All’indomani della tragedia di Amatrice e degli altri borghi colpiti dal terremoto, è emerso un contrasto stridente: gli sfollati nelle tendopoli, i profughi, i richiedenti asilo, spesso anche qui in Veneto, alloggiati invece negli alberghi. Serviti e riveriti.
Il commissario Vasco Errani dichiara che la priorità è smantellare le tendopoli, ma il responsabile della Protezione civile Fabrizio Curcio avverte che per realizzare le casette ci vogliono sette mesi. Fate i conti: saranno disponibili per Marzo 2017, il che significa che i nostri sfollati passeranno autunno ed inverno sotto le tende.
Stiamo parlando di numeri modesti – 2.500 persone in tutto – nemmeno lontanamente paragonabili alle centinaia di migliaia di stranieri che continuano ad arrivare. Non ci sono alberghi per i nostri concittadini di Marche ed Umbria? Non ci sono B&B? Non è possibile l’accoglienza diffusa in alloggi privati? Non ci sono per loro i 35 euro al giorno?
Tante domande, un dato di fatto: restano accampati sotto una tenda.
Giusto sdegnarsi per la macabra ironia sui nostri morti fatta da Charlie Hebdo; chiaro che non c’entra la mafia con i crolli causati dal sisma. Ma c’è sicuramente un metodo “mafioso” di affrontare le tragedie e le emergenze: pronti a speculare sia con la ricostruzione che con l’accoglienza. Se vogliamo è il business che accomuna profughi e terremotati.
Ma un Paese che non riesce ad affrontare con dignità ed efficienza una tragedia tutto sommato contenuta come quella del terremoto, saprà mai gestire in modo civile ed accettabile l’emergenza epocale dell’immigrazione? (promuoviamo donazioni e raccolta fondi anche per far fronte all’accoglienza?…). Un emergenza che – come dimostra il voto di ieri nel Land MeckPomm – sta mettendo in crisi anche Angela Merkel…
Stanno diventando razzisti anche i tedeschi, dopo i cittadini degli altri Paesi europei? Siamo razzisti noi sdegnati di vedere i terremotati sotto le tende e i profughi alloggiati in albergo?
Credo sia semplicemente sacrosanto ritenere che prima vengono le esigenze e le necessità dei cittadini che il loro Paese l’hanno costruito col lavoro e mantenuto con le tasse. Dopo di che le risorse residue finalizziamole pure agli interventi umanitari per i bisognosi del mondo. Ma l’opposto è solo una vergogna.
Se i governi europei – di destra o di sinistra – non lo capiscono sono destinati a cadere come birilli.
I NO BORDER DA SALOTTO
Ennesima edizione, tipicamente italica, dei rivoluzionari da salotto: questo sono i “no border”, quelli che protestano contro le frontiere. L’importante è essere “no” (global, tav, triv, border. Etc. ect.). Ma più importante ancora è non rischiare nulla, standosene al sicuro nel salotto di casa.
Il quadro dell’immigrazione è sempre più drammatico. Repubblica racconta oggi della Turchia che minaccia di riaprire le frontiere e farne partire verso i nostri lidi altri tre milioni. La Stampa scrive di Milano invasa da migliaia di migranti che non riescono a passare in Svizzera. Stessa cosa a Como. Nel fine settimana sono stato a Bolzano, autentico gioiello del Sudtirol: anche qui stranieri che bivaccano ovunque perché l’Austria dal Brennero non li fa passare.
Facciamo finta di credere che il problema siano i border, le frontiere chiuse. Dei veri, coraggiosi, rivoluzionari andrebbero a protestare e combattere in quei Paesi che le frontiere le hanno sprangate. Ma, ovviamente, è più comodo e sicuro starsene nel salotto di casa, a Ventimiglia, nell’unico Paese europeo che i border li tiene da decenni spalancati!
Qui si rischia nulla, anche andando all’assalto delle forze dell’ordine con spranghe e coltelli. Massimo un foglio di via da usare come carta igienica. Da bruciare in piazza a Padova come fece Luca Casarini quando glielo diedero “intimandogli” di non tornare a Padova…
Provino a protestare e combattere in Svizzera, in Austria, in Francia. A cercare lo scontro con la polizia, rischiando l’arresto, il processo per direttissima, la condanna da scontare in carcere. Ma, per farlo, bisognerebbe essere rivoluzionari veri e non da salotto.
