CINQUE STELLE, ZERO EURO

Cinque stelle, zero euro. E’ il titolo scelto dal Giornale di fronte al fatto che su 51 parlamentari che hanno dichiarato reddito zero, la metà fanno parte del movimento di Beppe Grillo.
Lo zero può anche starci dato che la dichiarazione dei redditi è quella del 2012, antecedente cioè alla loro elezione. Resta la domanda: casa facevano prima di diventare parlamentari, non lavoravano, chi li manteneva?
Perchè tra i redditi zero ci sono giovanotti come Luigi Di Maio, 28 anni, vicepresidente della Camera, tutt’ora iscritto (da fuoricorso) a Giurisprudenza; ma ci sono anche quarantenni come Roberto Fico, presidente della commissione di vigilanza sulla Rai.
Sono forse “bamboccioni”, celebre definizione di Padoa Schioppa, oppure “choosy” (schizzinosi) altra celebre definizione della Fornero? Saranno mica l’incarnazione di quella esecrabile classe politica che Berlusconi diceva essere “formata da gente che non ha mai lavorato in vita sua”?
Roberto Fico al Corriere ha risposto che no, lui di lavori ne ha fatti tanti: da una casa editrice ad un call center ad un albergo di Napoli. E, alla domanda come spiegasse allora il reddito zero del 2012, ha spiegato di aver deciso, quell’anno, di vivere di rendita sui risparmi messi da parte per dedicarsi a tempo pieno al movimento di Grillo!
Quindi politico a tempo pieno e per di più in grado di vivere di rendita: non proprio il massimo, non la migliore espressione di quella società civile che spesso viene contrapposta ai professionisti della politica che di politica hanno sempre vissuto.
Perchè un conto è la società civile composta da persone che hanno lavorato sodo nei mestieri, nelle arti, nelle professioni. Un altro conto è quel frammento (o quella montagna) di quelli che, come li chiamano i lombardi, “i fa ‘na got”. I fanagottoni, o fancazzisti che dir si voglia.
Sbaglierò, ma ho l’impressione che nel movimento di Beppe Grillo ce ne sia più d’uno di fancazzista a Cinque Stelle, pronti a rovesciare (a parole) l’Italia come un calzino.

LA STAR GABANELLI E IL PINCO TOSI

Ovviamente fa molto discutere, a Verona in particolare ma non solo, l’ultima puntata di Report che la Gabanelli ha dedicato a Flavio Tosi.
Silvestro mi chiede se ho cambiato idea. No: per me resta la dimostrazione del modo vergognoso di fare inchieste giornalistiche. Resta il “metodo Gabanelli”, per Silvestro invece è il “metodo Tosi”. Ovvio: ennesima riprova che le convinzioni personali (o i pregiudizi) fanno agio sulla realtà.
Alcune cose però vale la pena di dirle sul metodo Tosi, dove noto un fatale errore tattico-strategico. Chi fa politica (e non solo) deve infatti sempre aver presente chi tiene il coltello dalla parte del manico. Nella fattispecie non certo un sindaco di Verona, anche se è segretario veneto della Lega, lo tengono i magistrati e le star del giornalismo nazionale; spesso intrecciati nel famoso circuito mediatico-giudiziario
Quindi è una follia (Berlusconi docet) attaccare o criticare un magistrato. Bisogna sempre lisciar loro il pelo e proclamare l’assoluta fiducia nella giustizia. Poco importa che un italiano che nutra questa assoluta fiducia non lo trovi nemmeno col lanternino. Loro, i magistrati, hanno il coltello dalla parte del manico. Già possono farti il culo, se li critichi te lo fanno doppio.
Stessa regola vale nel rapporto con le star del giornalismo. Milena Gabanelli aveva chiesto a Tosi un intervista, lui l’ha rifiutata. Oltraggio alla corte! Ma come osa – ha pensato la Milena – questo pinco del sindaco di Verona rifiutare un’intervista a me, che se mi dessero il premio Pulitzer sarebbe ancora poca cosa?!
Non bastasse Tosi aveva anche preventivamente diffuso quei filmati che dimostrano il metodo cash di fare inchieste giornalistiche usato da Report. Altro, ancora più grave, oltraggio alla corte! Ma cosa crede, questo pinco, di potermi sputtanare a me, la Lady di Rai e Corsera?! Mo glielo faccio vedere io…
E infatti ce l’ha fatto vedere lunedì sera: un astio verso Tosi che tracimava a nascondere la pochezza dei fatti, cioè delle accuse concrete raccolte.
Accuse che, anche fossero concrete, resterebbero tutte da dimostrare. Ma vuoi che non ci sia – ha pensato a ragione la Gabanelli nazionale – almeno un magistrato pronto a cogliere la palla al balzo? A quel punto parte il circuito mediatico-giudiziario ed il gioco e fatto. Quel pinco è finito, così impara.

