Le tante discussioni sull’esito del referendum svizzero sull’immigrazione, mi pare abbiano trascurato di sottolineare la differenza abissale che ci separa da questo Paese.
Nella Confederazione elvetica c’è stato uno scontro all’ultimo voto sugli effetti economici delle frontiere aperte.
Magari sbagliando hanno prevalso di un soffio quelli che ritengono più conveniente una progressiva limitazione degli accessi. Magari sbagliando, perchè una serie di dati stanno a dimostrare che la Svizzera ci ha guadagnato dai trattati sottoscritti con la Ue sulla libera circolazione: dal 2002 al 2012 ci sono stati 600 mila nuovi posti di lavoro, 250 mila ad appannaggio dei cittadini svizzeri; il tasso di occupazione degli autoctoni è aumentato dell’1%; i lavoratori stranieri non hanno depredato il welfar perchè versano il 22% dei contributi e ricevono il 16% delle rendite.
Confindustria svizzera è contro le quote perchè le aziende cercano manodopera qualificata e il 90% dei lavoratori stranieri ha un diploma professionale o di scuola superiore. Quindi la scelta protezionistica sarebbe sbagliata. Fatto sta che solo su questo si è discusso e votato: l’incidenza degli immigrati sull’economia, sui posti di lavoro.
E arriviamo alla differenza abissale. Si facesse mai un referendum del genere in Italia, verterebbe su un’equazione completamente diversa: l’incidenza degli immigrati sull’ordine pubblico. Chi da noi invoca la chiusura delle frontiere lo fa anzitutto in nome della sicurezza.
La Svizzera ha il 23% di stranieri: 1 milione e 700 mila su otto milioni di abitanti. Il triplo della percentuale presente da noi, il doppio di Germania e Francia. Nessun Paese europeo ha una percentuale paragonabile. Eppure non c’è un solo svizzero che viva, e quindi che si ponga il problema del rapporto tra stranieri e degrado delle loro città, tra stranieri e furti nei negozi e nelle abitazioni, tra stranieri e bande di predoni.
Il che, per chi voglia capirlo, è l’ennesima dimostrazione che il problema non sono gli stranieri ma noi. Noi che, qualunque fosse il colore del governo, abbiamo governato al peggio il fenomeno dell’immigrazione. Al punto, come ha denunciato il sindaco renziano di Ravenna Fabrizio Matteucci, di aver ridotto “le nostre città ad una polveriera”.
Problema che per gli svizzeri, capace di governare i flussi e incutere deterrenza, non esiste assolutamente. Loro discutono, votano e si domandano solo se gli immigrati siano un vantaggio o uno svantaggio per il proprio tenore di vita.
CHI ORDISCE IL VERO COMPLOTTO
E’ ridicolo, oltre che fuorviante, pensare e dire che Napolitano abbia ordito un complotto contro Berlusconi.
Ridicolo perchè – magari senza riuscirci – il Presidente della Repubblica ha cercato di mettere una pezza al Paese che andava a rotoli (sia pure esercitando prerogative al limite, che nessun altro Capo dello Stato aveva mai esercitato prima).
Ma è soprattutto fuorviante. Serve cioè a non farci vedere e capire che un ben diverso complotto è operativo ormai da decenni. Complotto che ha un obiettivo preciso: indebolire sempre più i partiti, la politica, il potere dei vari governi.
Chi ha interesse ad averlo fatto e a continuare a farlo? Panebianco lo scrive con molta chiarezza oggi sul Corriere: “Lo Stato burocratico-giudiziario” che “ha bisogno di una politica debole”. “La democrazia – spiega Panebianco – è oggi ostaggio delle principali componenti dello Stato burocratico che la controllano e la ricattano. Nulla essa può senza il placet della burocrazia e delle magistrature, amministrative od ordinarie che siano. E poiché quelle sono tutte strutture adibite alla conservazione dell’esistente, i loro vertici non daranno mai alla politica il permesso di introdurre i cambiamenti richiesti dal resto del Paese”
Chiaro? Il complotto lo ordiscono “poteri diffusi anonimi che si sentono minacciati” da qualunque cambiamento, compreso quello che tenta di introdurre Matteo Renzi. Perchè per loro cambiamento significa ridimensionamento del loro potere, dei loro privilegi, dei loro benefici.
