Nella lunga frequentazione che Teofilo Sanson mi ha onorato di concedermi, potrei citare mille aneddoti. Mi piace ricordarne un paio che c’entrano poco o nulla con il suo grande impegno di appassionatissimo mecenate nello sport, a cominciare dal ciclismo.
Alla fine dei Mondiali del 1999 fui invitato a pranzo in azienda assieme a mia moglie, che aveva lavorato nello staff dei Mondiali. Alla fine, mentre stavamo per accomiatarci, scoprì che proprio quel giorno era il nostro anniversario di matrimonio. A quel punto si girò verso il cameriere che si era appena seduto a tavola per mangiare dopo averci servito e lo chiamò con la sua voce afona e unica: “Animale! Vieni qui subito!”. E lo spedì in cantina a prendere due bottiglie di champagne che ci donò per festeggiare.
Teo Sanson era così: rude, ma generoso. Poi avrà regalato una bottiglia o una cravatta griffata anche al suo collaboratore, per rimediare ai modi un po’ troppo spicci.
Un uomo capace di soffiare il Mondiale ad Agnelli (nell’anno del centenario Fiat) e che si mise in testa di riportare il Mondiale a Verona (“solo a Verona” precisò) per festeggiare le nozze d’oro con l’adorata Giannina. E ci riuscì.
Un nonno che si incazzò di brutto perché non volevano far salire i nipoti sull’auto che girava lungo il percorso iridato.
Un imprenditore che metteva passione anche solo per spiegare, durante una cena, che una bottiglia di vino va trattata con cura (“E’ vivo!”); o che cercava di convincerti fino all’esaurimento che i suoi gelati industriali erano assolutamente più buoni e sicuri di quelli artigianali, perché c’erano molti controlli in più.
Per usare la nostra lingua, che era anche la sua (inframmezzata da qualche esclamazione friulana e pure torinese) bisogna proprio dire: “Averghene come il Teo”.
Un industriale che non mai lesinato quattrini per sostenere lo sport, fosse il ciclismo che tanto amava (e su tutti il mitico “Moseron”), il calcio con l’Udinese ma anche con un po’ di Hellas, il rugby che a Rovigo gli portò due scudetti.
Il trittico Sanson fu la premondiale che lanciò Bugno verso il trionfo iridato, la tappa del Giro d’Italia si deve a lui e soprattutto il record di due edizioni dei Campionati del Mondo in cinque anni. Nel ’99 si commosse vedendo Damiano Cunego vincere sulle strade di casa, novello “enfant du pays”. Sarebbe bello che Verona, la città che lunedì saluterà Teo Sanson nella chiesa del Vescovo Moro, gli dedicasse una salita, un tornante sul percorso delle Torricelle che lui amava tanto e che sublimò le bellezze di due Mondiali spettacolari come nessun’altro.
Ti sia lieve la terra Teo, e mi piace ricordarti lassù con il tuo carrettino di gelati.
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