Capisco che la manfrina di quei senatori, i quali vorrebbero impedire la riforma del Senato, non appassioni. Ma va seguita perchè è emblematica dei giochi retorici che tutti mettiamo in atto per nascondere i nostri interessi particolari, il tornaconto individuale.
Si tenta di bloccare la riforma al grido “svolta autoritaria!”, “pericolo per la democrazia!”, “progetto degno di Licio Gelli e della P2!”. Svolta autoritaria in un Paese che ha abolito ogni autorità?! Dove l’autorità, cioè il comando, non esiste più nella scuola, negli ospedali, nella pubblica amministrazione, nemmeno nelle Forza armate? Nemmeno nella famiglia, dove vige ormai genitore1 e genitore2, cioè pari e patta.
Altro che deriva autoritaria, il pericolo è la deriva anarchica dove – nell’impossibilità di esercitare la funzione di governo – prevale ormai solo la difesa accanita di interessi e privilegi particolari.
Ammantandosi dietro la difesa della democrazia, i senatori difendono lo status quo. Cioè quel bicameralismo perfetto che significa impossibilità di governare e potere di veto per ogni parlamentare che può così avere un ruolo, e magari interpretarlo a favore delle varie lobbiette. Mai a favore dell’interesse generale che dovrebbe essere il compito e il dovere primario degli eletti dal popolo.
Ma, appunto, così fan tutti. Sfoggiando l’identico meccanismo retorico.
Noi giornalisti ci battiamo per “un’informazione libera e indipendente!”. Tanto libera ed indipendente da rifiutarci di timbrare il cartellino. Cioè di verificare quanto lavoriamo ogni giorno per un obiettivo così nobile…
Tali e quali i magistrati che, in nome della sacra indipendenza dal potere politico, rifiutano qualunque controllo di produttività. Come se appurare quante ore stanno in tribunale e quanti fascicoli sfogliano, significasse indurli a condannare o assolvere gli indagati…
E i sindacati che si battono con coraggio e fierezza “a tutela dei diritti dei lavoratori!”. Quali diritti e quali lavoratori? I diritti dei sindacalisti stessi ai permessi e ai distacchi?…
E i docenti in lotta continua per “migliorare la pubblica istruzione”? Poi magari promuovono (dati del ministero) il 99,2% dei partecipanti all’ultimo esame di maturità, distruggendo così la pubblica istruzione E allora si capisce che potrebbero anche starsene a casa e risparmiasi l’oneroso impegno delle 18 orette settimanali in cattedra…
Così fan tutti. In un Paese dove il premier va in giro con le scarpe da tennis tricolori, certo di suscitare lo stesso appassionato interesse che dai media fu riservato al loden di Mario Monti. (Gli viene mica il dubbio che, passata la luna di miele, rischia di fare la stessa fine?)
BITONCI E GLI “INTELLETTUALI”
Giorni fa avevo criticato alcune proposte del neo sindaco di Padova Massimo Bitonci: crocefissi in tutti i luoghi pubblici (roba da repubblica islamica), niente palestre comunali per la preghiera del Ramadan (ma lasciali pregare, sono altre le “attività” inquietanti). Adesso però sono scesi in campo gli intellettuali con il loro manifesto “Per Padova senza razzismo e discriminazioni religiose”, e mi rimangio subito le critiche a Bitonci.
Che palle questo rituale stantio dei presunti intellettuali (autonominati tali) che – pur di mettersi in mostra – firmerebbero di tutto: anche il manifesto contro la carta igienica a quattro veli che fa abbattere gli alberi…
E poi chi sarebbero questi autonominati? Da ignorante, non facendo parte dell’elite, non so chi siano gran parte dei sessanta firmatari. Alcuni li conosco. Un paio di politici. Sarebbero questi gli intellettuali? Qualche professore universitario. Basta la cattedra per essere intellettuali? allora ne abbiamo decine di migliaia. Un milione se estendiamo il titolo anche ai docenti delle medie (e i maestri niente?).
