Provare ad analizzare la realtà non significa apprezzarla né condividerla. Solo prenderne atto. E oggi – piaccia o non piaccia – la scena politica è dominata dalla partita a due tra i due Matteo. Altri possibili protagonisti a livello nazionale non se ne vedono.
Alle ultime politiche, con Maroni segretario, la Lega toccò il minimo storico: 4,1%. Salvini l’ha fatta risorgere: 6% alle europee, mentre ora tutti sondaggi lo attestano sul 12-13%. Mai così in alto per consensi complessivi ed estensione territoriale: il Nord resta la roccaforte, ma i consensi arrivano anche dal Centro e perfino dal Sud e dalle Isole.
Sarà anche un “fascioleghista”, come lo definisce Il Tempo di Roma, sarà la versione italiana della Le Pen. Ma funziona.
Funziona Salvini quando dice che non ci sono più i moderati ma solo gli esasperati. Cittadini esasperati dalla criminalità, dall’immigrazione fuori controllo, da una crisi economica che colpisce produttori, partite Iva e anche lavoratori dipendenti (la ripresina del Pil non frena la disoccupazione). Cittadini pronti a votarlo.
Il linguaggio di Forza Italia, dello stesso Flavio Tosi, è più razionale, più logico, più politico. Ma non interpreta la pancia esasperata di tanti cittadini, non crea lo stesso consenso del linguaggio di Salvini.
Per lui, per il Matteo della Lega, la prova del fuoco è però il Veneto. Dove, se Zaia dovesse perdere, non avrebbe perso Zaia ma Salvini compromettendo così l’ascesa e la leadership. Quindi in vista del 10 Maggio deve dimostrare di saper coniugare il populismo del linguaggio con il pragmatismo delle alleanze…
CON L’ISIS “A SUD DI ROMA”
Un fine settimana drammatico, con il terrorismo islamico a colpire nel cuore dell’Europa da Parigi a Copenaghen. Con un odio inaudito come dimostra la profanazione di centinaia di tombe ebraiche nel cimitero francese di Sarre-Union
Ma il Paese europeo oggi più esposto è certamente il nostro. Siamo l’unico ad avere il califfato libico di fronte al mare, con le bandiere dell’Isis che sventolano su Tripoli. E loro, i terroristi, sgozzano una ventina di ostaggi e ci avvertono nel video: “Siamo a sud di Roma e la conquisteremo!”
Piccola domandina: chi ci difende? Non certo la Guardia costiera, la nostra marina militare che cala le braghe di fronte a quattro scagnozzi i quali, a mitra spiegati, intimano di restituire il barcone. E i nostri militari obbediscono buoni buoni…Una dimostrazione di impotenza e sottomissione senza uguali.
Il quadro è ormai chiaro e riconosciuto da tutti. Sono i miliziani dell’Isis che gestiscono gli imbarchi dalla Libia: ne arrivano da noi migliaia ogni giorno. Ce ne sono duecento mila pronti a partire. Tutti profughi in cerca di salvezza? O tanti pronti a minacciare la nostra salvezza e sicurezza?
Il problema è scegliere tra Triton e Mare Nostrum o capire chi arriva per garantire la sicurezza degli italiani? Qual è la priorità?
Renzi esclude un intervento armato senza l’Onu. Angelo Panebianco, il più autorevole editorialista del più autorevole quotidiano, domenica ha posto una domanda precisa: “Riusciremmo a intercettare e a neutralizzare un eventuale missile proveniente dalla Libia? Dovremmo chiedere al ministro competente e ai vertici delle forze armate di spiegare agli italiani quali siano le nostre possibilità di difesa”.
Naturale aspettarsi che oggi il ministro della Difesa o il presidente Mattarela, comandante in capo delle forze armate, rispondessero. Invece silenzio assoluto.
