BREXIT LORO O BREXIT NOI

Aldo Cazzullo scrive sul Corriere di ieri che un barman e un businessman italiani che vivono a Londra sono entrambi molto preoccupati dalla Brexit. Ho l’impressione che sia lui a trasferire su di loro un timore che è molto diffuso nel nostro Paese come nel resto d’Europa; qui, assai più che in Gran Bretagna.
Dai contattati famigliari che ho a Londra risulta il contrario: mia figlia cioè mi racconta che tutti i suoi colleghi di lavoro, sia inglesi che stranieri, sono a favore della Brexit. Convinti che l’Inghilterra continuerà a lavorare e relazionarsi con tutto il mondo, come ha sempre fatto, e senza più le zappe della burocrazia di Bruxelles.
Sempre ieri il Corriere pubblicava la splendida vignetta di Giannelli : il principe consorte chiede alla regina “che cosa è questa Brexit?” ed Elisabetta risponde “ma Filippo?!! E’ l’uscita dalla Ue” al che lui si domanda “E quando ci siamo entrati?”
Già, se la Ue significa anzitutto il tanto vituperato euro, l’Inghilterra non lo ha mai avuto e quindi in Europa non c’è mai entrata.
La Brexit non preoccupa loro, preoccupa noi. Ed è comprensibile: basta guardare al crollo della nostra borsa e delle altre dell’Unione, da quando i sondaggi danno la Brexit in vantaggio.
Sarebbe infatti l’inizio di uno sfaldamento che non investirebbe chi nella Ue non è mai entrato ma chi c’è dentro. A partire dai Paesi più fragili: noi, la Grecia.
I greci al 90% erano entieuropeisti. Tutti con Tsipras, tutti con Varoufakis! Poi è arrivata la realtà: le banche che chiudevano, limiti di prelievo a 60 euro, mancavano i soldi per pagare gli stipendi. E i greci, e Tsipras, sono rinsaviti. (Varoufakis no, il comunista miliardario si è rinchiuso sul suo attico con vista sul Partenone)
Anche da noi si dice e si scrive che l’euro è stata la rovina; si invoca il ritorno alla liretta quando tutto andava bene. Per il Veneto magari andava meglio ancora con l’Impero asburgico… Ma un conto è sognare il ritorno al passato, un conto è credere di poterci davvero tornare, e per giunta senza pagare dazio.
Dai che torniamo ad una spesa pubblica dissennata, al modello Roma Capitale tanto per intenderci. Quanto ci vorrebbe per portare il Paese al fallimento? Perché chiudano anche qui le banche e manchino i soldi per gli stipendi a fine mese?
Dai che l’immigrazione la governiamo noi da soli, l’Europa non ci serve a nulla! Forse che non siamo già abbastanza invasi, anche così, anche senza aiutini europei, come abbiamo fatto fin’ora governandola noi da soli?
Un’Europa più unita e più forte resta la nostra unica speranza di salvezza. Altrimenti sarà sola la deriva.