C’è un magistrato, Palombarini, che mi pare faccia parte dell’Associazione nazionale magistrati, che non risulta sia l’Associazione nazionale intellettuali. C’è Paolo Crepet, il sociologo per tutte le stagioni e tutti i salotti televisivi. E qui la prospettiva si fa inquietante: se basta essere sociologo per definirsi intellettuale, va a finire che il titolo lo rivendica anche la fiumana degli psicologi…
Il caso più ecclatante: ha firmato anche Oliviero Toscani, quello delle foto spot a Benetton. Mettiamo sia un bravo fotografo. Anche Telenuovo ha bravi operatori, fanno ottime riprese. D’ora in avanti non li chiamerò più cameramen ma intellettuali…
Il nodo è questo: chi è il vero intellettuale? Chi ha una cultura seria e vasta, a 360 gradi, non solo settoriale (il diritto, la sociologia, la fotografia) che gli consenta anzitutto di analizzare e comprendere ciò che accade intorno a lui.
Fossero intellettuali veri cercherebbero dunque, anzitutto, di capire come mai la gran parte dei cittadini padovani (e non solo) è d’accordo con i provvedimenti di Bitonci. Al di là che loro, i presunti intellettuali, li condividano o meno.
C’è il tema dell’identità, sempre più annacquata, la nostra. Al punto che non riesci a confrontarti sul serio con chi ha un’identità diversa e più forte. Il rischio è di finire asfaltati. Nella società multietnica, se non conservi una forte identità, semplicemente chi arriva ti asfalta.
Identità legata, indubbiamente, alle secolari radici della civiltà cristiana. E qui è singolare che mentre accogliamo chi arriva dall’Africa e ci preoccupiamo – giustamente – di salvar loro la vita, ce ne freghiamo – anche grazie al sostanziale silenzio dei media – del massacro quotidiano di migliaia e migliaia di nostri fratelli cristiani in corso in Irak.
Bisognerebbe che Papa Francesco, invece che in gita a Lampedusa, avesse il coraggio di andare a Mosul, nel cuore dell’eccidio dei cristiani da parte degli islamici, ed invocare un ponte aereo umanitario per salvarli e accoglierli nel civile Occidente cristiano.
Non lo fa. E allora resta solo il crocefisso, appendiamolo dovunque; chissà che non serva a farci riscoprire le nostre radici, la nostra grande civiltà. Il coraggio di difenderla ed esserne orgogliosi. E magari ad essere meno tolleranti e accoglienti con religioni che predicano e attuano lo sterminio degli “infedeli”.
Quanto agli intellettuali hanno anche il compito di orientare l’opinione pubblica. E qui i nostri firmatari sono dei giganti: appena si schierano da una parte, le persone di buon senso vanno dalla parte opposta. Non serve entrare nel merito dei manifesti, basta il disgusto che provoca la presunzione, la vanità, l’arroganza di chi si considera il sale della terra. Mentre vivono nell’empireo dell’autostima.
Invece che firmare andassero tutti a Capalbio, al mare “a mostra’ le chiappe chiare”.
LA BABELE DELLE LINGUE EUROPEE
Il presidente Napolitano è ottimista. Ha ammesso che l’Unione europea sta attraversando una crisi senza precedenti, ma si è detto convinto che la supererà e che si arriverà all’obiettivo finale: l’unita politica dell’Europa.
Non bastasse la sciagura dell’unita monetaria, manca solo l’esito finale – cioè esiziale – dell’unità politica. Che significherebbe imporre leggi, regole, comportamenti comuni. Significherebbe cancellare le diversità, le radici, l’identità dei singoli popoli. Sarebbe l’unità degli zombie.
E’ inaudito che i politici europei che perseguono questo ideale siano così ignoranti da ignorare anche la cosa fondamentale: la lingua. Perchè gli Stati Uniti d’America sono uniti, come dice il nome? Perchè in cinquanta stati ed oltre, e fin dalla nascita degli Usa, si parla una sola lingua comune, l’inglese.
Mentre da oltre venti secoli in Europa vige la babele delle lingue. I 27 stati dell’Ue parlano – anche oggi – 27 lingue diverse. La lingua è l’esito evidente di secoli e secoli di cultura, tradizioni, usi e costui diversi che hanno prodotto una diversità, un’identità che, se la cancelli, cancelli anche i popoli.
La lingua è specchio del carattere di un popolo. Non vorrei essere nazionalista, ma nessuna lingua mi sembra dolce, armoniosa, musicale come l’italiano. Che sia per questo che abbiamo la miglior qualità della vita? Il tedesco è duro, gutturale, con una sintassi ferrea: è come sono tedeschi. (E come non saremo mai noi). Gli inglesi squittiscono, è una lingua da topolini. Che sia per questo che sono stati i primi a realizzare quel trasporto pubblico per ratti che sono le metropolitane?
