Non è sorprendente, ma conseguente, che i primi ad esultare per la vittoria in Grecia della sinistra di Alexis Tsipras siano stati i leader della destra europea: da Marine Le Pen a Matteo Salvini.
Il quale Tsipras si è già alleato con la destra nazionalista greca di Anel che è anti euro.
La discriminante infatti non è più tra destra e sinistra, ma tra Europa sì Europa no, tra austerità sì o no.
(Tant’è che da noi, contro il rigore della riforma delle pensioni, Salvini ha raccolto le firme assieme alla Camusso)
Ora non c’è dubbio che questa unità europea non funziona perchè pretende di imporre a tutti lo stesso stampino, le stesse regole. Un po’ come se non servisse più avere allenatori per le singole squadre di calcio e bastasse il mister universale che impone il modulo 4-3-3; e tutti ottengono i risultati migliori.
Così ragione e si è mossa la Ue, Angela Merkel
Invece l’allenatore è indispensabile perchè deve capire e saper “governare” la rosa di calciatori a seconda delle loro caratteristiche. E, se è bravo, sa scegliere il modulo più adatto per la sua squadra. Altrettanto i governanti che devono conoscere vizi, virtù e peculiarità dei loro cittadini e del loro Paese.
Già è una follia pensare di governare l’Italia con lo stesso modulo dalle Alpi a Pantelleria. Figurarsi l’Europa dalla Danimarca a Malta…
Dopo di che l’Europa non può diventare l’alibi universale, la causa di tutti i mali. La Grecia era già sull’orlo del fallimento perchè i barbieri andavano in pensione a 50 anni (usavano la tintura per capelli, prodotto “usurante”…), cioè perchè aveva un welfare insostenibile. E non glielo aveva certo imposto la Merkel…Adesso Alexix Tsipras pensa di risollevare il suo Paese tornando a spendere, ad accumulare debito pubblico, rifiutando il rigore, l’austerità della Troika.
Anche noi diciamo, anche Renzi dice, che l’austerità ha fallito, che dobbiamo allentare i vincoli. Andrea Mingardi su La Stampa ha scritto che, per poter dire che l’austerità ha fallito; “prima avremmo dovuto sperimentarla”!
E già. Austerità significa taglio della spesa pubblica. Noi non l’abbiamo mai tagliata, anzi è aumentata di anno in anno compreso il 2014. E, per non tagliare la spesa, abbiamo continuato ad aumentare le tasse. Sarebbe questa la ricetta che ci ha imposto la Troika? O è la nostra scelta per non intaccare elargizioni varie e politiche clientelari?
Distinguiamo le responsabilità Ue, che certamente ci sono, dai comodi alibi ad uso interno.
LO SMACCHIATORE VERSO IL COLLE
Se avete voglia, facciamo anche noi il gioco del momento: il toto Quirinale. Facciamolo senza scambiare i desideri con la realtà, cioè provando a ragione sul nome che potrebbe raggiungere la maggioranza dei 1009 grandi elettori.
Un telespettatore l’altro giorno proponeva Gianfranco Fini. Suo desiderio lecito e pio, ma non c’è una possibilità su un miliardo che lo votino.
Il problema dei problemi è tenere unita la massa centrale della possibile maggioranza, cioè il Pd che di grandi elettori ne ha più di 450. A quel punto le truppe di complemento per arrivare a 505 diventano uno scoglio superabile.
Il nome che, più di tutti gli altri, può riuscirci credo sia quello di Pierluigi Bersani. Che lo voti la minoranza (sua) è scontato. Ma anche Renzi ha tutto l’interesse a farlo per ricompattare il partito, per porre fine alla guerriglia permanente nei suoi gruppi parlamentari.
Per Renzi il problema non è certo Pippo Civati, cavallo pazzo e pressochè solitario. La guerriglia fin qui gli è arrivata dalle truppe bersaniane, pur sempre ben organizzate.
