IN BALIA PERFINO DELLE MOSCHE

Ho passato qualche giorno a casa con l’influenza, ed ero in balia delle mosche. Chi vive in campagna sa che questa è la stagione peggiore. Fuori comincia a far freddo e le mosche sciamano in casa. Le trovi ovunque: sul cibo, a letto, ti ronzano attorno finchè leggi o guardi la tivvù.
Sono andato al consorzio sperando di trovare un prodotto granulare che usavo anni fa. Efficacissimo: lo mettevi su un piattino, le mosche si posavano e restavano stecchite. Ma mi hanno spiegato che non è più in commercio perchè era velenoso. Ho chiesto la carta moschicida, quei rotolini spalmati di mastice che già ai tempi del fascismo avevano liberato le stalle dalle mosche. Niente da fare, ora sono vietati anche quelli perchè catalogati come rifiuti difficili da smaltire. Insomma resta solo la spray, che un po’ funziona un po’ no e, di certo, oltre alle mosche lo respiriamo anche noi.
Piccolo esempio di come un malinteso salutismo, unito all’ecologia da strapazzo, renda ormai difficile perfino liberarsi dalle mosche. Finiremo con tutelarle dal pericolo dell’estinzione per la gioia degli animalisti…
Piccolo esempio per capire quanto sia pretenzioso pensare che il nostro Paese possa liberarsi da ben altre molestie: le tasse, la burocrazia, la disoccupazione, la decrescita…
Per togliersi ogni residua illusione basta leggere il fondo di Antonio Polito oggi sul Corriere: la maionese impazzita, l’implosione dei partiti divisi in fazioni e correnti, che rendono impossibile qualsiasi azione di governo.
Mario Monti, il tecnocrate che doveva salvare l’Italia, ridotto a litigare perfino con Mario Mauro, il ministro della Difesa convinto che la difesa si attui aderendo alla giornata di digiuno per la pace…
Difficile conservare un po’ d’ottimismo per il futuro che ci aspetta. Intanto proverò anch’io a digiunare come estremo tentativo di difesa…dalle mosche.

TASI…E PAGA, COJON!

Osserva il Corriere della sera che la mente del governo Letta, come quella di tutti i governi, quando di tratta di tagliare la spesa pubblica “sembra rattrappirsi”. Diventa invece fantasiosa e creativa quando si tratta di inventare nuove imposte o di coniare nuovi nomi a vecchie imposte rivedute e corrette (al rialzo).
Così adesso l’inarrestabile creatività fiscale ci sforna tre nomi inediti: la Trise che comprende la vecchia Tares (imposta sui rifiuti) e la nuova Tasi ( già Imu) destinata a coprire la spesa per i servizi comunali.
Il nome di quest’ultima sembrava fosse Service tax. Nome forse troppo anglosassone o, forse, troppo comprensibile. Quindi è stata subito ribattezzata Tasi. Una sigla all’apparenza anomina, un perfetto acronimo nel miglior stile burocratico.
Ma i burocrati dei dicasteri romani ignorano il veneto, che magari non sarà lingua e solo dialetto, e che tuttavia tutti parlano e capiscono nella nostra regione. Il rischio è così che il meccanismo fiscale divenga fin troppo esplicito: tasi…e paga, cojon!
Il rischio è che qualcuno, o più d’uno, cominci a chiedersi fino a quando dobbiamo continuare a pagare e tacere. Anche quando la pressione fiscale italiana avrà superato quella svedese e la qualità dei servizi erogati competerà con il Togo?
In alternativa potremmo sempre chiedere a Mario Balotelli di diventare l’emblema – oltre che della lotta al razzismo e alla camorra – anche della battaglia contro l’oppressione fiscale. E’ già pronta la maglia da fargli indossare con la scritta: “le tasse ci fanno neri!”

TROPPO FACILE DIRE: VERGOGNA!

