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OBAMA, SAN ZENO E OTELLO



Con un certo ritardo ma ci sono arrivati anche gli americani. Hanno il loro presidente nero 17 secoli dopo di Verona che, dal 362 al 372, ebbe il suo vescovo nero, per la precisione “moro e pescatore”: Zeno, o Zenone che dir si voglia, il quale arrivò dal Nordafrica (un po’ più su del Kenia) e venne a guidare la diocesi scaligera.

San Zeno era appunto anche lui nero, ma non per questo eretico. Nei dieci anni da vescovo (più di un doppio mandato presidenziale usa) non è che smantellò il ruolo della Chiesa di Verona. Anzi: combatte l’eresia ariana e – così raccontano le cronache – fu decisivo nel “confermare e rafforzare sia il popolo che il clero nella vita delle fede”. E’ bene ricordarlo ai tanti che cadono nell’equivoco di credere (o di sperare…) che Obama, in quanto nero, non abbia una profonda fede a stelle e strisce; ed anzi voglia smantellare il ruolo imperiale dell’America. Non scambiamo i desideri con la realtà: Obama è molto più americano di tanti americani bianchi, tanto più adesso che l’America l’ha fatto arrivare dove si pensava che nessun afroamericano potesse arrivare. Adesso che ha constatato di persona il “yes we can”, sarà più che mai convinto che l’America sia il meglio possibile, e vada perciò difesa e conservata

Un nero alla Casa Bianca, con molto ritardo rispetto a Verona, con un certo ritardo anche rispetto a Venezia che, nel Cinquecento, aveva il suo Moro di Venezia: Otello, comandante supremo dell’esercito della Serenissima. Se non proprio un Doge, una specie di Colin Powell comandante supremo nella guerra del Golfo. Anche lui, Otello, nordafricano come Zeno o, secondo un altra versione, capitano di ventura dell’Italia Meridionale. Comunque veneziano di adozione, eppure totalmente dedito al servizio della Serenisima; determinato a difenderla dai suoi nemici, non a trasformarsi in una quinta colonna.

Due esempi dalla storia veneta che forse ci aiutano a capire meglio quale potrà essere il ruolo di Obama nella storia americana. Il nero, l’uomo della provincia o delle province imperiali che arriva al vertice è fino in fondo partecipe dei valori che animano quelle istituzioni – la Chiesa, la Serenissima, l’impero romano o quello americano – può essere un innovatore, ma per ridare slancio e futuro a quelle istituzioni; non certo per affossarle.

Aggiungo due brevi considerazioni sulle elezioni usa. La prima: adesso che Obama ha stravinto tutti si spellano le mani ed applaudono la grande democrazia americana. Oso ricordare che è la più antica del mondo, non è diventata tale adesso; era una grande democrazia anche quattro anni fa quando vinse Bush. La seconda è stata evidenziata da Massimo Gramellini su La Stampa: la notte scorsa a Chicago per festeggiare la vittoria del nuovo imperatore del mondo c’erano in piazza un milione di persone, dieci giorni prima a Roma per ridare fiato ad un aspirante presidente del consiglio italiano sconfitto ce ne sarebbero state due milioni e mezzo…Una grande democrazia sa fare bene i conti, sia nelle urne che nelle piazze.


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