I FURBETTI DEI PIANI BASSI E ALTI

I furbetti dei piani bassi li conosciamo bene: il vigile che timbra in mutande a Sanremo, l’usciere che a Foggia di cartellini ne timbra tre.
Al mezzanino ci porta l’articolo di lunedì del Corriere che spiega come il Miur (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) sia impegnato a combattere la deriva dei falsi disabili nelle scuole: il 13% degli insegnanti italiani di ruolo ricorre infatti alla legge 104 “quella che concede significativi benefici al lavoratore disabile”.
Il Corriere li chiama senza esitazione falsi disabili. Perché i dipendenti del settore privato che ricorrono alla legge 104 sono 1,5%. Tra i docenti di ruolo invece ben il 13%, con punte molto più alte in alcuni territori nazionali (non l’Alto Adige…)
Un docente su otto falso disabile. E sono quelli che dovrebbero insegnare ai nostro ragazzi la serietà, il senso civico, il servizio alla comunità…
Balziamo ai piani alti, anzi all’attico della Repubblica, ai “Custodi” della Costituzione più bella del mondo.
Marco Travaglio, in polemica con i sostenitori del sì al referendum di Ottobre, ricorda che ben 11 ex presidenti della Consulta sono schierati per il no. Ora il problema qui non è il sì o il no, è che siamo l’unico Paese al mondo ad avere 11 presidenti emeriti della Consulta (stando solo a quelli schierati per il no, magari in tutto saranno una ventina).
Com’è possibile? Perché il presidente della Corte costituzionale non viene scelto in base al merito e alla competenza, ma in base all’età: mettiamo al vertice il più anziano, che in pensione (dire d’oro e dire poco) ci va in fretta, che così subentro io che sono il primo in lista d’attesa e poi, via via, tutti gli altri…
Così i “Custodi” della Repubblica. Che volete farci, tengono famiglia… la loro prima preoccupazione è sistemarsi per la vecchiaia; non custodire la Carta né dare un qualche esempio al popolo dei piani bassi.
E, se i “Custodi” sull’attico della Repubblica fanno i furbetti, cosa pretendete da tutti gli altri per caduta? Da dirigenti e funzionari, giù giù fino al vigile urbano di Sanremo e all’usciere di Foggia? Gli restano le briciole, e mettono in tasca almeno quelle.
Con una piccola differenza: il vigile e l’usciere sono finiti ai domiciliari. Mentre, non pretendo sull’attico, ma almeno sul mezzanino…E invece nessuno ci posa nemmeno lo sguardo. Nemmeno il campione della morale pubblica ( e delle manette) Marco Travaglio.

IL BURQA, PROBLEMA DI CHI LO PORTA

La Regione Veneto, anche con l’assenso delle opposizioni (Moretti Pd, Berti 5 Stelle), si appresta a vietare il burqa a chi entra nei locali pubblici. Tutti d’accordo per rafforzare la sicurezza di fronte al pericolo di attentati.
Ma, se il problema è la sicurezza, lo è a 360 gradi; anche nei locali non pubblici ma aperti al pubblico: piazze, stadi, discoteche, centri commerciali. Il Bataclan era appunto una discoteca, non un ospedale.
D’altra parte la terribile esperienza che abbiamo fatto con gli attentatori islamici ce li ha mostrati a viso scoperto: non avevano il burqa, ma la cintura esplosiva sotto il giubetto e il mitra in mano.
Il burqa più che un segnale di pericolo per noi, è un segno inequivocabile della sottomissione delle donne islamiche che vivono anche nel nostro Paese: non solo velate, ma recluse in casa, schiavizzate dal marito, con l’obbligo di camminare due passi dietro a lui. Per le adolescenti in divieto di istruirsi, il matrimonio combinato, ogni genere di angherie.
Un Paese libero e moderno non può accettare questo abuso del corpo e della mente della donna. Che abbia una giustificazione religiosa, o di qualunque altra natura, poco importa.
Non è accettabile nemmeno invocando una scelta libera e non coatta. Nessuno è libero di suicidarsi, di morire per anoressia, di auto-schiavizzarsi.
Un Paese e uno stato civili hanno il dovere di tutelare i cittadini anche dal loro autolesionismo.
Quindi la sottomissione della donna islamica, coatta o libera che sia, va (andrebbe) combattuta ed impedita con ogni mezzo.
L’uso del burqa è un segnale preciso. Ma, a questo punto, il ragionamento di partenza va rovesciato: il burqa non è un pericolo per noi; rende anzitutto lampante la carcerazione di colei che lo indossa.

