Vado controcorrente e dico che questa partita servirà paradossalmente al Verona. Perdere così fa male. Di più: fa imbufalire. Però questa sconfitta può aiutare il Verona a capire che senza rabbia e senza umiltà non si va da nessuna parte. Questa squadra è forte. Sulla carta. Cioè in via ipotetica. Leggi i curricula dei giocatori e non puoi non accreditare il Verona di essere tra le più forti del campionato. Ma prima dell’inizio di questa stagione Sean Sogliano mi diceva: “Un conto è il mercato, un altro è il campo. Assemblare squadre forti non è semplice. C’è sempre una componente irrazionale che sfugge”.
Parole che oggi risuonano forte. Il Verona non è ancora diventata una squadra. Non fino in fondo, almeno. E qui conta poco la considerazione tattica: cioè se Mandorlini ha fatto più o meno la cosa giusta a Padova. Può darsi che il mister abbia sbagliato. Ma a sbagliare è stato soprattutto il Verona con quell’atteggiamento troppo remissivo dopo aver segnato l’1-0 quasi volesse portare a casa il risultato senza sforzarsi troppo. E non è la prima volta. Stessa scena, stesso copione della gara col Novara.
E’ colpa di Mandorlini? E’ l’atteggiamento della squadra che rispecchia quello del tecnico? Io non ci credo. Credo piuttosto che questa squadra ha letto troppo i giornali e ha ascoltato troppo chi l’ha pronosticata come la più forte del torneo. Non è vero. E se anche lo fosse, deve dimostrarlo sul campo, con i fatti. Poi, ora che si è perso, i soliti critici saranno pronti ad azzannare la preda dicendo nell’ordine che: 1) Mandorlini non è adatto a guidare questa squadra. 2) Che Mandorlini non è l’allenatore che voleva Setti. 3) Che Mandorlini è testardo e deve cambiare. 4) Che il custode dello stadio è più bravo del tecnico di Ravenna. Sono tutte chiacchiere che serviranno al mister a ritrovare gli occhi da tigre. Lui e il Verona. So per esperienza che si cresce molto di più quando si perde che quando si vince e che i cicli vincenti nascono sempre dopo uno choc. Spero che questa sconfitta sia lo scossone che serve. A tornare vincenti, ma prima, a farsi (tutti) un bel bagno d’umiltà.