C’è una sottile perversione che ci rende felici come tifosi del Verona. Ogni nostra conquista, ogni battaglia vinta, ogni piccolo successo, lo dobbiamo conquistare a suon di sofferenza. Persino quelle gare che si mettono benissimo, quando siamo 3-0 per noi, ad un certo punto si complicano, succede qualcosa che ci fa trepidare fino alla fine. Figurarsi se questo Genoa-Verona di Coppa Italia poteva sottrarsi a questo copione. Non sia mai detto. Sofferenza, sofferenza, sempre e soltanto sofferenza. Però che bello!. Intanto perchè la reazione d’orgoglio della squadra ci ha fatto capire che un primo scattino nella crescita e nella maturazione è stato compiuto. Poi perchè vincere ai rigori conserva una sua intrinseca libidine. Ed anche perchè abbiamo visto un po’ di potenziale di questa squadra che quando dispiegherà le ali potrà veramente librarsi alta nel cielo. Questo successo è un bel sorso di ottimismo, ma ricordiamoci che il nostro campionato inizia venerdì a Modena, dove mi dicono che lavori Peppecannellaottoinpagella. Cannella è l’uomo che ha affondato il Verona. Partiamo da lì per la nostra rinascita.
E’ UNA VITA DIFFICILE
Non vorrei dirlo… Ma è lì che vuole uscire… Sì… Avevo ragione… Sembrava quasi che me la sentissi… E la partita di Chiavari ne è stata la testimonianza lampante. Altro che bitumi e champagne… Il Verona sarà grande solo attraverso il duro lavoro e la sofferenza. Come sempre nel calcio. E La gara con l’Entella ci ha detto che siamo ancora indietro con la costruzione, che non è facile rifare un gruppo nuovo e vincente e che ci sono problemi che bisogna affrontare subito. Ecco quali.
1) LA DIFESA. L’assenza di Pesoli si è già fatta sentire. Dietro si è ballato. Troppo e in maniera inconsueta per le squadre di Mandorlini. Ceccarelli e Maietta non hanno trovato le misure, Fatic e Crespo sono andati per i cavoli loro. Moras è pronto ad entrare, ma non è semplice trovare meccanismi, alchimia, diagonali. C’è da fare tanto. In fretta.
2) BACINOVIC NON E’ TACHTSIDIS. La questione è strettamente in relazione con il primo punto. La difesa della scorsa stagione era un bunker anche perchè l’oplita greco giocava a sua protezione, sfinendosi in un lavoro eccezionale di schermatura. Bacinovic ha altre doti, altre caratteristiche. Più bravo a ripartire, ma più lezioso e discontinuo. Ancora lontano comunque dal volere di Mandorlini. E la sostituzione appare come una piccola bocciatura, forse per sobillare l’orgoglio dello sloveno.
3) FATIC, SCOMMESSA PERICOLOSA. A sinistra non ci siamo. Mi spiego meglio e spero davvero di non essere frainteso. Fatic è un buon giocatore si capisce e si vede. Però è un giocatore interamente da costruire. Ci vuole un sacco di pazienza e la disponibilità di subire errori. E’, insomma una scommessa, che stride un po’ con il resto del progetto della squadra. Il Verona ha mille alternative in ogni ruolo. Ecco, dico solo, che lì mi sembra che siamo un po’ scoperti… E per di più per un giocatore in prestito i cui frutti potrebbero poi essere goduti da altri (leggi Tachtsidis…).
4) LA PUNTA. Argomento già affrontato in un blog precedente. Serve e in fretta. Per il bene di tutta la squadra e considerando Juanito, comunque, uno straordinario gioiello.
NON ABBIAMO VINTO (ANCORA) NULLA
Andrò controcorrente. E non lo faccio per il gusto della polemica. Ma perchè credo che sia vero. Non mi piace tutto questo entusiasmo. Asfaltiamo di qui, ammazziamo di là… Se posso permettermi… E’ una cazzata gigantesca, un errore colossale che ci potrebbe costare tantissimo… Sembra quasi che ci siamo dimenticati da dove arriviamo… E’ vero: questo Verona è forte, è costruito bene, ma da qui a pensare di essere già in serie A ci passa in mezzo l’Oceano Atlantico.
Ci saranno difficoltà, tante, enormi. E l’esaltazione è una brutta bestia. Per carità: capisco anch’io che da tanti anni non si vedeva una simile campagna acquisti (e parallelamente mi chiedo: ma come eravamo ridotti?) ma guardate che costruire una squadra vincente è un’operazione terribilmente difficile. Il passato ci insegna che squadre costruita per ammazzare il campionato (l’Hellas di Remondina e Bonato) ci hanno riservato terribili delusioni.