Vergogna! Un po’ tutti hanno ripreso il grido sdegnato di Papa Francesco di fronte alla tragedia di Lampedusa. Cerchiamo però di capire chi debba vergognarsi, cominciando proprio da chi ha lanciato il grido.
La pubblicità dell’otto per mille alla Chiesa, cifre alla mano, va definita una pubblicità ingannevole: gli spot ci mostrano infatti preti, suore e laici dediti ad aiutare gli ultimi del Terzo e del nostro mondo. Ma gran parte del gettito così incassato viene destinato, non agli ultimi, bensì alla sussistenza del clero. Mancano le vocazioni però c’è ancora un’esercito di religiose e religiosi, sempre più anziani, che necessitano di cure e assistenza.
Deve vergognarsi la Chiesa perchè pensa anzitutto al suo “popolo” invece che ai milioni di bisognosi africani e non? Debbono vergognarsi i tanti altri governi che, con la crisi in atto, destinano le risorse ai proprie disoccupati e ai propri poveri invece che agli etiopi o ai somali?
Uno dei tanti capitoli vergognosi del nostro “governo” (si fa per dire) dell’immigrazione è non aver mai fatto uno stanziamento statale cospicuo ed adeguato. Clandestini e non sono stati scaricati sugli enti locali delle varie città che non hanno mai avuto una voce di bilancio per operare.
Vogliamo riparare alla vergogna? Basta che il parlamento abbia il coraggio di destinare – alla luce del sole – una quota consistente delle risorse nazionali all’assistenza dei profughi. Si vergogna a farlo o teme la resa dei conti con gli elettori? (anche loro pronti a vergognarsi solo a parole).
Invochiamo l’intervento dell’Europa. Cioè il nulla, l’inesistente. L’ultima notizia dall’Europa è arrivata oggi: la Germania sta per rispedirci indietro 300 profughi, esuli da Libia Togo e Ghana, ai quali avevamo dato un pass e 500 euro a testa convinti di poterli così sbolognare ai tedeschi di Amburgo.
L’Europa ha già provveduto. Ha creato Frontex l’agenzia europea incaricata di pattugliare i mari, controllare le frontiere e soccorrere i morituri. Peccato che Frontex abbia un bilancio annuale di 70 milioni: pagati gli stipendi agli impiegati, potrà noleggiare sì e no un paio di mosconi…
Debbono vergognarsi quei governi europei (italiano compreso) che non hanno saputo valutare le conseguenze della distruzione del regime di Gheddafi, che faceva da guardiano contro l’assalto alle nostre frontiere?
Personalmente mi vergogno anzitutto della retorica, che è l’insulto più indegno ai morti: parole vuote, lacrime di coccodrillo, lutto nazionale, Nobel della pace a Lampedusa. Pura fuffa ben sapendo che non cambia assolutamente nulla.
Un’emergenza epocale come l’immigrazione, gestita dai mercanti di schiavi, con la sua scia interminabile di morti, la fronteggi solo con risorse economiche ingenti. Ci vuole il coraggio di trovarle, e di spiegare dove e come le trovi. Se non lo fai, abbi almeno il pudore di tacere.

UN PREMIER CON L’AURICOLARE

Dopo la pagliacciata Pdl al Senato il governo Letta va avanti come un treno (?), peccato che lo stesso premier abbia il problema…dell’auricolare.
Un discorso perfetto quello fatto stamane da Enrico Letta: ha enumerato tutte, ma proprio tutte, le cose da fare. Così perfetto che alla fine, dopo aver mandato allo sbaraglio il povero Bondi, l’ha sottoscritto anche Berlusconi votando la fiducia.
Peccato fosse solo un discorso. E sappiamo bene come tra il dire e il fare ci sia di mezzo…E qui entra in campo l’auricolare.
Ricordate Ambra Angiolini? Condusse in maniera stupenda “Non è la Rai”, un successo incredibile per una new entry. Peccato che avesse anche lei l’auricolare che la collegava permanentemente ad un grande ideatore
di trasmissioni prima radiofoniche e poi televisive: Gianni Boncompagni, che le suggeriva ogni mossa, ogni battuta, ogni atteggiamento. Di fatto il conduttore, il ventriloquo, era lui.
Toltasi l’auricolare Ambra non potè più fingere di essere una conduttrice. Cambiò mestiere diventando attrice: una qualunque, una delle tante. Desaparecida.
Enrico Letta è come Ambra Angiolini: eterodiretto fin dall’inizio del suo governo da Giorgio Napolitano. In questi giorni cruciali era in confusione “chiedo la fiducia oppure no? Mi dimetto o vado avanti”. Poi è salito al Colle e Napolitano-Boncompagni l’ha tranquillizzato spiegandogli come condurre la danza politica.
Di Napolitano lui è il pupillo. Anche di zio Gianni e prima di Andreatta. Insomma è un pupillo. Matteo Renzi invece – tanto per fare un esempio – non è pupillo di nessuno. E’ Matteo Renzi e basta.
Stamane Letta spiegava che, con tutti i drammatici problemi da affrontare, ci vuole un governo forte mica un governicchio. Giusto. Ma solo un premier forte, uno statista vero, rende forte il governo.
Quando mai un De Gaulle, un Tony Blair, uno Schroder, una Merkel hanno governato su suggerimento altrui? Erano (sono con Frau Angela) loro a decidere e a trascinarsi dietro il parlamento, il Paese, il consenso.
La storia non ha mai visto un premier con auricolare, uno statista eterodiretto. Ma c’è sempre una prima volta: dai Enrico che ce la fai!

