiesto…), deve dirci adesso il suo pensiero. Prima di diventare il primo presidente fantasma dell’Hellas Verona.

SBAGLIATO LO STRISCIONE CONTRO PECCHIA

Non mi è piaciuto lo striscione contro Pecchia. E’ sbagliato nella sostanza e nasconde il problema. L’allenatore è un’emanazione della società e addossare a lui tutte le colpe vuol dire assolvere Setti. Ed è sbagliato perchè arriva dopo un’ottima prestazione, la migliore di tutto l’anno. Se lo striscione voleva indebolire l’allenatore, in realtà lo ha molto rafforzato. Pecchia ha responsabilità? Moltissime. Compreso il fatto di aver trovato una quadratura alla giornata undici dopo aver fatto una girandola che neanche al Luna Park si vede.

Ma cosa ha fatto la società per metterlo nelle migliori condizioni? Pochissimo. Gli ha dato giocatori mezzi rotti e molti sono arrivati in ritardo. Il resto sono giovani scommesse che Pecchia cerca di far crescere. Ovvio che Pecchia è complice di questa situazione, accettando tutto di buon grado. Ma c’è qualcuno più in alto di lui che lo vuole e che ha costruito una squadra al risparmio. La colpa non è di Pecchia ma della società. Quindi lo striscione è fuorviante.

Detto ciò, Pazzini non può essere diventato un problema. Kean non è ancora pronto per giocare contro Miranda e Skriniar ed è inutile che Pecchia si indispettisca quando qualcuno glielo chiede. Pazzini è il più grosso equivoco che c’è in questa squadra, un equivoco che nè Pecchia nè Fusco hanno voluto, ma che hanno gestito malissimo. Pazzini se ne andrà a gennaio, è quasi certo e da un verso è anche auspicabile, visto che è il giocatore che prende di più ma l’allenatore lo tratta come se fosse Kumbulla, con tutto il rispetto per Kumbulla. Io penso che se hai Pazzini, Pazzini lo devi far giocare. Non c’è verso, non se ne esce da questo loop.

Il Verona mi è piaciuto molto. Ora è una squadra che ha un senso, con il Pazzo lo avrebbe avuto ancora di più, i risultati arriveranno, giocando così non possono non arrivare. Non si può vedere però una squadra che continua prendere gol su calcio piazzato. Il Verona si allena un’ora e mezza al giorno di mattina. Un solo allenamento al giorno. E’ un’eresia pensare di fare un doppio allenamento per dedicarlo ai calci piazzati?