Com’era ampiamente prevedibile il vertice di Tallinn è servito ad un’unica cosa: a togliere l’ultima illusione che l’Europa ci aiuti a gestire i flussi migratori. Non un solo Paese Ue ha infatti accettato di aprire i suoi porti.
Dovremmo arrangiarci da soli. Quando perfino Renzi ha scoperto l’acqua calda, cioè che serve il numero chiuso nell’accoglienza. Ovvio: come i servizi sociali di un comune possono aiutare solo i propri cittadini bisognosi, e non tutti i cittadini italiani, così un singolo Paese non può farsi carico di tutti i migranti economici dell’Africa e del mondo ma solo di un numero definito di loro.
Secondo Tito Boeri, senza migranti, mancherebbero 38 miliardi di euro e crollerebbe il sistema previdenziale. Infatti gli altri Paesi Ue – non avendo economisti dello spessore di Tito nostro – chiudono porti e frontiere e così non potranno più versare l’assegno ai loro pensionati…
In teoria non serve certo il benestare dell’Europa per imporre un codice di comportamento alle Ong: entrano nei nostri porti solo se accettano di avere a bordo forze dell’ordine che controllino gli equipaggi, se hanno bilanci trasparenti, e se dimostrano di avere effettuato veri salvataggi in mare. Non se fungono da traghettatori per gli scafisti andando a prendere i migranti al largo della Libia. (Che lo facciano gratis o spartendosi gli utili con i mercanti di esseri umani?)
Nessun Paese europeo ci impedisce di rimpatriare tutti coloro che non hanno diritto all’asilo. Basta volerlo fare.
Ma quel è oggi la priorità del governo Gentiloni-Renzi? Approvare lo Ius soli totale. L’Italia, che già accoglie l’85% dei migranti arrivati in Europa, è l’unico Paese europeo intenzionato ad introdurlo.
Questione di civiltà o di autolesionismo? Propendo decisamente per la seconda ipotesi: come farci del male da soli, anche senza bisogno di aiutini Ue…
NON SOLO SANTI NELLE ONG
Cosa proclamavano in genere i politici? Di impegnarsi per il bene comune, per l’interesse dei cittadini e non, certo, per il loro tornaconto. Poi – per alcuni di loro (non tutti) – è emersa una realtà leggermente diversa…E adesso, quantomeno, si tacciono; il boato della loro retorica si è, per così dire, assopito.
Cosa dicevano, e continuano a dire, le Ong, le organizzazioni non governative? Che loro agiscono per puri scopi umanitari, per salvare quello, per aiutare e curare questo, per evitare le stragi in mare…
Ma adesso il governo italiano, al vertice dei ministri degli interni europei di Tallin giovedì prossimo, chiederà che le Ong rispettino non codice preciso. Che proibisca di segnalare la presenza delle loro navi in mare alle barche dei trafficanti di esseri umani che salpano dalla Libia; che le obblighi a fornire l’elenco completo dei loro equipaggi; che le obblighi a fornire le liste complete dei finanziamenti ottenuti.
Codice che, anche se approvato dal vertice Ue, resta molto complicato da applicare concretamente. Ma, la richiesta del codice, evidenzia sospetti molto precisi del nostro governo: che alcune Ong siano in combutta con gli scafisti, che abbiano a bordo qualcuno che fa da tramite con gli scafisti stessi, che ricevano finanziamenti chissà da chi e tutt’altro che trasparenti.
Sospetti degni di associazioni a delinquere, più che di organizzazioni umanitarie.
Anche con le Ong, come per i politici, evitiamo di fare di tutte le erbe un fascio. Niente fasci in nessun senso: né tutti delinquenti, ma neppure tutti santi…
IL VOTO A VERONA E A PADOVA
Scrive oggi Il Gazzettino: ”Padova e Verona, c’è il ribaltone”.
A Padova di sicuro. Ma a Verona, sotto il profilo politico, nessun ribaltone: si passa infatti da un sindaco di centrodestra, Flavio Tosi, ad un altro sindaco di centrodestra, Federico Sboarina.
A Verona è la fine di un’era: l’era Tosi, un sindaco che ha governato la città per dieci anni con un vasto, radicato, consenso popolare. Impossibilitato a ricandidarsi in una Verona che era, è e resta una città di centrodestra (direi sindaco di centrodestra persino l’eccezione Paolo Zanotto pur eletto dal centrosinistra…) e che ha quindi espresso un altro candidato forte di quell’area: Federico Sboarina. Pura continuità politica.