NON C’E’ SOLO SILVIO BELZEBU’

La scelta di Berlusconi di far dimettere i suoi ministro è irresponsabile nei confronti del Paese e dei propri elettori. Ma, per certi versi, è peggio ancora che irresponsabile. E’ inutile: inutile per lui, che resta in procinto di eliminazione senza nemmeno l’aiutino di una presenza nell’esecutivo; inutile per il suo partito, che si è spaccato dando vita ai “diversamente berlusconiani”; inutile rispetto all’obiettivo delle elezioni immediate, perchè si troveranno di certo un manipolo di senatori grillini pronti – ovviamente in nome del “senso di responsabilità” e de “l’interesse del Paese” – a garantire una maggioranza pur di restare incollati alle poltrone.
C’è però un piccolo problema. Non cambierà assolutamente nulla perchè un governo, degno di questo nome, già non l’abbiamo. Il governo di larghe intese non naufraga ora. Non è mai nato. Incapace di lanciare un vero programma riformatore, è rimasto invischiato nelle beghe quotidiane Pd-Pdl.
Monti, sullo slancio iniziale, una cosa l’aveva fatta: la riforma delle pensioni. Comportò sacrifici, come tutte le riforme vere, ma vide la luce e servì a sistemare i conti della previdenza. Enrico Letta niente di niente; invischiato fin dall’inizio.
Eterne discussioni per rinviare di tre mesi di un punticino Iva. Ci fa forse uscire dalla recessione? Se vuoi rilanciare consumi e produzione, se vuoi detassare imprese e lavoro, devi abbassare l’Iva di cinque punti. Ma, per farlo, devi avere il coraggio di tagliare la spesa. Devi bloccare il turn over finchè non hai ridotto del 15-20% i dipendenti pubblici. Prima che sia Frau Merkel a farlo imponendo, come in Grecia, di licenziare in tronco.
Ma Enrico Letta non ha la statura del premier. D’altronde nel Pd era vicesegretario, nemmeno segretario…E quando venne l’altra estate in Veneto alla festa del suo partito c’erano quattro gatti ad ascoltarlo e chiamarono ad intervistarlo un giornalista di serie B (chi sta scrivendo). Gli stessi democratici lo consideravano così tanto da reputare superfluo disturbare per lui un grande nome del giornalismo!…Con lui alla guida del governo non poteva che finire come sta finendo.
In conclusione molti reputano sacrosanta l’eliminazione di Berlusconi dalla scena politica, altri lo ritengono un golpe. Purtroppo la questione è un’altra: anche quando Silvio-Belzebù andrà all’inferno, i problemi del nostro Paese non cambieranno di una sola virgola.

