Quanto sia anacronistica la battaglia della Regione Veneto per ridurre le aperture festive dei negozi (simile all’illusione che si torni a parlare il dialetto) lo dimostrano i dati sull’esplosione dell’e-commerce, del commercio elettronico che vende 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno.
Dati forniti dal quotidiano La Stampa. Amazzon è passata dal giorno record del 2014 con 450 mila ordini, al record 2015 con 650 mila, al 25 novembre scorso, giorno record dell’anno in corso, con un milione e cento mila ordini! Oggi l’e-commerce nel nostro Paese vale già 20 miliardi di euro.
Intanto, non solo la Regione ma anche le associazioni di categoria, stanno a discutere di orari, festività, contrasto di centri commerciali e grande distribuzione, tutela dei negozi tradizionali.
Inevitabili che ricordino i celebri dotti bizzantini, impegnati a discutere di sesso degli angeli, quando i turchi del sultano Maometto II erano sotto le mura di Costantinopoli.
Non si tratta di negare che si stava meglio col negozio di prossimità, che il nostro stile di vita si imbarbarisce (che bello quando parlavamo dialetto!). Lo rileva anche la Stampa che scrive “la vita stessa delle persone sarà sconvolta: come già fanno molti giapponesi, resteremo sempre in casa davanti la computer, a lavorare, ordinare quello che ci serve, guardare i film su Netflix, e incontrare gli amici su Facebook”.
Ma è il mondo che cambia. Probabilmente anche a Costantinopoli si stava meglio a discutere di sesso degli angeli. Però sotto le mura c’erano i turchi e la conquistarono. Proprio come sta facendo l’e-commerce…
IL MIGRANTE ENTRA NELL’URNA
Ieri Angela Markel, nel presentare al congresso della sua Cdu, la candidatura al quarto mandato da cancelliera, ha parlato anzitutto e quasi esclusivamente di immigrazione. Non solo da limitare ma da abbinare ad una rigida integrazione alla cultura tedesca di usi e costumi (religiosi) islamici. Simboleggiati dal velo che – ha detto – “va vietato dove possibile”
Lei, che era il fulcro dell’Europa umanitaria e accogliente, ha fatto un totale dietrofront; a conferma che l’immigrato entra nell’urna, cioè che il governo dell’immigrazione è cruciale per vincere o perdere le elezioni.
Nelle nostre urne c’è già entrato domenica scorsa: pochi dubbi che la valanga dei no sia stata un no anche e anzitutto alle politiche migratorie fin qui attuate dal governo Renzi.
Pochi dubbi che sarà il tema cruciale quando la Consulta avrà deciso quando e come riportare il nostro Paese ad elezioni anticipate.
E qui è interessante pensare alla posizione dei principali concorrenti: molto netta, molto respingente, quella della Lega. Che però si chiama Lega Nord… e resta da vedere quanti voti potrà prendere al Centro e al Sud.
Molto netta, molto accogliente, cattolico-boy scout-accogliente, quella propugnata dal Pd. Da tutto il Pd, compresa la minoranza bersaniana.
Ambigua quella di Forza Italia. Berlusconi di immigrazione non parla. Qualunque forzista, tranne lui, ne parli è ininfluente.
Particolarmente interessante la posizione del concorrente che oggi sembra nettamente favorito: il Movimento 5 Stelle. Fin’ora Beppe Grillo sull’immigrazione ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte, anche perchè raccoglie consensi elettorali trasversali ai partiti tradizionali.
Ma da qui al voto politico, col migrante nell’urna, anche lui dovrà dire in modo chiaro ai cittadini se è accogliente o respingente.
IL DIALETTO, LA LINGUA DEGLI AFFETTI
Un amico ha dato una definizione che trovo perfetta: il dialetto è la lingua degli affetti. Quindi – dato che gli affetti o ci sono o non puoi insegnarli – non ha senso la pretesa della Regione Veneto di insegnare il dialetto nelle scuola, alle ultime generazioni che non lo parlano più.
D’altronde a scuola non ce lo hanno mai insegnato. Il dialetto lo imparavamo in quelle famiglie, non allargate, ma numerose che oggi non esistono più. Lo parlavano i nonni, i genitori, gli zii. E noi, fin da piccoli, iniziavamo ad usarlo con i fratelli, con i cugini, con tutti gli altri parenti e conoscenti.
La lingua degli affetti. La lingua del filò: i più vecchi ci raccontavano gli aneddoti, le esperienze, i proverbi e i modi dire, il mondo in cui erano nati e vissuti. Dopo di che si andava a scuola ad imparare l’italiano, la lingua della comunicazione con tutti gli altri che veneti non erano e con i quali non avevamo gli stessi legami affettivi.
