SERMONI IN ITALIANO CONTRO LA JIHAD

La cosa certa è che i terroristi islamici sono presenti anche nel nostro Veneto. Reclutano e addestrano uomini che poi magari vanno a morire in Siria come l’imbianchino bosniaco di Ponte della Alpi.
Reclutano e addestrano anche italiani e veneti convertiti all’islam che ( come tutti i convertiti) sono i più “entusiasti”, cioè fanatici.
Di fronte a questa realtà drammatica ed inquietante, il presidente veneto Luca Zaia vuole due cose: stop a nuove moschee e obbligo per gli imam di predicare in italiano.
C’è il precedente dell’imam di San Donà, espulso per un sermone dove chiedeva ad Allah lo sterminio di tutti gli ebrei. Ma è un caso limite. Più un pirla che un terrorista.
I terroristi veri, infatti, dissimulano: si atteggiano a moderati dialoganti mentre preparano la Jihad. Non la predicano di certo pubblicamente in moschea per poi invitare i fedeli a passare in sacrestia per il reclutamento…
D’altronde cosa facevano i nostri terroristi? Aprivano forse le sezioni delle bierre appendendo fuori i moduli per il reclutamento?…
Lo stesso Zaia spiega qual’è il vero problema quando dice che i veneti non hanno alcun timore se i buddisti aprono nuovi templi. Forse perchè i buddisti pregano (o meditano) in italiano? Non direi. Il punto è che la loro religione non contempla la guerra santa contro gli infedeli. Contrariamente alla religione islamica.
Arriviamo così al nocciolo della questione: l’accoglienza indiscriminata che stiamo praticando con persone che arrivano anche da Paesi – come la Siria, la Libia ed altri – dove la presenza dei fondamentalisti è sempre più pervasiva.
Non abbiamo la più pallida idea di chi e con quali obiettivi arrivi in Italia. Ci sono, certo, tante persone che vengono per sfuggire dalla morte e dalla fame in cerca di una nuova vita. Ma quanti sono tra di loro i terroristi infiltrati? Nessuno lo sa. Nessuno ha messo in atto strumenti per saperlo.
Ci sorregge una speranza. Che ci scelgano come luogo di transito e di addestramento per poi andare a colpire altrove: in Oriente o a Londra, a Parigi, risparmiando un Paese tanto insignificante da non meritare un attentato…
Negli anni Ottanta la speranza era una quasi certezza: si vociferò infatti di un accordo segreto del governo italiano con i terroristi palestinesi che garantiva loro il transito indisturbato in Italia in cambio dell’impegno a non compiere attentati nel nostro territorio.
Tipica soluzione italiota, ma soluzione. Oggi invece c’è solo la speranza. Con la ciliegina dei controlli nelle moschee e dei sermoni in italiano.

AGNELLI, IL VU’ CUMPRA’ DELLA GAZZETTA

Repubblica denuncia l’epiteto razzista usato dal ministro Alfano nell’annunciare la stretta contro i vu’ cumprà.
Un collega del Corriere mi conferma: anche nel suo giornale è rigorosamente vietato usare questo termine.
Vu’ cumprà= vuoi comprare? Una maglietta, una borsa, una rosa. Cosa ci sarà mai di razzista nel ricorrere a questo epiteto?
Una collega di un quotidiano locale aggiunge che nel suo giornale è vietato anche parlare di nomadi. Devi scrivere “senza fissa dimora”. Messo al bando anche nomade, termine che nei secoli è stato usato da tutti gli storici per definire le popolazioni che tali erano (e tali restano).
Chiunque capisca qualcosa di calcio non può, nella sostanza, non condividere l’affermazione di Carlo Tavecchio: inutile andare a comprare scamorze all’estero, per fingere di aver fatto mercato, quando il problema è investire nei vivai e nelle squadre giovanili. Ma ha osato dire che mangiano banane e apriti cielo…
Quando lo scandalo vero – e da tutti ignorato – è che Gazzetta e Corriere, al soldo di Andrea Agnelli, sono stati i capifila nella guerra contro Stravecchio (così lo bolla anche oggi la Gazzetta).
Non è che gli Agnelli i quotidiani se li sono “cumprati” da sempre?…
Piccolo esempio di ciò che siamo. Un Paese che si fa le pippe verbali mettendo al bando termini pseudo razzisti; mentre ignora che non esiste libertà di stampa senza editori puri.