Si è discusso se andava bene o no la candidatura della fidanzata di Tosi, Patrizia Bisinella. Irrilevante: qualunque fosse stato il tosiano prescelto avrebbe ottenuto risultato simile o identico: cioè nessun voto di sinistra, da quel Pd teoricamente apparentato ma di fatto reduce da dieci anni di opposizione…
Padova, sotto il profilo politico, è l’opposto di Verona. Una città cioè tendenzialmente di centrosinistra, ostile a farsi governare dal centrodestra: impalpabile Giustina Destro sindaco, sconfitta all’elezione successiva senza nemmeno bisogno del ballottaggio; duri e determinati invece i due anni e mezzo di Massimo Bitonci, e quindi con l’establishment patavino (decisamente orientato sul centrosinistra) subito impegnato a far saltare il banco…
Padova è dunque tornata alla sua tradizione politica, pur in tempi difficilissimi per un Pd e un centrosinistra sconfitto in tutti i ballottaggi da Genova in giù!
Un eccezione, se vogliamo molto legata alla strategia del segretario provinciale del Pd Massimo Bettin: capace di costruire una vittoria politica, con Giordani sindaco, a fronte di una sconfitta elettorale del suo partito fermo al 14%.
Perché, per far vincere Giordani, era indispensabile accreditarlo fino in fondo come candidato civico, sganciato cioè da qualunque forza politica e per questo capace di attrarre un voto trasversale. Così un Pd a Padova defilato, impalpabile per tutta la campagna elettorale e penalizzato nell’urna. Ma proprio così è stata costruita la vittoria del nuovo sindaco.
CENTRI COMMERCIALI DEL PASSATO
Non c’è candidato sindaco che non abbia detto: basta centri commerciali! Dobbiamo tutelare i negozi tradizionali nelle città, i negozi di prossimità nei quartieri! Intendevano anzitutto dire: debbo garantirmi i voti dei tanti negozianti, l’appoggio delle associazioni di categoria del commercio…
E poi basta con queste sciagurate aperture domenicali! La stessa regione Veneto è impegnata a limitarle ad un massimo di venti festività l’anno.
Peccato che poi dal mondo reale (non da quello dei desideri) sia arrivata la notizia: Amazon ha comperato Whole Foods Market, la più grande catena di supermercati bio al mondo. Amazon sbanca nel settore alimentare e fa le consegne a domicilio, 24 ore al giorno e tutti i giorni dell’anno. Sempre più in ogni paese, Italia compresa.
A domicilio non solo prodotti alimentari ma scarpe, cosmetici, libri, divani, giocattoli etc. etc. Che faranno i sindaci? Proibiranno le consegne a domicilio? (che gli anziani nemmeno devono fare lo sforzo di raggiungere i negozi di prossimità…) Le consentiranno solo nei giorni feriali?
Amazon in Gran Bretagna ha già sperimentato le prime consegne fatte con i droni.
Come ha scritto Mattia Feltri su La Stampa: “Negli Stati Uniti dopo i piccoli negozi cominciano a chiudere i centri commerciali”. Lo stesso accadrà negli anni anche da noi. Piaccia o no. E’ il progresso. E non lo fermano di certo i sindaci.
Un tempo Berta filava. Poi sono arrivati i telai meccanici e le tante Berte hanno smesso di filare. Magari qualcuna ha saputo diventare una stilista. Così i negozi tradizionali non li salvano di sicuro i sindaci. Può farlo solo il singolo negoziante capace di innovare sul fronte dell’alta, dell’altissima qualità – sia nell’alimentare che nell’abbigliamento – che, per una questione di numeri, Amazon non è interessata a coprire. Forse.
La politica può cercare di regolare il progresso, non può fermarlo: la rivoluzione industriale non l’hanno né inventata né promossa i politici, hanno tentato di governarla prendendo atto della nuova realtà economico-produttiva.
TOTTI, UN 10 PER IL LOTTO
Non mi permetto certo di giudicare il calciatore Francesco Totti: un campione grande, grandissimo, unico; fate voi.