Oggi ragazzi e ragazzini, spesso figli unici, che vivono in famiglie molto più ristrette, dove uno dei due genitori non è veneto se non addirittura straniero, da chi dovrebbero impararlo e con chi dovrebbero parlarlo il dialetto? Con facebook, con la rete? Comprensibilmente imparano ed usano il linguaggio povero e sincopato dei social network che sono i loro primi interlocutori.
Il dialetto lo parla ancora qualche giovane nei piccoli paesi, dove permane una certa struttura famigliare e sociale. Nelle città quasi più nessuno.
Oggi a scuola ha senso studiare l’inglese, il cinese: le lingue della comunicazione con il presente e con il futuro. Il dialetto serve, servirebbe, a comunicare con il passato: cioè con un Veneto, con un mondo, con una struttura famigliare che oggi – di fatto – sono in estinzione o già non esistono più.
Negli anni Sessanta, scegliendo di ridurre drasticamente l’insegnamento del latino, si diede una definizione che oggi vale per il veneto: il dialetto è una “lingua morta”.
L’evoluzione della società, il cambiamento di usi e costumi, determina l’evoluzione e il cambiamento della lingua. E – piaccia o non piaccia – comunque non puoi riesumare il passato tornando ad insegnare la lingua che si usava un tempo.
BOB DYLAN NON E’ DARIO FO
Nel mondo dei vip, tra scienziati, artisti e letterati da operetta, c’è finalmente una persona seria. Il Grande Bob Dylan che si è rifiutato di andare a Stoccolma a ritirare il premio Nobel.
Lo ha fatto anche irridendo ai membri dell’Accademia svedese: cioè fingendosi onorato per il premio, salvo aggiungere che ha cose più seria da fare che gli impediscono di perdere tempo per recarsi a Stoccolma.
Siamo di fronte ad un autentico anticonformista che fa comprendere al mondo che ridicola paccottaglia sia il tanto celebrato premio Nobel.
E’ inevitabile anche il confronto con un altro premiato. Per tutta la vita ha recitato la parte del rivoluzionario comunista che detesta la società borghese, salvo poi scodinzolare di gioia e corre giulivo a ritirare il premio, e per giunta dalle mani del re di Svezia! Dopo essere stato scelto da quei parrucconi dell’Accademia svedese, incarnazione perfetta dell’alta borghesia europea snob, capitalista e conformista.
Ah, il tanto celebrato e rimpianto Dario Fo. Che lezione postuma e “rivoluzionaria” gli ha dato Bob Dylan…
A FRANCESCO L’OSCAR DEL POPULISMO
Beppe Grillo e Matteo Salvini se ne facciano una ragione. Papa Francesco ha sbaragliato la concorrenza : ha vinto lui l’Oscar del populismo.
L’ha vinto con la dichiarazione su banche e migranti: “Salviamo le banche e lasciamo morire i migranti! E’ una bancarotta umanitaria!”
In realtà è la bancarotta del buon senso. Intanto perché i migranti con le banche c’entrano come i cavoli a merenda. Se mai c’entrano gli azionisti: vergognoso non aver risarcito quelli che erano stati raggirati ed indotti ad investire i risparmi prospettando loro lauti guadagni inesistenti.
Fatto salvo – ovviamente – che i banchieri corrotti vanno perseguiti (anche il padre della Boschi, se provato). La priorità assoluta di ogni Paese non può che essere quella di salvare il sistema bancario perché, se crollano le banche, crolla l’intera economia, resta solo miseria garantita per tutti (Grecia docet).
Lo sa il Papa per primo che, come tutti i suoi predecessori, ha fatto il possibile per salvare lo Ior, l’Istituto per le opere religiose, non ostate tutti i pastrocchi e gli illeciti compiuti da questo ente. Perché senza la banca del Vaticano non si fanno opere religiose, non si fa proselitismo, la Chiesa va in bancarotta. (E non si possono nemmeno assistere i tanti migranti accolti in Vaticano e nelle parrocchie.)
Senza un sistema bancario non si pagano gli stipendi né agli uomini della Marina militare (che di migranti ne salvano migliaia al giorno) né a tutti i lavoratori, pensionati compresi. L’intero sistema produttivo va in tilt.
Ciò che è chiaro ad uno studente del primo anno di Economia, non può essere oscuro ad un gesuita salito al vertice della Chiesa cattolica.
Ma tra le persone comuni – un po’ per pressapochismo, un po’ per ignoranza – è diffuso l’odio verso gli istituti di credito, responsabili di ogni male: tutti ladri questi banchieri (come i politici) vanno mandati al patibolo, altrochè salvati! E così Papa Francesco sceglie di cavalcare l’onda…Buon appetito e buonasera alla ragione.