MATTEO RENZI MONTA A CAVALLO

Tipico dei regimi, capitava anche durante il fascismo: la verità puoi dirla solo scherzando con le vignette.
Quella di Giannelli sul Corriere di oggi racconta la verità sugli 80 euro: sono serviti a garantire a Renzi il 40% alle europee.
Effetti sui consumi, zero. La ripresa non c’è, l’economia (il pil) continua ad arretrare. La carità, pelosa, del boy scout non serve certo ad avanzare ed uscire dalla crisi.
Fosse stato Berlusconi a decretare l’elargizione alla vigilia delle elezioni, un qualche pm zelante avrebbe aperto subito un procedimento per voto di scambio.
Anche il mitico “comandante” Lauro, nella Napoli degli anni Cinquanta, comprava gli elettori: metà biglietto da mille lire prima l’altra metà dopo aver avuto la certezza del voto. Ma lo faceva con i soldi suoi. Renzi invece lo ha fatto con i soldi nostri.
Gli economisti seri sostenevano che le stesse risorse andavano utilizzate con più profitto riducendo la tassazione delle imprese, non questa vergognosa elargizione. Fatta, per giunta, senza contropartita.
Siamo tornati alla Triplice che, nel Sessantotto, definiva il salario una “variabile indipendente” dalla produzione. E così Renzi ha concesso l’aumentino senza chiedere almeno di lavorare un’ora in più alla settimana, senza un qualunque impegno ad aumentare la produttività.
E tutti, o quasi, ad applaudire. Siamo a Curzio Malaparte che ironizzava: “Sorge il sole/ canta il gallo/ Mussolini monta a cavallo!”. Mussolini ieri, Matteo Renzi oggi?

SENATORI, COSI’ FAN TUTTI

Capisco che la manfrina di quei senatori, i quali vorrebbero impedire la riforma del Senato, non appassioni. Ma va seguita perchè è emblematica dei giochi retorici che tutti mettiamo in atto per nascondere i nostri interessi particolari, il tornaconto individuale.
Si tenta di bloccare la riforma al grido “svolta autoritaria!”, “pericolo per la democrazia!”, “progetto degno di Licio Gelli e della P2!”. Svolta autoritaria in un Paese che ha abolito ogni autorità?! Dove l’autorità, cioè il comando, non esiste più nella scuola, negli ospedali, nella pubblica amministrazione, nemmeno nelle Forza armate? Nemmeno nella famiglia, dove vige ormai genitore1 e genitore2, cioè pari e patta.
Altro che deriva autoritaria, il pericolo è la deriva anarchica dove – nell’impossibilità di esercitare la funzione di governo – prevale ormai solo la difesa accanita di interessi e privilegi particolari.
Ammantandosi dietro la difesa della democrazia, i senatori difendono lo status quo. Cioè quel bicameralismo perfetto che significa impossibilità di governare e potere di veto per ogni parlamentare che può così avere un ruolo, e magari interpretarlo a favore delle varie lobbiette. Mai a favore dell’interesse generale che dovrebbe essere il compito e il dovere primario degli eletti dal popolo.
Ma, appunto, così fan tutti. Sfoggiando l’identico meccanismo retorico.
Noi giornalisti ci battiamo per “un’informazione libera e indipendente!”. Tanto libera ed indipendente da rifiutarci di timbrare il cartellino. Cioè di verificare quanto lavoriamo ogni giorno per un obiettivo così nobile…
Tali e quali i magistrati che, in nome della sacra indipendenza dal potere politico, rifiutano qualunque controllo di produttività. Come se appurare quante ore stanno in tribunale e quanti fascicoli sfogliano, significasse indurli a condannare o assolvere gli indagati…
E i sindacati che si battono con coraggio e fierezza “a tutela dei diritti dei lavoratori!”. Quali diritti e quali lavoratori? I diritti dei sindacalisti stessi ai permessi e ai distacchi?…
E i docenti in lotta continua per “migliorare la pubblica istruzione”? Poi magari promuovono (dati del ministero) il 99,2% dei partecipanti all’ultimo esame di maturità, distruggendo così la pubblica istruzione E allora si capisce che potrebbero anche starsene a casa e risparmiasi l’oneroso impegno delle 18 orette settimanali in cattedra…
Così fan tutti. In un Paese dove il premier va in giro con le scarpe da tennis tricolori, certo di suscitare lo stesso appassionato interesse che dai media fu riservato al loden di Mario Monti. (Gli viene mica il dubbio che, passata la luna di miele, rischia di fare la stessa fine?)