Avverto tutti: teniamo i piedi per terra, ricordiamoci di quando siamo andati a Busto Arsizio per salvarci dalla C2 e non per un’amichevole estiva in grado di farci sognare…
HELLAS NUOVO, VITA VECCHIA (QUALCHE GIUDIZIO SUI NUOVI ARRIVI)
Di seguito le mie impressioni sui nuovi giocatori presi da Sogliano.
CRESPO. Dice: Se torna quello di Padova… Non so esattamente come fosse a Padova, so che mi è piaciuto da matti. A destra il Verona ha fatto un indiscutibile salto di qualità. Potenza, velocità tempismo e finalmente palle al bacio che arrivano in area.
PESOLI. Venisse squalificato sarebbe una sciagura. Perfetto. Nonostante un macigno come la squalifica sulla testa, ha giocato con freddezza e sempre con grande concentrazione. La cosa impressionante è l’intesa trovata con Maietta. Sembra che giochino assieme da una vita.
FATIC. Per me resta un incognita. Vedi in qualche momento la scintilla del campioncino. Ma è appunto solo una scintilla. Deve trovare tutto il resto. Continuità, forza, potenza. E’ una scommessa e per adesso resta tale.
LANER. Meglio con la Fiorentina rispetto al Palermo, dove era imballato. Ha già dimostrato duttilità e continuità. Ecco, lui non è una scommessa ma già una certezza.
BACINOVIC. Lampi di genio. Poca continuità. Vedi che ha classe da vendere, non sempre applicata, credo per colpa della gamba pesante. Tre lanci restano da fenomeno. Il resto dovrebbe arrivare.
MARTINHO. Ottimo acquisto. Può essere la vera sorpresa. A sinistra non fa rimpiangere Hallfredsson nonostante diverse caratteristiche. Si adatta benissimo anche come laterale basso.
RIVAS. E’ sempre bello vederlo partire. Dà la sensazione di poter creare sconquassi ogni volta che ha la palla al piede. Due i limiti: non è continuo (giustificabile dato il periodo) ed è poco concreto.
GROSSI. Anche lui uno dei migliori. Mandorlini ha puntato su di lui che lo ha subito ripagato. Bravo in appoggio e in chiusura, ha anche colpi che possono cambiare la partita.
ALBERTAZZI. Così così. Cerca soprattutto la posizione e cerca di non fare andare via gli avversari. Tira qualche randellata qui e là, poi si fa male. Come Fatic è un’altra bella scommessa.
CARROZZA. E’ il più imballato di tutti. Vedi che ha voglia di colpire, ma che non ci riesce. Dipende tutto, probabilmente, dalla condizione fisica. Non mi ha particolarmente colpito. A volte è anche un po’ indisciplinato tatticamente. E’ il classico “ruspa” che quando ha poca birra in corpo sopperisce con l’agonismo.
VERDUN. Bisogna farlo crescere senza pressione, ma ha colpi da genietto. Può essere una sorpresa. Una bella sorpresa.
HUSTON. S’è visto troppo poco. Giudizio impossibile.
SLUGA. Uno spezzone con il Sudtirol. Sufficiente per capire che è un buon portiere.
ARZAMENDIA: un jolly di centrocampo, con gamba e personalità. Ma deve crescere. Senza fretta.
CALVANO E COCCO. Non pervenuti. Li aspettiamo
BASTA ATTENDISMO: SERVE LA PUNTA
Nota iniziale: questa non è una critica al mercato (finora perfetto) del Verona. Alla società, a Sogliano, a Setti non si può imputare proprio nulla. E’ solo una considerazione dopo l’ultima amichevole, prima che un disagio, rischi di diventare un problema.
Il disagio è che il Verona non segna. O meglio: segna troppo poco in relazione al gioco che esprime. La squadra ha sempre l’iniziativa, libera uomini davanti alla porta, esprime un gioco di qualità eccelsa per il periodo e in rapporto alla rivoluzione attuata. Eppure non segna.
Manca là in mezzo, è persino troppo evidente, l’uomo che la butta dentro, che prende una mezza palla sporca e la caccia in rete. Quest’uomo, ha detto la società, arriverà. E non c’è dubbio che arriverà. Il problema è quando. Perchè nel frattempo se n’è andato il ritiro, martedì si torna a Verona, domenica prossima c’è la Coppa Italia. E Mandorlini non ha mai avuto a disposizione questo giocatore. Attenzione: non si parla di una pedina di contorno. Ma dell’uomo più importante dello scacchiere.