Un silenzio rotto dai parlamentari che – come studenti col supplente in aula – litigano, schiamazzano e fanno a pugni, per cosa? Per il regolamento delle Camere!…
Inevitabile pensare ai famosi dotti bizantini che, con i turchi sotto le mura di Costantinopoli, discettavano e litigavano sul sesso degli angeli.
CITTADINI AGNELLI SACRIFICALI
Noi cittadini ormai siamo gli agnelli sacrificali della criminalità. Lo Stato non solo non ci difende (sarebbe il suo primo dovere) ma impedisce e punisce anche l’estrema risorsa, cioè l’autodifesa. Quindi dobbiamo farci derubare e massacrare senza reagire.
Sappiamo cosa è successo a Ponte di Nanto dove un benzinaio, vedendo dei criminali armati che davano l’assalto a una gioielleria, e di fronte al terrore di chi era all’interno del negozio, ha imbracciato il fucile e ha esploso un colpo in aria. I criminali gli hanno indirizzato contro una raffica di mitra e lui, solo a quel punto, ha sparato non per uccidere ma alle gambe. Per pura fatalità è stata colpita l’arteria femorale e uno degli assalitori è morto dissanguato.
Questo benzinaio, questo eroe civile, finirà sotto processo perchè, non essendo direttamente minacciato, non doveva intervenire. Doveva girarsi dall’altra parte e lasciarli fare
Non ho mai creduto all’autodifesa, che non appartiene alla nostra cultura e che può essere pericolosa da praticare Ma oggi, di fronte ad uno Stato che non ci difende, è divenuta la linea del Piave: non resta che fare il porto d’armi e andare al poligono per l’addestramento.
Vanno però riviste le norme sulla legittima difesa. Al momento infatti se un delinquente ti entra in casa, prima di reagire dovresti capire bene che intenzione ha, cioè dovresti lasciargli il tempo di aggredirti e magari di ammazzarti…per non finire tu sotto processo accusato di eccesso di legittima difesa.
In altri Paesi, in America come in Canada, di fronte alla violazione di domicilio è sancito il diritto di reagire anche sparando. Il problema è tutto di chi compie la violazione. Ed è un deterrente non da poco, rispetto a qui dove i criminali sanno di potere entrare in casa impunemente. Con la certezza della non pena.
Che lo Stato, che il governo faccia almeno questo. Altrimenti lo dica apertamente: cari cittadini siete agnelli sacrificali, fatevi derubare, massacrare, anche ammazzare dai criminali. Ricordatevi che loro, poveretti, hanno un grave “disagio sociale”…
MATTEO I° SALE AL TRONO
Sergio Mattarella sale al Quirinale, eletto con ampio margine 12° presidente della Repubblica. Ma la vera notizia di oggi è il ritorno della monarchia: si è infatti insediato sul trono (di palazzo Chigi) Matteo I° di casa Renzi.
Mattarella al Colle è la sua vittoria, tanto più sorprende per la facilità con cui è arrivata rispetto alle fosche previsioni della lunga vigilia in cui molti avevano indicato nel Quirinale la battaglia, il passaggio decisivo. dove Renzi avrebbe perso penne e tracotanza
Mai era capitato che un presidente del consiglio in carica scegliesse lui l’inquilino del Colle, senza alcuna trattativa con i partiti, decidendo il nome e facendo accettare ad un’ampia maggioranza che va da Vendola ad Alfano. Stabilendo perfino il giorno dell’elezione (“lo faremo sabato mattina”, aveva detto Matteo I°. E così è stato).