Tornando a Berlusconi lo strumento del complotto (non certo l’ideatore) fu Gianfranco Fini che potè impunemente (cioè senza tornare subito alle urne) toglierli un pezzo decisivo di maggioranza, rendendo così il suo governo debole e inconcludente; come tutti i governi devono essere nell’ottica e per l’interesse dello Stato burocratico-giudiziario.
Penebianco arriva a scrivere che anche la Corte Costituzionale fa parte del complotto perché ha confezionato “all’Italia una polpetta avvelenata: se il Parlamento, a causa delle sue divisioni non rimedierà, la politica parlamentare che uscirà con la proporzionale pura sarà ancora più degradata e impotente di quanto già non sia”.
Strumento (inconsapevole) del complotto sono anche quei media che producono lo sputtanamento quotidiano della politica e dei partiti. Ad esempio insistendo per settimane su Batman-Fiorito e le mutande verdi di Cota, per farci credere che i problemi drammatici del Paese siano queste ruberie da scugnizzi; e non l’esproprio della democrazia da parte dello Stato burocratico-giudiziario, a tutela dei suoi privilegi e poteri di ultracasta in confronto ai quali i 300 mila euro arraffati da Batman fanno ridere. (Mastropasqua, per dire, gli stessi media l’hanno archiviato e dimenticato in un paio di giorni).
Partiti e politica sono l’unico strumento che abbiamo in mano noi cittadini per incidere attraverso la democrazia. Mentre nei confronti dello Stato burocratico-giudiziario siamo totalmente impotenti.
Si prova a contrastare il complotto sostendo – scrive sempre Panebianco – chi almeno ci prova, sia pure con limiti e contraddizioni, a cambiare qualcosa: oggi sta provandoci Matteo Renzi.
IN RICORDO DI TEO SANSON
Si sono svolti oggi a Verona, alla basilica di San Zeno, i funerali di Teofilo Sanson, Teo Sanson come tutti lo chiamavano. Un grande imprenditore che è giusto ricordare come emblema di cos’è stata e cos’è un’intera generazione di nostri imprenditori veneti. Partiti dal nulla con grinta, determinazione, intuizione, decisi ad uscire dalla miseria e costruirsi un futuro.
Teo Sanson iniziò con un carrettino dei gelati, un triciclo come ancora si vedono nelle nostre spiagge. Nel 1952 ebbe l’intuizione di salire fino al passo dello Stelvio dove transitava il giro d’Italia. Con la folla entusiasta e accaldata quel giorno i gelati li vendette tutti. Tornato a casa sua madre non poteva crederci e lo apostrofò: “Teo, di la verità, non puoi aver guadagnato tutti questi soldi. Devi averli rubati!”
Da lì cominciò la fortuna di Sanson, con l’abbinata tra gelati e ciclismo (portò a Verona i mondiali su strada) e con la passione anche per il calcio. Da presidente dell’Udinese ruppe il muro delle sponsorizzazioni. La burocrazia calcistica le vietava, quasi fosse uno sport da dilettanti a rischio inquinamento. Ma la burocrazia è cieca, vietava lo sponsor solo sulle maglie. E così Teo mise la scritta “Sanson” sui pantaloncini dei calciatori dell’Udinese. Fu multato, ma il muro era infranto.
Purtroppo spesso la generazione successiva di imprenditori, invece che dal triciclo, è partita dalla Porche o dalla Ferrari che papà gli regalava a 18 anni. Senza stimoli non si va da nessuna parte: nella vita fai meno strada con la Ferrari che col triciclo…Questo lo usano ancora i cinesi che, per grinta e determinazione, ricordano proprio i nostri imprenditori del dopo guerra.
Persone come Sanson che, anche senza esserlo per scelta, sono stati di fatto dei benefattori: capaci di creare ricchezza, lavoro, opportunità. E come tali andrebbero ricordati, superando quell’approccio ottocentesco che tende invece a considerarli sfruttatori.
L’augurio comunque è che oggi Teo Sanson, dalla basilica di San Zeno dopo l’ultimo saluto, sia montato sul suo triciclo e, passando per lo Stelvio, sia salito fino in Cielo.
TROPPI AVVOCATI, TANTI AVVOLTOI
“Troppi avvocati!” è il titolo del libro manifesto dei giovani avvocati mobilitati per chiedere che anche nelle facoltà di Giurisprudenza, come già avviene in quelle di Medicina, vanga introdotto il numero chiuso. Abbiamo infatti una pletora infinita di avvocati (250 mila) che, essendo appunto troppi, non possono lavorare tutti e magari vengono indotti a comportamenti un po’ da avvoltoi: si aggrappano ad ogni contenzioso, inducono il cliente ad aprire un procedimento, si sforzano di farlo durare il più possibile contribuendo così ai tempi eterni della Giustizia italiana.
