Non sarà la luce in fondo al tunnel, sarà un lucignolo; una ripresina e non la ripresa. Ma c’è. E, se abbiamo quantomeno iniziato ad uscire dalla crisi, è perché sono ripresi i consumi interni. Esigenza prioritaria invocata da tutti gli economisti.
Per consumare devi poterlo fare; cioè avere quante più opportunità possibili di acquistare. Invece – tipico paradosso italiano – ripartono i consumi e subito parte la controriforma delle botteghe.
Uno dei pochi buoni provvedimento del governo Monti era stata la liberalizzazione degli orari. Che, come dice il nome, sono diventati liberi e non coatti: chi vuole tiene aperto, chi non vuole chiude. Il che pone fine in partenza alla discussione se sia vantaggioso o meno per gli imprenditori del commercio: chi pensa di guadagnarci apre, chi è convinto di perderci chiude. Stop.
Ovvio che i dipendenti devono adeguarsi. Lo fanno persino i dipendenti privilegiati, come noi giornalisti, che accettiamo sia turni serali che festivi. Come tante altre categorie che non sto nemmeno ad elencare. Varrà anche per le commesse o no?
La controriforma. Parlamentari di 5 Stelle, Pd e Forza Italia hanno firmato un disegno di legge che impone la chiusura forzata in dodici giorni festivi. Sono le feste principali, quelle che vedono il pienone nei centri commerciali.
Secondo alcuni calcoli (Confimprese) queste giornate valgono il 4% del fatturato annuo. Commesse e commessi sono così benestanti da poter rinunciare al 30% delle retribuzione festiva?
La controriforma piace alla Chiesa e ai sindacati.
La prima nutre la pia illusione che, chiusi i centri commerciali, la folla si riversi nelle chiese. Negli anni ’60 gli stadi di calcio, allora strapieni, erano ritenuti responsabili dell’inizio del calo delle presenze alla messa. Poi gli stadi si sono svuotati, senza per questo riempire le chiese sempre più deserte…
Quanto ai sindacati il loro compito è far guadagnare i lavoratori, vigilando che la festa venga corrisposto il 30% in più, o è quello di farli lavorare meno possibile?
Ma la vera follia è la controriforma: ripartono i consumi, le botteghe devono chiudere. Follia made in Italy.
AD ANGELA RISPUNTANO I BAFFETTI
Per anni è stato un luogo comune rappresentare Angela Merkel con i baffetti alla Hitler: un dittatore che vuole imporci le sue dure regole. Improvvisamente, con la dichiarazione di essere pronta ad ospitare 500 mila profughi, è diventata l’emblema della democrazia accogliente e umanitaria. Da Nobel della pace.
Senonché, di fronte alla fiumana che irrompe incontrollata in Germania, Angela chiude i confini con l’Austria. Le sono rispuntati i baffetti?
Bisogna organizzarsi, capire come gestire l’accoglienza, dove dislocarli (nei lager?…), valutare l’impatto sociale. La Germania ci prova, ma fatica a riuscirci. Noi nemmeno ci proviamo, convinti che basta scopare la montagna di polvere sotto il tappeto.
Ha ragione il leader della Lega Matteo Salvini quando dice che stiamo facendo quello che ha chiamato “il risiko degli idioti”: come se tutto il problema fosse spostare chi arriva dalle caserme agli hotel, dalle parrocchie alle case private. E via da capo in un continuo gioco dell’Oca.
Ignorando il punto cruciale: sappiamo distinguere i profughi veri dai clandestini? E di profughi veri quanti possiamo accoglierne?
Ha torto invece Salvini quando sostiene che la soluzione è “aiutarli a casa loro”.
Facile a dirsi. Ma con quali risorse? Pensiamo che basti donare un euro da cellulare o due da telefono fisso? Dove troviamo le enormi risorse necessarie? Risorse – direbbe lo stesso Salvini – che non abbiamo neppure per aiutare i tanti italiani in difficoltà…
E poi, anche ammesso di trovarle, che fine farebbero le risorse destinate a Paesi dilaniati dalla guerra del Califfato?…
E, anche i Paesi africani che in guerra non sono, hanno dei governi seri, una classe dirigente che garantisca l’utilizzo degli aiuti a vantaggio della popolazione? O finiremmo solo per alimentare la corruzione e le contese tribali?
