Se non ce la fai più nemmeno a cambiarti il pannolone, o ad andare a letto da solo, hai poco da lamentarti: ti serve la badante; e ringrazia Dio se puoi permettertela o se te la pagano i figli. Perchè altrimenti non resta che il ricovero.
Il nostro Paese è ridotto così. Incapace di governare e governarsi gli serve una badante: l’Europa. Il vecchio detto – meglio soli che male accompagnati – prospettava la scelta dentro un’alternativa che per noi non esiste: da soli non riusciamo a combinare nulla. Quindi non resta che essere accompagnati, anche male, anche da un’Europa assai criticabile e fin qui deludente.
Prendiamo il caso dell’ultimo contenzioso di questi giorni con l’Europa, accusata di latitare: il controllo dell’immigrazione. Da trent’anni e più (gli arrivi massicci iniziarono fine anni Ottanta), qualunque fosse il colore dell’Esecutivo, abbiamo mai dimostrato di saperla governare in maniera, non dico efficace, ma appena decente? Mai successo. E allora, che giunga l’Europa ad insegnarci a farlo, sarà anche solo una speranza o un’illusione, ma l’alternativa è il disastro (mare) nostrum.
Certo, mica tutti necessitano della badante. La Svizzera (20% di stranieri) ha dimostrato di saperci fare, la Germania anche. Noi no, ci vuole la badante.
E il governo dell’immigrazione è solo un esempio. La Giustizia: c’è un Paese che l’abbia più squinternata del nostro, con la Procura di Milano dove litigano tra loro nemmeno fossero venetisti? E la produttività, il mercato del lavoro, la lotta all’evasione? Quando mai abbiamo saputo affrontare e risolvere questi nodi?
L’estremo paradosso è che non vuole la badante proprio chi più dipinge l’anziano come non autosufficiente. Parlo di Grillo che – da un lato accusa la classe politica di essere incompetente, corrotta, incapace – dall’alto lamenta l’esproprio di sovranità compiuto dall’Europa con l’introduzione dell’euro! E a chi dovevamo lasciarla, la sovranità, ai corrotti e agli incapaci? O trasferirla ai dilettanti a 5 Stelle?
Già alla fine degli anni Novanta, di fronte ad un Paese col debito pubblico fuori controllo, che aveva introdotto follie come le baby pensioni, in molti speravamo che fosse l’Europa a costringerci a diventare più seri. Che fosse lei quel “tutore” che va assegnato a chi è incapace di intendere e di volere.
Per farne a meno dovremmo essere quello che non siamo: un Paese autosufficiente, capace cioè di affrontare e risolvere da solo i propri problemi. In caso contrario rinunciare alla badante ha un unico risultato: nessuno ti cambia il pannolone e resti là, affogato nei tuoi escrementi.
IL PENSIONAMENTO DEI SINDACATI
Che i sindacati, per come operano, siano fuori dal tempo, cioè fuori dal moderno mercato del lavoro, letteralmente stravolto dalla globalizzazione, lo dimostra un dato inconfutabile: la maggioranza degli iscritti alla Cgil (e non solo alla Cgil) sono pensionati e non lavoratori attivi.
Persone che, per gratitudine rispetto a quando avuto in passato, continuano a pagare la tessera. Un po’ come portare un mazzo di fiori in cimitero al caro estinto…La Ridotta della Valtellina del sindacato è il tentativo di strenua difesa dei cosiddetti “diritti acquisiti” di chi già ha il posto fisso. Giovani, precari, esodati, disoccupati cinquantenni – tutte le nuove tragiche realtà del mercato del lavoro – non vengono più intercettati ne rappresentati dalle organizzazioni sindacali.
Ferme al passato anche nelle proposte. Quando domandi loro come recuperare posti di lavoro a livello nazionale, o in provincia di Padova o di Verona, la risposta è sempre lo stesso mantra: serve una politica industriale. Che significa due semplici cose: programmare a monte le produzioni su cui puntare e finanziarle con denaro pubblico. Ogni volta scherzo con i dirigenti sindacali e dico loro che siamo fermi ai Piani Quinquennali sovietici. Anche allora programmazione e investimenti pubblici. Risultati: disastrosi sotto il profilo economico e sociale.
