RENZI, PRANDELLI E LA BANANA

Renzi, Prandelli e la banana

Il disastro della nazionale di Prandelli fa tornare alla mente la foto dove lui e Matteo Renzi sono assieme a mangiare la banana. Col senno di poi non proprio una mossa azzeccata del premier. Anzi, una pagliacciata mostrarsi così proni alla moda, al banalmente (o bananamente) corretto.
Ce ne fosse bisogno, le tragedie di questi giorni ci mostrano che il razzismo vero è tutt’altra cosa da un buu gridato allo stadio. E’ il razzismo religioso di sunniti e sciiti che si massacrano in Iraq, è la caccia al cristiano in tanti Paesi del mondo; è il razzismo tribale che insanguina l’Africa.
Magari dalla debacle degli azzurri nascerà anche un piccolo risvolto positivo: i tanti Balotelli del calcio, questi eterni adolescenti mai maturati, potremo irriderli – come meritano – anche se hanno la pelle nera, senza essere più accusati di razzismo…
Quanto a Prandelli è rimasto solo e isolato a mangiarsi la banana. Renzi invece può contare su ogni sorta di soccorso: quello azzurro di Berlusconi, quello rosso dei transfughi di Sel; da oggi pomeriggio – dopo la diretta streaming – è garantito anche il soccorso pentastellato.
Insomma tutti a mangiar banane sul carro del vincitore, secondo consolidato costume italiota. Con questo premier, così abile a sguazzare tra sinistra e destra e nuovo centrodestra, rischiamo di ritrovarci con il partito unico di Matteo Renzi. Non proprio il massimo della democrazia.
Speriamo almeno che il “dittatore” fiorentino sia un abile ct per il Paese, che lo rivolti come un calzino. Perchè siamo proprio a banane. Non tanto e non solo sotto il profilo economico e sociale. Il punto è che siamo trattati come scimmiette dalle lobby conservatrici dei propri interessi che in ogni modo ostacolano qualunque riforma che sia di sostanza e non solo di facciata.
Diamogli pure mille giorni come ha chiesto ma, sia chiaro, che senza risultati non ci sarà il rinnovo del mandato…Il Paese Italia è messo proprio come il calcio italiano: o lo ricostruisci dalle fondamenta o basta un Uruguay, anche una Costarica, per travolgerci.

SCHIFEZZE D’UOMINI TORNATI BAMBINI

“Schifezze d’uomini”, titola oggi Il Giornale sopra le foto del presunto assassino di Yara Gambirasi e del reo confesso che nel milanese ha sgozzato la moglie e i due figli. Sempre oggi sui siti c’è la notizia di una donna ammazzata dal marito nel ragusano e di un’altra massacrata a pugni e calci dal compagno a Pietra Ligure.
Le vittime sono sempre e anzitutto loro, le donne. Vittime della gelosia, di appetiti sessuali inconfessabili, o semplicemente del desiderio di liberarsi di loro senza nemmeno passare attraverso il divorzio.
Colpisce, scandalizza (ma è significativo) il comportamento di questo Carlo Lissi che, dopo aver massacrato moglie e figli, va al bar a vedere la partita, tifa Italia e beve birra come se nulla fosse successo.
Parlare di follia dice tutto ma, proprio per questo, dice nulla. Che la follia dilaghi è dimostrato dal fatto che abbiamo abolito i manicomi: solo dei pazzi potevano farlo…
In questi casi l’inasprimento della pena, la deterrenza della giustizia, non funziona. Nemmeno in quei Paesi dove la giustizia funziona al meglio. Omicidi così efferati e violenti, apparentemente senza una spiegazione plausibile, si verificano in tutto il mondo Occidentale.
Forse proprio il comportamento di Carlo Lissi ci aiuta a capire. Queste schifezze d’uomini sono regrediti allo stadio infantile, sono tornati bambini.
Ogni bambino è convinto di essere il centro dell’universo, tutto gli è dovuto. Scambia i suoi desideri per la realtà. Non pensa che esistano ostacoli ai suoi desideri. Quando il bambino litiga, o è geloso, e dice “ti ammazzo”, intende proprio ti ammazzo…(non è nelle condizioni di farlo, ma vorrebbe farlo). Poi cresce e impara che la realtà esiste: viene educato, i cosiddetti “freni inibitori” gli servono a controllare gli impulsi e i desideri. Il bambino diventa adulto.
Ma c’è anche il percorso inverso, quando si allentano o addirittura scompaiono i freni inibitori: l’adulto torna bambino, torna a convincersi che la realtà deve corrispondere ai suoi desideri, anche a quelli più turpi.
Lo stesso affermarsi, nel mondo libero e senza più inibizioni, dei cosiddetti diritti individuali non aiuta. Il diritto a rifarmi una vita, a rifarmi una famiglia, ad avere qualunque nuova relazione; tutto questo porta ad abbattere gli eventuali ostacoli: la moglie, la compagna, anche i figli
Non intendo discutere questi diritti, ormai affermati ed irrinunciabili. Il che non toglie che talora producano effetti pesanti e negativi. Detto in altri termini: l’egoismo, il soddisfacimento di ogni proprio desiderio, relega in secondo piano i doveri famigliari e sociali.
Sia chiaro che questo mio è solo un tentativo di analisi, non certo una ricetta per cercare di arginare la dilagante violenza sulle donne.