Solo a Roma di avvocati ne abbiamo come in tutta la Francia. E le università ne sfornano di nuovi a getto continuo.
Si potrebbe pensare che il libro manifesto sia uscito ora, in questi anni. Errore. “Troppi avvocati!” lo ha scritto un autentico padre nobile della nostra costituzione, Piero Calamandrei, lo ha scritto nel 1921 per i Quaderni della Voce di Prezzolini. Praticamente un secolo fa.
Nell’Italia del 1921, quando l’università era assolutamente d’elite, la percentuale di laureati irrisoria e le donne laureate quasi inesistenti, già allora gli avvocati erano troppi. Figuriamoci nell’Italia del 2014.
Oggi è diventata realtà la vecchia barzelletta del padre avvocato che, al figlio lui pure avvocato, tra i vari regali di nozze gli passa anche una causa. Dopo un mese il figlio, raggiante, gli annuncia di averla definita. E il padre gli risponde: stupido, io con quella causa ci campavo da vent’anni!
Mi spiegano che l’ultimo obiettivo delle agenzie matrimoniali è farti trovare subito l’anima gemella. Perderebbero il cliente. Invece incontro dopo incontro, anno dopo anno, cercano di non fartela incrociare mai: tutelando così la durata del “matrimonio” col cliente…
Vuoi vedere che gli avvocati di Berlusconi sono così critici con i magistrati perchè, con il Cavaliere, sono impegnati a portarlo a giudizio in tempi rapidi (rispetto alla media)? Si dimenticano le toghe che questi poveri legali tengono famiglia e quindi necessitano di andare, pian piano, parcella dopo parcella, fino all’ultimo grado di giudizio…
Non solo l’accelerazione dell’iter processuale, ma anche il tentativo di circoscrivere le liti temerarie oppure quelli che tendono ad arginare le frodi nei sinistri, vengono visti dalla categoria degli avvocati come un’attentato occupazionale: perchè tutte le occasioni di contenzioso servono a farli campare.
Troppi avvocati producono, appunto, anche tanti avvoltoi. Manca il buon senso di arginare il loro numero che Piero Calamandrei invocava già nel 1921.
FORCONI NERAZZURRI INSEGNANO
I forconi nerazzurri hanno dimostrato di essere molto più efficaci degli altri, dei forconi veri e propri: loro l’obiettivo l’hanno raggiunto, gli altri no.
Motivo della protesta dei forconi nerazzurri era lo scambio Vucinic-Guarin. Una follia evidente non solo per tutti i tifosi dell’Inter ma anche per chiunque segua il mercato dei calciatori: non ha infatti alcun senso scambiare alla pari un vecchio pirata dal rendimento altalenante e in precarie condizioni fisiche con un giovane talento integro e in ascesa. Per giunta senza un conguaglio significativo, utile a sistemare il bilancio; per giunta facendo una regalo all’avversario, mettendo cioè la Juve in condizione di incassare decine di milioni con la cessione di Pogba.
Ma, al di là del merito, colpisce l’efficacia della piazza calcistica confrontata all’inefficacia della piazza politica. Dove pure il merito c’è, cioè i sacrosanti motivi per protestare contro tasse, burocrazia, latitanza del governo Letta.
Evidentemente i forconi nerazzurri sono organizzati sul serio, avevano chiari obiettivo e responsabili: impedire lo scambio e cacciar via le “mele marce”, cioè il ds Marco Branca e il dg Marco Fassone (ex juventino, quindi sospetto di collusione col nemico).
Gli altri forconi invece vogliono tutto e ce l’hanno con tutti (cioè con nessuno). Vogliono rovesciare il Paese come un calzino, abbattere il palazzo. Non dicono via il ministro Giovannini o Saccomani o Letta. Perdono tempo ad organizzare proteste folcloristiche anche sotto la villa di Giancarlo Galan che oggi non ha alcun potere sulle scelte del governo nazionale. Vanno a Roma chi a Palazzo Chigi a manifestare, chi in Piazza S. Pietro a farsi benedire dal Papa…
Se i forconi nerazzurri avessero detto “tutti a casa, abbattiamo la sede della società, facciamo la rivoluzione!” non avrebbero concluso nulla.