Partendo da 450 basta un pezzo di Forza Italia. Ho l’impressione – dopo aver letto le dichiarazioni di Confalonieri al Corriere – che Berlusconi non abbia difficoltà a votarlo. E può fregarsene della fronda di Fitto. Gli basta mezzo battaglione azzurro.
Si rifiutasse di farlo il Cavaliere, darebbe un motivo i più a Grillo, o ad ampi spezzoni delle sparpagliate e disperse truppe pentastellate, per subentrare. (Non dimentichiamo che Bersani aveva aperto al dialogo con loro).
Magari sbaglio per la simpatia che mi ispira questo emiliano, spiritoso e di buon senso. Capace perfino di starsene al Quirinale defilato. Ma in questo momento mi sembra che nessuno possa raccogliere più consensi tra i grandi elettori di Pierluigi Bersani, già smacchiatore (fallito) del giaguaro. Che anche i suoi recenti fallimenti politici diventano un gradino in più verso il Colle…
RE GIORGIO E NOI
Nel giorno dell’abdicazione di Re Giorgio personalmente mi inchino al Ratzinger della nostra politica che, come il Papa emerito, ha saputo comprendere i limiti imposti dall’età e dall’energia residua (Tanto per dirne tre, Pertini, Ciampi e Scalfaro erano pronti al “sacrificio” di un intero secondo settennato)
Napolitano penso sia stato il miglior presidente possibile. Non il migliore in assoluto, ma il migliore tra ciò che offriva il mercato non proprio eccelso della politica italiana.
Ha cercato di essere il presidente di tutti gli italiani, cioè di metterli d’accordo in nome dell’interesse nazionale. Impresa ardua (impossibile) nel Paese dei Guelfi e Ghibellini, dei Montecchi e Capuleti riottosi a capire che bisogna smetterla di litigare come galli nel pollaio, almeno quando si attraversa una crisi epocale.
Da uomo di cultura ha commesso l’errore di credere nella cultura bocconiana del prof. Mario Monti, economista molto stimato quanto rivelatosi inetto come premier. Ma nessuno è perfetto, nemmeno Re Giorgio.
Migliore comunque, Napolitano, di noi cittadini elettori.
Mi vengono i brividi quanto sento parlare di un presidente eletto direttamente dai cittadini. Gli stessi cittadini elettori che – uno su tre – appena ieri (Aprile 2013) si sono fatti sedurre da un comico a colpi di vaffa…Un Grillo che non ha mai dimostrato di saper governare nemmeno una pro loco.
Come far riparare l’auto da un meccanico che non sa nemmeno se il motore è nel cofano davanti o nel bagagliaio dietro, ma che espone in officina calendari molto seducenti.
L’esempio è sempre quello: se sono nelle mani di un medico scadente, cercherò un medico più competente. O mi faccio curare da un giornalista bravo a scrivere o da un prete bravo a predicare?
Anche Giorgio Napolitano, ovviamente, può essere criticato da ognuno di noi. Ma prima non guasterebbe un’occhiatina allo specchio.
NOI PECCATORI, LORO FEDELI
La vera differenza tra noi e loro è che noi (in gran parte) siamo peccatori, mentre loro, gli islamici, in gran parte no: loro sono fedeli ai duri dettami della propria fede. (Se vogliamo non c’è fede vera senza fondamentalismo).
Noi, peccatori della nostra fede, possiamo negare l’esistenza di Dio, irriderlo, perfino bestemmiarlo. Possiamo dire che la celebre frase di Marx è una fotografia perfetta: “La religione (tutte le religioni) è l’oppio dei popoli”, utile ad ottenebrare le menti per mantenere le persone in una situazione servile, evitando lo scatenamento delle libertà e delle ambizioni individuali.
Per noi la fede è ridotta ad un optional che comunque non può incidere sulle libertà e sui diritti. Per loro no, è il cardine che regola la vita, è la sharia.
In questo senso è molto ambigua l’identificazione di un “Islam moderato” in coloro che, pur condannando il terrorismo, ribadiscono che le vignette satiriche su Maometto non si devono fare; cioè continuano a rifiutare le libertà e la cultura occidentali, anche se formalmente rispettano le nostre leggi.