C’E’ ANCHE IL TANKO GIUDIZIARIO

Ragionando il giorno dopo sulla retata venetista, va osservato che addosso al tanko artigianale di Casale di Scodosia è arrivato il tanko giudiziario: cioè un’azione giudiziaria, così inflessibile ed impetuosa, da risultare anche lei un tanko, cioè ridicola in rapporto alla pericolosità degli arrestati.
Ci sono le intercettazioni, con i propositi deliranti. Che però restano propositi, non fatti compiuti. Ci sono le armi, che però nessun venetista ha mai usato. Magari bastava una visita del maresciallo cc di Casale che dicesse a Contin e soci: putei, basta fare i mona, o volete tornare in carcere come nel 1997?
Perchè le armi, proprie ed improprie, i no tav invece le hanno usate. Hanno dato l’assalto ai cantieri, sono andati allo scontro violento con la polizia, hanno minacciato di morte il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli. Ma con loro niente retate, niente accuse di eversione e terrorismo. Come la mettiamo?
All’apice del consenso Umberto Bossi poteva dire – non in osteria né intercettato in un capannone – ma in una pubblica piazza: “Ci sono 300 mila valligiani pronti ad impugnare le armi. E ricordino i magistrati che una pallottola costa 300 lire!…”. Come mai non l’hanno arrestato subito con l’accusa di incitamento alla rivolta armata e minaccia all’ordinamento giudiziario? Forse perchè era un Gran Lombardo e aveva alle spalle un vasto consenso in Lombardia, nella regione chiave d’Italia, non nel Veneto delle servette…
La Lega nasce in Veneto con Rocchetta, ma poi arriva Bossi e la colonizza. L’unico che prova a resistergli è Flavio Tosi. Tutti gli altri, compreso Luca Zaia che oggi gioca a fare l’indipendentista veneto, al cospetto di Bossi sussurravano in pubblico davanti a noi giornalisti: “Sì capo, giusto capo, hai ragione capo”. Indipendentisti doc, non c’è che dire.
Ci siamo dimenticati che ieri, nel 2010, chi doveva essere il nuovo governatore della colonia veneta non lo hanno deciso i veneti, ma sempre lui, Bossi, d’intesa con l’altro Gran Lombardo, Berlusconi. (E per lo scorno di Galan che voleva continuare a fare il presidente della nostra regione…)
E qui arriviamo al punto: la fragilità politica ed economica del Veneto. Alla fine degli anni Sessanta ci eravamo illusi: Rumor presidente del consiglio, ministri di peso come Bisaglia, Gui e lo stesso Flaminio Piccoli. Si diceva allora che il consiglio dei ministri si poteva tenere sul volo Roma-Venezia…Ma fu una breve illusione. Poi è riemersa la cronica fragilità politica, la mancanza di una vera leadership.
Cosa sarebbe oggi il 5 Stelle senza un leader vero come Beppe Grillo? Una banda di sbandati dispersi in mille rivoli. Esattamente quello che sono i nostri venetisti: capponi di Renzo.
C’è poi la fragilità economica. Perchè la produzione diffusa, il popolo delle partite iva, magari garantiscono benessere al territorio. Ma il peso economico è un’altra cosa: ci vogliono le grandi aziende, i grandi gruppi. Domina la finanza. E la borsa dov’è? A Milano, ovviamente. A Venezia la borsa sarebbe impensabile, diverebbe un reperto museale da mostrare ai turisti.
E allora di questa fragilità devi essere consapevole, non puoi (Zaia) cavalcare a fini elettorali un referendum indipendentista pur sapendo benissimo che Roma non te lo farà mai tenere. E’ da irresponsabili. Va a finire che qualche testa calda, qualche mona, si mette e ricostruire il tanko. E, quando lo fa, è matematico che gli arriva in quel posto il tanko giudiziario. Come puntualmente successo.