Varrà qualcosa il piccolo esempio italiano: il fiume di denaro che destiniamo all’Alto Adige è un fiume, di cui però vediamo i frutti; mentre quello inviato da decenni al Sud semplicemente scompare. Se disseta, disseta le mafie.
Secondo voi i Paesi africani da cui arrivano i migranti sono più simili all’Alto Adige o alla Sicilia?…
RICORDATE I DIECI COMANDAMENTI?
La rincorsa (disperata?) di Papa Francesco alle esigenze della società moderna lo ha indotto, da ultimo, a varare l’annullamento lampo del matrimonio in risposta al divorzio breve.
Ma mi domando come sia possibile per una donna e un uomo dell’Occidente – fondato sul diritto alle libertà individuali – professarsi ed essere cattolico nei comportamenti quotidiani, con tutti i divieti e e le prescrizioni che la religione comporta.
Base di partenza i dieci comandamenti che scarico a ricordo vostro e mio:
Io sono il Signore Dio Tuo:
Non avrai altro Dio fuori di me
Non nominare il nome di Dio invano
Ricordati di santificare le feste
Onora il Padre e la Madre
Non uccidere
Non commettere atti impuri
Non rubare
Non dire falsa testimonianza
Non desiderare la donna d’altri
Non desiderare la roba d’altri
Già il divieto di avere un altro Dio, limita la libertà di scegliersi quello (eventualmente) gradito. Ma le difficoltà vere stanno per iniziare.
Le feste direi che tendiamo a santificarle più al mare, ai monti e ai centri commerciali o allo stadio, che in chiesa.
Il padre e la madre li onorano in Sicilia. Pochissime le badanti, ed un autentico disonore per i figli liberarsi dei genitori anziani mettendoli in casa di riposo: se ne fa carico la famiglia allargata.
Chi di noi è disposto a sacrificare ferie, tempo libero, partita a tennis, per tenerseli in casa e essere pronto ad onorarli cambiando loro il pannolone?
Non uccidere. Già: speriamo che i predoni rispettino il comandamento; e che si accontentino di derubarci.
Quanto agli atti impuri, Viagra (ora pure femminile) per commetterne il più possibile, anche nella terza età.
Non rubare. Se vivo il “disagio sociale” sono autorizzato a farlo. E giustificato.
I sondaggi sono ormai inattendibili, perchè perfino qui diamo “falsa testimonianza”.
Alzi la mano chi, attratto da una collega o un collega di lavoro, si è bloccato ricordando l’obbligo di “non desiderare la donna (o l’uomo) d’altri”…
Quanto al desiderio della roba d’altri, soddisfarlo è la prima spinta ai consumi.
E qui si ferma la rincorsa di Papa Francesco.
La contraddizione sembra insanabile: i fedeli credono che la vita gliela abbia data Dio, e che Lui solo possa garantire loro la salvezza se rispettano i suoi comandamenti. Gli altri pensano che la vita appartenga a loro, e che la “salvezza” la garantiscono le diete, il footing e la prevenzione.
La conclusione è di Marcello Pera: “Se respinge la modernità la Chiesa trova sempre meno interlocutori; se accetta il dialogo con la modernità incontra sempre meno credenti”.
ITALIA E EUROPA SENZA CONFINI
Un tempo c’erano i confini della Patria. Sacri ed inviolabili, da difendere ad ogni costo. Per noi, per l’Italia, i confini inviolabili sono sempre esistiti solo a parole; mai nei fatti.
Adesso – sull’onda emotiva della foto dal bimbo siriano morto – i confini li ha aperti anche la Germania di Angela Merkel. Aperti ai rifugiati veri, come sono i siriani in fuga dall’Isis. Non anche ai clandestini come facciamo noi. Differenza essenziale, che non possiamo fingere di ignorare.
Accogliere chi scappa dalla guerra e dalle persecuzioni è un dovere imprescindibile. Anche perchè la storia dimostra che non c’è muro che tenga né che riesca a fermarli.
Ma, proprio perchè è un dovere, va attuato fino in fondo; oltre la semplice accoglienza.
Quindi ci vuole anche l’integrazione autentica nelle libertà, nei diritti, nelle opportunità dell’Occidente. Non può cioè esserci spazio per chi fanatico sanguinario è, e tale pretende di restare.
Bisogna inoltre avere il coraggio di combattere e sconfiggere chi li mette in fuga dal loro Paese. Galli della Loggia accosta la foto del bimbo siriano a quella del bimbo ebreo che, nel ghetto di Varsavia in fiamme, alza le mani in segno di resa ai soldati nazisti.