COME FERMARE I NOSTRI MIGRANTI

Oltre la collocazione politica, tutte le persone di buon senso sono ormai consapevoli che, se non si riesce a governare e contingentare l’immigrazione, Italia ed Europa saranno travolte.
Non siamo invece consapevoli che oggi si pone una questione altrettanto drammatica: come fermare, oltre agli stranieri che entrano, gli italiani in uscita dall’Italia; come arrestare il flusso imponente dei nostri migranti.
Il numero degli italiani che vivono all’estero, 4 milioni 63 mila, è ormai vicino a quello degli stranieri regolari presenti nel nostro Paese: 5 milioni e 14 mila.
Non solo. Il Dossier sull’immigrazione 2015 del Centro studi Idos certifica che nell’ultimo anno 155 mila nostri connazionali, per lo più giovani e laureati, si sono trasferiti all’estero contro 92 mila stranieri regolari insediati in Italia.
Rispetto alla nostra migrazione storica, uomini che partivano dalle regioni più povere del Paese, è cambiato tutto: oggi la quota principale – 18.425 persone – se n’è andata dalla ricca Lombardia, le donne sono il 44%, i diplomati superano il 30%, i laureati sono il 24%.
Tenendo conto delle risorse investite per la formazione scolastica e universitaria delle ragazze e ragazzi italiani finiti all’estero, l’Ocse ha stimato che nel periodo 2008-2014 abbiamo perso 23 miliardi di euro!
Bene. Come facciamo a fermarli? Mandiamo i soldati alle frontiere e negli aeroporti per impedire loro di lasciare l’Italia?…
Quando non ci sono opportunità di lavoro; quando altri Paesi (Gran Bretagna, Svizzera, Irlanda, Australia, la stessa Cina e gli Emirati) ne offrono di più attraenti, le persone se ne vanno via tanto dall’Italia quando dall’Africa.
Perdere ogni anno centinaia di migliaia di italiane e italiani (i migliori) è peggio (molto peggio) della fuga dei capitali all’estero.
Piccola notazione sul gran can can montato attorno al Panama Papers. La regola che vale per gli uomini vale anche per i capitali. Anche loro, i capitali, se ne vanno dove possono ottenere più remunerazione. Se non a Panama, alla Cayman o in uno dei tanti paradisi fiscali sparsi per il mondo.
Illudersi di poterli bloccare all’interno delle proprie frontiere è come illudersi di poter bloccare le persone che decidono di emigrare. La soluzione è opposta: devi creare migliori opportunità di lavoro, di reddito, di investimenti, di guadagni. Solo così si fermano tanto le persone come i capitali.

DAL CAVALLO DI LEGNO AI BARCONI

Gli attentati terroristici sono all’ordine del giorno. Ankara e Costa d’Avorio gli ultimi. L’Europa è incapace di produrre una politica di governo e contrasto dell’immigrazione.
Stupisce che anche in Germania vinca la destra radicale di Frauke Petry? Stupirebbe il contrario, che vincessero gli accoglienti, quelli delle porte aperte…
Dopo di che, chiunque vinca, poco cambia. La Petry dice che si contrasta l’immigrazione tornando a fare figli, almeno tre per coppia. Indire un concorso per trovarne almeno una di coppia che oggi metta la procreazione al primo posto. Vaste programme…
Per combattere sul serio e alla fonte il terrorismo servirebbe un deciso intervento di terra tanto in Siria quanto in Libia e altrove. Tutti lo escludono, la destra (Salvini) quanto la sinistra. Oltre l’80% degli italiani è contrario.
Invece che pensare al tempo libero, al benessere personale, alla dieta e alla Juve che mercoledì sera gioca in Champion, torniamo a figliare. Impugniamo le armi e rischiamo la vita per difendere i confini della Patria. Alzi la mano chi è disposto a farlo; a passare dalle parole, dai proclami, ai fatti.
Venerdì sera ho moderato un convegno dedicato ad Oriana Fallaci. Gran parte di ciò che ha scritto dopo l’11 Settembre si è avverato; ogni giorno siamo sempre più Eurabia. Alcuni (molti) la ascoltavano e condividevano la sua profezia; nessuno però ha agito di conseguenza.
D’altronde anche la profetessa per eccellenza, Cassandra, ammoniva in tutti i modi i troiani e non portare dentro alle mure il cavallo di legno. Sappiamo come è andata a finire…
Conoscere e ricordare la storia aiuta a capire cosa è successo e perchè; non ad evitare che si ripeta. Chi e come li ferma i barconi di legno che approdano sulle coste della nostra Troia?…
Il declino dell’Impero romano inizia quando i romani smettono di fare figli e di difendere i confini in prima persona. Si dedicano agli ozi, alle cene di Trimalcione, filosofeggiano; si illudono che siano i barbari e difendere i confini al posto loro. Noi pensiamo che siano gli immigrati a fare figli al posto nostro…
Tutte le grandi civiltà, i grandi imperi, alla fine implodono, più per un collasso interno che per attacchi esterni. Da Roma all’Impero sovietico. La storia ce lo ricorda, i profeti ci ammoniscono; nessuno ha mai trovato la ricetta capace di evitare il tracollo.