Merita l’Oscar del populismo; e una menzione speciale per il contributo dato alla diffusione di pregiudizi e ignoranza.
CITTADINI LADRI COME I POLITICI
Ieri sera il Tg di Sky raccontava dei dieci dipendenti dell’ospedale di Brindisi sorpresi a rubare nella farmacia del loro ospedale. Non è escluso che anche qualcuno dei dieci voti 5 Stelle al grido di onestà, onesta! Mandiamoli a casa questi ladri di politici!
Non mi risulta che un politico sia mai stato sorpreso a rubare nella farmacia del suo ospedale. Non ne ha bisogno, non gli mancano più ghiotte occasioni, direte. Ma il ragionamento va rovesciato: se uno dei dieci di Brindisi avesse mai un ruolo e il potere del politico, cosa combinerebbe?
I giornali oggi non riportano la notizia. Chiaro: sono così numerosi quelli che rubano sul posto di lavoro, pubblico e privato, da non far più notizia…
Fa ancora notizia, al momento, il parroco di Spinea, don Flavio Gobbo, che ha fatto le valige ufficialmente per una “situazione di affaticamento”. Ma Il Gazzettino racconta che dai conti della parrocchia sono spariti 200-300 mila euro; e che la sua perpetua aveva la passione per il gioco d’azzardo…
Immagino che anche il parroco di Spinea dal pulpito predicasse onestà, onestà! Aggiungendo che quei ladroni dei politici finiranno tutti all’inferno.
Dobbiamo ricordare i furbetti del cartellino che, da San Remo in giù, dilagano dovunque? Dovunque carabinieri o guardia di finanza piazzino una telecamera. Dei tanti che, quando vanno a (far finta di) lavorare, usurano il computer a furia di giocare in rete? Dei tanti che di fatto rubano lo stipendio?
Ben che vada noi cittadini siamo ladri tanto quanto i politici. Con un’aggravante: che crocifiggiamo loro, i politici, convinti così di purificare e santificare noi stessi.
CARNEFICE CONTIGUO A ENNIO E ROSINA
Il luglio scorso Ennio e Rosina, due coniugi ultraottantenni che vivono soli e isolati nel loro casolare a Piacenza d’Adige nella bassa padovana al confine con la provincia di Rovigo, vengono rapinati e pestati a sangue. Lei, Rosina, viene torturata con un ferro da stiro rovente.
I carabinieri – onore al merito – individuano e arrestano i responsabili di un crimine così efferato: due marocchini.
Rosina ed Ennio restano a lungo in ospedale, non solo per le cure necessarie ma anche perché non possono tornare nella loro abitazione rimasta sotto sequestro per le indagini.
Quando finalmente tornano a casa scoprono che uno dei due criminali è già libero, cioè ai domiciliari. Non solo: domiciliari di “vicinato”, cioè a soli cinque chilometri da dove abitano loro!
(Libero di fatto, perché non esiste che le forze dell’ordine stazionino h24 davanti all’abitazione a controllare che il marocchino non esca).
I due sposi sono terrorizzati. L’incredibile vicenda finisce sulle reti nazionali, dove Rosina compare impugnando un forcone e accusando Renzi di non proteggere lei e suo marito.
Colpa del codice penale, colpa della discrezionalità del magistrato? La cosa certa è il risultato: i domiciliari di vicinato tra carnefice e vittime.
Pensando a questo ed altri casi avevo chiesto al ministro della Giustizia Orlando (ospite ad una festa del Pd) se non fosse il caso di riformare la legittima difesa. Il ministro l’ha escluso spiegando che, dove si diffondono le armi e si spara aumentano solo i morti non la sicurezza, e che deve essere lo Stato a garantire la difesa dei cittadini.
Assolutamente d’accordo in linea di principio. Peccato che poi, all’atto pratico, il nostro Stato i suoi cittadini li difenda come ha difeso Rosina e Ennio. Cioè piazzando il carnefice a cinque chilometri da casa loro.
AFFITTACAMERE E DACIA MARAINI
Matteo Salvini continua a definire i prefetti gli “affittacamere degli immigrati”. Definizione non molto cortese, ma intrinsecamente corretta: tale è la loro funzione. Con l’aggiunta che questo non possono che fare, e sono costretti a fare, i funzionari del ministero degli Interni.
O obbediscono alle direttive che arrivano loro da Roma o si dimettono in massa. (Alzi la mano chi di noi lo farebbe, rinunciando al lauto stipendio e sontuoso palazzo prefettizio…)
C’è l’aggravante, non contemplata per i veri affittacamere: affittano a sconosciuti privi di documenti. Ma anche questa è la direttiva romana. Con l’aggiunta dell’ordine di spargere sedativi. Spiegando cioè alla popolazione che non c’è allarme sociale, i reati sono in calo e comunque non riguardano i richiedenti asilo…
Ma c’è di peggio degli affittacamere. Parlo di Dacia Maraini e delle due pagine che ha pensato bene di dedicarle ieri il Corriere della sera.