LA VERA LEZIONE DEL VOTO IN FRANCIA

La vera lezione del voto in Francia non è tanto e solo quella di cui si parla: la sconfitta dei socialisti, la vittoria di Marine Le Pen, i neo gollisti che possono puntare a riconquistare l’Eliseo nel 2017. Ovviamente c’è anche tutto questo. Ma la vera lezione è che ai francesi interessa ben poco di giudicare l’operato dei loro amministratori locali.
Perchè questo era il tema dell’appuntamento: rinnovare i municipi; erano elezioni municipali. E invece nella scelta di voto ha prevalso nettamente il giudizio sulle politiche nazionali ed europee. Tant’è che i socialisti hanno perso storiche roccaforti come Roubaix non perchè gli elettori hanno bocciato l’operato del sindaco uscente, ma perchè hanno bocciato Hollande. Tant’è che il Fronte Nazionale, che in passato aveva dato pessima prova con i suoi amministratori locali, ha conquistato ugualmente molti comuni in più perchè gli elettori hanno condiviso le critiche antieuropee della Le Pen.
E in Francia si è votato a due mesi dalle europee; che già incombono, ma sono comunque un appuntamento elettorale separato. Figurarsi da noi dove il 25 Maggio c’è l’abbinata con le comunali…Vien da pensare che le centinaia di sindaci uscenti e aspiranti sindaci entranti, già impegnatissimi in campagna elettorale, potrebbero anche stare a casa: il risultato del voto non dipenderà né da come hanno amministrato loro né dalle proposte alternative degli aspiranti sostituti. Ma anche qui da noi, come in Francia, dalle politiche nazionali e dalle proposte di cambiare i vincoli europei.
Faccio un solo esempio ricorrente sul fronte dell’ordine pubblico: i ladri colti in flagrante e rimessi in libertà il giorno dopo. Occorrerebbe nuove leggi per contrastare meglio i reati predatori, come fatto (o tentato di fare) con il femminicidio o l’omofobia.
Cosa che certo non rientra nei poteri dei sindaci.
E intanto i predoni stranieri continuano a venire a rubare in Italia perchè é facile sfangarla. In Italia, non in questo o quel comune d’Italia a seconda del colore del sindaco…
Perchè gli elettori si concentrino (un po’) di più sui temi di pertinenza degli amministratori locali bisognerebbe distanziare di anni le comunali sia dalle politiche che dalle europee. Invece si sceglie l’abbinata in nome del risparmio. Ma, se è questo preponderante, tanto vale cancellare le elezioni che si risparmia ancora di più!
Se invece vogliamo dare loro un significato preciso e peculiare, vanno eliminate le ammucchiate elettorali. Costi quel che costi.

ACCOGLIENTI PER FORZA, IPOCRITI NO

Con i clandestini respingenti non possiamo esserlo (ci vorrebbe uno Stato che funzioni) quindi non ci resta che essere accoglienti. Per forza, per mancanza di alternative. Tuttavia possiamo risparmiarci di essere ipocriti.
Almeno chiamiamoli col loro nome: clandestini appunto, non profughi. “Molti sono già scappati” dalle comunità dei vari comuni veneti, scriveva ieri il Gazzettino. Il profugo vero non scappa perchè sa di poter ottenere il riconoscimento del suo status. Mentre quello tarocco se la da a gambe.
Tra le protesta dei tanti sindaci, la più interessante mi pare quella di Achille Variati, Pd di Vicenza, che al Corriere del Veneto dichiara:” Questo non è il Paese del Bengodi. Il governo deve cambiare metodo ed evitare gli errori del passato” Quali errori? Lo spiega sempre il Corriere: “Degli stranieri arrivati in Veneto con l’emergenza del 2011 meno della metà veniva effettivamente da Paesi in guerra e molti sono scappati via dalle strutture di accoglienza ben prima di una valutazione sull’asilo politico”. E la storia si ripete oggi, Marzo 2014.
Il governo deve cambiare? Renzi viene dalla cultura cattolica, quindi non può che essere accogliente. Per lui il problema non esiste. Alfano conta come il due di Coppe (briscola a Denari).
Dato che siamo tutti accoglienti, per forza. Lo sono anch’io e più degli altri; al punto che suggerisco ai clandestini la formula inappuntabile per essere accolti, coccolati e foraggiati. Dirsi profughi, provenienti da scenari di guerra? Funziona fino ad un certo punto, ma c’è di meglio. Facciano outing, affermino di essere gay perseguitati nei Paesi mussulmani. E a quel punto, tutti, ma proprio tutti gli accoglieranno a braccia aperte e senza alcuna protesta, da Papa Francesco a Variati a tutti sindaci.
Se non aprissero loro le braccia verrebbero infatti accusati di essere omofobi, con un rischio ben più alto di finire loro in carcere rispetto a quello, inesistente, che corrono i clandestini.