Dopo di che il sindacato, magari sbagliando, fa il suo mestiere. Potrebbe chiedere anche un’ora di lavoro al giorno per 5 mila euro di stipendio al mese. Il problema, e dunque le responsabilità vere, sono della controparte, che può respingere o accogliere queste proposte. Fin’ora le ha sempre accolte.
La controparte pubblica, cioè il potere politico. Ed anche quella privata, cioè Confindustria, interessata anzitutto ad avere il via libera sulla spartizione degli aiuti statali.
Imputare al sindacato il disastro del nostro mercato del lavoro e come imputare ai magistrati il disastro della giustizia. Nell’un caso e nell’altro è anzitutto il potere politico che ha calato le braghe.
Pare che Renzi, ora, non intenda mettersi anche lui a “cuo busòn”. Vedremo. Il ogni caso non è lui il nemico del sindacato. Anzi è l’alleato, l’amico medico che prova a prescrivergli il Viagra perchè ritrovi un minimo di virilità. Solo un sindacato indotto (costretto) a cambiare potrà infatti ritornare a rappresentare le nuove esigenze del mercato del lavoro. Altrimenti è il pensionamento; la lenta, progressiva, estinzione.
DECIDE TUTTO GENNY ‘A CAROGNA
Devo concordare con Marco Travaglio che, ironicamente, ha scritto: ”Ha ragione il questore di Roma a dire che con gli ultras del Napoli non c’è stata nessuna trattativa. Infatti ha deciso tutto Gennaro De Tommaso, per gli amici Genny ‘a Carogna”.
Magari calassimo le braghe solo davanti agli ultras. Concordo pure col Giornale che titola: “ La resa dello Stato. Ostaggio del Branco. Dai teppisti da stadio ai no tav, dai black bloc ai picchiatori del web. Comanda chi sfascia di più”.
Superfluo aggiungere che, se non riusciamo ad esercitare la deterrenza nei confronti dei violenti del calcio, figurarsi con i criminali stranieri e nostrani…
Dopo di che, se è ridicolo negare una trattativa vista in diretta da milioni di telespettatori, diventa buon senso averla esercitata nell’emergenza: senza l’ok di Genny ‘a Carogna infatti, sabato sera lo stadio Olimpico rischiava di esplodere con conseguenze spaventose.
Cessata l’emergenza però lo Stato deve (dovrebbe) saper agire per evitare che si ripeta. Ma la proposta del ministro Alfano – il daspo a vita – è inefficace perchè non tiene conto della realtà. Oggi ci vogliono ore per entrare allo stadio. In teoria ai tornelli controllano tutto: biglietti, carta d’identità, zainetti perquisiti, divieto di portare perfino l’ombrello. Ma in pratica entra di tutto: spranghe di ferro, bombe carte, petardi, oggetti contundenti. Figurarsi se non continueranno ad entrare tranquillamente anche quelli colpiti dal daspo a vita…
Penso che servirebbe di più agire sul fattore economico, cioè spezzare il foraggiamento che le società di calcio garantiscono al tifo organizzato con gli stock di biglietti, le trasferte, il coinvolgimento nel marketing, gli spazi concessi gratuitamente dentro agli stadi (spazi utilizzati per precostituire gli arsenali prima dei controlli ai tornelli). Mi raccontano che i Genny ‘a Carogna sono cointeressati anche alla compravendita dei calciatori, e vengono pagati a fronte dell’impegno a non lanciare quei petardi che costano multe salate alle società…
Quindi radiare le società calcistiche che abbiano qualunque rapporto con il tifo organizzato.
Non pretendo in ogni caso di essere un esperto. Spetta allo Stato trovare quelle misure idonee che hanno eliminato qualsiasi violenza dal calcio inglese, spagnolo o tedesco. I buoni propositi, i daspo a vita, sono solo fuffa utile a garantire che proseguirà il degrado del calcio italiano.