La nostra grande e sensibile intellettuale – in perfetta sintonia con il suo popolo – ha trovato la soluzione per ripopolare i tanti villaggi di montagna abbandonati. “Perché non affidarli – propone – ai tanti migranti pieni di forza e di voglia di lavorare, per riportarli alla vita?”.
Con che mi ha fatto venire in mente come potremmo ripopolare i tanti manicomi chiusi e abbandonati: affittando le stanze a Dacia Maraini & c.
SCUOLA: L’APARTHEID DEL PANINO
D’estate si è parlato di scuola per la vergognosa sceneggiata degli insegnanti che, dovendosi spostare dove c’è bisogno di loro (da Sud a Nord) si sono autodefiniti “deportati”
Adesso, con l’autunno, altro dramma: l’apartheid del panino! Genitori in rivolta contro il costo e l’obbligo delle mense scolastiche, rivendicano il diritto di dare loro la merendina ai figli, e protestano perché chi ha il panino non potrebbe mangiare in mensa e sarebbe “segregato” in classe…
Genitori che non capiscono che il vitto è del tutto secondario, che la funzione fondamentale della scuola è l’insegnamento; la qualità dell’insegnamento.
Genitori che accettano di pagare ben più che per la mensa, per una pubblica istruzione che non seleziona gli insegnanti e non li obbliga all’aggiornamento; docenti che per tutta la carriera insegnano le stesse cose, incuranti di un modo che muta velocissimo, che richiede sempre nuove materie e nozioni per garantire l’inserimento al lavoro di chi studia.
Uno dei tanti esempi: si continua ad insegnare una lingua del tutto inutile come il francese, quando già cinquant’anni fa era evidente che la lingua della comunicazione globale è l’inglese.
Genitori che protestano solo se il figlio viene bocciato. Li vorrebbero tutti promossi. Senza comprendere che una scuola o è molto selettiva o non serve a nulla: perché i ragazzi e le ragazze, di fronte a percentuali bulgare di promossi, nemmeno si impegnano a studiare quel poco che viene loro insegnato.
Docenti che, specie al Sud, promuovono tutti a pieni voti. Salvo rifiutare quei test Invalsi che puntualmente dimostrano come gli studenti abbiano appreso poco nulla…
Ma, se la nostra pubblica istruzione è così allo sbando, la prima responsabilità è dei tanti genitori che si ribellano per le mense, per l’apartheid del panino, e trascurano di vigilare anzitutto sulla qualità dell’insegnamento somministrato ai loro figli.
QUANTE PIPPE SUL SI’ USA
Le prime pagine di oggi, 14 Settembre, traboccano di pippe sull’ambasciatore Usa che si è schierato per il sì al futuro referendum costituzionale; Permettendosi di aggiungere che una vittoria del no avrebbe disincentivato gli investimenti stranieri in Italia.
Tra tutte la reazione di Bersani: “Ma per chi ci hanno preso?” Per quello che siamo: italiani dediti alle pippe, utilissime a distoglierci dai problemi reali del Paese.
Gli esempi di “indebite interferenze” nella politica interna di altri Paesi, fatte dai politici italiani, si sprecano. Dite chi oggi, media compresi, non si è schierato sulle presidenziali americane? Il mantra corrente è questo: speriamo la spunti Hillary, che se vince quel cazzone di Trump sono guai.
Stessa cosa con l’esito delle elezioni in Austria, piuttosto che in Grecia, in Spagna e perfino nei lander tedeschi.
Serve ricordare che in occasione del referendum della Gran Bretagna Matteo Renzi arrivò a scrivere un intervento sul Guardian per spiegare agli elettori inglesi che dovevano votare remain, che altrimenti sarebbe stato un disastro per l’economia del loro Paese?…
Inglesi, americani, Paesi seri, cioè non dediti alle pippe (o di natura diversa dalle nostre) di queste “interferenze” se ne fregano. Solo noi ne abbiamo fatto una telenovela tragicomica.
Nel mondo occidentale globalizzato, dove esiste una precisa interdipendenza politico-economica, è naturale esprimere preoccupazioni o auspici sull’esito di qualunque elezione o referendum.
Altra cosa sarebbe stata se l’ambasciatore Usa avesse garantito finanziamenti occulti ai comitati per il sì (stile quello che fece per decenni l’Unione sovietica a vantaggio del Partito comunista italiano). Questa sì che sarebbe stata un’interferenza indebita e inaccettabile.