PADOVA NEL BENE E NEL MALE

Qualche considerazioni partendo dal raffronto tra Padova e Verona che ha proposto Halexandra nel post precedente. Ovviamente sono le due città venete più “care” anche a Telenuovo, ma molto diverse tra loro.
Padova è più centrale, sia nel bene che nel male, più complessa e difficile da governare, qualunque sia il colore dell’amministrazione comunale.
Partiamo da un minimo di precedenti. Padova, negli anni di piombo, è stata la capitale del terrorismo in Veneto. Non a caso anche la prigione del generale Dozier era ubicata qui. Padova ha il centro sociale più radicato e robusto, il Pedro. A Verona i no global sono sempre stati quattro gatti.
Quando all’inizio degli anni Ottanta, l’allora segretario del Pci veronese Dino Facchini, lanciò l’allarme antidroga definendo Verona la “Bangkok d’Italia”, inventò uno slogan felice per i media ma inesatto: Verona non era la Bangkok nemmeno del Veneto, lo era Padova perchè – grazie alla centralità geografica – da qui la droga veniva smistata in tutte le altre province venete. La malavita organizzata – e termino con i precedenti – la Banda Maniero agiva tra Padova e la Riviera del Brenta.
E’ appunto la centralità geografica che rende Padova lo snodo cruciale sia nel bene che nel male. Nel bene: ha una delle più antiche e prestigiose università italiane (magari è pure un male: perchè 60 mila studenti non sono semplici da governare…). E’ la sede della ricerca scientifica, capitale del terziario avanzato, ha un tessuto produttivo ad alta tecnologia.
Il male l’ho ricordato per il passato e prosegue nel presente: resta la capitale veneta dello spaccio di droga e di tante altre attività criminali. Sulle quali si è innescato da oltre vent’anni il fenomeno dell’immigrazione. Manca una capacità di selezionare gli ingressi e arginare gli arrivi. Problema nazionale. Abbiamo una giustizia che non funziona. Problema nazionale. Non c’è stata la riorganizzazione delle forze dell’ordine. Problema nazionale.
Dopo è anche vero che un’amministrazione comunale può essere “accogliente” o “respingente”. Ma i tre nodi da sciogliere sono quelli nazionali. Altrimenti è fatale che Padova resti il punto d’arrivo e di smistamento anche dei clandestini. In confronto Verona è un isola felice. Sarà anche merito dell’amministrazione Tosi. Ma mai, con nessuna amministrazione (nemmeno con la Zanotto), Verona ha conosciuto il degrado vigente a Padova.
Non resta che concludere con i migliori auguri al neo sindaco di Padova Massimo Bitonci. Anche perchè credo che lui per primo sia consapevole di essere stato chiamato a governare la più difficile e complessa città del Veneto.