I DUE PRODI ALLA GUERRA BENEDETTA

A Bologna ci sono due Prodi. In un certo senso anche prodi guerrieri nel difendere le proprie convinzioni, ma anzitutto nipoti di Romano: uno, don Matteo, è parroco; l’altro, Giovanni, presidente del consiglio d’istituto di una scuola.
Tra i due Prodi (guerrieri) è scoppiata la guerra sulla benedizione pasquale da fare a scuola (in orario extrascolastico). Uno la vuole, l’altro no. Penserete che sia il don a volerla e il prof. a negarla?
Troppo banale, troppo scontato; è l’esatto contrario: il sacerdote, don Matteo Prodi spiega al Corriere che piuttosto che alzare steccati è meglio “eliminare l’acqua santa e portare nelle scuole qualche ovetto di Pasqua”. Il prof. Giovanni Prodi rilancia invece la benedizione religiosa spiegando che “può diventare un momento di condivisione e apertura, un simbolo di pace e fratellanza”.
E’ un mondo alla rovescia (col prete più laico del laico) al quale dovremmo ormai essere abituati. Come alle pippe legate alla disputa sulla benedizione.
La benedizione, ripetiamo, era prevista in orario extrascolastico (chi vuole ci va, chi non vuole va a casa). Ma, pur sempre, entro le mura scolastiche. E così un comitato di genitori e professori si è rivolto al Tar per vietarla. E il Tar dell’Emilia ha dato loro ragione: niente acqua santa nelle scuole pubbliche!
Però si è mobilitato anche il Ministero dell’Istruzione, facendo notare al Consiglio di Stato che “non si può parlare di discriminazione, la libertà religiosa include la libertà di praticare e quella di non praticare”. Obiezione accolta dal Consiglio di Stato che ha sospeso la sentenza del Tar e sdoganato l’acqua benedetta.
Tutto questo lo scorso anno. Manca poco alla Pasqua 2016 e si profila un nuovo capitolo nella guerra tra i due Prodi.
Guerra che appassiona tutti i bolognesi e tutti gli italiani.