Non bastò allora che gli ebrei, in fuga dai Paesi che Hitler conquistava, si rifugiassero in Svizzera piuttosto che negli Stati Uniti. La soluzione fu sconfiggere e distruggere il nazismo. La soluzione oggi è (sarebbe) sconfiggere e distruggere il Califfato.
Soluzione ardua, che costerebbe lacrime e sangue, ma unica e vera soluzione.
Non basta certo cancellare i confini dell’Europa, aprire le frontiere ai disperati. Non basta per due motivi. Primo: più ne accogli più, fatalmente, ne arrivano. Secondo: esiste un limite all’accoglienza. Oltrepassato il quale ( un milione, due, tre milioni in tutta Europa?) sono garantiti il caos e i conflitti sociali. Nessuna integrazione è più attuabile.
INSEGNANTI E MIGRANTI “DEPORTATI”
Perchè decine di migliaia di giovani italiani (volonterosi) vanno a Londra? Perchè in Gran Bretagna c’è lavoro (grazie al tanto deprecato liberismo…). Perchè quindicimila insegnanti precari, oggi stabilizzati, dovrebbero trasferirsi dal Sud al Nord? Perchè gli studenti e quindi le cattedre disponibili sono al Nord.
Ma parecchi di loro rifiutano, parlano di “deportazione”, non vogliono uscire nemmeno dalla provincia dove vivono. Perfettamente in linea, va osservato, con quella “mobilità con limitazione geografica” introdotta dal governo Renzi per il pubblico impiego: obbligo di spostarsi, ma entro il raggio di 50 chilometri.
Non che il rifiuto della “deportazione” riguardi solo gli insegnati e il pubblico impiego in genere. Il giornalista Mario Sechi tira in ballo la nostra categoria, noi scribacchini che abbiamo allegramente sdoganato questo termine tanto roboante quanto assurdo; e Sechi afferma: “ c’è una sintonia storica tra chi scrive articoli e chi detta compiti in classe: provate a trasferire un giornalista, non dico dalla sede, ma dalla sua scrivania…”
La caduta verticale del buon senso ci ha fatto perdere una considerazione elementare, un dato di realtà: si trova lavoro dove il lavoro c’è. Non dove non c’è.
In caso contrario la “deportazione” va impedita per tutti. Non solo per gli insegnati del Sud. Anche per nostri giovani che vanno a cercare lavoro all’estero. Anche per i milioni di migranti che il lavoro vengono a cercarlo (in Europa, più che in Italia).
Valesse per i migranti ciò che pretendono certi insegnati meridionali, sarebbe compito e dovere degli Stati africani e asiatici garantire loro un lavoro stabile a casa propria, massimo a 50 chilometri da dove sono nati.
Mica siamo nazisti, mica accettiamo di favorire la loro deportazione…(che Galantino sia un Kapò?).
CI MANCAVA IL PRETE PACIFISTA
Se ne sentiva il bisogno. Mancava proprio il prete pacifista che censura la preghiera degli alpini perchè “guerrafondaia”.
E’ successo al passa di San Boldo, confine tra la provincia di Treviso e Belluno, dove ad ogni Ferragosto (festa dell’Assunta) gli alpini si ritrovano a celebrare la messa in una chiesetta da loro costruita.
Quest’anno il sacerdote, inviato dalla diocesi di Vittorio Veneto, si è rifiutato di far recitare in chiesa la preghiera degli alpini. Questi i versi incriminati: “Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la civiltà cristiana”.
Versi scritti 80 anni fa, ma mai come oggi attuali. Oggi che quotidianamente i cristiani vengono massacrati in tanti Paesi dell’Africa e dell’Asia. Oggi che la civiltà cristiana è minacciata come non accadeva dal tempo dei turchi sotto le mura di Vienna.
Immagino che il pretonzolo sia pronto a censurare anche l’Inno di Mameli. Ma come si fa a cantare “Siam pronti alla morte, l’Italia chiamo!”? Probabilmente deve aver ispirato lui la variante puerile sentita all’inaugurazione dell’Expò: “Siam pronti alla vita, siam pronti alla vita, l’Italia chiamo!”…
Da notare che gli alpini dimostrano una fedeltà alla celebrazione liturgica, ormai molto rara: non c’è manifestazione o raduno che non si apra con la messa.