A mia memoria, purtroppo, devo dire che quando (spesso) si è presentato il problema, questo si è trascinato avanti tutto il campionato. Ricordate il Verona di Bonato? Il ds fece una pirotecnica campagna acquisti e poi là davanti, forse sottovalutando il problema, portò il vecchio Selva ormai agli sgoccioli della carriera, poi per rimediare prese Colombo e infine Di Gennaro. Tre attaccanti che non ne facevano uno, e il Verona sbagliò la stagione.
In conclusione: la punta arriverà. Ma spero prima del 31 agosto. Molto prima.
RICORDI
C’erano due squadre. Sempre. Fossimo in sei (tre contro tre) in otto, o anche in numero dispari. La conta toccava di solito ai due più bravi. O a chi portava il pallone. Ve lo ricordate il pallone? Prima il Tele, quello che quando tiravi sembrava un piumino del volano e non prendeva mai la strada giusta. Poi arrivò la versione lusso: il super Tele. Un’altra ciofeca pazzesca. Se si giocava in strada con porte di fortuna e un super Tele era più il tempo che si passava a citofonare per farsi aprire il cancello dai malcapitati vicini di casa che per fare la partita. Il pallone più figo si chiamava Super Santos. Praticamente indistruttibile, finisse sotto un tir o una ruspa. Nulla però a che vedere col Tango. Il Tango era l’imitazione del pallone dei mondiali argentini, quelli del ’78, Italia quarta, Zoff battuto da tiri siderali, uno tirato da un certo Josè Guimares Dirceu, che anni dopo sarebbe diventato il mio amigo preferito al Bentegodi, almeno fino a quando gli dissi “Josè, amigo dighelo a to’ pare”. Le squadre venivano fatte così: i due capitani sceglievano un giocatore a testa fino a esaurimento del materiale umano. I parametri usati per la scelta potevano variare. Di solito il primo era il Bomber. Poi il portiere. Nessuno voleva stare in porta, ma col passare degli anni il ruolo subì un’evoluzione. Se da piccoli erano i più brocchi a prendere la desolata via della porta, man mano venne la consapevolezza che avere un buon portiere equivaleva ad avere un buon bomber. Il più bravo di tutti quelli che ho conosciuto si chiamava Mauro detto il “giaguaro” come Castellini. Aveva le braccia lunghe ed una naturale eleganza nel tuffo. Metteva guanti di lana anche ad agosto. Mauro morì a 15 anni, finito col suo motorino sotto un’auto assassina. Per un’ora nel mio paese pensarono che sotto quella macchina ci fossi io e non il giaguaro Mauro.
Il bomber era invece il Caio. Biondo come la pannocchia, era il più piccolo della compagnia. Chi lo aveva si assicurava un infinito bottino di gol e la vittoria certa. Caio,inevitabilmente, finì a giocare nelle giovanili dell’Hellas. Arrivato nella Primavera fece coppia con Nando Gasparini. Una leggenda narra che Caio si sparò ad un piede quando partì per la naja. Non ho mai indagato a fondo se fosse vero. Ma mi piaceva pensarlo. Sarebbe stato un buon motivo per spiegare il suo fallimento calcistico.
Le partite non avevano durata temporale. Erano al “dieci” cioè vinceva chi fosse arrivato prima al dieci. Solitamente erano le mamme che verso le sette di sera mettevano fine alle partite, urlando alla finestra che la cena era pronta e che se non ci fossimo sbrigati a salire, loro avrebbero spreparato e noi non avremmo mangiato. D’inverno era il buio a fermarci, nonostante i tentativi di continuare la partita spostando i campi sotto la fioca luce del neon dei lampioni.
Il calcio era sempre la base di ogni discorso. Vuoi perché c’era da completare l’album, vuoi perché si discuteva su chi fosse il miglior campione da imitare, vuoi perché i papà regalavano sempre dei completini da calcio ai compleanni. Le squadre che andavano di moda erano tre. Juve, Milan, Inter. Il Verona tirava poco. A me regalarono la maglia nerazzurra col 9 di Boninsegna. Avevo sette, otto anni. Sono stato interista fino al giorno in cui andai al Bentegodi e vidi Zigoni con le scarpe rosse. Da quel giorno m’innamorai del gialloblù e quell’amore, ormai a quasi 40 anni di distanza, continua ancora oggi…
VERONA CAPITALE DELLA SERIE B
Non sarà sfuggito ai più attenti che venerdì Verona diventerà la capitale della serie B. Si dirà: lo siamo sempre stati, i numeri, la tradizione, il blasone sono dalla nostra parte. Vero, tutto vero. E’ innegabile però che l’Hellas ha avuto in questi anni vicende societarie che ne hanno minato profondamente la credibilità e l’immagine. Vassalli della Parmalat prima, poi vittime di scaltri arraffoni, persino sputtanati in mezzo mondo con la falsa vendita, i soldi falsi, l’arcivescovo finto.