MIGRANTI NEL LIMBO, GUADAGNO CERTO

Il guadagno delle cooperative – e dei privati che mettono a disposizione case, residence, hotel per l’accoglienza – è certo finchè i migranti restano nel limbo. Nel limbo dei richiedenti asilo.
Tutti quelli arrivati e in arrivo (50 mila i nuovi posti per cui devono attivarsi le prefetture) richiedono, appunto, l’asilo.
Una volta appurato chi profugo non è, anche se resta, anche se non lo rimpatri, non ha più diritto di farsi mantenere. Ma – attenzione – non ne ha diritto nemmeno il profugo vero e accertato. L’obbligo per il Paese è di accoglierlo per un certo numero di anni, non più di mantenerlo: a quel punto il profugo deve (dovrebbe) provvedere a se stesso. Fine del business.
Fine rapidissima in quei Paesi – Germania, Francia – che ci mettono 20 giorni, un mese, ad operare la cernita tra i richiedenti asilo. Lentissima agonia del business qui da noi dove i mesi si accavallano agli anni e i famosi 35 euro al dì continuano ad essere erogati a tempo indeterminato.
Non voglio dire che le commissioni siano in torta con le coop ed i privati. Sono i soliti burocrati italiani: se alzano tre pratiche al giorno gli viene il crampo, il lavoro si fa usurante, ed è meglio andare in malattia…Per non parlare dei ricorsi in tribunale che solo nel nostro Paese sono contemplati.
Ma, grazie a queste procedure da lumaca, il meccanismo oggettivamente è in torta con le attese, e con i guadagni, delle cooperative (private) e dei singoli privati. Senza aggiungere che i controlli, anche solo sul numero reale dei presenti (non dico sulle prestazioni dichiarate) è letteralmente impossibile grazie alla “accoglienza diffusa” che richiederebbe uno stuolo di ispettori in forza ad ogni prefettura.
La cosa vomitevole è che il business non è mai ammesso. Solo al direttore della Caritas di Padova sfuggì dal sen che “l’arrivo dei migranti crea posti di lavoro”… Abitualmente si rivendicano gli slanci umanitari, lo strazio davanti a questi poveri disperati. Mentre sugli incassi, sui conti, si stende un velo.
Non voglio dire che non ci siano anche persone serie, disinteressate, mosse da autentico spirito cristiano. Ma è il sistema ad essere marcio. Affidando ai privati la gestione dell’accoglienza (unico Paese al mondo) abbiamo creato il presupposto perchè il privato possa speculare sulla pelle dei disperati. Un business tra i più vergognosi.

SIR ELTON AFFITTA L’UTERO A SANREMO

Non so se questa sera, ospite d’onore all’apertura del festival di Sanremo, Sir Elton John si limiterà a cantare o lancerà anche un appello a favore di nozze ed adozioni gay. Cantasse solo, resta comunque un simbolo di quei figli adottati e prima ottenuti con la pratica – vietata ed illegale nel nostro Paese – dell’utero in affitto.
Era il caso che la televisione di Stato, il servizio pubblico lo invitasse nella trasmissione Rai più seguita, mentre al Senato sta per partire il voto sulla Cirinnà, il cui articolo più controverso riguarda proprio le adozioni gay? Controverso al punto che perfino Beppe Grillo ha stabilito per i suoi la libertà di voto secondo coscienza? Direi proprio che non era il caso.
Non era il caso che la Rai si schierasse. Immaginiamo infatti il contrario: che a Sanremo fosse stato invitato un cantante o un attore cattolico tradizionalista alla Mel Gibson. Come con Sir Elton è insorta scandalizzata la destra, quelli del Family day; così con Mel sarebbe insorta la sinistra, le associazioni Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali e trans).
Che poi il risultato finale di questo schierarsi è tutto da vedere.
Invitando Elton John la Rai ha fatto un colpaccio in termini di ascolti (tutti incollati questa sera a vedere cosa combinerà). Ma gli effetti e i risultati del suo intervento, o della semplice presenza, sono da verificare.
Anche a prescindere da Sir Elton infatti dal festival, da Garko, dalle due soubrette trasuda una certa banale leggerezza: “ Se passa la Cirinnà – ha sorriso Virginia Raffaele – chiederò a Madalina Ghenea di sposarla!”
Non so a chi giovi questo Sanremo così gay freindly. Ho l’impressione (ovviamente sbagliata) che tanta opinione pubblica ne abbia, diciamo, le palle piene.
Sarà mica che tutto si traduca in un robusto spottone a favore di chi non vuole la Cirinnà?…