BITONCI TOSI RENZI: FINE DEI PARTITI

Un dato è emerso netto dai ballottaggi di ieri: la fine dei partiti, la fine del radicamento dei partiti nel loro territorio storico. Ora contano solo gli uomini: da Massimo Bitonci, che ha trionfato a Padova, a Flavio Tosi il primo precedente a Verona, fino a Matteo Renzi.
Renzi ieri non era in campo e, quindici giorni dopo, si dissolve lo strepitoso 41% del Pd. I democratici, senza Renzi, tornano a zoppicare a diventano macchie di leopardo: vincono a Bergamo e Pavia, perdono a Padova, a Perugia, a Livorno. Perdono, per giunta, in queste tre ultime città roccaforti (Padova compresa) del centrosinistra. Città rosse. Mentre vincono nelle prime due, città tradizionalmente di centrodestra.
Bitonci, il leghista, trionfa nella Padova di Zanonato dove la Lega aveva fin’ora raccolto bricciole. Trionfa lasciando nell’armadio il simbolo del suo partito e dei partiti in genere. Trionfa come uomo delle liste civiche e batte Ivo Rossi anche nelle sezioni, nei quartieri padovani considerati rossi.
Il precedente storico, il suo modello, è il suo avversario nella corsa alla segreteria regionale della Lega, Flavio Tosi che già nel 2007 conquista Verona ( e la riconquista nel 2012) con la sua lista civica primo partito della città scaligera.
Entrambi raccolgono anche voti a sinistra. Così come Renzi li raccoglie al centrodestra e in area moderata.
Cos’è la destra, cos’è la sinistra? Si chiedeva Gaber vent’anni fa. Oggi sono un ricordo del passato, non più l’appartenenza dirimente del presente.
Se vogliamo aumenta anche il divario tra politiche nazionali e locali. Renzi parla di Europa da cambiare, di economia da rilanciare. Bitonci vince battendo sul tema della sicurezza (come Tosi). “Ripuliremo Padova” è stato il suo slogan vincente. Di lavoro ha parlato poco, di Europa nulla. Per Renzi il tema sicurezza è “desaparecido” dal suo programma, come i clandestini in arrivo montante: la sua matrice cattolica lo rende accogliente. Potrebbe essere il suo tallone d’Achille.
Ma intanto conta lui, conta Bitonci, contano gli uomini. Va a finire che i partiti diventano un handicap. Loro che, col proprio simbolo, erano erano la certezza fuori dalla quale non esisteva speranza per alcun candidato.
L’anno prossimo, per cercare la riconferma alla guida del Veneto, Luca Zaia non potrà che seguire il modello Tosi-Bitonci: si presenterà come il presidente dei cittadini e delle liste civiche, non certo della Lega. Al momento il suo competitor pare Alessandra Moretti, non certo donna del Pd, ma “premiére dame” veneta di Matteo Renzi.
Ieri si sono celebrati i funerali dei vecchi, già tanto cari e amati, partiti politici italiani.

VIVA L’ITALIA, VIVA LA REPUBBLICA!