Al di là delle battute, quando tanto tempo fa studiai linguistica all’università (dove c’erano colossi della cultura, non travet del posto fisso…) mi insegnarono che la grande famiglia delle lingue indoeuropee aveva sì alcune caratteristiche comuni (chiaro che siamo tutti esseri umani) ma c’erano due lingue completamente diverse, estranee all’indoeuropeo: la prima l’ungherese, e la seconda? Il sardo! Come dire che è meno folle pensare all’unità politica con gli indiani che con gli ungheresi o i sardi!…
D’altra parte com’è pensabile anche solo la nostra unità politica con quelle popolazione del nostro Meridione che 25 secoli fa erano già all’apice della cultura con la Magna Grecia quando noi settentrionali dovevamo ancora scendere dalle piante? Eravamo ancora barbari come i galli o i germani o gli angli…
Gli italiani del Nord e del Sud morti assieme nelle trincee della Grande Guerra stentavano a comunicare, perchè parlavano due lingue diverse reciprocamente poco comprensibili.
Napolitano, in Friuli, nell’esaltare le magnifiche sorti e progressive dell’Unione europea, ha voluto rendere omaggio al loro sacrificio. Ma quelle persone morirono per un ideale, che magari nemmeno conoscevano ne condividevano, ma che era chiaro: Italia libera dallo straniero, unita e sovrana. Sottolineo sovrana.
La sovranità monetaria è stata ceduta senza nemmeno l’avvallo di un referendum popolare. L’unità politica dell’Europa sarebbe il massimo oltraggio alla memoria di chi morì per un’Italia libera e sovrana.
RENZI, PRANDELLI E LA BANANA
Renzi, Prandelli e la banana
Il disastro della nazionale di Prandelli fa tornare alla mente la foto dove lui e Matteo Renzi sono assieme a mangiare la banana. Col senno di poi non proprio una mossa azzeccata del premier. Anzi, una pagliacciata mostrarsi così proni alla moda, al banalmente (o bananamente) corretto.
Ce ne fosse bisogno, le tragedie di questi giorni ci mostrano che il razzismo vero è tutt’altra cosa da un buu gridato allo stadio. E’ il razzismo religioso di sunniti e sciiti che si massacrano in Iraq, è la caccia al cristiano in tanti Paesi del mondo; è il razzismo tribale che insanguina l’Africa.
Magari dalla debacle degli azzurri nascerà anche un piccolo risvolto positivo: i tanti Balotelli del calcio, questi eterni adolescenti mai maturati, potremo irriderli – come meritano – anche se hanno la pelle nera, senza essere più accusati di razzismo…
Quanto a Prandelli è rimasto solo e isolato a mangiarsi la banana. Renzi invece può contare su ogni sorta di soccorso: quello azzurro di Berlusconi, quello rosso dei transfughi di Sel; da oggi pomeriggio – dopo la diretta streaming – è garantito anche il soccorso pentastellato.
Insomma tutti a mangiar banane sul carro del vincitore, secondo consolidato costume italiota. Con questo premier, così abile a sguazzare tra sinistra e destra e nuovo centrodestra, rischiamo di ritrovarci con il partito unico di Matteo Renzi. Non proprio il massimo della democrazia.
Speriamo almeno che il “dittatore” fiorentino sia un abile ct per il Paese, che lo rivolti come un calzino. Perchè siamo proprio a banane. Non tanto e non solo sotto il profilo economico e sociale. Il punto è che siamo trattati come scimmiette dalle lobby conservatrici dei propri interessi che in ogni modo ostacolano qualunque riforma che sia di sostanza e non solo di facciata.
Diamogli pure mille giorni come ha chiesto ma, sia chiaro, che senza risultati non ci sarà il rinnovo del mandato…Il Paese Italia è messo proprio come il calcio italiano: o lo ricostruisci dalle fondamenta o basta un Uruguay, anche una Costarica, per travolgerci.