BITONCI E GLI “INTELLETTUALI”

Giorni fa avevo criticato alcune proposte del neo sindaco di Padova Massimo Bitonci: crocefissi in tutti i luoghi pubblici (roba da repubblica islamica), niente palestre comunali per la preghiera del Ramadan (ma lasciali pregare, sono altre le “attività” inquietanti). Adesso però sono scesi in campo gli intellettuali con il loro manifesto “Per Padova senza razzismo e discriminazioni religiose”, e mi rimangio subito le critiche a Bitonci.

Che palle questo rituale stantio dei presunti intellettuali (autonominati tali) che – pur di mettersi in mostra – firmerebbero di tutto: anche il manifesto contro la carta igienica a quattro veli che fa abbattere gli alberi…

E poi chi sarebbero questi autonominati? Da ignorante, non facendo parte dell’elite, non so chi siano gran parte dei sessanta firmatari. Alcuni li conosco. Un paio di politici. Sarebbero questi gli intellettuali? Qualche professore universitario. Basta la cattedra per essere intellettuali? allora ne abbiamo decine di migliaia. Un milione se estendiamo il titolo anche ai docenti delle medie (e i maestri niente?).

C’è un magistrato, Palombarini, che mi pare faccia parte dell’Associazione nazionale magistrati, che non risulta sia l’Associazione nazionale intellettuali. C’è Paolo Crepet, il sociologo per tutte le stagioni e tutti i salotti televisivi. E qui la prospettiva si fa inquietante: se basta essere sociologo per definirsi intellettuale, va a finire che il titolo lo rivendica anche la fiumana degli psicologi…

Il caso più ecclatante: ha firmato anche Oliviero Toscani, quello delle foto spot a Benetton. Mettiamo sia un bravo fotografo. Anche Telenuovo ha bravi operatori, fanno ottime riprese. D’ora in avanti non li chiamerò più cameramen ma intellettuali…

Il nodo è questo: chi è il vero intellettuale? Chi ha una cultura seria e vasta, a 360 gradi, non solo settoriale (il diritto, la sociologia, la fotografia) che gli consenta anzitutto di analizzare e comprendere ciò che accade intorno a lui.

Fossero intellettuali veri cercherebbero dunque, anzitutto, di capire come mai la gran parte dei cittadini padovani (e non solo) è d’accordo con i provvedimenti di Bitonci. Al di là che loro, i presunti intellettuali, li condividano o meno.

C’è il tema dell’identità, sempre più annacquata, la nostra. Al punto che non riesci a confrontarti sul serio con chi ha un’identità diversa e più forte. Il rischio è di finire asfaltati. Nella società multietnica, se non conservi una forte identità, semplicemente chi arriva ti asfalta.

Identità legata, indubbiamente, alle secolari radici della civiltà cristiana. E qui è singolare che mentre accogliamo chi arriva dall’Africa e ci preoccupiamo – giustamente – di salvar loro la vita, ce ne freghiamo – anche grazie al sostanziale silenzio dei media – del massacro quotidiano di migliaia e migliaia di nostri fratelli cristiani in corso in Irak.