PER VEDERE IL VENETO GUARDA LA BBC

Se oggi vuoi vedere e capire cosa succede in Veneto è inutile sintonizzarsi sulla Rai. Devi guardare la Bbc, oppure Russia Today. Devi leggere The Telegraph, Express o The Independent.
Cito quei media stranieri che con grande risalto e altrettanto stupore raccontano l’ondata indipendentista che scuote la nostra regione. Cosa che quotidiani e televisioni nazionali non fanno. Nemmeno i fogli locali, più portati ad ironizzare che a raccontare.
Dico stupore da parte della Bbc, perchè il partito storico della secessione, la Lega, è in piena crisi; e i movimenti indipendentisti veneti sono pervasi dalla sindrome di divisione dell’atomo, ed anche per questo mai hanno raggiunto risultati elettorali significativi. Eppure in due giorni 700 mila veneti hanno partecipato al referendum online sull’indipendenza. Non sono 700 mila? Sono comunque centinaia di migliaia, un fenomeno di massa. Che lascia tanto più stupefatti quanto più si è scettici, cioè increduli sui risultati pratici della consultazione.
Vuol dire che la spinta indipendentista, la delusione per l’Italia “una e indivisibile”, è tanto forte da spingerti anche a compiere rituali di dubbia utilità. Quindi i media dovrebbero capire e raccontare le ragioni di questa ondata indipendentista, ovviamente anche se non le condividono.
Il rapporto con Roma è andato logorandosi ma mano che è cresciuta la pressione burocratica e fiscale senza un’adeguata contropartita. I veneti, individualisti portati a crearsi da soli la propria fortuna, hanno trovato il contratto sociale italiano sempre più insoddisfacente.
Per non parlare della colonizzazione subita nel pubblico impiego: miriadi di medici e insegnati provenienti da altre regioni, senza contropartita: cioè senza un solo medico o insegnate veneto assunto, non dico in Sicilia, ma nemmeno in Lombardia.
Per non parlare dei vertici della pubblica amministrazione. Dove un questore, un prefetto, un procuratore capo veneto non lo trovi nemmeno col lanternino. Per non parlare di Renzi che delle “quote venete” se ne frega e ci riserva il contentino di quattro sottosegretari veneti in ruoli di secondo piano.
Al male antico si è aggiunto quello nuovo: l’euro, che ha messo in ginocchio tutta quella piccola e media produzione veneta che viveva e prosperava con l’export.
E allora via dall’Italia! via da questa Ue! Per andare dove? Dove chissà e si vedrà. Ma la prima cosa, quando stai male in un posto, è il desiderio (magari irrealizzabile) di andartene via.
Queste le ragioni di un’ondata indipendentista che andrebbe, non dico condivisa né cavalcata, ma almeno raccontata e capita. Senza aspettare che sia la Bbc a farlo.