Oggi, 2 Giugno, una cosa la festeggiamo di sicuro: la liberazione dai Savoia.
Il problema non è la repubblica o la monarchia, sistema oggi in Europa altrettanto democratico. Come dimostrano la Spagna piuttosto che la Gran Bretagna o l’Olanda. Però c’è casa regnante e casa regnante. Ci sono i Windsor, c’erano gli Asburgo. E c’erano appunto anche i Savoia, non proprio la stessa cosa: pastori della Savoia o poco più, diciamo un tantino provinciali. Il cosiddetto primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, l’italiano nemmeno lo parlava, solo un dialettaccio francese di montagna.
L’ultimo discendete, Emanuele Filiberto, è finito a fare il pagliaccio ballando sotto le stelle e dimostrando così tutta la stima che lui per primo ha del suo casato…
Insomma, i Savoia, una monarchia delle banane. Ma purtroppo, come ben sappiamo, ci sono anche le repubbliche delle banane…Dove, ad esempio, mamma Rai proclama lo sciopero generale contro il taglietto deciso da Matteo Renzi al suo pingue bilancio. Una farsa, una vergogna tale da porgere su un piatto d’argento al premier la battuta che ha fatto ieri a Trento: potevano proclamarlo prima delle europee lo sciopero, che così prendevo il 42% invece del 41%!
A proposito di europee, raccontavo in redazione che i miei due figli, che lavorano all’estero, non hanno votato perchè, non essendo residenti a Londra (nel qual caso avrebbero usufruito del voto per posta), sarebbero dovuti tornare in Italia.
E da qui sono nate le considerazioni sui “permessini” elettorali.
Ci sono, ad esempio, docenti meridionali che, pur insegnando in Veneto da vent’anni, non hanno mai spostato la residenza. Perchè? Perchè così scattano i due giorni di permesso per tornare a votare al Sud e nelle Isole. Tenendo conto che – o per le politiche o per le europee, o per le regionali o per le comunali – si vota praticamente ogni anno, il calcolo ci sta tutto…
Anche perchè i poveri insegnanti le ferie quasi non sanno cosa siano. E’ vero che le scuole chiudono tutta l’estate, due settimane a Natale e una a Pasqua, ma loro, gli insegnanti, non sono in ferie sono…a disposizione, sempre sul chi vive in attesa di chiamata. Come i medici di guardia. E allora, con tutto questo stress, il loro contratto prevede una settimana aggiuntiva di ferie da consumare a scuole aperte.
E’ non risulta sia un contratto fatto sotto la monarchia dei Savoia. (E questi – che sfruttano anche il permessino elettorale – sono quelli che dovrebbero insegnare il senso civico ai ragazzi.) Viva l’Italia, viva la Repubblica!

IL GRILLISMO DI BERLUSCONI

Accanto a quella di Grillo c’è anche la sconfitta del centrodestra. Libero si pone oggi il problema della rifondazione, di come ripartire dopo la batosta, e delinea uno splendido programma liberale. Pura fuffa; perchè per ripartire ci vuole prima di tutto ed anzitutto un leader.
E qui sorge il problema della grande, deleteria, somiglianza tra Berlusconi e Grillo: entrambi si sono infatti circondati del nulla, sotto il profilo dello spessore politico.
Beppe Grillo, a suo modo, è un grande leader. I risultati ottenuti lo dimostrano. Il suo problema sono i grillini che, entrati nelle istituzioni, hanno cominciato a farsi conoscere. E qui è riemerso con prepotenza lo storico, famoso, slogan anti-Aids: “Se lo conosci, lo eviti”…
Indiscutibile che anche Berlusconi sia stato un grande leader. Oggi senza eredi perchè anche lui si è sempre circondato del nulla: di amici, di polli d’allevamento, di designati. Nessuno che fosse emerso per capacità proprie dall’agone politico, che avesse dimostrato sul campo doti e risultati.
Che Renzi fosse un number one era già incontestabile quando questo ragazzetto, uscito dal mondo cattolico, conquistò la prima roccaforte italiana del Pci-Pds-Ds. Quella Firenze intessuta come una ragnatela dai rapporti di potere della “bottega” (per usare il termine con cui Bersani designava il suo partito).
La politica è un mestiere straordinario. Se hai talento emergi perfino se viene dai boy scout!
A mio modesto parere Tony Bisaglia era e resta il più capace leader politico del Veneto. Fu allievo di mio padre all’università, non superò l’esame di Analisi (o forse prese 18) e il prof. Zwirner lo considerò sempre un incapace. Anche i padri sbagliano. Se hai talento in politica emergi pure con la terza elementare.
Mentre non vale il contrario. Mettiamo che Giovanni Toti sia un ottimo giornalista. Non basta per diventare significante in politica…Eugenio Scalfari è un giornalista straordinario. In politica, come deputato del Psi, non lasciò segno. Lo si ricorda solo per aver apostrofato il vigile, che a Milano gli fece la multa, con l’arroganza tipica della casta: “Lei non sa chi sono io!”.
Mettiamo che Nicolò Ghedini sia un grande penalista, oppure un avvocaticchio. In ogni caso un disastro politico per Forza Italia. Da anni in Veneto non si muove foglia che Ghedini non voglia. Risultati: la Lega ha sorpassato Forza Italia che oggi, alle comunali di Padova, è inabissata ad un 7% di voti; anche perchè il Nicolò in toga aveva deciso che il capolista doveva farlo il suo commercialista (come se un partito popolare fosse una sezione del Rotary…)
Silvio Berlusconi non ha fatto emergere dal campo l’embrione di un nuovo leader che sia uno. E così il centrodestra si trova nel Deserto dei Tartari; il vana attesa di chi mai arriverà perchè non è mai nato.