Bisognerebbe che Papa Francesco, invece che in gita a Lampedusa, avesse il coraggio di andare a Mosul, nel cuore dell’eccidio dei cristiani da parte degli islamici, ed invocare un ponte aereo umanitario per salvarli e accoglierli nel civile Occidente cristiano.

Non lo fa. E allora resta solo il crocefisso, appendiamolo dovunque; chissà che non serva a farci riscoprire le nostre radici, la nostra grande civiltà. Il coraggio di difenderla ed esserne orgogliosi. E magari ad essere meno tolleranti e accoglienti con religioni che predicano e attuano lo sterminio degli “infedeli”.

Quanto agli intellettuali hanno anche il compito di orientare l’opinione pubblica. E qui i nostri firmatari sono dei giganti: appena si schierano da una parte, le persone di buon senso vanno dalla parte opposta. Non serve entrare nel merito dei manifesti, basta il disgusto che provoca la presunzione, la vanità, l’arroganza di chi si considera il sale della terra. Mentre vivono nell’empireo dell’autostima.

Invece che firmare andassero tutti a Capalbio, al mare “a mostra’ le chiappe chiare”.

LA BABELE DELLE LINGUE EUROPEE

Il presidente Napolitano è ottimista. Ha ammesso che l’Unione europea sta attraversando una crisi senza precedenti, ma si è detto convinto che la supererà e che si arriverà all’obiettivo finale: l’unita politica dell’Europa.
Non bastasse la sciagura dell’unita monetaria, manca solo l’esito finale – cioè esiziale – dell’unità politica. Che significherebbe imporre leggi, regole, comportamenti comuni. Significherebbe cancellare le diversità, le radici, l’identità dei singoli popoli. Sarebbe l’unità degli zombie.
E’ inaudito che i politici europei che perseguono questo ideale siano così ignoranti da ignorare anche la cosa fondamentale: la lingua. Perchè gli Stati Uniti d’America sono uniti, come dice il nome? Perchè in cinquanta stati ed oltre, e fin dalla nascita degli Usa, si parla una sola lingua comune, l’inglese.
Mentre da oltre venti secoli in Europa vige la babele delle lingue. I 27 stati dell’Ue parlano – anche oggi – 27 lingue diverse. La lingua è l’esito evidente di secoli e secoli di cultura, tradizioni, usi e costui diversi che hanno prodotto una diversità, un’identità che, se la cancelli, cancelli anche i popoli.
La lingua è specchio del carattere di un popolo. Non vorrei essere nazionalista, ma nessuna lingua mi sembra dolce, armoniosa, musicale come l’italiano. Che sia per questo che abbiamo la miglior qualità della vita? Il tedesco è duro, gutturale, con una sintassi ferrea: è come sono tedeschi. (E come non saremo mai noi). Gli inglesi squittiscono, è una lingua da topolini. Che sia per questo che sono stati i primi a realizzare quel trasporto pubblico per ratti che sono le metropolitane?
Al di là delle battute, quando tanto tempo fa studiai linguistica all’università (dove c’erano colossi della cultura, non travet del posto fisso…) mi insegnarono che la grande famiglia delle lingue indoeuropee aveva sì alcune caratteristiche comuni (chiaro che siamo tutti esseri umani) ma c’erano due lingue completamente diverse, estranee all’indoeuropeo: la prima l’ungherese, e la seconda? Il sardo! Come dire che è meno folle pensare all’unità politica con gli indiani che con gli ungheresi o i sardi!…
D’altra parte com’è pensabile anche solo la nostra unità politica con quelle popolazione del nostro Meridione che 25 secoli fa erano già all’apice della cultura con la Magna Grecia quando noi settentrionali dovevamo ancora scendere dalle piante? Eravamo ancora barbari come i galli o i germani o gli angli…
Gli italiani del Nord e del Sud morti assieme nelle trincee della Grande Guerra stentavano a comunicare, perchè parlavano due lingue diverse reciprocamente poco comprensibili.
Napolitano, in Friuli, nell’esaltare le magnifiche sorti e progressive dell’Unione europea, ha voluto rendere omaggio al loro sacrificio. Ma quelle persone morirono per un ideale, che magari nemmeno conoscevano ne condividevano, ma che era chiaro: Italia libera dallo straniero, unita e sovrana. Sottolineo sovrana.
La sovranità monetaria è stata ceduta senza nemmeno l’avvallo di un referendum popolare. L’unità politica dell’Europa sarebbe il massimo oltraggio alla memoria di chi morì per un’Italia libera e sovrana.