LO STATO EVASORE PREDICA BENE

Quando eravamo un Paese serio succedeva quello che continua a succedere nei Paesi seri: E’ lo Stato, con il rigore e l’etica di funzionari e politici, a dare l’esempio. A educare i cittadini. Il viceversa non è mai esistito e non può esistere: sarebbe come pensare che siano i figli ad educare i genitori…
Oggi abbiamo uno Stato che da il cattivo esempio. Uno Stato evasore, non solo fiscale che ritarda a piacimento il rimborso dell’Iva e il pagamento dei debiti. Ma che evade tanti altri suoi doveri: la certezza del diritto e della pena, l’utilizzo corretto e proficuo delle risorse che gli affidiamo, etc etc. E questo Stato, che razzola male, continua a predicare bene e pretendere correttezza da quei cittadini che lui per primo diseduca con l’esempio.
Se ho contratto un debito con un amico e non lo pago, posso pretendere che lui mi rimborsi un credito? Mi risponderebbe che sono matto, mi manderebbe a quel paese. E come può uno Stato che ritarda il rimborso Iva, che non paga i suoi debiti, pretendere che le aziende, invece che scalare da quanto loro dovuto, continuino a pagare l’Irap e le altre tasse?
Se lo Stato paga due anni dopo, anch’io posso pagare le tasse con eguale ritardo.
E’ saltata la base fondante della democrazia, che nasce dal postulato “non può esserci tassazione senza rappresentanza”. Il re non può impormi una gabella senza il voto del parlamento.
Allora i rappresentanti – della borghesia emergente del ceto mercantile – tutelavano gli interessi di chi li aveva scelti. Oggi i nostri rappresentanti ci hanno tradito. Non rappresentano più il nostro interesse, quello generale, ma il loro particolare. Perchè usano i nostri soldi per comprarsi i voti, il consenso: con assunzioni inutili nel pubblico impiego, con le baby pensioni e le altre follie della spesa pubblica clientelare.
Se i nostri soldi vengono utilizzati così, ho il dovere di continuare a foraggiare le attività criminali di uno Stato traditore o ho il dovere di smettere?
Le giovani generazioni, che non hanno alcuna certezza di quando e con che importo andranno in pensione, devono continuare a versare i contributi o hanno il diritto di accantonarli in proprio?
Quando uno Stato per primo viola il Contratto Sociale, credo che conferisca al singolo il diritto di difendersi facendo altrettanto.

IL MILIONARIO COMUNISTA CHIC

La ridistribuzione della ricchezza è la mission, la ragion d’essere della sinistra. Di tutta la sinistra. Quella moderna ha capito che prima bisogna produrla, la ricchezza, che se no hai ben poco da ridistribuire. Quella antica è rimasta a Robin Hood: risolvi tutto prendendo ai ricchi e dando ai poveri. La mission comunque è questa: ridistribuire in modo più equo.
Naturale dunque che sia di sinistra chi ha da guadagnare dalla ridistribuzione. Un po’ sospetto che lo sia, che dichiari di esserlo, chi ha da perderci. D’accordo: ci sono gli ideali, che gli eletti, le persone di grande spessore etico, perseguono anche a scapito del tornaconto personale. Ma gli eletti, come dice il nome, sono pochi. Le persone normali guardano al proprio utile.
Per questo ho sempre considerato con rispetto l’operaio, l’impiegato, la persona con reddito modesto che vota e fa discorsi di sinistra. Con molta perplessità invece i ricchi che si atteggiano a “compagni”. Anche perchè la moda incide e come. E in particolare da noi è diventato molto di moda, molto chic, per tanti milionari atteggiarsi a uomini e donne di sinistra.
(Volendo c’è anche una componente psichiatrica, edipica: non potendo ammazzare il padre, cerco di distruggere il mondo di mio padre. E così i nostri terroristi, i nostri aspiranti rivoluzionari, più che operai erano uomini della borghesia bene: i Giangi Feltrinelli, i Renato Curcio. Efant gaté, bambini guasti e viziati.)
Passi comunque il milionario à la page che si schiera con la gauche. Ma c’è un limite alle puttanate che dice. E questo limite l’ha superato lo stilista fiorentino Roberto Cavalli. Milionario con yacht, uomo di bel mondo, sponsor di Matteo Renzi.
Intervistato dal Fatto non ha saputo resistere al fascino di atteggiarsi a comunista chic, dichiarando: “Quando vedo le Ferrari parcheggiate in giro mando le targhe ai finanzieri”. Che possa pensarlo e farlo un operaio lo capisco, ma Cavalli? Che fa, manda la targa della sua auto?
Non contento, sembrandogli ancora poco, lo stilista “compagno” aggiunge: “Giuro. Fossi al governo, obbligherei i ricchi a versare metà dei loro grandi patrimoni.” Capito? Non a pagare più tasse, com’è giusto. Cavalli vuole l’esproprio proletario dei patrimoni! Da impugnare la motosega e tagliargli a metà lo yacht…