SCHIFEZZE D’UOMINI TORNATI BAMBINI
“Schifezze d’uomini”, titola oggi Il Giornale sopra le foto del presunto assassino di Yara Gambirasi e del reo confesso che nel milanese ha sgozzato la moglie e i due figli. Sempre oggi sui siti c’è la notizia di una donna ammazzata dal marito nel ragusano e di un’altra massacrata a pugni e calci dal compagno a Pietra Ligure.
Le vittime sono sempre e anzitutto loro, le donne. Vittime della gelosia, di appetiti sessuali inconfessabili, o semplicemente del desiderio di liberarsi di loro senza nemmeno passare attraverso il divorzio.
Colpisce, scandalizza (ma è significativo) il comportamento di questo Carlo Lissi che, dopo aver massacrato moglie e figli, va al bar a vedere la partita, tifa Italia e beve birra come se nulla fosse successo.
Parlare di follia dice tutto ma, proprio per questo, dice nulla. Che la follia dilaghi è dimostrato dal fatto che abbiamo abolito i manicomi: solo dei pazzi potevano farlo…
In questi casi l’inasprimento della pena, la deterrenza della giustizia, non funziona. Nemmeno in quei Paesi dove la giustizia funziona al meglio. Omicidi così efferati e violenti, apparentemente senza una spiegazione plausibile, si verificano in tutto il mondo Occidentale.
Forse proprio il comportamento di Carlo Lissi ci aiuta a capire. Queste schifezze d’uomini sono regrediti allo stadio infantile, sono tornati bambini.
Ogni bambino è convinto di essere il centro dell’universo, tutto gli è dovuto. Scambia i suoi desideri per la realtà. Non pensa che esistano ostacoli ai suoi desideri. Quando il bambino litiga, o è geloso, e dice “ti ammazzo”, intende proprio ti ammazzo…(non è nelle condizioni di farlo, ma vorrebbe farlo). Poi cresce e impara che la realtà esiste: viene educato, i cosiddetti “freni inibitori” gli servono a controllare gli impulsi e i desideri. Il bambino diventa adulto.
Ma c’è anche il percorso inverso, quando si allentano o addirittura scompaiono i freni inibitori: l’adulto torna bambino, torna a convincersi che la realtà deve corrispondere ai suoi desideri, anche a quelli più turpi.
Lo stesso affermarsi, nel mondo libero e senza più inibizioni, dei cosiddetti diritti individuali non aiuta. Il diritto a rifarmi una vita, a rifarmi una famiglia, ad avere qualunque nuova relazione; tutto questo porta ad abbattere gli eventuali ostacoli: la moglie, la compagna, anche i figli
Non intendo discutere questi diritti, ormai affermati ed irrinunciabili. Il che non toglie che talora producano effetti pesanti e negativi. Detto in altri termini: l’egoismo, il soddisfacimento di ogni proprio desiderio, relega in secondo piano i doveri famigliari e sociali.
Sia chiaro che questo mio è solo un tentativo di analisi, non certo una ricetta per cercare di arginare la dilagante violenza sulle donne.
PADOVA NEL BENE E NEL MALE
Qualche considerazioni partendo dal raffronto tra Padova e Verona che ha proposto Halexandra nel post precedente. Ovviamente sono le due città venete più “care” anche a Telenuovo, ma molto diverse tra loro.
Padova è più centrale, sia nel bene che nel male, più complessa e difficile da governare, qualunque sia il colore dell’amministrazione comunale.
Partiamo da un minimo di precedenti. Padova, negli anni di piombo, è stata la capitale del terrorismo in Veneto. Non a caso anche la prigione del generale Dozier era ubicata qui. Padova ha il centro sociale più radicato e robusto, il Pedro. A Verona i no global sono sempre stati quattro gatti.
Quando all’inizio degli anni Ottanta, l’allora segretario del Pci veronese Dino Facchini, lanciò l’allarme antidroga definendo Verona la “Bangkok d’Italia”, inventò uno slogan felice per i media ma inesatto: Verona non era la Bangkok nemmeno del Veneto, lo era Padova perchè – grazie alla centralità geografica – da qui la droga veniva smistata in tutte le altre province venete. La malavita organizzata – e termino con i precedenti – la Banda Maniero agiva tra Padova e la Riviera del Brenta.