Nel calcio si riesce ad esercitare una sorta di democrazia diretta. Anche perchè il vertice della società calcistica coglie gli umori della piazza, perfino se è a Giacarta. Mentre il vertice politico sta rinchiuso a Roma che sembra più distante di Giacarta dal Paese reale e dai suoi problemi.
Non dico che sia un bene, anzi può essere sconcertante. Ma prendiamo atto che il calcio (un optional, un passatempo, rispetto alla crisi economica e politica) suscita più passione, induce ad azioni più mirate ed efficaci.
Fatto sta che i forconi nerazzurri hanno concluso e vinto. Mentre i forconi restano velleitari, destinati all’evanescenza.
LA CONTRORIFORMA FEDERALISTA
Tra le riforme che Renzi e Berlusconi hanno concordato c’è, ci sarebbe (vedranno mai la luce?) anche quella del TitoloV; che in realtà è una controriforma: la controriforma del federalismo.
Riformando il Titolo V si diede infatti più potere alle regioni e agli enti locali, con risultati disastrosi: veto sulle grandi opere e sulle politiche energetiche, esercitato in nome dell’egoismo localista, a scapito dell’interesse nazionale. Ulteriore esplosione della spesa pubblica.
Ad esempio quell’introduzione dei costi standard in sanità che tutti invocano (siringa pagato uguale in Veneto come in Sicilia) può avvenire solo se hai un unico centro acquisti nazionale che fissi il prezzo. Mentre, finchè esiste l’autonomia di spesa sanitaria delle varie regioni, avrai sempre i vari burocrati che gestiscono loro il singolo appalto per averne i noti benefici personali…
Da noi, purtroppo, il federalismo attivato ha prodotto solo risultati negativi. Un modello può essere valido in teoria, ma poi va verificato sulle abitudini e la cultura politica di un popolo.
“Pago, vedo, voto”, è la parola d’ordine del federalismo da cui deriva l’idea che è proficuo avvicinare il centro di spesa ai cittadini. Ma questo funziona solo se hai cittadini occhiuti, che vigilano come cani da guardia sugli amministratori locali, pretendendo una spesa pubblica contenuta e verificandone puntualmente gli effetti.
Noi invece chiediamo solo servizi, contributi a pioggia e più assunzioni possibili nel pubblico. Non siamo né abituati né interessati ad esercitare controlli; bensì a vendere, a farci comprare, il nostro voto. E i politici locali si sono adeguati (o, se volete, così ci hanno “educati”)
Il governo centrale subisce le pressioni ad elargire da parte delle grandi lobby: confindustria, sindacati, corporazioni varie. Così era e continua ad essere. Ma a questo si è aggiunta, a livello locale, la pressioni delle mini lobby: pro loco, comitato della sagra della tagliatella, associazionismo vario, enti di formazione professionale (cosiddetti). Tutti a tirare la giacca al sindaco o al presidente di regione ( o agli assessori).
E così allo sperpero della spesa pubblica centrale, si è aggiunto – col federalismo – lo sperpero della spesa pubblica locale.
Speriamo che dalla controriforma federalista venga contenuta almeno la seconda.
CONDANNATI ALL’ACCOGLIENZA
Piaccia o meno è del tutto inutile discutere di revisione della Bossi-Fini, piuttosto che di abrogazione del reato di clandestinità. Vogliamo forse rivedere una legge che – di fatto – non è mai stata operativa, se non per numeri di clandestini residuali rispetto agli arrivi? Vogliamo abrogare un reato mai applicato (se non per numeri residuali…)?
Piaccia o meno siamo condannati all’accoglienza. Punto. Cos’altro abbiamo fatto da vent’anni ed oltre, qualunque fosse il governo e/o il proclama? Solo accogliere, accogliere, accogliere. E nel modo più incivile: cioè senza risorse né adeguate politiche di inserimento degli immigrati.
Condannati a pagare i costi. Anche loro, anche gli stranieri: perchè prescindendo dalle opportunità del mercato del lavoro, senza politiche e risorse adeguate, significa condannare a delinquere per sopravvivere quelli stessi che vorrebbero un impiego. Condannati anzitutto noi a subire un degrado di giorno in giorno più intollerabile.