Scontato l’entusiasmo dei tifosi. Un po’ sorprendete che anche tutti i media e i commentatori lo trattino da ultimo Re di Roma, da Pontefice del calcio. Con tutte queste celebrazioni melense, mi pare che un distinguo, una critica, possano starci. La critica a quel mitico numero dieci messo a disposizione del 10eLotto. La critica a Totti che si fa pagare profumatamente anche per fare lo sponsor al gioco d’azzardo. (E non è l’unico calciatore, ex calciatore, sportivo, che si presta).
Non c’è praticamente persona benestante che butti via soldi con l’azzardo. Comprensibilmente sono le persone comuni, i più poveri e disagiati, a sognare un facile guadagno, una pioggia o pioggerellina di soldi. Quindi – per dirla alla Camusso – il gioco d’azzardo è la forma più vergognosa di sfruttamento dei lavoratori, dei pensionati, degli indigenti.
E’ una presa per i fondelli la frasuccia letta di corsa alla fine di ogni spot “il gioco nuoce ai minori e può indurre dipendenza”. L’azzardo nuoce a tutti. E induce matematicamente la dipendenza: ormai abbiamo più ludopatici, che tossici, che alcolisti.
Giustamente è stata vietata la pubblicità del fumo perché “nuoce gravemente alla salute”. Quella del gioco d’azzardo invece, in ogni sua forma, dilaga su tutte le reti televisive e la carta stampata.
Cosa si aspetta a vietarla tassativamente?
I sindaci, che sono a contatto con i cittadini e i loro problemi, fanno qual che possono: divieto che le slot stiano a meno di 500, a meno di 1.000 metri da scuole, parrocchie, centri sportivi; orari limitati per le sale gioco. Ma, anche scomparissero tutte, il gioco d’azzardo ormai dilaga pure in rete: persone di ogni età che puntano e gettano via soldi col cellulare.
Sacrosanto, ovviamente, pretendere che vengano cancellati dalla rete i video che inneggiano alla Jihad. Ma non sono gli unici video virali che andrebbero ad ogni costo censurati.
Tornando a Francesco Totti ieri, al momento dell’addio alla Roma, ha pianto e confessato “adesso ho paura!”. Paura di cosa? Di non fare più i soldi come sponsor del 10eLotto sulla pelle di chi di soldi ne ha infinitamente meno di lui? Ed in cambio ha ansie per il proprio futuro ben più giustificate rispetto al Pupone…
DIFESA E LARDO SUGLI OCCHI
Non avessimo il lardo sugli occhi, capiremmo che quanto sta avvenendo col tentativo di rivedere le norme sulla legittima difesa è un autentica follia.
Follia politica del governo di sinistra-centro pensare che recuperi i voti moderati inseguendo Lega e centrodestra su questo terreno: la copia non vale mai l’originale. Senza dire che il pasticcio estremo di poter sparare al ladro a fuso orario è tutta acqua al mulino della stessa destra.
Ma follia politica anche quella di Lega e centrodestra di spostare tutto il tema della sicurezza sul diritto all’autodifesa da parte del cittadino. Perché in questo modo crei un alibi gigantesco allo Stato, lo assolvi cioè dall’aver eluso al suo primo dovere che è quello di garantire lui, Stato, la sicurezza dei cittadini.
Cittadini che per questo anzitutto pagano le tasse. E poi per la pubblica istruzione, per il servizio sanitario.
Quindi due esempi precisi: mettiamo che la pubblica istruzione sia allo sfascio (più di quanto già non sia), che non abbia più senso andare a scuola perché nulla impari e nessun futuro lavorativo ti si prospetta. Invochiamo, pretendiamo, una drastica riforma del sistema scolastico o invochiamo il diritto all’auto-istruzione? Il diritto a comprare libri a spese nostre e ad andare al poligono dell’istruzione per essere abilitati ad usarli?
Se la sanità è allo sfascio, come già in tante regioni, pretendiamo una drastica riforma del sistema sanitario o invochiamo anche qui il diritto all’auto-cura? Ad andare in farmacia a comprare ciò che serve e poi al poligono sanitario per essere abilitati ad operarci col bisturi e farci noi la terapia oncologica?
Mi sembra evidente che la vera deterrenza per ladri e criminali non la eserciti il cittadino armato e libero di sparare, bensì uno Stato capace di arrestarli, con leggi adeguate a lasciarli in carcere tutto il tempo che serve, e con tutti i posti che servono nelle carceri stesse.