COSTA CONCORDIA EMBLEMA DEL PAESE

Un anno e nove mesi per iniziare a raddrizzare la Costa Concordia. E per tentare di fare altrettanto con il Paese quanti anni o lustri o secoli ci vorranno?
Emblematica la “rotazione” della nave per tempi e modi: perizie, controperizie, valutazioni di impatto ambientale e non, studi e pratiche burocratiche, terrore di assumersi la responsabilità di procedere. D’altra parte chiedete ai sindaci quanto ci vuole per fare una rotatoria o un’altra banale opera pubblica: più o meno lo stesso tempo e lo stesso iter.
Il sito di Repubblica mostrava oggi le foto di quanto successo settanta anni fa a Pearl Harbor: Gli americani in un battibaleno raddrizzarono e spostarono le decine di navi affondate dai giapponesi, rendendo nuovamente agibile in porto. Ma quello era e resta un Paese efficiente.
Il nostro invece è sempre più inclinato, sempre più prossimo ad affondare, come certificano tutti gli osservatori internazionali: sempre più giù in classifica per produttività, qualità della scuola, tempi della giustizia; sempre più primi per burocrazia e tasse.
Enrico Letta – magari con senso della realtà – parla di “politica del cacciavite”. Si cerca di dare un’aggiustatina qui e una là. Di più non si può fare. Ma col cacciavite non raddrizzi né la Costa Concordia e meno che mai il Paese.
Ci vorrebbero argani potenti, drastiche riforme strutturali, che nessun governo riesce a varare.
Consoliamoci con l’afflusso turistico. Mai visti così tanti all’Isola del Giglio. Tutti a farsi fotografare con la nave inclinata sullo sfondo. Ne arriveranno sempre più anche in Italia di turisti stranieri: a fotografare, a guardare increduli, un Paese che dovrebbe essere moderno, efficiente, occidentale. E che invece inclina sempre più verso il Terzo Mondo…

SE PAPA FRANCESCO VA IN R4

Papa Francesco è salito sulla R4. L’erre cosa? Capito di che stiamo parlando? Ma della mitica Renault R4! Io lo so bene perchè è stata la prima auto che mi comprò mio padre. Era il 1969. Pensavo fossero ormai estinte, confinate in qualche museo dell’automobile. Invece abbiamo scoperta che una è ancora in uso in Vaticano. Ci è salito sopra Papa Francesco, con grande risalto mediatico e scatenando molta sobria commozione…
Non pretendo che un Papa viaggi in Rolls Royces. Anche se lo fa abitualmente la Regina Elisabetta, senza che nessuno si scandalizzi; e quindi potrebbe forse usarla anche il Vicario di Cristo in terra. Mansione che – se ci crediamo – è un tantino più importante di quella regale.
Ma potrebbe usare una Lancia Delta, una Fiat Bravo, la cui manutenzione costa meno di un’auto da museo. Se non che la R4 fa più sobrio. Sempre ammesso di crederci, ed escludere lo sconfinamento nella sceneggiata populista. Nemmeno il padre fondatore del populismo italiano, Sandro Pertini, si sognava di girare in Renault…
Oltre un certo limite la sobrietà non è credibile. Così come non lo è l’afflato umanitario, senza spiegare chi paga il conto.
Il Papa chiede che i conventi dismessi non vengano più trasformati in alberghi ma destinati ad accogliere i rifugiati. Splendido, di un’umanità commovente. Ma poi il costo del mantenimento chi lo paga? Lo Ior, la banca vaticana, o lo Stato italiano cioè noi con le tasse? E i conseguenti problemi di ordine pubblico? Manda le guardie svizzere a vigilare gli ex conventi o deve pensarci la nostra polizia?
Susanna Tamaro ha scritto che oggi la Chiesa è emarginata. Emarginata e polverizzata. Alla Dottrina cattolica è successo qualcosa di molto simile alla laica Pubblica istruzione.
Un tempo c’erano i programmi ministeriali, che tutti i docenti erano tenuti a svolgere e rispettare. Si sapeva cosa veniva insegnato nelle scuole. Poi si decise di cambiare, magari in nome della libertà di insegnamento. Proliferarono i corsi sperimentali: ogni docente prese a svolgere il programma che voleva lui. Non si sa più cosa si insegna nelle nostre scuole.
Tali e quali i sacerdoti. Basta con la dottrina che dal Papa discendeva attraverso i vescovi (provveditori dell’insegnamento religioso). Oggi ogni prete predica e si occupa di quello che vuole: uno fa il digiuno per
la tutela dell’ambiente, l’altro si improvvisa teologo, un terzo dice che loro, i preti, potrebbero anche sposarsi.
Non c’è più una linea, una dottrina, una certezza della fede.
E se questo polverizzazione ha preso piede qui da noi, figurarsi altri Paesi, come quelli di provenienza del Papa, dove il Cattolicesimo da tempo è “contaminato” con altre credenze, con chiese para protestanti, con riti Vudù e non Vudù…
Mi pare che il primo obiettivo dovrebbe essere quello di contrastare e contenere le spinte centrifughe. Come? Con la sobrietà, dicendo all’Angelus “buon giorno, buon appetito”? O tornando a sentire tutta la sacralità (che implica distanza) del Vicario di Cristo? Serve un Papa di fronte al quale inginocchiarsi con rispetto e devozione, oppure uno che dia l’impressione di poterci giocare a briscola al bar?
Papa Francesco l’ha detto subito: “Vengo dalla fine del mondo”. Speriamo non ci porti alla fine di quel mondo cattolico che è il nostro mondo.