FRANCESCO E IL NOME DEI CARNEFICI
La parola Islam, terrorismo islamico, non compare sulle labbra di Papa Francesco. Condanna genericamente l’odio e la violenza. Non chiama col loro nome nemmeno i carnefici di padre Jaques, il parroco di 86 anni sgozzato nella sua chiesa.
Gian Guido Vecchi, del Corriere, ha scritto che è giusto così. Che Francesco è l’unico leader occidentale ad avere una strategia vincente: non bisogna fare il gioco dei terroristi, non bisogna rispondere con la violenza alla loro violenza, perché otterresti solo di diffondere ancor più il fondamentalismo. Bisogna invece isolarli, proseguendo col dialogo e il confronto con l’Islam moderato.
Può darsi che Francesco e Vecchi abbiano ragione, che la strategia giusta sia questa.
C’è però anche una spiegazione alternativa. Basata sull’enorme, comprensibile, difficoltà ad accettare una realtà così sconvolgente con tutte le terribili conseguenze che essa comporta. Da qui la speranza di non dover arrivare all’esito estremo e di poter evitare le guerre col dialogo, con gli accordi.
I precedenti storici di tale speranza, dimostratasi illusione, non mancano e un gesuita, prete colto quant’altri mai, dovrebbe rammentarli.
Nel 1938, al termine della conferenza di Monaco – grande mediatore il nostro Duce – la convivenza pacifica tra il nazismo e le democrazie europee di Francia e Gran Bretagna sembrava garantita. Perfino l’integrazione: il nazismo si diffondeva infatti anche in Inghilterra (diventando il terzo partito), gli estimatori di Hitler e Mussolini si moltiplicavano in Francia e perfino negli Stati Uniti.
Peccato che l’anno dopo i panzer invadessero la Francia e la Luftwaffe bombardasse Londra…
Con la firma del patto Ribbentrop-Molotov, Stalin era convinto di aver blindato l’Unione sovietica. Specie dopo la pacifica e dialogante spartizione della Polonia. Così, quando nella primavera del 1941 parte l’Operazione Barbarossa, il Piccolo Padre si rifiuta di crederci. Per giorni si illude che siano solo tafferugli alla frontiera. La Wehrmacht deve prima massacrare interi reparti dell’Armata rossa, compresi quei commissari politici che per l’Unione sovietica erano l’equivalente dei preti per la Chiesa, e solo così Stalin è costretto ad aprire gli occhi sulla terribile realtà dell’invasione nazista da affrontare.
Domanda: quanti commissari religiosi, quanti preti dovranno essere sgozzati prima che anche Papa Francesco apra gli occhi?
ORA ASPETTIAMO IL VECCHICIDIO
Dopo il femminicidio, istituiamo anche il vecchicidio. Lo propone Libero, partendo dalla tragedia di Piacenza d’Adige: i coniugi ultraottantenni rapinati, picchiati a sangue, torturati col ferro da stiro rovente da tre criminali.
Senza nulla togliere al tema della violenza sulle donne, quello della violenza sugli anziani ( uomini e donne) è ancora più devastante. Lo ricorda sempre Libero statistiche istat alla mano: omicidi, percosse, lesioni dolose, furti e rapine sono in crescita esponenziale anno dopo anno.
Non si tratta solo di individuare i colpevoli, cosa che spesso le forze dell’ordine riescono a fare grazie alle nuove tecnologie che individuano le tracce biologiche dei responsabile nel luogo del crimine.
Si tratta di poter comminare pene certe ed adeguate che fungano da deterrente. Perché il problema resta la prevenzione. Anche ammesso che vengano presi e puniti i banditi, l’esistenza dei due coniugi di Piacenza D’Adige è rovinata per sempre: vivranno nel terrore gli anni che restano loro da vivere.