C’è anche un problema di professionalità dei tutori dell’ordine. Perché basta un Igor, che non sia così scemo da postare in rete o da usare il cellulare, e in migliaia e migliaia da mesi e mesi non riescono a beccarlo…
SOLDI AI POVERI CHE POVERI RESTANO
Lo chiamano reddito di inclusione. Tradotto in parole povere e comprensibili sono soldi ai poveri: da 300 a 500 euro al mese a 600 mila famiglie povere. La misura decisa dal governo Pd di Gentiloni non convince per almeno tre motivi.
Cominciamo dal più banale, quasi ridicolo per non dire autolesionistico. Questo tentativo di rincorrere il reddito di cittadinanza patrocinato dai 5 Stelle, non tiene conto di un fattore determinante: la copia non vale mai l’originale. Quindi è un’illusione quella del Pd di incassare (comprare?) il voto dei poveri. In prima fila c’è già Beppe Grillo ed è impossibile per chiunque scalzarlo, tentare il sorpasso populista.
C’è poi la questione fondamentale che è, dovrebbe essere, la serietà: qualunque misura prenda un governo è tenuto a spiegare ai cittadini dove trova le risorse per finanziarla. Gentiloni già si è rimangiato la promessa di tagliare l’Irpef, perchè abbiamo una spesa pubblica e un debito pubblico fuori controllo. Per non parlare di una pressione fiscale da record europeo. E l’unico modo per finanziare il reddito di inclusione sarà un ulteriore aumento delle tasse.
Minimo va comunicato agli interessati, cioè ai contribuenti. Dopo di che chiamiamola, se vogliamo, giustizia sociale o redistribuzione della ricchezza: prendiamo ai ricchi (ma sono tutti ricchi quelli che pagano le tasse?) e diamo ai poveri. Peccato che la carità – sia privata che di stato – aiuti solo il povero a restare povero. Cioè a dargli l’illusione di tirare a campare senza lavorare.
Ed in questo senso è deleteria anche la carità privata.
Peggio ancora quella pubblica (specie in un Paese dove i furbetti del welfare già dilagano…) Quando l’impegno di un governo serio dovrebbe muoversi in una doppia direzione. Da un lato creare più opportunità di lavoro, abbattendo la pressione fiscale non inasprendola. Dall’altro educando i cittadini a vivere col lavoro. (Come recita la premessa della “Costituzione più bella del mondo”…)
Può starci, certo, un aiuto alle famiglie più povere. Ma ben delimitato nel tempo e pretendendo in cambio un qualche lavoretto socialmente utile. A puro scopo educativo.
Mentre se elargisci assistenza gratuita, a tempo indeterminato e senza contropartita, diseduchi i nostri poveri. Esattamente come stiamo già facendo con ottimi risultati verso i migranti…
SALVAGENTE CONTRO I RAPINATORI
Il record di rapine forse l’abbiamo e forse no: 39.236 nel 2015, scrive Repubblica; ma manca il raffronto con altri Paesi europei. In compenso Repubblica non ha dubbi che vantiamo il record delle scarcerazioni: un rapinatore su due dopo un anno torna libero.
Record tanto più clamoroso tenendo presente che solo il 25,5% dei rapinatori vengono individuati! Quindi tre su quattro nemmeno vanno in cella; del restante 25% uno su due sono fuori dalla cella dopo un anno.
Velo pietoso sui semplici ladri: solo il 4,6% degli autori di furti vengono individuati. E non si sa se e quanti di loro e quanti giorni passino in carcere. Per oltre il 95% garanzia totale di impunità…
Il sintesi: è crollata la diga che garantiva la sicurezza ai cittadini. I delinquenti scorrazzano ed agiscono indisturbati nel nostro Paese.
Oltre al danno la farsa. Il parlamento in questi giorni, invece che impegnarsi a riparare la diga e fermare l’alluvione, sta discutendo sulla qualità del salvagente: gonfiabile o di sughero?
Mi riferisco al duro confronto in atto su se e come riformare le norme che regolano la legittima difesa…Ennesima attenzione alla pagliuzza, per ignorare la trave.
Finché l’87% dei rapinatori e il 95% dei ladri agisce impunito, nemmeno se distribuisci un kalashnikov ad ogni cittadino, con la licenza di uccidere, puoi garantire la sicurezza.
La polemica divampa anche su Repubblica dopo l’uccisione del barista nel bolognese. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, concorda che “manca la certezza della pena” e precisa che “le leggi le fa il parlamento, noi magistrati ci limitiamo ad applicarle”. Magari con un eccesso di discrezionalità, aggiungo.