MORTO IL PARENTE, SISTEMATI A VITA
Tra le varie cose vergognose che accadono nel nostro Paese c’è – sempre più spesso – anche questa: le cause intentate ai medici di fronte ad un caso – vero o presunto di malasanità – che non si concludono, come eventualmente sarebbe logico, con la condanna del medico; ma contemplano anche ed anzitutto un lauto risarcimento ai congiunti del deceduto.
E’ diventato ormai questo il primo e vero motivo per cui gli stessi congiunti aprono il procedimento giudiziario. Uno squallore infinito, perchè mi sembra corretto riassumerlo così: speriamo mi muoia il figlio, la moglie, il marito, che così mi sistemo per il resto della vita.
Non solo il parente più stretto, ma perfino gli eredi del parente del morto sotto i ferri lui pure nel frattempo deceduto. Da non crederci.
Invece bisogna crederci perchè l’ultimo caso è successo qui in Veneto. 16 anni fa una bimba pugliese, con problemi cardiaci, fu operata al Centro cardiochirurgico di Padova, poco dopo entrò i coma e morì. Oggi, sedici anni dopo, la Corte d’Appello di Venezia ha confermato che va pagato un risarcimento ai famigliari di 505 mila euro.
Così distribuito: 250 mila alla madre, 60 mila alla gemellina della bimba morta, 35 mila a testa agli altri due fratelli, e in fine 125 mila da distribuire tra gli eredi del padre (fratelli, cugini?) che nel frattempo è morto pure lui in un incidente stradale! Furono anche loro, i parenti del padre, così turbati da aver diritto ad un risarcimento in denaro?
Mi sembra una follia. Che, tra l’altro, serve a foraggiare le apposite “agenzie” che istigano i parenti del morto per mala sanità ad intentare la causa di risarcimento sulla quale lucrano.
Ora non intendo entrare nel merito di una sentenza che avrebbe appurato la responsabilità dei chirurghi. I quali, come tutti i medici, non godono del privilegio concesso ai soli magistrati: la irresponsabilità civile delle loro azioni. Loro, i medici, devono rispondere. Bene che il giudice li faccia rispondere, senza però consentire questo lauti risarcimenti ai parenti tutti che innescano un meccanismo della più vergognosa speculazione sui propri cari morti.
Senza aggiungere un dettaglio non secondario. Le cause vengono intentate anzitutto ai chirurghi, professione divenuta così rischiosa che i laureati in medicina tendono ormai a disertare la specializzazione in chirurgia.
Risultato: continuando così tra qualche anno dovremmo andare a farci operare all’estero. In Paesi più civili, e con una giustizia più attenta a non fare il gioco degli speculatori sui propri morti.
VENETISTI, LA POLITICA NON E’ FOLCLORE
Cari venetisti, lasciamo da parte la storia e parliamo della realtà, cioè del presente.
Chi crede nella politica (quorum ego), cioè negli obiettivi concretamente raggiungibili, dovrebbe tenerla separata dai sogni e dal folclore.
Siamo reduci da vent’anni di folclore padano: secessione! Federalismo! Padania libera! Risultati zero. Ed era un folclore sostenuto da un potente e verificabile consenso popolare. Parlo delle urne, dei tanti voti raccolti al Nord dalla Lega. Non raccolti nella rete dove tutto resta opinabile perchè taroccabile. Ciò non ostante risultati zero. Piaccia o no, non esistevano le condizioni per compiere passi padani concreti in avanti.
Basta così? Nemmeno per idea: siamo passati dal folclore padano a quello venetista: indipendenza! Veneto libero! Referendum per l’autodeterminazione! Il tutto senza nemmeno l’ampio, verificabile, consenso che aveva la Lega.