Sul piano generale mancano politiche adeguate anche di semplice assistenza per gli anziani: non si può contare sul volontariato, sulla rete sociale, su ciò che resta delle parrocchie, sui fondi esigui dei servizi sociali dei comuni.
La politica dovrebbe capirlo anche per puro calcolo di convenienza politica. Di giovani infatti ce ne sono sempre meno, e tra loro si registra il più alto tasso di assenteismo. Gli anziani invece sono sempre più numerosi e, mediamente, alle urne ci vanno.
Non sono angosciati dal futuro ma dal presente. Non pensano alle opportunità di lavoro avendo esaurito la vita lavorativa. Vorrebbero stare tranquilli e sereni; vedersi garantita la sicurezza tra le mura domestiche o quando escono a fare il bancomat, a portare la sera il sacchetto della spazzatura nel cassonetto. Vorrebbero poter tenere in casa un po’ di contante senza apprensioni. Sia che abitino in città che in aperta campagna.
Invece, di fatto, troppi di loro sono soli e abbandonati.
BINARIO MORTO, STATO COLPEVOLE
Nella strage ferroviaria in Puglia il problema non è il binario unico, che c’è dovunque Veneto compreso, quanto la mancanza dei dispositivi automatici di sicurezza: se tutto dipende dalle telefonate tra capistazione e macchinisti l’errore umano è quasi inevitabile.
Ciò premesso l’analisi più seria e dettagliata l’ha fatta Alessandro De Nicola su Repubblica, sottolineando i seguenti punti:
– I soldi per raddoppiare la linea c’erano, soldi Ue stanziati da tre anni ma bloccati dalla burocrazia.
– Ogni governo annuncia lo Sblocca Italia, ma le opere pubbliche restano bloccate con tempi di realizzazione imparagonabili “a quelli dei Paesi avanzati”
– Non manca la spesa pubblica nel nostro Paese, sempre sopra il 50% del pil. Quindi non c’entra l’austerità. Ma le uscite sono indirizzate in modo preponderante verso la spesa corrente a scapito degli investimenti. Leggi spese per il personale ovunque in esubero.
– La spesa per opere pubbliche da parte dei privati impedita o scoraggiata per motivi a) ideologici, b) incertezza della legislazione, c) lentezza e imprevedibilità della giustizia, d) farraginosità e corruzione della burocrazia
– I trasferimenti dello Stato ai gestori di di treni e binari sono sostanziosi: “210 miliardi in 21 anni, ben al di sopra della media europea”. Ma destinati ai pletorici costi del personale, all’Alta velocità (giusto) però a scapito del trasporto locale. E, ora che i soldi stanno diminuendo – conclude Alessandro De Nicola “invece che liberalizzare e privatizzare separando la rete dalla società di trasporti, si cincischia perdendo valore e risorse”.
Ce n’è a sufficienza per capire che il colpevole della strage ferroviaria in Puglia è lo Stato. Non certo il macchinista che magari si era distratto mentre il capostazione gli telefonava.
DALLA PARTE DI ANGELINO E ILARIA
Non ho particolare simpatia per il ministro Angelino Alfano e le sue politiche. Nemmeno per Ilaria Capua che conobbi mentre dirigeva l’Istituto zooprofilattico delle Venezie: trasudava un’autostima eccessiva, quando si candidò con Monti riteneva che diventare ministro della Salute per lei sarebbe stato il minimo…Ma non posso che stare pienamente dalla loro parte.
Ha ragione Alfano quando definisce una barbarie la diffusione delle intercettazioni di suo padre.
La Capua è stata massacrata da un’inchiesta della procura di Roma. L’Espresso le dedicò una copertina avvallando tutte le accuse: trafficante di virus, corruzione, associazione a delinquere, diffusione di epidemie. Reati da ergastolo.
Oggi – completamente prosciolta – la Capua ha giustamente sbattuto la porta a questo Paese di m. ed è andata a fare la ricercatrice negli Stati Uniti.
Sed repetita iuvant. I media, mentre nelle pagine interne si scusano con lei, sono gli stessi che in prima pagina tornano a comportarsi come fecero con Ilaria: rilanciano cioè le accuse contro Alfano, a suon di intercettazioni pubblicate, avvallando di fatto ogni addebito senza attendere, non dico il processo, nemmeno la chiusura delle indagini.