VIVA IL BURQA, PURCHE’ SE MAGNA

Quanto avvenuto in Campidoglio, le statue impacchettate col burqa in occasione delle visita del presidente iraniano Rouhani, ha origini lontane. Risalgono ad una celebre scritta comparsa tempo fa sui muri (a Napoli se non sbaglio) che diceva: “Viva la Francia, viva la Spagna! Purchè se magna…”
Frase che, meglio di qualunque altra, riassume la weltanschauung
di noi italiani che, come ci ricorda il nostro inno nazionale, “fummo da secoli calpesti, derisi” e, di conseguenza, abbiamo sviluppato l’arte della sopravvivenza, dell’adattamento; non certo della ribellione orgogliosa verso l’invasore. Basta che ci dia da mangiare, che ci lasci sopravvivere.
Nessuna meraviglia dunque se oggi siamo a “viva il burqa, purche se magna”. Purchè si possa fare qualche affaruccio con l’Iran di Rouhani.
Noi fummo da secoli calpesti. Cioè invasi, occupati, sottomessi dagli spagnoli, dai francesi, dai tedeschi e dagli austriaci. Lo siamo tutt’ora dagli americani che occupano militarmente il nostro Paese. Che problema c’è a sottometterci agli islamici, alla loro cultura, ai loro usi e costumi? L’importante è tirare a campare…O vogliamo immaginare una ribellione di massa in orgogliosa difesa della nostra arte, della Venere capitolina ignuda? Ma chi se ne frega: mettiamole pure il burqa!
Il mondo intero irride ora a quanto avvenuto martedì scorso in Campidoglio. Ma anche qui non c’è alcuna novità. E’ sempre l’Inno a ricordarci che noi fummo da secoli, non solo calpesti, ma anche derisi…
L’importante è evitare l’equivoco fatale di immaginarci per quello che non siamo: ci sono i popoli guerrieri, e quelli come noi italiani abili a sfangarla.
Ne è (fortunatamente) consapevole il ministro della difesa Pinotti che oggi dichiara: “in Libia sì, ma non da soli”. Possiamo andarci solo da ascari dei combattenti veri. Perche se pensiamo di poter noi italiani spezzare le reni all’Isis…
Ultima considerazione. Nessuna meraviglia nemmeno davanti allo scaricabarile su chi abbia ordinato di mettere il burqa alle statue. Anche questo è un costume tipico italiota: ovvio che nessuno né sapeva nulla, che nessuno è responsabile. D’altra parte è evidente chi è stato a dare l’ordine: Maometto.

DOBBIAMO CAMBIARE NOI, NON LORO

Nulla mi sembra indicativo del declino (inarrestabile) della civiltà occidentale, quanto la mancanza di determinazione nel difenderla.
Ci fosse, questa determinazione, si tradurrebbe nella convinzione di doverla imporre agli altri, agli stranieri che arrivano; convinzione che la nostra sia la più civile delle civiltà
Prevale invece la sottomissione, la tendenza cioè a credere – in nome del rispetto per le culture diverse – che dobbiamo cambiare noi, e non loro
Tanti gli esempi di questa propensione a sottometterci. Di fronte al dilagare dei predoni che rubano indisturbati nelle nostre case, non si agisce con condanne e pene esemplari, non si effettuano controlli serrati alla frontiera di Trieste per far cambiar loro strada e praterie dove colpire.
I poveri sindaci sono ridotti ad indire assemblee dove il comandate dei vigili e/o della stazione dei carabinieri spiega ai nostri cittadini come cambiare stile di vita per evitare i furti: nuove serrature, porte blindate e allarmi, rete con i vicini per un controllo preventivo. Siamo cambiati noi, viviamo nell’ossessione dei ladri.
Poi ci sono i quisling, i collaborazionisti degli invasori che predicano a noi: niente presepi, niente canti natalizi. Invece che predicare a loro il rispetto per ogni religione, il ripudio di ogni fede che istighi alla violenza.
Ma l’esempio più clamoroso è quello di Hanriette Rekker, il sindaco di Colonia. All’indomani delle violenze subite dalle sue concittadine da una torma di migranti arabi, non ha detto devono cambiare loro a bastonate per imparare il rispetto per le nostre donne.
La Rekker ha invece varato una sorta di catalogo antistupro spiegando che devono cambiare le donne tedesche. Che devono “non assumere in pubblico atteggiamenti che possano essere fraintesi da persone di altre culture”.
Non osa nemmeno riferirsi alla “cultura” islamica. Spiega in sostanza alle donne di Colonia che, se indossano il burqa, hanno buone possibilità di evitare lo stupro; se invece girano scosciate e scollate sono loro che provocano gli islamici, che li istigano a violentarle…
Esempio estremo di dove arriva la follia della sottomissione.