Non che la gratitudine sia di regola in politica, ma se Mattarella è uscito dal freezer della Consulta e asceso al Colle, lo deve unicamente a lui. E’ presidente della Repubblica e del Consiglio superiore della magistratura. Vien da pensare che col suo appoggio (dovuto) Renzi possa perfino riformare l’ultracasta delle toghe…
Potrà comunque fare qualunque riforma, grazie alla sua straordinaria abilità di fare e disfare alleanze restando comunque il perno. Oppure scegliere di andare ad elezioni nel momento più propizio per quel referendum popolare che consacri il ritorno della sua monarchia…
Dell’ascesa al trono di Matteo si stupisce solo chi ha dimenticato, o sottovalutato, l’esordio. Quando uno sbarbatello, nemmeno trentenne, diventa presidente della provincia di Firenze e poi conquista addirittura la città. La grande roccaforte rossa, dove il potere comunista (anche divenuto ex comunista) era consolidato e ramificato in ogni ganglo. Ma vince lui, il boy scout che viene dal mondo cattolico. Con due palle così, una capacità e spregiudicatezza politica senza eguali.
Enrico stai sereno, aveva detto a Letta prima di farlo fuori. Silvio stai sereno, ha ripetuto a Berlusconi per convincerlo ad approvare l’Italicum e subito dopo farlo fuori…(salvo ripescarlo se gli servirà)
TSIPRAS E L’ALIBI EUROPA
Non è sorprendente, ma conseguente, che i primi ad esultare per la vittoria in Grecia della sinistra di Alexis Tsipras siano stati i leader della destra europea: da Marine Le Pen a Matteo Salvini.
Il quale Tsipras si è già alleato con la destra nazionalista greca di Anel che è anti euro.
La discriminante infatti non è più tra destra e sinistra, ma tra Europa sì Europa no, tra austerità sì o no.
(Tant’è che da noi, contro il rigore della riforma delle pensioni, Salvini ha raccolto le firme assieme alla Camusso)
Ora non c’è dubbio che questa unità europea non funziona perchè pretende di imporre a tutti lo stesso stampino, le stesse regole. Un po’ come se non servisse più avere allenatori per le singole squadre di calcio e bastasse il mister universale che impone il modulo 4-3-3; e tutti ottengono i risultati migliori.
Così ragione e si è mossa la Ue, Angela Merkel
Invece l’allenatore è indispensabile perchè deve capire e saper “governare” la rosa di calciatori a seconda delle loro caratteristiche. E, se è bravo, sa scegliere il modulo più adatto per la sua squadra. Altrettanto i governanti che devono conoscere vizi, virtù e peculiarità dei loro cittadini e del loro Paese.
Già è una follia pensare di governare l’Italia con lo stesso modulo dalle Alpi a Pantelleria. Figurarsi l’Europa dalla Danimarca a Malta…
Dopo di che l’Europa non può diventare l’alibi universale, la causa di tutti i mali. La Grecia era già sull’orlo del fallimento perchè i barbieri andavano in pensione a 50 anni (usavano la tintura per capelli, prodotto “usurante”…), cioè perchè aveva un welfare insostenibile. E non glielo aveva certo imposto la Merkel…Adesso Alexix Tsipras pensa di risollevare il suo Paese tornando a spendere, ad accumulare debito pubblico, rifiutando il rigore, l’austerità della Troika.
Anche noi diciamo, anche Renzi dice, che l’austerità ha fallito, che dobbiamo allentare i vincoli. Andrea Mingardi su La Stampa ha scritto che, per poter dire che l’austerità ha fallito; “prima avremmo dovuto sperimentarla”!
E già. Austerità significa taglio della spesa pubblica. Noi non l’abbiamo mai tagliata, anzi è aumentata di anno in anno compreso il 2014. E, per non tagliare la spesa, abbiamo continuato ad aumentare le tasse. Sarebbe questa la ricetta che ci ha imposto la Troika? O è la nostra scelta per non intaccare elargizioni varie e politiche clientelari?
Distinguiamo le responsabilità Ue, che certamente ci sono, dai comodi alibi ad uso interno.
LO SMACCHIATORE VERSO IL COLLE
Se avete voglia, facciamo anche noi il gioco del momento: il toto Quirinale. Facciamolo senza scambiare i desideri con la realtà, cioè provando a ragione sul nome che potrebbe raggiungere la maggioranza dei 1009 grandi elettori.