I terroristi, i fratelli Kouachi, sono tragicamente coerenti: va distrutto un Occidente che, nella sua prassi quotidiana, mina i fondamenti della purezza della fede islamica. (Anche i cristiani quando erano teocratici, fondamentalisti, prevedevano un unica alternativa: o la conversione o la morte)
Ci sono due possibilità. Una evocata da Piero Ostellino: il ruolo della donna che, con la libertà conquistata, ha stravolto la nostra società. Potrebbero, le donne, fare lo stesso nel mondo islamico. L’altra, evocata dal filosofo Severino, è la scienza, la tecnologia, che ha profondamente modificato il nostro modo di vivere e potrebbe farlo anche con i musulmani. Perchè il progredire della scienza riduce il terreno della fede. (Dio è tutto ciò che non è scienza).
Ma sono ipotesi di prospettiva. Il presente è inquietante: al di là delle grandi manifestazioni, non si vede infatti una strategia per combattere il terrorismo nei nostri Paesi e nei loro Paesi che lo foraggiano coi petrodollari. (Non c’è solo il Califfato…)
Per tanto restiamo in attesa del prossimo attacco.
TUTTI FRANCESI O TUTTI TERRORISTI
Tornano gli attentati islamici e torna la nostra risposta banale: dopo l’11 settembre eravamo a dichiararci “tutti americani”, oggi siamo a dirci “tutti francesi”.
Domandiamoci invece se non siamo tutti terroristi. Non solo perchè – continuando a pagare il riscatto per gli italiani sequestrati – il terrorismo islamico di fatto lo finanziamo: ogni nostro connazionale che operi in certi Paesi e divenuto una sorta di bancomat a disposizione dell’Isis per l’incasso.
Ma, soprattutto, per l’auto-terrorismo sempre più diffuso: sono i nostri comportamenti, un certo modo di pensare, che distruggono i cardini della nostra civiltà, della civiltà occidentale, liberale e democratica, molto più e molto prima delle bombe o delle raffiche di mitra dei terroristi islamici.
Non sono tanto i quattro stronzetti del politicamente corretto, quelli che non vogliono i presepi nelle scuole per un presunto rispetto della religione islamica (come se il problema non fosse inverso: la loro totale mancanza di rispetto per la nostra religione…)
E’ un sentire comune e diffuso che porta alla Sottomissione (all’Islam) profetizzata da Houellebecq nel suo ultimo romanzo. I famosi valori dell’Illuminismo, primo tra tutti la libertà e la tolleranza, sono stati sbandierati (più che praticati) solo delle élite. Il popolo, il nostro popolo, al massimo ne ha sentito parlare. La libertà fa paura, crea angoscia. Specie agli uomini la libertà delle donne. Non crediamo più in quei valori o, forse, non ci abbiamo mai creduto.
Nei secoli dei secoli, e fino a ieri, il nostro popolo ha preferito alla libertà la guida imposta dai ferrei dettami della nostra religione. Quel vecchio cattolicesimo che tutto era fuorchè tollerante.
Mio nonno trovava sconveniente che mia nonna uscisse di casa: la spesa andava a farla lui, lei poteva andare solo in chiesa col velo in testa tra i banchi riservati alle donne. Oggi lo definiremmo un patriarca islamico, ma non era certo l’eccezione: erano così tutti gli uomini del nostro Veneto profondo.
Oggi nessuno osa dirlo, ma a tanti uomini non sarebbe sgradita una condanna della donna che si permette di guidare l’auto come accade nell’Arabia islamico-moderata…
I primi terroristi siamo noi che per anni abbiamo aperto le frontiere a tutti, a centinaia di migliaia di persone: senza alcun controllo né selezione, senza sapere chi fossero, cosa venissero a fare e dove andassero a finire. Limitandoci a chiamarli tutti “profughi” che andavano accolti per un malinteso umanesimo, divenuto oltraggio all’umanità dei nostri cittadini che hanno subito ogni genere di conseguenza.