RENZI, PRANDELLI E LA BANANA

Renzi, Prandelli e la banana

Il disastro della nazionale di Prandelli fa tornare alla mente la foto dove lui e Matteo Renzi sono assieme a mangiare la banana. Col senno di poi non proprio una mossa azzeccata del premier. Anzi, una pagliacciata mostrarsi così proni alla moda, al banalmente (o bananamente) corretto.
Ce ne fosse bisogno, le tragedie di questi giorni ci mostrano che il razzismo vero è tutt’altra cosa da un buu gridato allo stadio. E’ il razzismo religioso di sunniti e sciiti che si massacrano in Iraq, è la caccia al cristiano in tanti Paesi del mondo; è il razzismo tribale che insanguina l’Africa.
Magari dalla debacle degli azzurri nascerà anche un piccolo risvolto positivo: i tanti Balotelli del calcio, questi eterni adolescenti mai maturati, potremo irriderli – come meritano – anche se hanno la pelle nera, senza essere più accusati di razzismo…
Quanto a Prandelli è rimasto solo e isolato a mangiarsi la banana. Renzi invece può contare su ogni sorta di soccorso: quello azzurro di Berlusconi, quello rosso dei transfughi di Sel; da oggi pomeriggio – dopo la diretta streaming – è garantito anche il soccorso pentastellato.
Insomma tutti a mangiar banane sul carro del vincitore, secondo consolidato costume italiota. Con questo premier, così abile a sguazzare tra sinistra e destra e nuovo centrodestra, rischiamo di ritrovarci con il partito unico di Matteo Renzi. Non proprio il massimo della democrazia.
Speriamo almeno che il “dittatore” fiorentino sia un abile ct per il Paese, che lo rivolti come un calzino. Perchè siamo proprio a banane. Non tanto e non solo sotto il profilo economico e sociale. Il punto è che siamo trattati come scimmiette dalle lobby conservatrici dei propri interessi che in ogni modo ostacolano qualunque riforma che sia di sostanza e non solo di facciata.
Diamogli pure mille giorni come ha chiesto ma, sia chiaro, che senza risultati non ci sarà il rinnovo del mandato…Il Paese Italia è messo proprio come il calcio italiano: o lo ricostruisci dalle fondamenta o basta un Uruguay, anche una Costarica, per travolgerci.