GRILLO, D’ALEMA E LA COMPETENZA

Massimo D’Alema, a prescindere dall’antipatia che suscita quel suo approccio saccente da primo della classe, il primo della classe lo resta. Capace cioè di andare controcorrente sui luoghi comuni del rinnovamento e del giovanilismo.
Parlando di Europa, D’Alema mi faceva notare che al parlamento siedono personaggi di diversi Paesi con sette mandati alle spalle. Il massimo della competenza, dell’esperienza, della conoscenza dei meccanismi di governo. I più autorevoli e capaci
Il bello è che competenza ed esperienza sono la forza anche di Beppe Grillo. Perchè è riuscito a mettere in scena lo splendido – seguitissimo – spettacolo di ieri sera a Porta a Porta? Perchè fa lo show man da più di trent’anni! Perché era già esperto di comizi politici quando lo cacciarono 21 anni fa dalla Rai dopo le accuse ai socialisti di essere tutti ladri! Ed oggi, col tempo e l’esperienza, è ancora migliorato, ancora più efficace.
Dobbiamo invocare il vincolo di mandato anche per lui? Dobbiamo pretendere che, dopo dieci anni, anche lo show man si faccia da parte in nome del ricambio? Risultato: a Porta a Porta ci mandiamo Casaleggio o Roberto Fico o la Lombardi per garantire il sonno dei telespettatori di Vespa…
Intendiamoci, il ricambio è necessario. Ma è stupido generalizzarlo a prescindere. Chi si siede sul proprio lavoro e sceglie il tran tran, va stimolato e rimosso. Chi invece continua a lavorare con entusiasmo ed impegno, deve restare al suo posto nell’interesse della collettività.
Oggi il presupposto (a 5 Stelle) per andare a Roma o a Bruxelles, per diventare sindaco, è quello di non aver mai fatto prima né politica né amministrazione. Avere esperienza zero è la conditio sine qua non. Una follia, una stupidaggine. Come dire che da domani posso fare il medico solo se fino a ieri ho fatto il giornalista o il commercialista o qualunque altro mestiere, purchè non sappia nemmeno da dove cominciare la terapia.
Come dire che da domani ho il diritto di fare il comico (vero che per Silvestro sono già esperto del ramo…) o lo show man.
Abbiamo dei medici-politici incompetenti, di dubbia qualità ed onestà? Dobbiamo puntare a trovarne di migliori. Ma più la malattia è grave – ed il nostro Paese è un malato quasi terminale – più il medico deve essere esperto e competente. O andiamo a farci curare il cancro da Casaleggio?
Il paradosso è che Grillo, che deve il successo alla sua grande competenza, vuole circondarsi (e farci governare) da incompetenti.