Quindi anche solo per parlarne, come parlammo a lungo della Padania, servirebbero tre condizioni. Che i venetisti la smettessero di fare come i capponi di Renzo (Tramaglino). Che emergesse un vero leader carismatico capace di unificare il movimento (Rocchetta è un ideologo, non un leader politico. Nella Liga Veneta lo era forse sua moglie Marilena Marin, lui no). Che ci fosse un consenso reale e verificabile: un 10, un 15% alle regionali dell’anno prossimo; non il prefisso telefonico che i venetisti sparsi hanno ottenuto fin’ora in questo o quel comune dove hanno osato presentarsi alla verifica…
Solo allora, al di là delle astratte disquisizioni giuridico-costituzionali, si avrà titolo e forza per chiedere un referendum. Come in Scozia, come in Catalogna
Altrimenti riunisco un po’ di amici al bar e lancio il movimento per l’annessione del Veneto all’Austria. Lo mettiamo in rete e, se passiamo il fine settimana a cliccare, raccogliamo 100 mila firme. Se ci diamo dentro anche lunedì e martedì, 200 mila. A quel punto – in nome del diritto dei popoli all’autoderminazione – chiediamo e pretendiamo che i veneti siano chiamati ad esprimersi! Possiamo farlo senza aver dimostrato un consenso reale al partito austriacante? Direi di no.
Sarebbe anche il nostro puro folclore. Inutile appellarsi alla storia per decantare quanto sia stata lungimirante e soft la dominazione asburgica in Veneto, quanti margini di autonomia concedessero ai territori, come scegliessero gli amministratori locali tra i nativi di Verona o di Padova, quante poche tasse riscuotessero, come fossero tolleranti nei censimenti dove potevi tranquillamente dichiararti cattolico, protestante, ortodosso, ebreo oppure anche ateo (come fece a Trieste mio nonno materno Mario Metlicovitz)
Il passato è passato. Oggi contano solo le urne: se le riempi, forse, fai un passo avanti; se restano vuote sei un romantico nostalgico.
UN 25 APRILE DI SCONTRO SUL NULLA
Si profila un 25 Aprile di scontro, tra i partigiani dell’Anpi che ribadiscono l’esigenza di festeggiare la Liberazione e i venetisti che festeggiano invece San Marco in nome dell’indipendenza del Veneto. Ma ho l’impressione che sia uno scontro sul nulla: non ha infatti senso festeggiare né la liberazione d’Italia né l’indipendenza veneta per il semplice motivo che non sono mai esistite.
Nell’estate del ’45 c’erano nuclei di comunisti pronti a fare la rivoluzione armata, come logica prosecuzione della lotta partigiana. Ma Togliatti spense i bollenti spiriti, ricordando ai compagni focosi: guardate che l’Italia non l’hanno liberata le Brigate Garibaldi ma l’esercito anglo-americano…
Non c’è dubbio che a sconfiggere i nazzifascisti furono gli eserciti alleati. Ma fu una liberazione o un cambio di conquistatori? La seconda, non c’è dubbio: per alcuni anni ci fu l’occupazione armata degli alleati, e le basi americane sul territorio nazionale le abbiamo anche oggi, 23 Aprile del 2014…C’era poi l’occupazione felpata: l’Italia doveva avere governi graditi agli Usa, cioè senza comunisti, e doveva far parte dell’Alleanza Atlantica. Proprio come all’Est non potevano esserci partiti democratici e bisognava far parte del Patto di Varsavia.
Tutto finito col crollo del Muro? E’ arrivata allora la piena liberazione dell’Italia? Non direi. Le basi Usa restano (la conquista tedesca è arrivata con la Ue) e anche un mese fa Obama è venuto a visitare una colonia, elogiando i nativi: ma che bravi questi italiani, ce la possono fare! (esiste che Renzi vada a Washington a dire ma che bravi questi americani?)…Immagino che anche quando i monarchi inglesi andavano in Sudarica o in Kenia elogiassero i nativi: ma che bravi questi Zulù, questi Vatussi quanto sono grandi!…
I venetisti sostengono che il precedente storico che giustifica la richiesta di indipendenza del Veneto sono i sette secoli della Serenissima. Quando però di libertà ed indipendenza non c’era traccia. Venezia era un impero marittimo che conquistò con le armi e depredò con la forza l’entroterra veneto, esattamente come fatto con l’Istria, la Dalmazia, le isole greche. I Patrizi veneziani, da perfetti signori feudali, eressero nell’entroterra ville sontuose (coi servi veneti della gleba) che tutt’ora manteniamo grazie all’istituto regionale per la salvaguardia delle Ville Venete…
Quando a fine Settecento arrivò Napoleone, semplicemente sostituì alla dominazione veneziana quella francese; poi arrivarono gli Asburgo, poi nel 1866 di nuovo i francesi (i Savoia che, come dice il nome, venivano dalla regione francese della Savoia). Quando mai è esistito il Veneto libero e indipendente?