COS’E’ LA DESTRA, COS’E’ LA SINISTRA…

Capita che perfino gli annunci diventino o sembrino realtà, quando la realtà non esiste. Così Renzi, in polemica con la Camusso e la Cgil, ha potuto tranquillamente affermare che “questa manovra è la più a sinistra degli ultimi anni”. Indiscutibilmente vero. Dal momento che la sinistra non esiste più; esattamente come la destra.
Mutuando dal linguaggio religioso neocattolico potremmo dire che l’inferno sì, esiste ancora, ma è vuoto. Esattamente come le antiche categorie politiche di destra e sinistra, che continuiamo ad utilizzare anche se sono ormai vuote.
Aveva capito tutto il grande profeta dei nostri tempi, Giorgio Gaber che già vent’anni fa si domandava “ma cos’è la destra, cos’è la sinistra” e ironicamente rispondeva “fare il bagno nella vasca è di destra, far la doccia invece è di sinistra…tutti i film che fanno oggi sono di destra, se annoiano son di sinistra.” (vedi la Grande Bellezza…)
Oggi contano i risultati, conta produrre benessere per la popolazione governata o, all’opposto, peggiorarne le condizioni di vita e di lavoro. Se questo è il criterio di giudizio, saltano non solo le categorie destra/sinistra, ma rischia di essere rimessa in discussione anche la contrapposizione democrazia/dittatura. Perchè ci sono regimo autoritari che, di fronte alle emergenze poste da una crisi economica senza precedenti, riescono ad adottare contromisure più celeri ed efficaci rispetto alle procedure e ai tempi imposti dai regimi democratici.
Basti pensare con quale rapidità la Cina (detta comunista) è arrivata alla totale liberalizzazione dell’economia.
Stare a discutere oggi, sulle macerie italiane, se serva una ricetta di sinistra o di destra per tentare la ricostruzione, è un puro esercizio retorico. Il piacere di usare ancora parole e categorie del bel tempo antico, tipo fedeltà coniugale o pene dell’inferno…

IL VERO COSTO DELLA POLITICA

Quali siano i veri costi – scandalosi – della politica lo spiega l’economista Mario Baldassarri intervistato da Italia Oggi. Scandalosi anche gli altri, per carità, ma il problema è sempre quello: non scambiare la pagliuzza per la trave.
Baldassarri parla di “Acquisti beni e servizi, forniture, appalti: più o meno 130 miliardi. Più della metà sono fatti dalle regioni con la sanità. Dietro questa voce, 70 miliardi, ci sono tutte le differenze di prezzo che sappiamo: la famosa siringa che da una parte d’Italia costa un euro e da un’altra ne costa cinque. Sa cos’è successo in sei anni e con un’inflazione bassa? Questa spesa è cresciuta del 55% perchè prima valeva meno di 50 miliardi”.
Domanda del giornalista – L’altra faccia dei costi della politica?
Risposta di Baldassarri: “No, sono i veri costi della politica, mi scusi. Perchè tagliando parlamentari e indennità si risparmiano 700 milioni. Ma qui si rubano decine di miliardi, capisce?”
L’ha capito il giornalista di Italia Oggi? L’abbiamo capito tutti noi?
La ragione è semplice. Appalti e forniture nel privato, in anni di inflazione zero, praticamente non sono cresciuti. Perchè l’artigiano che deve rifornirsi di pelli ha tutto l’interesse a contrattare il prezzo migliore in rapporto alla qualità. Mentre al burocrate che gestisce l’appalto pubblico non interessa strappare il prezzo migliore bensì la tangente più consistente. Normalmente commisurata in percentuale all’importo. Dunque più spende soldi pubblici più intasca.
Oggi il Corriere parla in prima pagine di “spese pazze per tre milioni di euro” dei consiglieri regionali lombardi nell’arco di 10 anni. Pagliuzze tanto scandalose quanto patetiche. Emblematico dell’etica pubblica il fatto che consiglieri con stipendi sopra i 10 mila euro al mese si facciano rimborsare impropriamente le spese anche per il gratta e vinci, il biglietto del tram, il caffè…
Possiamo credere che i burocrati siano invece integerrimi servitori dello Stato? Quante intere prime pagine è giusto attenderci che ci raccontino, non le ruberie di 3 milioni in dieci anni, ma di decine di miliardi ogni anno documentate (indotte) da Mario Baldassarri?
O continueranno a prenderci in giro enfatizzando la pagliuzza per nasconderci la trave?

ROMA DELENDA!