E oggi, oggi che è scattato l’allarme terrorismo, siamo a chiedere l’accesso alle liste di volo. Non fosse da piangere ci sarebbe da ridere: facciamo finta di chiudere le porte dopo che tutti i buoi sono già entrati nella stalla italiana.
APARTHEID ALL’ITALIANA
In Sudafrica non c’è più, ma da noi resiste e si perpetua: l’apartheid all’italiana, la diversità di trattamento tra bianchi e negri, tra pubblici dipendenti e dipendenti privati.
I bianchi, ovviamente, non puoi licenziarli; nemmeno per gravi motivi disciplinari. Sono esclusi dal Jobs act. I negri invece adesso puoi. E dire che, se mai, aveva senso una apartheid all’incontrario: perchè sono i bianchi ad avere il più alto tasso di assenteismo, il rifiuto di ogni controllo di produttività, le ferie più lunghe e l’orario di lavoro più ridotto. Sono loro a non conoscere né cassa integrazione né perdita del posto di lavoro. (Trattamento riservato solo ai negri italiani)
Poi non tutti i bianchi sono uguali. L’apartheid all’italiana si mescola con le caste all’indiana: un conto è essere un comunale, un conto un magistrato; un conto un professore delle medie, un conto un docente universitario, un conto un medico di base convenzionato, un conto un medico ospedaliero.
Poi ci sono i finti mulatti, i bianchi col fumée al viso: i dipendenti di ex municipalizzate, e partecipate varie che, pur godendo dello stesso trattamento, non risultano essere pubblici dipendenti. Servono a taroccare i numeri, a fingere di non avere il più alto numero di “statali” al mondo.
Delle due l’una: o l’apartheid è prevista dalla Costituzione “più bella del mondo”, oppure questa diversità di trattamento è anticostituzionale.
I sindacati che vogliono avere un ruolo politico (significa farsi carico dei problemi generali), che pretendono la concertazione, di fronte alla diversità tra bianchi e negri chiudono gli occhi. Come dire che un segretario generale è superfluo. Bastano quelli di categoria per difendere i “diritti acquisiti” delle varie categorie di bianchi e negri
Matteo Renzi si vanta di aver voluto lui escludere i pubblici dipendenti dal nuovo Jobs act. Ma che coraggio! Che segnale di discontinuità! Il premier ha semplicemente proseguito sulla via seguita da tutti i suoi predecessori: l’apartheid all’italiana.
Magari sbagliando i calcoli del consenso: Perchè per quanti siano i bianchi italiani, i negri sono di più…
MALATTIA DELLA CHIESA E DEL PAESE
Papa Francesco ha usato parole così dure da lasciare allibiti i suoi interlocutori – vescovi, cardinali, alti prelati – ha parlato di “alzheimer spirituale”, “terrorismo delle chiacchiere”, “carrierismo”, “intrighi di potere”.
I media dicono che ha denunciato le 15 malattie o i 15 peccati della Curia. Il realtà la malattia è una sola: la burocrazia vaticana che gli impedisce di attuare le riforme e portare la Chiesa dove vorrebbe.
Lo stesso motivo per cui il suo predecessore, Papa Ratzinger, ha gettato la spugna: non riusciva a governare. Direzioni opposte: il Papa tedesco puntava sul rigore dottrinale, quello argentino sull’apertura al mondo. Ma nessuno dei due riesce a procedere. Burocrazia e intrighi bloccano tutto.
E dire che il Papa ha un potere assoluto: eletto a vita; nomina lui cardinali, vescovi, vertici della Curia. In poche parole è un dittatore. Ma capita che nemmeno i dittatori riescano a comandare. (Ricordate Mussolini? “Non è difficile, è inutile provare a governare gli italiani”…)
Se non riesce a governare la Chiesa il dittatore “arrivato dalla fine del mondo”, figurarsi se può governare il nostro Paese un qualunque povero presidente del consiglio! Che non ha neanche lontanamente i poteri di un Papa, che non può nominarsi i ministri né sciogliere le Camere; in balia non solo della burocrazia ministeriale, ma di tutte le varie corporazioni la cui parola d’ordine è una sola: nessuno ci tolga i privilegi acquisiti.