E’ appunto la centralità geografica che rende Padova lo snodo cruciale sia nel bene che nel male. Nel bene: ha una delle più antiche e prestigiose università italiane (magari è pure un male: perchè 60 mila studenti non sono semplici da governare…). E’ la sede della ricerca scientifica, capitale del terziario avanzato, ha un tessuto produttivo ad alta tecnologia.
Il male l’ho ricordato per il passato e prosegue nel presente: resta la capitale veneta dello spaccio di droga e di tante altre attività criminali. Sulle quali si è innescato da oltre vent’anni il fenomeno dell’immigrazione. Manca una capacità di selezionare gli ingressi e arginare gli arrivi. Problema nazionale. Abbiamo una giustizia che non funziona. Problema nazionale. Non c’è stata la riorganizzazione delle forze dell’ordine. Problema nazionale.
Dopo è anche vero che un’amministrazione comunale può essere “accogliente” o “respingente”. Ma i tre nodi da sciogliere sono quelli nazionali. Altrimenti è fatale che Padova resti il punto d’arrivo e di smistamento anche dei clandestini. In confronto Verona è un isola felice. Sarà anche merito dell’amministrazione Tosi. Ma mai, con nessuna amministrazione (nemmeno con la Zanotto), Verona ha conosciuto il degrado vigente a Padova.
Non resta che concludere con i migliori auguri al neo sindaco di Padova Massimo Bitonci. Anche perchè credo che lui per primo sia consapevole di essere stato chiamato a governare la più difficile e complessa città del Veneto.
BITONCI TOSI RENZI: FINE DEI PARTITI
Un dato è emerso netto dai ballottaggi di ieri: la fine dei partiti, la fine del radicamento dei partiti nel loro territorio storico. Ora contano solo gli uomini: da Massimo Bitonci, che ha trionfato a Padova, a Flavio Tosi il primo precedente a Verona, fino a Matteo Renzi.
Renzi ieri non era in campo e, quindici giorni dopo, si dissolve lo strepitoso 41% del Pd. I democratici, senza Renzi, tornano a zoppicare a diventano macchie di leopardo: vincono a Bergamo e Pavia, perdono a Padova, a Perugia, a Livorno. Perdono, per giunta, in queste tre ultime città roccaforti (Padova compresa) del centrosinistra. Città rosse. Mentre vincono nelle prime due, città tradizionalmente di centrodestra.
Bitonci, il leghista, trionfa nella Padova di Zanonato dove la Lega aveva fin’ora raccolto bricciole. Trionfa lasciando nell’armadio il simbolo del suo partito e dei partiti in genere. Trionfa come uomo delle liste civiche e batte Ivo Rossi anche nelle sezioni, nei quartieri padovani considerati rossi.
Il precedente storico, il suo modello, è il suo avversario nella corsa alla segreteria regionale della Lega, Flavio Tosi che già nel 2007 conquista Verona ( e la riconquista nel 2012) con la sua lista civica primo partito della città scaligera.
Entrambi raccolgono anche voti a sinistra. Così come Renzi li raccoglie al centrodestra e in area moderata.
Cos’è la destra, cos’è la sinistra? Si chiedeva Gaber vent’anni fa. Oggi sono un ricordo del passato, non più l’appartenenza dirimente del presente.
Se vogliamo aumenta anche il divario tra politiche nazionali e locali. Renzi parla di Europa da cambiare, di economia da rilanciare. Bitonci vince battendo sul tema della sicurezza (come Tosi). “Ripuliremo Padova” è stato il suo slogan vincente. Di lavoro ha parlato poco, di Europa nulla. Per Renzi il tema sicurezza è “desaparecido” dal suo programma, come i clandestini in arrivo montante: la sua matrice cattolica lo rende accogliente. Potrebbe essere il suo tallone d’Achille.
Ma intanto conta lui, conta Bitonci, contano gli uomini. Va a finire che i partiti diventano un handicap. Loro che, col proprio simbolo, erano erano la certezza fuori dalla quale non esisteva speranza per alcun candidato.
L’anno prossimo, per cercare la riconferma alla guida del Veneto, Luca Zaia non potrà che seguire il modello Tosi-Bitonci: si presenterà come il presidente dei cittadini e delle liste civiche, non certo della Lega. Al momento il suo competitor pare Alessandra Moretti, non certo donna del Pd, ma “premiére dame” veneta di Matteo Renzi.