Un telespettatore l’altro giorno proponeva Gianfranco Fini. Suo desiderio lecito e pio, ma non c’è una possibilità su un miliardo che lo votino.
Il problema dei problemi è tenere unita la massa centrale della possibile maggioranza, cioè il Pd che di grandi elettori ne ha più di 450. A quel punto le truppe di complemento per arrivare a 505 diventano uno scoglio superabile.
Il nome che, più di tutti gli altri, può riuscirci credo sia quello di Pierluigi Bersani. Che lo voti la minoranza (sua) è scontato. Ma anche Renzi ha tutto l’interesse a farlo per ricompattare il partito, per porre fine alla guerriglia permanente nei suoi gruppi parlamentari.
Per Renzi il problema non è certo Pippo Civati, cavallo pazzo e pressochè solitario. La guerriglia fin qui gli è arrivata dalle truppe bersaniane, pur sempre ben organizzate.
Partendo da 450 basta un pezzo di Forza Italia. Ho l’impressione – dopo aver letto le dichiarazioni di Confalonieri al Corriere – che Berlusconi non abbia difficoltà a votarlo. E può fregarsene della fronda di Fitto. Gli basta mezzo battaglione azzurro.
Si rifiutasse di farlo il Cavaliere, darebbe un motivo i più a Grillo, o ad ampi spezzoni delle sparpagliate e disperse truppe pentastellate, per subentrare. (Non dimentichiamo che Bersani aveva aperto al dialogo con loro).
Magari sbaglio per la simpatia che mi ispira questo emiliano, spiritoso e di buon senso. Capace perfino di starsene al Quirinale defilato. Ma in questo momento mi sembra che nessuno possa raccogliere più consensi tra i grandi elettori di Pierluigi Bersani, già smacchiatore (fallito) del giaguaro. Che anche i suoi recenti fallimenti politici diventano un gradino in più verso il Colle…
RE GIORGIO E NOI
Nel giorno dell’abdicazione di Re Giorgio personalmente mi inchino al Ratzinger della nostra politica che, come il Papa emerito, ha saputo comprendere i limiti imposti dall’età e dall’energia residua (Tanto per dirne tre, Pertini, Ciampi e Scalfaro erano pronti al “sacrificio” di un intero secondo settennato)
Napolitano penso sia stato il miglior presidente possibile. Non il migliore in assoluto, ma il migliore tra ciò che offriva il mercato non proprio eccelso della politica italiana.
Ha cercato di essere il presidente di tutti gli italiani, cioè di metterli d’accordo in nome dell’interesse nazionale. Impresa ardua (impossibile) nel Paese dei Guelfi e Ghibellini, dei Montecchi e Capuleti riottosi a capire che bisogna smetterla di litigare come galli nel pollaio, almeno quando si attraversa una crisi epocale.
Da uomo di cultura ha commesso l’errore di credere nella cultura bocconiana del prof. Mario Monti, economista molto stimato quanto rivelatosi inetto come premier. Ma nessuno è perfetto, nemmeno Re Giorgio.
Migliore comunque, Napolitano, di noi cittadini elettori.
Mi vengono i brividi quanto sento parlare di un presidente eletto direttamente dai cittadini. Gli stessi cittadini elettori che – uno su tre – appena ieri (Aprile 2013) si sono fatti sedurre da un comico a colpi di vaffa…Un Grillo che non ha mai dimostrato di saper governare nemmeno una pro loco.
Come far riparare l’auto da un meccanico che non sa nemmeno se il motore è nel cofano davanti o nel bagagliaio dietro, ma che espone in officina calendari molto seducenti.
L’esempio è sempre quello: se sono nelle mani di un medico scadente, cercherò un medico più competente. O mi faccio curare da un giornalista bravo a scrivere o da un prete bravo a predicare?