E intanto Papa Francesco predica l’accoglienza. Predica senza spiegare dove trovare le risorse per un accoglienza cristiana (e non meramente speculativa, ad opera di coop cristiane o meno) Predica da irresponsabile, come ogni capo religioso (che non lo sia di repubblica islamica) perchè può sempre dire di non avere responsabilità di governo, ma solo di indirizzo morale. Lui. I nostri politici no.
Loro – Renzi, Letta, Alfano, Boldrini – non possono predicare l’accoglienza senza fare i conti della spesa. Perchè sarebbe come promettere un reddito di cittadinanza da 5 mila euro il mese a tutti i cittadini, trascurando un particolare secondario: l’indicazione di dove trovare le risorse necessarie.
Le risorse? Semplice trovarle: tagliamo le pensioni d’oro, gli stipendi di politici e burocrati, lotta dura e senza paura agli evasori fiscali. Progetti magnifici e progressivi e che mai hanno visto la luce… Ma intanto i sindaci fanno i conti con la realtà: quattro soldi da destinare agli immigrati li trovano solo sottraendoli ai nostri poveri.
Anche loro come noi tutti: condannati all’accoglienza.
P.S. Sì, e vero: non siamo riusciti a riformare in modo concreto le politiche per l’immigrazione. In compenso ci siamo riusciti al meglio con la giustizia, la sanità, la scuola, la pubblica amministrazione, il mercato del lavoro, la Costituzione…
POPOLACCIO PEGGIO DELLA CASTA
Il popolaccio della rete ha dimostrato di essere peggio della famigerata casta politica. Lo ha fatto con la valanga di insulti scaricati contro il povero Bersani alla notizia che era stato colpito da ictus. Insulti, come racconta sul Corriere Aldo Cazzullo, nemmeno simulati dietro il nickname ma firmati con tanto di nome, cognome e fotografia da chi li ha inviati. Osservazioni del tipo: ”Anche mio nonno è stato in ospedale, ma non se n’è fregato nessuno”
Ennesima dimostrazione che la rete è diventata (anche) la fogna, lo sfogatoio delle pulsioni peggiori che albergano in ciascuno di noi. Il ricettacolo della violenza verbale che, con grande soddisfazione, oggi può essere “pubblicata”.
Nessuno della casta si è permesso un comportamento così incivile: il Giornale ha titolato “Oggi Forza Bersani”. Lo stesso Beppe Grillo, che da sempre lo dava per morto politicamente, gli ha mandato gli auguri: “Ti aspettiamo, non fare scherzi”.
Non esiste civiltà senza inibizione. Cioè senza la volontà e la capacità di controllare le proprie pulsioni: l’odio, l’aggressività, la violenza. La rete è servita (anche) ad abbattere definitivamente questa barriera, a trascinarci nella nuova barbarie.
C’è anche un’ipotesi più ottimistica. Che si rifà all’idea di catarsi di Aristotele. Il quale era convinto che il teatro (oggi la televisione) non istigasse all’odio e alla violenza, ma servisse invece a “purificare”: eri cioè appagato vedendo rappresentare uccisioni e drammi della gelosia, ed evitavi così di diventarne protagonista nella vita reale.
Speriamo dunque che la rete serva almeno a sfogare la violenza verbale, evitando così il ricorso alla violenza fisica. Un po’ come negli Anni di Piombo si diceva che era preferibile lo scontro tra tifoserie allo stadio, piuttosto della P38 impugnata in strada…Speriamo.
Ma intanto prendiamo atto che il popolaccio di internet è peggio della casta contro cui spara a zero.
ANZIANI AGLI ARRESTI DOMICILIARI
Anziani agli arresti domiciliari. Ce ne sono sempre di più. Non che siano i magistrati a metterceli. Sono loro che si autoconfinano in casa, che scelgono di non uscire più: perchè hanno paura, perchè sono stati aggrediti e rapinati da una delle tante bande di predoni che agiscono, indisturbati, nelle nostre città.
L’ultimo caso la sera di Capodanno a Padova (ma accade e può accadere ovunque). Una donna di 75 anni esce per andare a festeggiare con gli amici nella sala della sua parrocchia. Ma alla fermata del tram, alle sette e mezza di sera, viene aggredita, picchiata e rapinata da due giovani di colore che le rubano la borsetta con 100 euro, il telefonino, i documenti.