LA LEGGE E’ DISUGUALE PER ALCUNI

Nessuna pietà per Silvio. La determinazione a procedere il più speditamente possibile – alla decadenza da senatore, all’interdizione dai pubblici uffici, oltre che alle conseguenze penali della condanna – si fonda su una parola d’ordine inappuntabile: la legge è uguale per tutti! E quindi deve esserlo anche per il Cavaliere di Arcore!
Peccato che questa storia, della legge eguale per tutti, sia una delle balle più palesi che continuiamo a farci raccontare.
Già c’é da dubitare che un qualunque grande imprenditore (che magari partecipa alle primarie o si autoproclama tessera numero 1 del Pd) subirebbe lo stesso trattamento giudiziario subito dal leader della destra.
Piero Ostellino ha scritto sul Corriere che, pur di arrivare a condannare Berlusconi, i magistrati hanno messo in piedi una nuova fattispecie di reato che non aveva precedente nei nostri codici: l’ideatore di reato. Condannato non per aver materialmente compiuto l’evasione fiscale, ma per averne ideato il metodo.
Sempre Ostellino aggiunge che sarebbe come condannare lo scrittore di gialli che ha delineato l’omicidio perfetto e non chi, ispirandosi al libro, lo ha concretamente compiuto. Un paragone che quantomeno fa riflettere.
Ma non è questo il punto, e possiamo anche lasciar perdere le vicende giudiziarie di Berlusconi.
Il punto è che proprio i magistrati, coloro che dovrebbero amministrare la giustizia, sono i più disuguali di fronte alla legge.
Un giornalista che sbaglia, che diffama qualcuno, né risponde sia penalmente che civilmente. Un medico che sbaglia altrettanto. Un ingegnere che sbaglia i calcoli di cemento armato pure. Siamo arrivati a imputare e condannare perfino i sismologi rei di non aver saputo prevedere i terremoti…
La regola chi sbaglia paga vale per tutti: commercianti, artigiani, pubblici dipendenti, insegnanti, preti, imprenditori. Solo per loro, solo per i magistrati, non esiste. Non esiste la responsabilità civile, non ostante un referendum l’avesse introdotta a furor di popolo. Col risultato che pm e giudici del processo Tortora hanno proseguito indisturbati fino al massimo della carriera e della retribuzione.
Nei tribunali, dove si amministra la giustizia, campeggia la scritta “la legge è uguale per tutti”. Salvo per chi amministra la giustizia stessa! Unica riforma possibile: togliere la scritta. Cioè smetterla almeno di farci prendere in giro.