Tanto vale dare corso ad una riforma che velocizza la giustizia e abbatte i costi: chiudiamo i tribunali, pensioniamo i giudici, e passiamo direttamente dalle accuse dei pm alla lapidazione in piazza. E, se sono politici, gettiamoli subito giù dalla torre di Pisa (all’uso islamico riservato ai gay) che così chiudiamo anche le carceri e risparmiamo ulteriormente.
Quando esplose la tragedia di Yara Gambirasi e fu accusato Bossetti con foto, interviste alla moglie e ai colleghi di lavoro, talk show a raffica, il corrispondente di Italia Oggi da Berlino, Roberto Giardina, spiegò come si sarebbero comportati i media tedeschi in un caso analogo: racconto preciso dell’accaduto e solo le iniziali dell’accusato. Niente nome né foto, niente notizie private né interviste ai famigliari. Tutto questo sarebbe stato divulgato solo dopo un processo e una condanna.
Significa che in Germania la giustizia non funziona? Che i colpevoli non vengono puniti, che ai media mettono il bavaglio? Semplicemente là tutto avviene nel rispetto che la civiltà giuridica impone verso gli imputati. Mentre da noi vige la barbarie giuridica.
E i responsabili della barbarie non subiscono conseguenze: magistrati che divulgano atti e documenti che andrebbero notificati solo ai difensori, pm che allestiscono inchieste senza prove solide (da Enzo Tortora in avanti) proseguono senza intoppi la radiosa carriera fino alla pensione d’oro. Giornalisti che ignorano la presunzione di innocenza, sancita dalla Costituzione “più bella del mondo”, mai vengono nemmeno sanzionati.
Mentre il popolo bue applaude o si gira dall’altra parte. Qualcuno si sveglia solo, se e quando, ha la sciagura di finire nel tritacarne mediatico giudiziario.
VENDERE CASA E ANDARE IN AFFITTO
Dopo aver partecipato ad un convegno promosso dall’Unione piccoli proprietari immobiliari, mi permetto un modesto suggerimento: vendere casa e andare in affitto. Venderla a qualunque prezzo.
Sui proprietari infatti incombono solo obblighi, spese e tasse.
Obbligo di garantire il risparmio energetico, la “contabilizzazione del calore”, con tutta una serie di costosi interventi su edifici e impianti termici. Tasse in arrivo con la riforma del catasto; per non parlare della direttiva comunitaria (ordine) di tassare la casa, magari reintroducendo anche l’Imu che è stata appena tolta
Fosse riconosciuto il diritto alla proprietà non ci sarebbero obblighi, ma solo opzioni: chi vuole spende con la prospettiva di risparmiare, chi non vuole tiene vetri rotti e impianti obsoleti.
Ma l’unica proprietà sacra ed inviolabile nel nostro Paese è il posto di lavoro pubblico. Quella della casa è considerata un furto e l’inquilino libero di comportarsi di conseguenza: dal momento che il proprietario è un ladro può rubare anche lui, l’inquilino, non pagando l’affitto.
Nei Paesi dove la proprietà è sacra, chi non paga una settimana si trova accompagnato all’uscita dalle forze dell’ordine. Qui invece ci vogliono anni di cause, tribunali e spese legali. Senza ottenere nulla se l’inquilino moroso ha figli minori o consorte incinta.
D’altra parte un Paese che non sa (o non vuole) tutelare nemmeno le sue proprietà, le case popolari, le case Ater abbandonate al degrado completo, di certo tutela ancor meno le case dei privati.
Con l’affitto vivi tranquillo e sereno, senza grane, rotture di scatole (leggi: assemblee condominiali), né spese aggiuntive al canone.
Raffronto decisivo: se non paghi 18 rate del mutuo contratto per comprare la casa, la banca te la sequestra per legge e senza passare dal tribunale. Se non paghi 18 mesi d’affitto ( o anche 36) non ti succede nulla.