Ieri si sono celebrati i funerali dei vecchi, già tanto cari e amati, partiti politici italiani.
VIVA L’ITALIA, VIVA LA REPUBBLICA!
Oggi, 2 Giugno, una cosa la festeggiamo di sicuro: la liberazione dai Savoia.
Il problema non è la repubblica o la monarchia, sistema oggi in Europa altrettanto democratico. Come dimostrano la Spagna piuttosto che la Gran Bretagna o l’Olanda. Però c’è casa regnante e casa regnante. Ci sono i Windsor, c’erano gli Asburgo. E c’erano appunto anche i Savoia, non proprio la stessa cosa: pastori della Savoia o poco più, diciamo un tantino provinciali. Il cosiddetto primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, l’italiano nemmeno lo parlava, solo un dialettaccio francese di montagna.
L’ultimo discendete, Emanuele Filiberto, è finito a fare il pagliaccio ballando sotto le stelle e dimostrando così tutta la stima che lui per primo ha del suo casato…
Insomma, i Savoia, una monarchia delle banane. Ma purtroppo, come ben sappiamo, ci sono anche le repubbliche delle banane…Dove, ad esempio, mamma Rai proclama lo sciopero generale contro il taglietto deciso da Matteo Renzi al suo pingue bilancio. Una farsa, una vergogna tale da porgere su un piatto d’argento al premier la battuta che ha fatto ieri a Trento: potevano proclamarlo prima delle europee lo sciopero, che così prendevo il 42% invece del 41%!
A proposito di europee, raccontavo in redazione che i miei due figli, che lavorano all’estero, non hanno votato perchè, non essendo residenti a Londra (nel qual caso avrebbero usufruito del voto per posta), sarebbero dovuti tornare in Italia.
E da qui sono nate le considerazioni sui “permessini” elettorali.
Ci sono, ad esempio, docenti meridionali che, pur insegnando in Veneto da vent’anni, non hanno mai spostato la residenza. Perchè? Perchè così scattano i due giorni di permesso per tornare a votare al Sud e nelle Isole. Tenendo conto che – o per le politiche o per le europee, o per le regionali o per le comunali – si vota praticamente ogni anno, il calcolo ci sta tutto…
Anche perchè i poveri insegnanti le ferie quasi non sanno cosa siano. E’ vero che le scuole chiudono tutta l’estate, due settimane a Natale e una a Pasqua, ma loro, gli insegnanti, non sono in ferie sono…a disposizione, sempre sul chi vive in attesa di chiamata. Come i medici di guardia. E allora, con tutto questo stress, il loro contratto prevede una settimana aggiuntiva di ferie da consumare a scuole aperte.
E’ non risulta sia un contratto fatto sotto la monarchia dei Savoia. (E questi – che sfruttano anche il permessino elettorale – sono quelli che dovrebbero insegnare il senso civico ai ragazzi.) Viva l’Italia, viva la Repubblica!
IL GRILLISMO DI BERLUSCONI
Accanto a quella di Grillo c’è anche la sconfitta del centrodestra. Libero si pone oggi il problema della rifondazione, di come ripartire dopo la batosta, e delinea uno splendido programma liberale. Pura fuffa; perchè per ripartire ci vuole prima di tutto ed anzitutto un leader.
E qui sorge il problema della grande, deleteria, somiglianza tra Berlusconi e Grillo: entrambi si sono infatti circondati del nulla, sotto il profilo dello spessore politico.
Beppe Grillo, a suo modo, è un grande leader. I risultati ottenuti lo dimostrano. Il suo problema sono i grillini che, entrati nelle istituzioni, hanno cominciato a farsi conoscere. E qui è riemerso con prepotenza lo storico, famoso, slogan anti-Aids: “Se lo conosci, lo eviti”…
Indiscutibile che anche Berlusconi sia stato un grande leader. Oggi senza eredi perchè anche lui si è sempre circondato del nulla: di amici, di polli d’allevamento, di designati. Nessuno che fosse emerso per capacità proprie dall’agone politico, che avesse dimostrato sul campo doti e risultati.
Che Renzi fosse un number one era già incontestabile quando questo ragazzetto, uscito dal mondo cattolico, conquistò la prima roccaforte italiana del Pci-Pds-Ds. Quella Firenze intessuta come una ragnatela dai rapporti di potere della “bottega” (per usare il termine con cui Bersani designava il suo partito).