Ma di questo al pretonzolo poco importa. Importa mostrasi fighetto indossando le sacre vesti pacifiste.
Non c’è dubbio che oggi il problema assillante sia questa preghiera degli alpini così guerrafondaia: va contrastata con gesti altamente simbolici.
Di fronte al prete pacifista non resta che pregare: “Signore, rendi forti le nostre natiche…”
IL VANGELO NON E’ LEGGE DELLO STATO
Arridatece Alcide De Gasperi che, da cattolico autentico e convinto, quando il Papa era il Papa (non uno arrivato dalla fine del mondo), ingaggiò una durissima battaglia con Pio XII per rivendicare la laicità del suo governo; rifiutandosi di essere l’ascaro del Vaticano.
Oggi invece il boy scout tace e incassa in silenzio le accuse che arrivano al suo governo dal Galantino e dai vescovi (quelli veneti compresi) di non far nulla per i migranti, di abbandonarli a loro stessi, invece che impegnarsi per integrarli nella società italiana, come recita il Vangelo.
Fermo restando che, se Nunzio Galantino fosse un prete, saprebbe qual’è il primo compito di un prete per favorire una vera integrazione nell’Occidente cristiano: impegnarsi a convertire i musulmani al cattolicesimo.
Fermo restando, la questione è un’altra. Ed è decisiva. Per ribadire il dovere dell’accoglienza i nostri vescovi continuano a citare il Vangelo. Perfetto. Peccato che il Vangelo non sia legge dello Stato italiano.
Piccolo dettaglio che ci distingue dagli stati in cui vige la Sharia. Nelle cosiddette repubbliche islamiche, dove vige la Sharia appunto, il Corano è legge dello stato. I reati penali sono stabiliti come violazione di quanto scritto nei sacri testi.
Sarebbe il caso che Renzi e Gentiloni, se non avessero il cervello e la dignità in ferie, ricordassero questo piccolo dettaglio al Vaticano; ribadendolo a beneficio di tutti gli italiani eventualmente distratti. Siamo, dovremmo essere, un Paese laico che tollera e rispetta tutte le religioni, ma che non trasforma leggi e dettami religiosi in leggi civili.
Quindi, quanto scritto nel Vangelo, sono tenuti a rispettarlo i preti per primi. Non i nostri governanti.
Preti che magari, come scrive oggi in prima pagina il Messaggero , dovrebbero evitare di avere solo a Roma “ 10 mila posti letto gestiti dalla Chiesa: resort per turisti”. Che rinuncino ai lauti guadagni e accolgano i migranti. Come impone il Vangelo che definisce il denaro “sterco di Satana”
Quanto alla sinistra-sinistra che per decenni ha denunciato le “ingerenze del Vaticano” oggi dov’è? Tutti in ferie a Capalbio?
IL TRAVET DELLA CEI E I PIAZZISTI
Ne galante né Galantino questo travèt della Cei, questo semisconosciuto segretario generale dei vescovi italiani che non esita a definire alcuni nostri leader politici ( Salvini e Grillo) dei “piazzisti da quattro soldi”
Lo siano o meno, la questione è un’altra: in quale Paese la Chiesa cattolica si è mai permessa di apostrofare così i leader politici? In nessun Paese, solo nell’Italia che evidentemente considera la sua colonia.
Nemmeno i nostri padroni e signori, gli statunitensi, hanno mai osato usare questi toni nei confronti dei loro ascari italiani…
L’unica risposta adeguata sarebbe una nuova Breccia di Porta Pia, con tanto di decreto d’espulsione e trasferimento del Vaticano nei campi profughi della Giordania. Che là – garantisce il Galantino – sono tanto più accoglienti di noi.
VOJA DE LAVORAR SALTIME DOSO!
Lo dicevano già tanti anni fa gli amici veneziani: voja de lavorar saltime doso! E il fenomeno si diffonde sempre più…
Proprio perché siamo subissati dai dati drammatici sulla disoccupazione giovanile, è tanto più inquietante l’altra faccia della medaglia: giovani che rifiutano il lavoro che viene loro offerto.
L’ultimo esempio lo ha fornito, con una lettera-denuncia al Corriere del Veneto, l’imprenditore Riccardo Pavanato che opera nel settore della consulenza aziendale.
Cerca neo laureati, offre un impiego a tempo indeterminato, con uno stipendio d’ingresso di 26 mila euro lordi l’anno; più auto, pc e telefono gratuiti. Li cerca ma non li trova.