Non ci hanno giovato nemmeno, anzi, ci hanno fatto malissimo i reiterati comportamenti buuheggianti, insulse provocazioni al fine di marcare una diversità che in realtà è sempre stata nei fatti e non per scimmiottamento, finalmente corrette (è ora che qualcuno lo dica!). La scelta di Verona come sede per il sorteggio dei calendari è un riavvicinamento tra Verona e il Palazzo. Non sottovalutate questo momento, anche se tutti stiamo ancora pensando (giustamente) a Massa d’Imperia, al vergognoso arbitraggio della finale play-off che ci ha estromesso e ancora di più ai vergognosi arbitraggi pre play off, quello con l’Empoli, quello con l’Albinoleffe e più in generale, una continua attenzione smodata a tutto quello che succede a Verona dalle parti della Curva, mentre altrove le travi nell’occhio non vengono nemmeno notate…
Tutto vero: è anche vero che ora l’attenzione per Verona e l’Hellas, unica squadra scudettata di provincia è tornata ai massimi livelli. Finalmente esiste una dirigenza in grado di avere un rapporto con quel Palazzo che abbiamo tanto detestato. Un Palazzo che non può voltare la testa dall’altra parte davanti ai numeri sempre in controtendenza che a Verona riusciamo ad esprimere. Mentre in tutta Italia gli stadi si svuotano, a Verona li riempiamo. Siamo pronti a fare il grande salto, ma è anche necessario avere un atteggiamento di maturità e comprendere che dobbiamo essere a fianco di Setti e Martinelli in questo momento. Dire semplicemente: che vadano a ‘fanculo Abodi e i suoi sgherri, significa essere miopi, molto miopi…
IL BENTEGODI ORMAI FA SCHIFO. E SE LO RIMETTESSIMO A POSTO?
La crisi batte forte. Credo che sia utopico ormai vedere un nuovo Bentegodi a Verona. L’idea era anche bella, affascinante. Ma qui non c’è più un baiocco. Le banche non finanzieranno mai una cosa del genere. E trovare privati è impensabile. Già sarà durissima completare le opere in cantiere. Ed allora? Allora lo stadio c’è già. Solo che è dal 1990 che nessuno ci mette mano. Provate voi a casa vostra non fare mai manutenzione generale per più di 22 anni… Il Bentegodi fa schifo. Batte in testa, poveretto. Ma è un bello stadio, ancora oggi. E’ in una zona servita, ancora la migliore. In centro ma anche in periferia. Setti ha detto che lo stadio non è una priorità. Ma è innegabile che, oggi, senza stadio non c’è futuro. E non perchè mette in moto un volano speculativo. Ma perchè comunque quella è la casa di tutti i tifosi. E avere casa nostra bella e arredata sarebbe molto più affascinante. Farla vivere per tutta la settimana potrebbe persino tramutarsi in un affare. Perchè allora non fare di necessità virtù e sistemare il vecchio Binti per renderlo davvero la casa dell’Hellas? Riavvicinamento del terreno di gioco alle tribune, creazione di nuovi spazi, ristoranti, negozi magari un hotel. Sono certo che se dato in gestione a privati il riammordenamento costrebbe cifre abbordabili. In cambio il comune potrebbe affidarlo in comodato a Verona e Chievo per un tot di anni (venti? trenta? quaranta?) riservandosi una serie di date per tutto il resto della cittadinanza e per altre manifestazioni di interesse generale. Idea sballata? Qualcosa bisogna pur fare, prima che il nostro stadio si trasformi in una catapecchia pericolante. Meglio pensarci adesso. Finchè siamo in tempo.