La politica è un mestiere straordinario. Se hai talento emergi perfino se viene dai boy scout!
A mio modesto parere Tony Bisaglia era e resta il più capace leader politico del Veneto. Fu allievo di mio padre all’università, non superò l’esame di Analisi (o forse prese 18) e il prof. Zwirner lo considerò sempre un incapace. Anche i padri sbagliano. Se hai talento in politica emergi pure con la terza elementare.
Mentre non vale il contrario. Mettiamo che Giovanni Toti sia un ottimo giornalista. Non basta per diventare significante in politica…Eugenio Scalfari è un giornalista straordinario. In politica, come deputato del Psi, non lasciò segno. Lo si ricorda solo per aver apostrofato il vigile, che a Milano gli fece la multa, con l’arroganza tipica della casta: “Lei non sa chi sono io!”.
Mettiamo che Nicolò Ghedini sia un grande penalista, oppure un avvocaticchio. In ogni caso un disastro politico per Forza Italia. Da anni in Veneto non si muove foglia che Ghedini non voglia. Risultati: la Lega ha sorpassato Forza Italia che oggi, alle comunali di Padova, è inabissata ad un 7% di voti; anche perchè il Nicolò in toga aveva deciso che il capolista doveva farlo il suo commercialista (come se un partito popolare fosse una sezione del Rotary…)
Silvio Berlusconi non ha fatto emergere dal campo l’embrione di un nuovo leader che sia uno. E così il centrodestra si trova nel Deserto dei Tartari; il vana attesa di chi mai arriverà perchè non è mai nato.
GRILLO, D’ALEMA E LA COMPETENZA
Massimo D’Alema, a prescindere dall’antipatia che suscita quel suo approccio saccente da primo della classe, il primo della classe lo resta. Capace cioè di andare controcorrente sui luoghi comuni del rinnovamento e del giovanilismo.
Parlando di Europa, D’Alema mi faceva notare che al parlamento siedono personaggi di diversi Paesi con sette mandati alle spalle. Il massimo della competenza, dell’esperienza, della conoscenza dei meccanismi di governo. I più autorevoli e capaci
Il bello è che competenza ed esperienza sono la forza anche di Beppe Grillo. Perchè è riuscito a mettere in scena lo splendido – seguitissimo – spettacolo di ieri sera a Porta a Porta? Perchè fa lo show man da più di trent’anni! Perché era già esperto di comizi politici quando lo cacciarono 21 anni fa dalla Rai dopo le accuse ai socialisti di essere tutti ladri! Ed oggi, col tempo e l’esperienza, è ancora migliorato, ancora più efficace.
Dobbiamo invocare il vincolo di mandato anche per lui? Dobbiamo pretendere che, dopo dieci anni, anche lo show man si faccia da parte in nome del ricambio? Risultato: a Porta a Porta ci mandiamo Casaleggio o Roberto Fico o la Lombardi per garantire il sonno dei telespettatori di Vespa…
Intendiamoci, il ricambio è necessario. Ma è stupido generalizzarlo a prescindere. Chi si siede sul proprio lavoro e sceglie il tran tran, va stimolato e rimosso. Chi invece continua a lavorare con entusiasmo ed impegno, deve restare al suo posto nell’interesse della collettività.
Oggi il presupposto (a 5 Stelle) per andare a Roma o a Bruxelles, per diventare sindaco, è quello di non aver mai fatto prima né politica né amministrazione. Avere esperienza zero è la conditio sine qua non. Una follia, una stupidaggine. Come dire che da domani posso fare il medico solo se fino a ieri ho fatto il giornalista o il commercialista o qualunque altro mestiere, purchè non sappia nemmeno da dove cominciare la terapia.
Come dire che da domani ho il diritto di fare il comico (vero che per Silvestro sono già esperto del ramo…) o lo show man.
Abbiamo dei medici-politici incompetenti, di dubbia qualità ed onestà? Dobbiamo puntare a trovarne di migliori. Ma più la malattia è grave – ed il nostro Paese è un malato quasi terminale – più il medico deve essere esperto e competente. O andiamo a farci curare il cancro da Casaleggio?
Il paradosso è che Grillo, che deve il successo alla sua grande competenza, vuole circondarsi (e farci governare) da incompetenti.