Per continuare ad essere proprietari di casa in Italia ci vuole una dose di eroismo che sconfina con l’autolesionismo. Chi ce lo fa fare? Il piacere masochista?
ANTONIO CONTE A PALAZZO CHIGI
Dovessimo vincere l’Europeo, si leverebbe un coro azzurro: Antonio Conte a Palazzo Chigi!
Al di là delle battute, va osservato che Conte, dopo il mondiale di due anni fa in Brasile, ha raccolto i cocci di una nazionale che era più allo sbando della nazione. Ha saputo rimetterla assieme e renderla competitiva: già le vittorie con Belgio e Spagna (e speriamo bene sabato con i crucchi, che l’unico complesso di inferiorità nei nostri confronti l’hanno nel calcio), già queste due vittorie sono state un autentico miracolo cui nessun tifoso osava credere.
Oggi si parla di lui come del migliore allenatore del mondo, perché il materiale a sua disposizione non è certo un gran che – di veri fuoriclasse non ne abbiamo uno – ma lui ha saputo assemblarli al meglio. Con Messi, con Ronaldo è relativamente facile vincere. (Ci riesce anche Zidane…). Mentre con i calciatori normali la differenza la fa il mister.
La Gazzetta riassume oggi le parole d’ordine di Conte: Lavoro, lavoro, lavoro! Orgoglio, organizzazione, tattica, crederci, autostima, impresa! Allenamenti a tamburo battente, dove è vietato sbagliare anche un passaggio.
Sempre la Gazzetta racconta che Conte grida “ti ammazzo!” a chi commette il minimo errore. A Giaccherini, che sbagliò due occasioni nell’amichevole con la Scozia, gridò: “se sbagli così all’Europeo torni a casa a piedi!”. Stava entrando in campo a strozzare Eder dopo il contropiede fallito tirando addosso a De Gea
Immaginiamo per un attimo che, fuori dal calcio e dalla nazionale, un manager pubblico o privato possa rivolgersi con queste parole e questo tono ai suoi sottoposti…Minimo partirebbe uno sciopero generale di protesta, magari con denuncia al pretore del lavoro.
Scherzavo con Nicola Atalmi della Cgil dicendogli: dovreste intervenire perché Conte non rispetta le 36 ore alla settimana, tra allenamenti, riunioni tattiche, video degli avversari da studiare, li stressa dieci ore al giorno. Giocare con lui come ct diventa per i nostri poveri calciatori un lavoro usurante…Ma, di fronte ai risultati ottenuti, nessuno protesta anzi: tutti entusiasti di Conte e di come mette in riga gli azzurri. (Nessuno che discuta l’ammontare del suo ingaggio)
Al di là della battuta su Palazzo Chigi, qualcosa magari ci sarebbe da imparare e da copiare dai suoi metodi per rilanciare il sistema Italia: l’organizzazione aziendale, l’impegno, la produttività, i premi legati strettamente ai risultati…
Purtroppo però noi italiani diventiamo tedeschi solo con la nazionale (e col calcio in genere). Per tutto il resto trionfano l’individualismo e i diritti.
CAMPI ROM E VILLAGGI ISLAMICI
Di fronte all’ennesimo scandalo che investe la gestione dei campi nomadi nella Capitale, immaginiamo di affrontare il tema dell’accoglienza e dell’integrazione degli islamici allestendo – col denaro pubblico – dei villaggi più o meno grandi dove collocarli; lasciando poi che li autogestiscano secondo uso, tradizioni e dettami coranici.
Cioè applicando la Sharia: bigamia liberamente praticata, donne che girano col burqa e rigidamente sottomesse all’uomo, ragazzine cui è vietata l’istruzione. E, se lo vogliono, una grande torre al centro del villaggio dalla quale buttare giù i gay.
Ovviamente gli appalti per costruzione e manutenzione sarebbero gestiti dai funzionari dei comuni, le bollette potrebbero non essere pagate senza rischio chiusura degli allacciamenti; istituendo in fine una ”Opera islamici”, dove i nostri volontari, molto sensibili alla tutela del diverso, siano impegnati a preservare integra la loro cultura.