Malattia mille volte più grave di quella della Chiesa, malattia incurabile: se vuoi superare il bicameralismo perfetto è un “vulnus alla democrazia”, se parli di presidenzialismo è la “svolta autoritaria”.
Quando solo l’elezione diretta del capo del governo gli darebbe la forza di un consenso popolare che (forse) potrebbe servire a smuovere qualcosa. Non vogliamo nemmeno provarci? E allora teniamoci presidenti del consiglio devitalizzati: da Berlusconi a Prodi, da Letta a Renzi.
Il punto non è condividere o meno la direzione in cui avrebbero voluto portare il Paese. Il punto è capire che sono rimasti tutti fermi ai blocchi di partenza.
UNA GIUSTIZIA SEMPRE PIU’ ISLAMICA
In attesa che si avveri la profezia di Oriana Fallaci: Europa che diventa Eurabia con la strisciante e progressiva invasione islamica.
In attesa, con la nostra giustizia siamo già a buon punto: è sempre più islamica, nel senso che non viene amministrata nei tribunali ma nelle piazze reali e virtuali.
Emblematico il caso della madre accusata di aver ucciso il figlio. Tutto da provare. Ma mettiamo sia vero. Non credo occorra uno psichiatra per capire che ha enormi problemi mentali. O decidiamo che la pazzia non esiste, altrimenti quale pazzia è più manifesta di una madre che – dopo aver deciso di avere un figlio, averlo generato dentro di se, fatto nascere e cresciuto -improvvisamente lo ammazza? Serve un consulente per capire che siamo di fronte ad un “tumore mentale”?
Come per tutte le malattie dovrebbe esserci un minimo di rispetto. Invece il pm-muezzin sale sul minareto e annuncia alla folla: è colpevole, ho le prove, lo ha ucciso lei! E il circo mediatico fa da amplificatore aizzando la folla in tutte le piazze d’Italia.
Non produci solo il linciaggio mediatico (già infame prima di una condanna in tribunale), ma anche quello reale: la disgraziata è in carcere in isolamento perchè i detenuti al grido “assassina!” sono pronti a massacrarla.
Codici e leggi (ignorati) stabiliscono che le prove diventano o no tali solo in tribunale, dopo il dibattimento tra accusa e difesa. Esiste ancora da noi il diritto alla difesa? In certo mondo islamico sicuramente no: basta che il muezzin salga sul minareto ad aizzare la folla che procede ad eseguire la condanna in piazza. Il tribunale è superfluo. Anche da noi?
Roberto Giardina, corrispondente da Berlino di Italia Oggi, ha raccontato come si sarebbe comportata la stampa tedesca in un caso analogo: racconto dei fatti, dell’accusa, e solo le iniziali dell’accusata. Niente nome, niente foto, niente interviste ai parenti.
In Germania non si dice nemmeno chi conduce le indagini, tanto delicate da richiedere silenzio, circospezione, rispetto dei diritti dell’accusato. Altrochè pm-muezzin che ambiscono al palcoscenico di X-Factor.
Questa è la giustizia civile amministrata in un Paese civile. Noi siamo alla giustizia islamica; in attesa che si islamizzi anche il resto.
LA LEZIONE DEI 54 SIRIANI
54 profughi veri (giunti dalla Siria) appena sbarcati vengono smistati a Padova e trattenuti in questura perchè si rifiutano di farsi identificare. La normativa europea prevede infatti che, una volta identificati, devono restare nel Paese di prima accoglienza. Cioè qui.