Ha fornito anche una spiegazione convincente del perchè la voglia di lavorare non “salta adosso” a tanti giovani: perchè – dice – hanno il timore di mettersi in gioco.
Già, comprensibile che abbiano questo timore. Chi mai infatti li ha educati a mettersi in gioco? Non certo noi genitori che serviamo loro la pappa fatta: paghetta, soldi per le vacanze, trattamento da enfant gaté. Naturale che vogliano restare gaté, cioè viziati: accetto di lavorare ma non troppo, senza sporcarmi le mani e con la garanzia di una retribuzione che mi consenta, appunto, i vizietti cui mi ha abituato papà.
Certo non li educano a mettersi in gioco insegnati che rifiutano loro per primi di mettersi in gioco: niente merito, niente stipendi legati ai risultati, niente test Invalsi che scoprirebbero “le vergogne” dell’insegnamento mancato.
Ma il punto cruciale è la cultura del posto di lavoro fisso. Lasciamo perdere tutele e sussidi, che dovrebbero essere rimodulati dando garanzie ma anche stimoli. Sotto il profilo psicologico è devastante: ho il posto fisso e quindi posso sedermi; posso scalare le marce in attesa che arrivino gli scattini di anzianità, i premi di produzione distribuiti anche agli improduttivi, la pensione.
Mettermi in gioco, provare a migliorarmi? E perchè mai se ho già quel che mi serve a sopravvivere?
L’ex ministro dell’economia, Padoa Schioppa, questi giovani li definì “bamboccioni”. Giusto. Ma non si riproducono per auto inseminazione. Noi li abbiamo creati, noi siamo i responsabili se la voja de lavorar non salta loro addosso.
DISCOTECHE, PISTE DA (S)BALLO
Le discoteche, tutte le discoteche, non solo il Cocoricò di Rimini,
sono diventate piste, non da ballo, ma da sballo. Ne chiudi una, come successo appunto a Rimini dopo l’ennesimo giovane morto. Le chiudi tutte? Semplicemente lo spaccio di droga si sposta altrove.
Dove? Nelle scuole, fuori e anche dentro tantissime scuole. Che facciamo? Chiudiamo anche le scuole per prevenire lo sballo che può diventare mortale?
Mauro Maria Marino, senatore del Pd , ha raccontato a Repubblica che, mentre faceva jogging nel suo quartiere a Torino, in sole tre vie ha contato ben 35 pusher! Lo stesso conteggio, conteggio simile a quello che potremmo fare nelle vie e nelle piazze delle nostre città. L’arresto di spacciatori a Verona, a Padova e Vicenza è ormai ridotto a poche righe sui quotidiani. Tanto quotidiano e diffuso da non fare più notizia. Come non fa notizia il loro pronto rilascio.
Che facciamo? Chiudiamo anche tutte le città, oltre alle discoteche e alle scuole? Mettiamo ragazzi e ragazze (e persone di tutte le età) in clausura?
Le soluzioni (o le toppe) possibili sono due.
Una molto complicata: convincere i tanti giovani che rischiano lo sballo o il coma etilico a non assumere droghe e non bere smodatamente.
Si tratta di rimuovere motivazioni profonde che li spingono a questa fuga dalla realtà. Dare loro alternative. Entrano in gioco l’educazione, le famiglie, la capacità di persuadere i giovani ad apprezzare la vita, a trovare stimoli migliori della droga. Vaste programme, come diceva De Gaulle ironizzando sui progetti pretenziosi e utopistici…
Resta l’alternativa. Non certo liberalizzare le droghe, che più libere di così è impossibile; ma, come hanno sempre spiegato i radicali, regolare l’uso delle droghe. Come? Facendole diventare un monopolio statale.
Che sia lo Stato a vendere droga, tutte le droghe non solo le cosiddette leggere, eliminando così i traffici criminali e garantendo miscele che – quantomeno – non siano letali per chi le assume.
Capisco che scandalizzi l’idea che lo Stato diventi spacciatore di droga. Ricordiamoci però che lo Stato è già spacciatore di alcol e fumo, che provocano molti più morti della droga.
In ogni caso mi sembra l’unica soluzione in grado – non certo di eliminare il problema – ma di limitare danni. Chiudere il Cocoricò per quattro mesi, sicuramente serve a nulla.