L’EUROPA E’ LA NOSTRA BADANTE

Se non ce la fai più nemmeno a cambiarti il pannolone, o ad andare a letto da solo, hai poco da lamentarti: ti serve la badante; e ringrazia Dio se puoi permettertela o se te la pagano i figli. Perchè altrimenti non resta che il ricovero.
Il nostro Paese è ridotto così. Incapace di governare e governarsi gli serve una badante: l’Europa. Il vecchio detto – meglio soli che male accompagnati – prospettava la scelta dentro un’alternativa che per noi non esiste: da soli non riusciamo a combinare nulla. Quindi non resta che essere accompagnati, anche male, anche da un’Europa assai criticabile e fin qui deludente.
Prendiamo il caso dell’ultimo contenzioso di questi giorni con l’Europa, accusata di latitare: il controllo dell’immigrazione. Da trent’anni e più (gli arrivi massicci iniziarono fine anni Ottanta), qualunque fosse il colore dell’Esecutivo, abbiamo mai dimostrato di saperla governare in maniera, non dico efficace, ma appena decente? Mai successo. E allora, che giunga l’Europa ad insegnarci a farlo, sarà anche solo una speranza o un’illusione, ma l’alternativa è il disastro (mare) nostrum.
Certo, mica tutti necessitano della badante. La Svizzera (20% di stranieri) ha dimostrato di saperci fare, la Germania anche. Noi no, ci vuole la badante.
E il governo dell’immigrazione è solo un esempio. La Giustizia: c’è un Paese che l’abbia più squinternata del nostro, con la Procura di Milano dove litigano tra loro nemmeno fossero venetisti? E la produttività, il mercato del lavoro, la lotta all’evasione? Quando mai abbiamo saputo affrontare e risolvere questi nodi?
L’estremo paradosso è che non vuole la badante proprio chi più dipinge l’anziano come non autosufficiente. Parlo di Grillo che – da un lato accusa la classe politica di essere incompetente, corrotta, incapace – dall’alto lamenta l’esproprio di sovranità compiuto dall’Europa con l’introduzione dell’euro! E a chi dovevamo lasciarla, la sovranità, ai corrotti e agli incapaci? O trasferirla ai dilettanti a 5 Stelle?
Già alla fine degli anni Novanta, di fronte ad un Paese col debito pubblico fuori controllo, che aveva introdotto follie come le baby pensioni, in molti speravamo che fosse l’Europa a costringerci a diventare più seri. Che fosse lei quel “tutore” che va assegnato a chi è incapace di intendere e di volere.
Per farne a meno dovremmo essere quello che non siamo: un Paese autosufficiente, capace cioè di affrontare e risolvere da solo i propri problemi. In caso contrario rinunciare alla badante ha un unico risultato: nessuno ti cambia il pannolone e resti là, affogato nei tuoi escrementi.

IL PENSIONAMENTO DEI SINDACATI

Che i sindacati, per come operano, siano fuori dal tempo, cioè fuori dal moderno mercato del lavoro, letteralmente stravolto dalla globalizzazione, lo dimostra un dato inconfutabile: la maggioranza degli iscritti alla Cgil (e non solo alla Cgil) sono pensionati e non lavoratori attivi.
Persone che, per gratitudine rispetto a quando avuto in passato, continuano a pagare la tessera. Un po’ come portare un mazzo di fiori in cimitero al caro estinto…La Ridotta della Valtellina del sindacato è il tentativo di strenua difesa dei cosiddetti “diritti acquisiti” di chi già ha il posto fisso. Giovani, precari, esodati, disoccupati cinquantenni – tutte le nuove tragiche realtà del mercato del lavoro – non vengono più intercettati ne rappresentati dalle organizzazioni sindacali.
Ferme al passato anche nelle proposte. Quando domandi loro come recuperare posti di lavoro a livello nazionale, o in provincia di Padova o di Verona, la risposta è sempre lo stesso mantra: serve una politica industriale. Che significa due semplici cose: programmare a monte le produzioni su cui puntare e finanziarle con denaro pubblico. Ogni volta scherzo con i dirigenti sindacali e dico loro che siamo fermi ai Piani Quinquennali sovietici. Anche allora programmazione e investimenti pubblici. Risultati: disastrosi sotto il profilo economico e sociale.
Dopo di che il sindacato, magari sbagliando, fa il suo mestiere. Potrebbe chiedere anche un’ora di lavoro al giorno per 5 mila euro di stipendio al mese. Il problema, e dunque le responsabilità vere, sono della controparte, che può respingere o accogliere queste proposte. Fin’ora le ha sempre accolte.
La controparte pubblica, cioè il potere politico. Ed anche quella privata, cioè Confindustria, interessata anzitutto ad avere il via libera sulla spartizione degli aiuti statali.
Imputare al sindacato il disastro del nostro mercato del lavoro e come imputare ai magistrati il disastro della giustizia. Nell’un caso e nell’altro è anzitutto il potere politico che ha calato le braghe.
Pare che Renzi, ora, non intenda mettersi anche lui a “cuo busòn”. Vedremo. Il ogni caso non è lui il nemico del sindacato. Anzi è l’alleato, l’amico medico che prova a prescrivergli il Viagra perchè ritrovi un minimo di virilità. Solo un sindacato indotto (costretto) a cambiare potrà infatti ritornare a rappresentare le nuove esigenze del mercato del lavoro. Altrimenti è il pensionamento; la lenta, progressiva, estinzione.