IL SOLITO VERONA. ANZI NO
C’erano dei timori nascosti che la rivoluzione attuata da Sogliano potesse influire sugli equilibri della squadra. Troppo bello il Verona dello scorso anno, molte le incognite di questa nuova squadra. Si è cambiato troppo? Era la domanda che i tifosi si facevano. Non è facile ritoccare una squadra che ha compiuto un miracolo. Il presidente Setti mi ha spiegato la filosofia alla base di questa parziale rivoluzione: sono stati cambiati quegli uomini che nel giudizio di Sogliano e probabilmente Mandorlini, avevano dato il massimo nell’ultima stagione. Quelli che, probabilmente, non potevano ripetersi. Ci siamo presi un rischio, ha detto Setti, ma bisognava correrlo se si voleva aumentare la qualità della nostra squadra.
La prima amichevole con la Fiorentina ha detto che nulla è cambiato. Come l’anno scorso contro la Sampdoria, il Verona ha dimostrato equilibrio, identità tattica, personalità. Più dell’anno scorso, però c’è l’impressione di una forza ancora nascosta, di talenti puri che appena avranno la birra giusta nelle gambe incanteranno. Mandorlini, ancora una volta, si è dimostrato fantastico artigiano del pallone, grande lavoratore sul campo, con idee chiare e totalmente applicate. Siamo all’inizio, ma è un bel cominciare.
LE VITTIME DEL CALCIO LUSTRINI E PAILLETS
Che tristezza leggere che il Milan è pronto a rifondere i soldi degli abbonamenti a coloro che l’hanno stipulato prima delle cessioni di Ibra e Thiago. E’ una tristezza ma anche il frutto di quello sbarco con gli elicotteri che fece Silvio Berlusconi qualche anno fa cambiando per sempre (ma forse no….) il calcio italiano. Un calcio ridotto a mero spettacolo, una sorta di circo ambulante, o forse di wrestling dove tutto è già deciso dopo aver letto le intercettazioni del calcio scommesse, ad uso e consumo della platea televisiva in cui per pochi euro puoi acquistare la tua partita, mentre allo stadio vanno solo i ricchi (vedi Inghilterra, dove i poveri sono banditi dagli spalti).
Era quello che del resto voleva Berlusconi: cioè la creazione di uno spettacolo tv per le sue reti che potesse poi lanciare la pay-tivù in Italia. Un grimaldello per spremere i portafogli degli italiani che allora non si sognavano nemmeno di pagare per vedere una partita di calcio in televisione. Alla fine ce l’hanno fatta. Ma non senza effetti collaterali. Il primo è che gli stadi si sono svuotati perchè è più vantaggioso abbonarsi alla televisione che andare allo stadio. Hanno creato la loro platea televisiva gigantesca, hanno perso però il calore del tifo, la passione vera che si respira solo andando allo stadio. Per alimentare quello spettacolo non bastavano più solo gli elicotteri. Avevano bisogno ogni anno di nuovi teatranti. Anche qui con un effetto collaterale: quei quattro, otto dieci fuoriclasse pagati oltre misura, più di un capo di una potenza europea, più di un amministratore delegato di una grande azienda.
Il sistema è collassato. Gli stipendi dei teatranti non possono più essere pagati, mentre il calcio è agonizzante. Vive solo per i diritti televisivi, fino al giorno in cui share ed audience in ribasso non costringeranno il Murdoch di turno a chiudere i rubinetti. Ed allora sarà veramente finita.
Mi chiederete: cosa c’entra il Verona in tutto questo? C’entra, c’entra… Abbarbicati ad un’idea romantica del calcio, fatta solo di passione e coerenza, in questi anni abbiamo dimostrato che un nuovo calcio, che forse alla fine è semplicemente il vecchio, è ancora possibile. Crollati in Lega Pro, costretti ad assistere a spettacoli indecenti, noi veronesi non ci siamo arresi nè alle tessere del tifoso che ci hanno schedato nè agli elicotteri berlusconiani. Perchè in fondo di quello spettacolo non c’importava nulla. Era il Verona il nostro motore, quello che ci spingeva ad andare allo stadio ed in trasferta, a soffrire e a palpitare come quando eravamo in Uefa e in Coppa dei Campioni.
Nemmeno il Chievo con la sua serie A tutta lustrini e paillets è riuscito a scalfire questo atto di fede. Anzi, paradossalmente l’ha rafforzata. E ora che la traversata del deserto è quasi compiuta abbiamo il risultato straordinario che solo la coerenza e la determinazione sanno regalare. Noi siamo sempre quelli dell’Hellas Verona, gli altri chiedono indietro i soldi degli abbonamenti perchè delusi dallo spettacolo. Beh, stavolta possiamo dirlo con fierezza: abbiamo vinto noi.