Passa la sera di Capodanno al pronto soccorso e poi dichiara: non uscirò più da casa mia. Si mette agli arresti domiciliari. Lancia un appello al nuovo questore, il quale non può che rispondere rassicurandola, dicendo che sarà fatto il possibile per arrestare i colpevoli e ridare un po’ di tranquillità a lei e ai tanti altri anziani terrorizzati.
Già. Ma con quali strumenti? Ce n’era uno relativamente efficace: prendere i predoni clandestini e mandarli nei Cie. Una qualche deterrenza l’aveva: il timore di essere rimpatriati, mesi di detenzione garantiti. Adesso, dopo i fatti di Lampedusa, i Cie vengono smantellati. Facevano più paura di un processo, con gli imputati nell’attesa quasi sempre a piede libero. Cioè uccel di bosco…
E qui c’è l’altro grosso problema, la mancanza di collaborazione tra forze dell’ordine e magistratura. Anzi: il conflitto che sempre più spesso traspare. Emblematico il caso della dottoressa Verrina, del tribunale di sorveglianza di Genova, quella del permesso premio al seria killer trasformatosi in evasione (e per fortuna che i francesi l’hanno catturato). Lei stessa ad un poliziotto, un investigatore molto considerato, Francesco Gratteri, nega l’affidamento ai servizi sociali e stabilisce che deve scontare agli arresti la condanna per le violenze alla caserma Diaz.
Domanda: usiamo il pugno di ferro con i tutori dell’ordine (che magari possono aver sbagliato) e il guanto di velluto con i delinquenti acclarati? E il potere politico cosa fa, dorme o pensa che esistano solo i problemi – certo drammatici – della crisi economica?
Tra le tante lettere strazianti arrivate al Quirinale, e lette in tivvù da Napolitano, nemmeno una che accennasse agli anziani che si autoconfinano ai domiciliari?
Con la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico siamo allo sbando completo. L’unica soluzione sembra quella dell’anziana di Padova: sprangarsi in casa e rinunciare e vivere nelle nostre città infestate dai predoni. Predoni stranieri al 99%. Che ci risparmino almeno la balla della “par condicio” coi delinquenti nostrani…
ALBERO DI NATALE IN CATENE
Come siamo messi in questo Natale 2013 lo dice un immagine precisa: l’albero di Natale in catene.
Le associazioni benefiche che raccolgono fondi, ne mettono alcuni sparsi nelle città con accanto la cassettina per le offerte. Alberelli spogli, con qualche fiocco e nemmeno i gingilli. Ma li rubano lo stesso. Rubano perfino questi (oltre alle offerte). E così siamo ridotti a dover mettere la catena che leghi l’alberello al pilastro del portico, sperando che i predoni lo risparmino.
I nostri doveri di cittadini, in primis quello di pagare le tasse, non possono andare disgiunti dai doveri dello Stato: in primis difenderci dai predoni. Secondo utilizzare al meglio i soldi che versiamo: con una battaglia a sprechi e sperperi che sia pari almeno a quella contro l’evasione fiscale.
Battaglia questa che va indirizzata anzitutto sulle prede grosse, cioè le società di capitale. Invece vediamo fin troppo accanimento contro settori in piena crisi, come la ristorazione, con l’Agenzia delle entrate che va a controllare il numero dei tovaglioli mandati in lavanderia sostenendo che ad ogni tovagliolo corrisponde un coperto. Senza tener conto di quelli che usa il cameriere per servire o per pulire i tavoli…
Piccolo esempio di sperperi non più tollerabili: le barricate per impedire la privatizzazione dei trasporti pubblici. A Genova e non solo. Anche qui da noi si ostacola la fusione fra trasporto cittadino e provinciale, che comporta risparmi e migliore qualità. La ostacolano i dipendenti del trasporto cittadino, che hanno il contratto da pubblico impiego, e temono di essere equiparati ai trasporti provinciali già privatizzati.
la crisi c’è per tutti, e non consente più il mantenimento di privilegi e benefit per chi lavora nel pubblico (tipo l’orario degli autisti che viene conteggiato da quando partono da casa e non da quando salgono al volante dell’autobus).
Sicurezza, battaglia a sperperi e sprechi: uno Stato che finalmente faccia il suo dovere. Questo l’augurio, anzi l’impegno per Natale, che dovrebbero assumere Letta e Napolitano.
Invece blaterano di una ripresa che vedono solo loro. E noi intanto ridotti a mettere la catena all’alberello, e magari anche al presepe. Che non rubino pure quello.