Quindi il 25 Aprile dovremmo festeggiare qualcosa di mai avvenuto: la liberazione d’Italia e/o l’indipendenza del Veneto.
Nessun limite, per carità, alla Divina Provvidenza. Può darsi che domani i pensionati dell’Anpi compiano il miracolo di liberare l’Italia e i venetisti il Veneto…Ma, nell’attesa, non c’è nulla da festeggiare. Ci si scontra sul nulla.
CINQUE STELLE, ZERO EURO
Cinque stelle, zero euro. E’ il titolo scelto dal Giornale di fronte al fatto che su 51 parlamentari che hanno dichiarato reddito zero, la metà fanno parte del movimento di Beppe Grillo.
Lo zero può anche starci dato che la dichiarazione dei redditi è quella del 2012, antecedente cioè alla loro elezione. Resta la domanda: casa facevano prima di diventare parlamentari, non lavoravano, chi li manteneva?
Perchè tra i redditi zero ci sono giovanotti come Luigi Di Maio, 28 anni, vicepresidente della Camera, tutt’ora iscritto (da fuoricorso) a Giurisprudenza; ma ci sono anche quarantenni come Roberto Fico, presidente della commissione di vigilanza sulla Rai.
Sono forse “bamboccioni”, celebre definizione di Padoa Schioppa, oppure “choosy” (schizzinosi) altra celebre definizione della Fornero? Saranno mica l’incarnazione di quella esecrabile classe politica che Berlusconi diceva essere “formata da gente che non ha mai lavorato in vita sua”?
Roberto Fico al Corriere ha risposto che no, lui di lavori ne ha fatti tanti: da una casa editrice ad un call center ad un albergo di Napoli. E, alla domanda come spiegasse allora il reddito zero del 2012, ha spiegato di aver deciso, quell’anno, di vivere di rendita sui risparmi messi da parte per dedicarsi a tempo pieno al movimento di Grillo!
Quindi politico a tempo pieno e per di più in grado di vivere di rendita: non proprio il massimo, non la migliore espressione di quella società civile che spesso viene contrapposta ai professionisti della politica che di politica hanno sempre vissuto.
Perchè un conto è la società civile composta da persone che hanno lavorato sodo nei mestieri, nelle arti, nelle professioni. Un altro conto è quel frammento (o quella montagna) di quelli che, come li chiamano i lombardi, “i fa ‘na got”. I fanagottoni, o fancazzisti che dir si voglia.
Sbaglierò, ma ho l’impressione che nel movimento di Beppe Grillo ce ne sia più d’uno di fancazzista a Cinque Stelle, pronti a rovesciare (a parole) l’Italia come un calzino.
LA STAR GABANELLI E IL PINCO TOSI
Ovviamente fa molto discutere, a Verona in particolare ma non solo, l’ultima puntata di Report che la Gabanelli ha dedicato a Flavio Tosi.
Silvestro mi chiede se ho cambiato idea. No: per me resta la dimostrazione del modo vergognoso di fare inchieste giornalistiche. Resta il “metodo Gabanelli”, per Silvestro invece è il “metodo Tosi”. Ovvio: ennesima riprova che le convinzioni personali (o i pregiudizi) fanno agio sulla realtà.
Alcune cose però vale la pena di dirle sul metodo Tosi, dove noto un fatale errore tattico-strategico. Chi fa politica (e non solo) deve infatti sempre aver presente chi tiene il coltello dalla parte del manico. Nella fattispecie non certo un sindaco di Verona, anche se è segretario veneto della Lega, lo tengono i magistrati e le star del giornalismo nazionale; spesso intrecciati nel famoso circuito mediatico-giudiziario
Quindi è una follia (Berlusconi docet) attaccare o criticare un magistrato. Bisogna sempre lisciar loro il pelo e proclamare l’assoluta fiducia nella giustizia. Poco importa che un italiano che nutra questa assoluta fiducia non lo trovi nemmeno col lanternino. Loro, i magistrati, hanno il coltello dalla parte del manico. Già possono farti il culo, se li critichi te lo fanno doppio.