Altrochè Cartagine. Roma delenda est! Dovrebbe essere distrutta questa capitale che ogni anno accumula centinaia e centinaia di milioni di debito con la pretesa che siano gli altri a pagarlo. Tutti noi attraverso la fiscalità generale.
Ma cosa crede Roma di essere Venezia? Tanto per ricordare che, quanto a debito, anche noi abbiamo la nostra Roma; che si chiama Venezia, appunto.
Distruggerla, ovviamente, è un sogno non realizzabile. Consoliamoci con le cose precise che ci insegnano le vicende della capitale.
Primo. Il colore dei sindaci non conta nulla (come quello dei governi nazionali): prima Veltroni, poi Alemanno, ora Marino. Tutti uguali, nessuno ha combinato nulla. La differenza non è tra destra e sinistra, ma tra chi fa le riforme e chi tira a campare col clientelismo.
Secondo. Basta con i piagnistei (Renzi dixit), nessuno che si assuma le proprie responsabilità, tutti a prendersela con chi sta sopra. Chi se la prende con la Ue e la Merkel, ignorando le riforme che i nostri governi non hanno mai fatto. Ignazio Marino, incapace di ridurre la spesa del suo comune, se la prende con il governo che non vara il “salva Roma”. Zaia, incapace di utilizzare meglio il cospicuo bilancio regionale (ad esempio tagliando i finanziamenti ai corsi di formazione professionale fasulli) se la prende anche lui con il governo che non gli finanzia le opere di salvaguardia dall’alluvione. Tutti con la scusa buona per nascondere la proprie pecche.
Terzo. C’è una differenza precisa. Da noi, a Padova come a Verona, le ex aziende municipali sono una risorsa. Hanno utili di bilancio e danno una mano ai magri bilanci dei comuni. A Roma sono la causa prima del dissesto del bilancio della capitale; perchè hanno una funzione precipua: erogare più stipendi possibili ai clientes. E nessun sindaco romano interviene.
Quarto. C’è la responsabilità precisa dei cittadini elettori. Nel 2002 l’illustre medico Ignazio Marino fu cacciato a pedate dall’University of Pittsburg Madical Center perchè truccava le note spese. Un imbroglio così evidente che Marino controfirmò la lettera di licenziamento e tolse il disturbo senza tentare alcuna difesa. E questo imbroglione confesso la maggioranza dei romani lo hanno eletto ad amministrare la loro città.
Che Marino la faccia morire. Che gli strangoli con le tasse locali. E’ quello che i romani si sono cercati e si meritano.

RICOSTRUIRE LA SCUOLA

Giustamente nel suo discorso programmatico Matteo Renzi ha inserito tra le priorità assolute – accanto a lavoro, tasse, giustizia e lotta alla burocrazia – la scuola, l’edilizia scolastica.
La nostra scuola va infatti ricostruita anche fisicamente, restituendo cioè un minimo di decoro agli edifici dove avviene l’insegnamento. Edifici oggi troppo spesso degradati, simili a un Cie o a un campo profughi.
La forma diventa sostanza, il contenitore deve essere consono alla funzione che viene esercitata al suo interno.
Nelle chiese di periferia costruite negli anni Sessanta, mattoni e cemento armato, non senti traccia della presenza del divino: più adatte a suonare la chitarra che a pregare. Più adatte ad aggiungerci graffiti che a studiare le nostra scuole…
Quando ho visto la maestosità, l’imponenza degli edifici dei college universitari di Oxford sono rimasto colpito: avevi la sensazione di entrare in un vero tempio della cultura. Come per il fedele entrare a San Zeno o alla basilica del Santo. Impensabile di andarci a cazzeggiare.
Non a caso in molte scuole inglesi è ancora obbligatoria la divisa. Perchè anche l’abito fa il monaco. Anche questa forma diventa sostanza. Nella sua lettera più famosa Macchiavelli racconta che, dopo aver fatto bisboccia in osteria durante il giorno, la sera rientra a casa per dedicarsi alla lettura dei classici ma, prima, si lava e si veste a tono, indossa “abiti regali e curiali” e solo dopo apre i libri e inizia lo studio…Da noi gli studenti universitari si presentano agli esami nelle sessioni estive in braghette corte e canottiera…
Dopo, ovvio, ci vuole anche tutto il resto: professori meglio retribuiti e selezionati con una rigorosa verifica di competenze e capacità didattiche; divieto di accesso agli edifici scolastici per quei genitori “uniti nella lotta” ai figli fannulloni per screditare gli insegnanti. Basta con quella che Susanna Tanaro ha definito “la continua e nefasta ingerenza delle famiglie nella scuola”. Piena autonomia per gli atenei che possano assumere docenti (anche stranieri) pagandoli ciò che dimostrano di valere.
Ma la ricostruzione della nostra scuola ha certo bisogno anche di un passaggio fisico che restituisca decoro e “significato” agli edifici.
Quanto a Renzi non si può imputargli di essere stato vago nel suo discorso programmatico: alle Camere non poteva che delineare a parole uno scenario generale. I fatti, se verranno, li giudicheremo nei prossimi mesi.