Facessimo così con gli islamici, ripeteremmo semplicemente la formula che da decenni abbiamo applicato e continuiamo ad applicare con i campi rom. Unico Paese dell’Europa civile ad avere scelto questa soluzione.
Ovviamente non so cosa pensino i rom dei gay. Di certo non li buttano già dalle torri come in alcuni Paesi islamici. Di certo le donne sono libere di girare ovunque senza velo: che altrimenti come farebbero ad esserci i furti con destrezza ad ogni fermata dei mezzi pubblici della Capitale?…
Siamo giustamente indignati e sgomenti di fronte alla tragedia dei bambini migranti. Ma ci voltiamo dall’altra parte se i bambini dei campi rom non vanno a scuola e subiscono un’istruzione alternativa all’accattonaggio e al furto…
Con regole diverse, non islamiche, regole rom. Ma i campi nomadi sono autogestiti, al di fuori delle leggi vigenti, a prescindere dalla Costituzione “più bella del mondo”. Secondo ampia e consolidata tradizione di un Paese sfilacciato: la camorra si autogestisce Scampia, la mafia zone della Sicilia…
Un Paese civile, che ama i nomadi, che apprezza gli islamici, proprio per questo dovrebbe impegnarsi a farli vivere in modo civile. Non in ghetti autogestiti. Cominciando dunque a chiudere i campi rom, come chiede giustamente il quotidiano romano Il Tempo al neosindaco Virginia Raggi dopo l’ennesimo scandalo sugli appalti.
Tenendo presente che l’integrazione non è una cena di gala, dove inviti tutti e chi vuole viene, chi vuole declina l’invito. L’integrazione va imposta a tutti col bastone della legge.
ROMANI ATTENTI: ARRIVA L’ONESTA’!…
All’origine del trionfo della Raggi a Roma c’è un sorprendente mutamento culturale dei romani che, in modo plebiscitario, l’hanno scelta e votata.
Da sempre i cittadini della Capitale erano abituali a vivere nell’enorme sottobosco del clientelismo politico: posti pubblici a raffica, controlli di produttività zero, assenteismo a ruota libera, scioperi il lunedì sera dalle 20 alle 24 (Atac) quando c’è da guardare Italia Belgio.
Adesso la pacchia è finita. I romani hanno scelto l’onestà. E onestà significa anzitutto lavorare. Guadagnarsi lo stipendio, non intascarlo anche se ti sei slogato i pollici a furia di girarli. Non si può più rubare, come quei ladroni dei politici che rubano. Lo stipendio bisogna guadagnarselo.
Onestà significa che non puoi continuare a rubare agli altri cittadini italiani chiamati a ripianare, attraverso il fisco. l’enorme deficit della Capitale. Pensate che solo l’Atac accumula un passivo pari a quello di tutte le altre aziende di trasporto pubblico del nostro Paese!
I costi della politica a Roma non sono certo quelli degli 80 consiglieri comunali, di sindaco e assessori, ma dei 27 mila dipendenti del comune assunti per puro clientelismo politico.
Ma adesso con Virginia Raggi a Roma, per volontà dei suoi elettori, è arrivata l’onestà. Quindi la sindaca manderà a casa metà dei suoi inutili dipendenti, metterà in riga le municipalizzate, effettuerà serrati controlli di produttività. Nessuno più, anche se presente sul posto di lavoro, potrà passare il tempo giocando col computer.
Lo farà di certo anche per dare un esempio, a 5 Stelle, a tutto il resto che a Roma da lei non dipende: ministeri, uffici statali, commessi del parlamento, l’esercito dei burocrati.
E facendolo, con l’operare concreto, i 5 Stelle conquisteranno dal Campidoglio Palazzo Chigi; e l’onestà dilagherà sull’intero Paese.
Sarà così, deve essere così. Perchè, se così non fosse, vorrebbe dire che l’onestà a Roma non è arrivata, che tutto continua come sempre. Che la Raggi, e i romani che l’hanno votata, sono come quei democristiani (mica tutti) che gridavano “castità, castità!”, “fedeltà, fedeltà!” salvo poi comportarsi da puttanieri…