Anche Giorgio Napolitano, ovviamente, può essere criticato da ognuno di noi. Ma prima non guasterebbe un’occhiatina allo specchio.
NOI PECCATORI, LORO FEDELI
La vera differenza tra noi e loro è che noi (in gran parte) siamo peccatori, mentre loro, gli islamici, in gran parte no: loro sono fedeli ai duri dettami della propria fede. (Se vogliamo non c’è fede vera senza fondamentalismo).
Noi, peccatori della nostra fede, possiamo negare l’esistenza di Dio, irriderlo, perfino bestemmiarlo. Possiamo dire che la celebre frase di Marx è una fotografia perfetta: “La religione (tutte le religioni) è l’oppio dei popoli”, utile ad ottenebrare le menti per mantenere le persone in una situazione servile, evitando lo scatenamento delle libertà e delle ambizioni individuali.
Per noi la fede è ridotta ad un optional che comunque non può incidere sulle libertà e sui diritti. Per loro no, è il cardine che regola la vita, è la sharia.
In questo senso è molto ambigua l’identificazione di un “Islam moderato” in coloro che, pur condannando il terrorismo, ribadiscono che le vignette satiriche su Maometto non si devono fare; cioè continuano a rifiutare le libertà e la cultura occidentali, anche se formalmente rispettano le nostre leggi.
I terroristi, i fratelli Kouachi, sono tragicamente coerenti: va distrutto un Occidente che, nella sua prassi quotidiana, mina i fondamenti della purezza della fede islamica. (Anche i cristiani quando erano teocratici, fondamentalisti, prevedevano un unica alternativa: o la conversione o la morte)
Ci sono due possibilità. Una evocata da Piero Ostellino: il ruolo della donna che, con la libertà conquistata, ha stravolto la nostra società. Potrebbero, le donne, fare lo stesso nel mondo islamico. L’altra, evocata dal filosofo Severino, è la scienza, la tecnologia, che ha profondamente modificato il nostro modo di vivere e potrebbe farlo anche con i musulmani. Perchè il progredire della scienza riduce il terreno della fede. (Dio è tutto ciò che non è scienza).
Ma sono ipotesi di prospettiva. Il presente è inquietante: al di là delle grandi manifestazioni, non si vede infatti una strategia per combattere il terrorismo nei nostri Paesi e nei loro Paesi che lo foraggiano coi petrodollari. (Non c’è solo il Califfato…)
Per tanto restiamo in attesa del prossimo attacco.
TUTTI FRANCESI O TUTTI TERRORISTI
Tornano gli attentati islamici e torna la nostra risposta banale: dopo l’11 settembre eravamo a dichiararci “tutti americani”, oggi siamo a dirci “tutti francesi”.
Domandiamoci invece se non siamo tutti terroristi. Non solo perchè – continuando a pagare il riscatto per gli italiani sequestrati – il terrorismo islamico di fatto lo finanziamo: ogni nostro connazionale che operi in certi Paesi e divenuto una sorta di bancomat a disposizione dell’Isis per l’incasso.
Ma, soprattutto, per l’auto-terrorismo sempre più diffuso: sono i nostri comportamenti, un certo modo di pensare, che distruggono i cardini della nostra civiltà, della civiltà occidentale, liberale e democratica, molto più e molto prima delle bombe o delle raffiche di mitra dei terroristi islamici.
Non sono tanto i quattro stronzetti del politicamente corretto, quelli che non vogliono i presepi nelle scuole per un presunto rispetto della religione islamica (come se il problema non fosse inverso: la loro totale mancanza di rispetto per la nostra religione…)
E’ un sentire comune e diffuso che porta alla Sottomissione (all’Islam) profetizzata da Houellebecq nel suo ultimo romanzo. I famosi valori dell’Illuminismo, primo tra tutti la libertà e la tolleranza, sono stati sbandierati (più che praticati) solo delle élite. Il popolo, il nostro popolo, al massimo ne ha sentito parlare. La libertà fa paura, crea angoscia. Specie agli uomini la libertà delle donne. Non crediamo più in quei valori o, forse, non ci abbiamo mai creduto.