Ma non c’è dubbio che solo il parlamento, solo il legislatore, può ricostruire la diga. Purché la smetta di trastullarsi con il salvagente…
E’ IMPOSSIBILE DIFENDERCI
Se c’era un dubbio l’attacco al cuore di Londra conferma che è impossibile difenderci dai terroristi islamici. Puoi solo intervenire con grande rapidità ed efficienza a limitare i danni, come hanno fatto gli inglesi, ma solo dopo che l’attentatore ha colpito.
Prevenire puoi farlo in teoria solo con i gruppi organizzati – che nell’organizzarsi lasciano tracce – ma non con questi lupi solitari. Che possono essere chiunque: un islamico falsamente integrato, un europeo convertito all’islam, uno (caso italiano) arrivato coi barconi. Di armi non hanno bisogno: un coltellaccio, come quello usato per ammazzare l’agente britannico, lo trovi in ogni cucina. Auto, suv ci sono ovunque; anche ammesso che sia uno dei tanti sospetti, vigilati e seguiti, quando sale in auto non puoi sapere se va al pub o se sta per lanciarsi sulla folla.
Può colpire il cuore di Londra, come un qualunque mercatino di Natale, un lungomare, una stazione ferroviaria o un aeroporto, un luogo di ritrovo; su un trasporto pubblico.
Non cambiamo stile e abitudini di vita, non perché non siamo consapevoli del pericolo, ma per rassegnazione, perché è inutile farlo. Quando colpiscono? Dove colpiscono? In teoria sempre ed ovunque. La difesa preventiva è impossibile.
Aggiungiamo che non aiuta un diffuso tafazzismo ideologico: è colpa nostra che abbiamo scatenato la guerra, che abbiamo depredato i loro Paesi; è colpa del capitalismo che genera povertà! Come se fosse la povertà che spinge a colpire e non il fanatismo religioso…
Non resta che consolarci con le statistiche: sono molti di più i morti per incidenti stradali, per gli omicidi comuni, per il rifiuto dei vaccini, rispetto alle vittime del terrorismo islamico.
Almeno per il momento…
SINDACO E CAMPI DI CONCENTRAMENTO
A margine della gestione, sempre più sconsiderata, dei migranti emerge anche una terminologia altrettanto sconsiderata. Capintesta il sindaco di Bagnoli, Roberto Milan, che parlando del grande centro di accoglienza, ospitato nel suo comune nell’ex base militare di San Siro, lo definisce “campo di concentramento”. E continua a ripetere Milan che “i campi di concentramento vanno chiusi”.
Da un lato cerca di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte: non potendo negare il forte disagio sociale, la paura, prodotto dai migranti ai cittadini del suo comune, tenta di aggiungere che anche i migranti stessi sono vessati e maltrattati all’interno dei “campi di concentramento”.
Ma usare questo termine è un’infamia, un oltraggio alla memoria di chi i veri campi di concentramento li ha subiti e conosciuti sulla propria pelle.
Spesso i campi di concentramento vengono identificati con i campi di sterminio, con i lager o i gulag dove furono massacrati milioni di persone. E non risulta che negli hub ci siano né camere a gas né forni crematori né i lavori forzati coatti.
Tuttavia, anche nell’accezione più rigorosa, i campi di concentramento – ad esempio quelli inglesi dove furono detenuti i nostri soldati fatti prigionieri durante la seconda guerra mondiale – erano tutt’altra cosa dagli hub: campi di prigionia dove non eri né servito né riverito, dove non ti lavavano la biancheria né ti garantivano pasti sostanziosi. Dove – soprattutto – non potevi uscire a piacimento per tentare di violentare una donna del circondario o dedicarti alla prostituzione gay. Dove – soprattutto – non potevi nemmeno sognarti di sequestrare per una notte intera gli addetti alla gestione, come hanno fatto tranquillamente ed impunemente i migranti ospitati nel vicino hub di Conetta.
Una piccola differenza che evidentemente sfugge al sindaco Roberto Milan.
Così come a tanti nostri insegnanti – a conferma della loro crassa ignoranza – sfugge la differenza tra chi deve trasferirsi per avere la garanzia del posto pubblico a vita e a prescindere (dal lavoro svolto) e chi venne deportato, all’interno di vagoni blindati dove eri stipato e costretto con le armi ad entrare, destinato a morte certa nei campi di sterminio.