Stessa regola vale nel rapporto con le star del giornalismo. Milena Gabanelli aveva chiesto a Tosi un intervista, lui l’ha rifiutata. Oltraggio alla corte! Ma come osa – ha pensato la Milena – questo pinco del sindaco di Verona rifiutare un’intervista a me, che se mi dessero il premio Pulitzer sarebbe ancora poca cosa?!
Non bastasse Tosi aveva anche preventivamente diffuso quei filmati che dimostrano il metodo cash di fare inchieste giornalistiche usato da Report. Altro, ancora più grave, oltraggio alla corte! Ma cosa crede, questo pinco, di potermi sputtanare a me, la Lady di Rai e Corsera?! Mo glielo faccio vedere io…
E infatti ce l’ha fatto vedere lunedì sera: un astio verso Tosi che tracimava a nascondere la pochezza dei fatti, cioè delle accuse concrete raccolte.
Accuse che, anche fossero concrete, resterebbero tutte da dimostrare. Ma vuoi che non ci sia – ha pensato a ragione la Gabanelli nazionale – almeno un magistrato pronto a cogliere la palla al balzo? A quel punto parte il circuito mediatico-giudiziario ed il gioco e fatto. Quel pinco è finito, così impara.
C’E’ ANCHE IL TANKO GIUDIZIARIO
Ragionando il giorno dopo sulla retata venetista, va osservato che addosso al tanko artigianale di Casale di Scodosia è arrivato il tanko giudiziario: cioè un’azione giudiziaria, così inflessibile ed impetuosa, da risultare anche lei un tanko, cioè ridicola in rapporto alla pericolosità degli arrestati.
Ci sono le intercettazioni, con i propositi deliranti. Che però restano propositi, non fatti compiuti. Ci sono le armi, che però nessun venetista ha mai usato. Magari bastava una visita del maresciallo cc di Casale che dicesse a Contin e soci: putei, basta fare i mona, o volete tornare in carcere come nel 1997?
Perchè le armi, proprie ed improprie, i no tav invece le hanno usate. Hanno dato l’assalto ai cantieri, sono andati allo scontro violento con la polizia, hanno minacciato di morte il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli. Ma con loro niente retate, niente accuse di eversione e terrorismo. Come la mettiamo?
All’apice del consenso Umberto Bossi poteva dire – non in osteria né intercettato in un capannone – ma in una pubblica piazza: “Ci sono 300 mila valligiani pronti ad impugnare le armi. E ricordino i magistrati che una pallottola costa 300 lire!…”. Come mai non l’hanno arrestato subito con l’accusa di incitamento alla rivolta armata e minaccia all’ordinamento giudiziario? Forse perchè era un Gran Lombardo e aveva alle spalle un vasto consenso in Lombardia, nella regione chiave d’Italia, non nel Veneto delle servette…
La Lega nasce in Veneto con Rocchetta, ma poi arriva Bossi e la colonizza. L’unico che prova a resistergli è Flavio Tosi. Tutti gli altri, compreso Luca Zaia che oggi gioca a fare l’indipendentista veneto, al cospetto di Bossi sussurravano in pubblico davanti a noi giornalisti: “Sì capo, giusto capo, hai ragione capo”. Indipendentisti doc, non c’è che dire.
Ci siamo dimenticati che ieri, nel 2010, chi doveva essere il nuovo governatore della colonia veneta non lo hanno deciso i veneti, ma sempre lui, Bossi, d’intesa con l’altro Gran Lombardo, Berlusconi. (E per lo scorno di Galan che voleva continuare a fare il presidente della nostra regione…)
E qui arriviamo al punto: la fragilità politica ed economica del Veneto. Alla fine degli anni Sessanta ci eravamo illusi: Rumor presidente del consiglio, ministri di peso come Bisaglia, Gui e lo stesso Flaminio Piccoli. Si diceva allora che il consiglio dei ministri si poteva tenere sul volo Roma-Venezia…Ma fu una breve illusione. Poi è riemersa la cronica fragilità politica, la mancanza di una vera leadership.