Nei secoli dei secoli, e fino a ieri, il nostro popolo ha preferito alla libertà la guida imposta dai ferrei dettami della nostra religione. Quel vecchio cattolicesimo che tutto era fuorchè tollerante.
Mio nonno trovava sconveniente che mia nonna uscisse di casa: la spesa andava a farla lui, lei poteva andare solo in chiesa col velo in testa tra i banchi riservati alle donne. Oggi lo definiremmo un patriarca islamico, ma non era certo l’eccezione: erano così tutti gli uomini del nostro Veneto profondo.
Oggi nessuno osa dirlo, ma a tanti uomini non sarebbe sgradita una condanna della donna che si permette di guidare l’auto come accade nell’Arabia islamico-moderata…
I primi terroristi siamo noi che per anni abbiamo aperto le frontiere a tutti, a centinaia di migliaia di persone: senza alcun controllo né selezione, senza sapere chi fossero, cosa venissero a fare e dove andassero a finire. Limitandoci a chiamarli tutti “profughi” che andavano accolti per un malinteso umanesimo, divenuto oltraggio all’umanità dei nostri cittadini che hanno subito ogni genere di conseguenza.
E oggi, oggi che è scattato l’allarme terrorismo, siamo a chiedere l’accesso alle liste di volo. Non fosse da piangere ci sarebbe da ridere: facciamo finta di chiudere le porte dopo che tutti i buoi sono già entrati nella stalla italiana.
APARTHEID ALL’ITALIANA
In Sudafrica non c’è più, ma da noi resiste e si perpetua: l’apartheid all’italiana, la diversità di trattamento tra bianchi e negri, tra pubblici dipendenti e dipendenti privati.
I bianchi, ovviamente, non puoi licenziarli; nemmeno per gravi motivi disciplinari. Sono esclusi dal Jobs act. I negri invece adesso puoi. E dire che, se mai, aveva senso una apartheid all’incontrario: perchè sono i bianchi ad avere il più alto tasso di assenteismo, il rifiuto di ogni controllo di produttività, le ferie più lunghe e l’orario di lavoro più ridotto. Sono loro a non conoscere né cassa integrazione né perdita del posto di lavoro. (Trattamento riservato solo ai negri italiani)
Poi non tutti i bianchi sono uguali. L’apartheid all’italiana si mescola con le caste all’indiana: un conto è essere un comunale, un conto un magistrato; un conto un professore delle medie, un conto un docente universitario, un conto un medico di base convenzionato, un conto un medico ospedaliero.
Poi ci sono i finti mulatti, i bianchi col fumée al viso: i dipendenti di ex municipalizzate, e partecipate varie che, pur godendo dello stesso trattamento, non risultano essere pubblici dipendenti. Servono a taroccare i numeri, a fingere di non avere il più alto numero di “statali” al mondo.
Delle due l’una: o l’apartheid è prevista dalla Costituzione “più bella del mondo”, oppure questa diversità di trattamento è anticostituzionale.
I sindacati che vogliono avere un ruolo politico (significa farsi carico dei problemi generali), che pretendono la concertazione, di fronte alla diversità tra bianchi e negri chiudono gli occhi. Come dire che un segretario generale è superfluo. Bastano quelli di categoria per difendere i “diritti acquisiti” delle varie categorie di bianchi e negri
Matteo Renzi si vanta di aver voluto lui escludere i pubblici dipendenti dal nuovo Jobs act. Ma che coraggio! Che segnale di discontinuità! Il premier ha semplicemente proseguito sulla via seguita da tutti i suoi predecessori: l’apartheid all’italiana.
Magari sbagliando i calcoli del consenso: Perchè per quanti siano i bianchi italiani, i negri sono di più…

