La scena che mi è piaciuta meno in questa stagione della Verona dei canestri, è stata una sfuriata verso il coach avversario dopo la partita vinta largamente dalla Tezenis contro Brescia.
Ruggini, a quanto pare, per una questione di saluti mancati dopo la fine del rapporto con la Scaligera.
Si può dire di tutto di Alberto Martelossi, potrà non piacere come allenatore, ma è un galantuomo, una persona perbene. Che adesso si è preso una…rivincita, conquistando il titolo di allenatore dell’anno, mentre è ancora in corsa per portare Brescia in finale.
Cosa c’entra Martelossi? C’entra perché i risultati di una squadra vanno oltre la scelta dell’allenatore.
La Tezenis ha sbagliato coach per due anni di fila, poi con Martelossi ha mancato i playoff, con Ramagli li ha centrati. Eppure durante la stagione c’era anche chi voleva la testa del coach livornese. Critica assurda.
Però quello che conta è la programmazione. La gestione Giuliani ha messo in piedi un roster sicuramente più competitivo del passato: sono arrivati a Verona due azzurri (Chessa e Da Ros), un italiano da Lega A (Ganeto, anche se poi era sempre rotto), l’americano più concupito della Legadue (McConnell), un rookie interessante (Westbrook) e uno sconosciuto nigeriano con passaporto Usa che è stato il crack della stagione: Shane Lawal.
Tutto questo va oltre l’allenatore. E se ora il g.m. sta per andarsene, appena un anno dopo essere arrivato, forse vuol dire che la programmazione non ha convinto.
Un anno fa Ramagli, nel suo primo giorno a Verona, disse che in Italia ormai nessuno riesce a fare progetti, però la Tezenis almeno aveva “un programma”. Metterlo in atto nell’anonimo campionato-limbo sarà ancora più difficile.
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