SCHIFEZZE D’UOMINI TORNATI BAMBINI

“Schifezze d’uomini”, titola oggi Il Giornale sopra le foto del presunto assassino di Yara Gambirasi e del reo confesso che nel milanese ha sgozzato la moglie e i due figli. Sempre oggi sui siti c’è la notizia di una donna ammazzata dal marito nel ragusano e di un’altra massacrata a pugni e calci dal compagno a Pietra Ligure.
Le vittime sono sempre e anzitutto loro, le donne. Vittime della gelosia, di appetiti sessuali inconfessabili, o semplicemente del desiderio di liberarsi di loro senza nemmeno passare attraverso il divorzio.
Colpisce, scandalizza (ma è significativo) il comportamento di questo Carlo Lissi che, dopo aver massacrato moglie e figli, va al bar a vedere la partita, tifa Italia e beve birra come se nulla fosse successo.
Parlare di follia dice tutto ma, proprio per questo, dice nulla. Che la follia dilaghi è dimostrato dal fatto che abbiamo abolito i manicomi: solo dei pazzi potevano farlo…
In questi casi l’inasprimento della pena, la deterrenza della giustizia, non funziona. Nemmeno in quei Paesi dove la giustizia funziona al meglio. Omicidi così efferati e violenti, apparentemente senza una spiegazione plausibile, si verificano in tutto il mondo Occidentale.
Forse proprio il comportamento di Carlo Lissi ci aiuta a capire. Queste schifezze d’uomini sono regrediti allo stadio infantile, sono tornati bambini.
Ogni bambino è convinto di essere il centro dell’universo, tutto gli è dovuto. Scambia i suoi desideri per la realtà. Non pensa che esistano ostacoli ai suoi desideri. Quando il bambino litiga, o è geloso, e dice “ti ammazzo”, intende proprio ti ammazzo…(non è nelle condizioni di farlo, ma vorrebbe farlo). Poi cresce e impara che la realtà esiste: viene educato, i cosiddetti “freni inibitori” gli servono a controllare gli impulsi e i desideri. Il bambino diventa adulto.
Ma c’è anche il percorso inverso, quando si allentano o addirittura scompaiono i freni inibitori: l’adulto torna bambino, torna a convincersi che la realtà deve corrispondere ai suoi desideri, anche a quelli più turpi.
Lo stesso affermarsi, nel mondo libero e senza più inibizioni, dei cosiddetti diritti individuali non aiuta. Il diritto a rifarmi una vita, a rifarmi una famiglia, ad avere qualunque nuova relazione; tutto questo porta ad abbattere gli eventuali ostacoli: la moglie, la compagna, anche i figli
Non intendo discutere questi diritti, ormai affermati ed irrinunciabili. Il che non toglie che talora producano effetti pesanti e negativi. Detto in altri termini: l’egoismo, il soddisfacimento di ogni proprio desiderio, relega in secondo piano i doveri famigliari e sociali.
Sia chiaro che questo mio è solo un tentativo di analisi, non certo una ricetta per cercare di arginare la dilagante violenza sulle donne.

PADOVA NEL BENE E NEL MALE

Qualche considerazioni partendo dal raffronto tra Padova e Verona che ha proposto Halexandra nel post precedente. Ovviamente sono le due città venete più “care” anche a Telenuovo, ma molto diverse tra loro.
Padova è più centrale, sia nel bene che nel male, più complessa e difficile da governare, qualunque sia il colore dell’amministrazione comunale.
Partiamo da un minimo di precedenti. Padova, negli anni di piombo, è stata la capitale del terrorismo in Veneto. Non a caso anche la prigione del generale Dozier era ubicata qui. Padova ha il centro sociale più radicato e robusto, il Pedro. A Verona i no global sono sempre stati quattro gatti.
Quando all’inizio degli anni Ottanta, l’allora segretario del Pci veronese Dino Facchini, lanciò l’allarme antidroga definendo Verona la “Bangkok d’Italia”, inventò uno slogan felice per i media ma inesatto: Verona non era la Bangkok nemmeno del Veneto, lo era Padova perchè – grazie alla centralità geografica – da qui la droga veniva smistata in tutte le altre province venete. La malavita organizzata – e termino con i precedenti – la Banda Maniero agiva tra Padova e la Riviera del Brenta.
E’ appunto la centralità geografica che rende Padova lo snodo cruciale sia nel bene che nel male. Nel bene: ha una delle più antiche e prestigiose università italiane (magari è pure un male: perchè 60 mila studenti non sono semplici da governare…). E’ la sede della ricerca scientifica, capitale del terziario avanzato, ha un tessuto produttivo ad alta tecnologia.
Il male l’ho ricordato per il passato e prosegue nel presente: resta la capitale veneta dello spaccio di droga e di tante altre attività criminali. Sulle quali si è innescato da oltre vent’anni il fenomeno dell’immigrazione. Manca una capacità di selezionare gli ingressi e arginare gli arrivi. Problema nazionale. Abbiamo una giustizia che non funziona. Problema nazionale. Non c’è stata la riorganizzazione delle forze dell’ordine. Problema nazionale.
Dopo è anche vero che un’amministrazione comunale può essere “accogliente” o “respingente”. Ma i tre nodi da sciogliere sono quelli nazionali. Altrimenti è fatale che Padova resti il punto d’arrivo e di smistamento anche dei clandestini. In confronto Verona è un isola felice. Sarà anche merito dell’amministrazione Tosi. Ma mai, con nessuna amministrazione (nemmeno con la Zanotto), Verona ha conosciuto il degrado vigente a Padova.
Non resta che concludere con i migliori auguri al neo sindaco di Padova Massimo Bitonci. Anche perchè credo che lui per primo sia consapevole di essere stato chiamato a governare la più difficile e complessa città del Veneto.