Ma loro in Italia non vogliono restare, vogliono andare in Svezia e in altri luoghi del Nord Europa. Perchè? Perchè sono persone serie in cerca di un lavoro e di una nuova prospettiva di vita. Fossero delinquenti, nessun problema: dove delinquere con più certezza di impunità? Non avrebbero dubbi a farsi identificare e restare nella Bengodi del crimine con vitto e alloggio garantiti…
Sempre più numerosi gli italiani che vanno a cercare lavoro all’estero. Ieri sera il Tg2 raccontava che vanno perfino a Tirana, in Albania…Sempre più numerosi gli immigrati che tornano ad emigrare. Restano qui quelli che un lavoro ancora ce l’hanno (sempre di meno, come gli italiani). Resta sicuramente la feccia.
La vicenda dei 54 profughi siriani ci fa capire come siamo ridotti: un Paese che non ha futuro, incapace di creare opportunità di lavoro tanto per gli italiani quanto per gli stranieri.
Un Paese che tartassa, soffoca di norme e burocrazia, chiunque tenti di iniziare una qualunque attività. Se apri una partita Iva per prima cosa devi pagare; come staccare un biglietto per l’Inferno. Il risultato è che sempre più persone bussano ai servizi sociali dei comuni, vanno a mangiare alle mense della Caritas.
E intanto lo stesso governo che – giustamente – tenta di contrastare la corruzione aumentando le pene, ha deciso invece di depenalizzare i cosiddetti “reati minori”. E così i ladri, se prima avevano il dubbio (flebile) di poter essere perseguiti, adesso hanno la certezza dell’impunità.
Geniale strategia per tenerci stretta la feccia, lasciare gli italiani in balia dei ladri, e spingere le persone serie come i 54 siriani ad andarsene in Paesi seri.
( Li hanno trasferiti in un centro di accoglienza a Monselice, da dove scapperanno – se già non l’hanno fatto – per cercare di varcare i confini. In compenso il centro di accoglienza incasserà 40 euro al giorno per 54, per un po’ di mesi…)
CARITAS, 8 PER MILLE E ASTENSIONE
Il rapporto della Caritas dice che in quattro anni sono raddoppiate le richieste di aiuto per povertà. Per un terzo richieste di italiani. Comprensibile, con la crisi economica che incalza.
Domanda: chi deve dare una risposta, il privato l’associazionismo cattolico, oppure il pubblico, lo Stato e i comuni? Dipende dalle risorse. E qui entra in ballo la distribuzione dell’8 per mille. Strano meccanismo, per non dire truffaldino.
Immaginiamo di applicarlo altrove. Ad esempio alle elezioni. In Emilia sono andati alle urne meno del 38% degli aventi diritto, tra questi il Pd ha ottenuto una larga maggioranza. Applichiamo agli astenuti lo stesso meccanismo che vale per chi si astiene nell’indicare la destinazione dell’8 per mille: il Pd si beccherebbe automaticamente anche la larga maggioranza di chi non ha votato. Risolto il problema delle astensioni, ma tutti griderebbero allo scandalo. E non è uno scandalo che anche la larga maggiorana degli astenuti vedano versato il loro 8 per mille alla chiesa cattolica?
Ma c’è di più. Immaginiamo una competizione elettorale in cui solo uno dei due contendenti può fare campagna, può far conoscere i buoni motivi per cui votarlo. E l’altro se ne sta zitto zitto.
Succede esattamente così, con la Chiesa che inonda le televisioni di spot per illustrare le ottime ragioni per dare a lei l’8 per mille. Mentre il competitore, cioè lo Stato, ritiene di non aver alcun interesse a far cassa (in ballo ci sono circa un miliardo e mezzo di euro) informando e stimolando i cittadini a versare a lui quei soldi.
Tacito, inconfessabile, accordo con l’Oltre Tevere? Autolesionismo di uno Stato che poi, per far quadrare i conti, non esita a tartassarci sulla casa?
Da laico penso che sia anzitutto il pubblico a dover provvedere a dare la risposta possibile alla povertà. Ma dipende dalle risorse. E quindi, una revisione del meccanismo dell’8 per mille sarebbe opportuna. Magari dando ai cittadini anche la possibilità di destinarlo al proprio comune.