DECIDE TUTTO GENNY ‘A CAROGNA

Devo concordare con Marco Travaglio che, ironicamente, ha scritto: ”Ha ragione il questore di Roma a dire che con gli ultras del Napoli non c’è stata nessuna trattativa. Infatti ha deciso tutto Gennaro De Tommaso, per gli amici Genny ‘a Carogna”.
Magari calassimo le braghe solo davanti agli ultras. Concordo pure col Giornale che titola: “ La resa dello Stato. Ostaggio del Branco. Dai teppisti da stadio ai no tav, dai black bloc ai picchiatori del web. Comanda chi sfascia di più”.
Superfluo aggiungere che, se non riusciamo ad esercitare la deterrenza nei confronti dei violenti del calcio, figurarsi con i criminali stranieri e nostrani…
Dopo di che, se è ridicolo negare una trattativa vista in diretta da milioni di telespettatori, diventa buon senso averla esercitata nell’emergenza: senza l’ok di Genny ‘a Carogna infatti, sabato sera lo stadio Olimpico rischiava di esplodere con conseguenze spaventose.
Cessata l’emergenza però lo Stato deve (dovrebbe) saper agire per evitare che si ripeta. Ma la proposta del ministro Alfano – il daspo a vita – è inefficace perchè non tiene conto della realtà. Oggi ci vogliono ore per entrare allo stadio. In teoria ai tornelli controllano tutto: biglietti, carta d’identità, zainetti perquisiti, divieto di portare perfino l’ombrello. Ma in pratica entra di tutto: spranghe di ferro, bombe carte, petardi, oggetti contundenti. Figurarsi se non continueranno ad entrare tranquillamente anche quelli colpiti dal daspo a vita…
Penso che servirebbe di più agire sul fattore economico, cioè spezzare il foraggiamento che le società di calcio garantiscono al tifo organizzato con gli stock di biglietti, le trasferte, il coinvolgimento nel marketing, gli spazi concessi gratuitamente dentro agli stadi (spazi utilizzati per precostituire gli arsenali prima dei controlli ai tornelli). Mi raccontano che i Genny ‘a Carogna sono cointeressati anche alla compravendita dei calciatori, e vengono pagati a fronte dell’impegno a non lanciare quei petardi che costano multe salate alle società…
Quindi radiare le società calcistiche che abbiano qualunque rapporto con il tifo organizzato.
Non pretendo in ogni caso di essere un esperto. Spetta allo Stato trovare quelle misure idonee che hanno eliminato qualsiasi violenza dal calcio inglese, spagnolo o tedesco. I buoni propositi, i daspo a vita, sono solo fuffa utile a garantire che proseguirà il degrado del calcio italiano.