BITONCI TOSI RENZI: FINE DEI PARTITI

Un dato è emerso netto dai ballottaggi di ieri: la fine dei partiti, la fine del radicamento dei partiti nel loro territorio storico. Ora contano solo gli uomini: da Massimo Bitonci, che ha trionfato a Padova, a Flavio Tosi il primo precedente a Verona, fino a Matteo Renzi.
Renzi ieri non era in campo e, quindici giorni dopo, si dissolve lo strepitoso 41% del Pd. I democratici, senza Renzi, tornano a zoppicare a diventano macchie di leopardo: vincono a Bergamo e Pavia, perdono a Padova, a Perugia, a Livorno. Perdono, per giunta, in queste tre ultime città roccaforti (Padova compresa) del centrosinistra. Città rosse. Mentre vincono nelle prime due, città tradizionalmente di centrodestra.
Bitonci, il leghista, trionfa nella Padova di Zanonato dove la Lega aveva fin’ora raccolto bricciole. Trionfa lasciando nell’armadio il simbolo del suo partito e dei partiti in genere. Trionfa come uomo delle liste civiche e batte Ivo Rossi anche nelle sezioni, nei quartieri padovani considerati rossi.
Il precedente storico, il suo modello, è il suo avversario nella corsa alla segreteria regionale della Lega, Flavio Tosi che già nel 2007 conquista Verona ( e la riconquista nel 2012) con la sua lista civica primo partito della città scaligera.
Entrambi raccolgono anche voti a sinistra. Così come Renzi li raccoglie al centrodestra e in area moderata.
Cos’è la destra, cos’è la sinistra? Si chiedeva Gaber vent’anni fa. Oggi sono un ricordo del passato, non più l’appartenenza dirimente del presente.
Se vogliamo aumenta anche il divario tra politiche nazionali e locali. Renzi parla di Europa da cambiare, di economia da rilanciare. Bitonci vince battendo sul tema della sicurezza (come Tosi). “Ripuliremo Padova” è stato il suo slogan vincente. Di lavoro ha parlato poco, di Europa nulla. Per Renzi il tema sicurezza è “desaparecido” dal suo programma, come i clandestini in arrivo montante: la sua matrice cattolica lo rende accogliente. Potrebbe essere il suo tallone d’Achille.
Ma intanto conta lui, conta Bitonci, contano gli uomini. Va a finire che i partiti diventano un handicap. Loro che, col proprio simbolo, erano erano la certezza fuori dalla quale non esisteva speranza per alcun candidato.
L’anno prossimo, per cercare la riconferma alla guida del Veneto, Luca Zaia non potrà che seguire il modello Tosi-Bitonci: si presenterà come il presidente dei cittadini e delle liste civiche, non certo della Lega. Al momento il suo competitor pare Alessandra Moretti, non certo donna del Pd, ma “premiére dame” veneta di Matteo Renzi.
Ieri si sono celebrati i funerali dei vecchi, già tanto cari e amati, partiti politici italiani.