Cosa sarebbe oggi il 5 Stelle senza un leader vero come Beppe Grillo? Una banda di sbandati dispersi in mille rivoli. Esattamente quello che sono i nostri venetisti: capponi di Renzo.
C’è poi la fragilità economica. Perchè la produzione diffusa, il popolo delle partite iva, magari garantiscono benessere al territorio. Ma il peso economico è un’altra cosa: ci vogliono le grandi aziende, i grandi gruppi. Domina la finanza. E la borsa dov’è? A Milano, ovviamente. A Venezia la borsa sarebbe impensabile, diverebbe un reperto museale da mostrare ai turisti.
E allora di questa fragilità devi essere consapevole, non puoi (Zaia) cavalcare a fini elettorali un referendum indipendentista pur sapendo benissimo che Roma non te lo farà mai tenere. E’ da irresponsabili. Va a finire che qualche testa calda, qualche mona, si mette e ricostruire il tanko. E, quando lo fa, è matematico che gli arriva in quel posto il tanko giudiziario. Come puntualmente successo.
LA VERA LEZIONE DEL VOTO IN FRANCIA
La vera lezione del voto in Francia non è tanto e solo quella di cui si parla: la sconfitta dei socialisti, la vittoria di Marine Le Pen, i neo gollisti che possono puntare a riconquistare l’Eliseo nel 2017. Ovviamente c’è anche tutto questo. Ma la vera lezione è che ai francesi interessa ben poco di giudicare l’operato dei loro amministratori locali.
Perchè questo era il tema dell’appuntamento: rinnovare i municipi; erano elezioni municipali. E invece nella scelta di voto ha prevalso nettamente il giudizio sulle politiche nazionali ed europee. Tant’è che i socialisti hanno perso storiche roccaforti come Roubaix non perchè gli elettori hanno bocciato l’operato del sindaco uscente, ma perchè hanno bocciato Hollande. Tant’è che il Fronte Nazionale, che in passato aveva dato pessima prova con i suoi amministratori locali, ha conquistato ugualmente molti comuni in più perchè gli elettori hanno condiviso le critiche antieuropee della Le Pen.
E in Francia si è votato a due mesi dalle europee; che già incombono, ma sono comunque un appuntamento elettorale separato. Figurarsi da noi dove il 25 Maggio c’è l’abbinata con le comunali…Vien da pensare che le centinaia di sindaci uscenti e aspiranti sindaci entranti, già impegnatissimi in campagna elettorale, potrebbero anche stare a casa: il risultato del voto non dipenderà né da come hanno amministrato loro né dalle proposte alternative degli aspiranti sostituti. Ma anche qui da noi, come in Francia, dalle politiche nazionali e dalle proposte di cambiare i vincoli europei.
Faccio un solo esempio ricorrente sul fronte dell’ordine pubblico: i ladri colti in flagrante e rimessi in libertà il giorno dopo. Occorrerebbe nuove leggi per contrastare meglio i reati predatori, come fatto (o tentato di fare) con il femminicidio o l’omofobia.
Cosa che certo non rientra nei poteri dei sindaci.
E intanto i predoni stranieri continuano a venire a rubare in Italia perchè é facile sfangarla. In Italia, non in questo o quel comune d’Italia a seconda del colore del sindaco…
Perchè gli elettori si concentrino (un po’) di più sui temi di pertinenza degli amministratori locali bisognerebbe distanziare di anni le comunali sia dalle politiche che dalle europee. Invece si sceglie l’abbinata in nome del risparmio. Ma, se è questo preponderante, tanto vale cancellare le elezioni che si risparmia ancora di più!
Se invece vogliamo dare loro un significato preciso e peculiare, vanno eliminate le ammucchiate elettorali. Costi quel che costi.