GLI STUPRATORI SIAMO NOI

 Mauro Ranzato 40 anni, padovano di Villanova di Camposampiero, docente di matematica e allenatore di volley. L’Aprile scorso viene arrestato con l’accusa di aver stuprato una sua allieva di quindici anni. I media riprendono l’accusa, pubblicano foto, nome indirizzo: insomma, come si suol dire, sbattono il mostro il mostro in prima pagina. Da aver paura ad uscire di casa con un accusa così infamante tra capo e collo.

Accusa che adesso il giudice ridimensiona. Ha il sospetto che la ragazzina si sia inventata tutto o molto, in particolare la violenza sessuale; perchè l’ha descritta tale e quale la scrittrice siciliana Melissa P. nel libro “100 colpi di spazzola” da cui è stato tratto anche un film.

Ranzato è stato scarcerato, si profila un processo dall’esito assai incerto. Ma è certo che lui, comuque vada, è già stato sputtanato, rovinato per la vita.

Da questa, e da tante altre vicende simili, si desume che gli stupratori certi siamo…noi giornalisti. Perchè noi operatori dell’informazione dovremmo sottolineare sempre, ribadire con forza a telespettatori e lettori, che un’accusa è cosa assai diversa dalla condanna. Dovremmo ricordare che esiste la presunzione d’innocenza, mentre siamo i primi a trasformarla in presunzione di colpevolezza.

Una presunzione di innocenza che deve, che dovrebbe, valere per tutti: per Ranzato come per Strauss Kahnn, per Berlusconi come per Penati, come per l’ultimo immigrato accusato di qualunque delitto.

Ma basta fare l’elenco, che ho appena stilato, per rendersi conto che il garantismo è una battaglia perduta in partenza, da Don Chisciotte contro i mulini a vento. Perchè troppo irresistibile è la tentazione di sceglierci il nostro colpevole preferito, e sbatterlo in prima pagina con un sistema tipico da lapidazione islamica.

Almeno ci guardassimo allo specchio per vedere che siamo noi gli stupratori, noi i fondamentalisti.

PAPA IN GALERA, BOSSI IN PENSIONE

 

Per discutere seriamente del caso di Alfonso Papa bisognerebbe sgombrare il campo dal più demagogico dei luoghi comuni, cioè sottolineare che un parlamentare NON è un cittadino come tutti gli altri: non è un giornalista né un idraulico né un magistrato.

 Perchè lui, e solo lui, è investito della sovranità popolare (a prescindere dalla legge elettorale, anche la più porcella che ci sia) che lo rende (a prescindere dai suoi meriti e dalle sue colpe) un soggetto del tutto particolare, il cardine della democrazia. Se non gli riconosciamo questo status, e non lo mettiamo al riparo da assalti indebiti di altri poteri (fondati non sulla sovranità popolare, ma sul pubblico concorso) non esiste più la democrazia.

Bisognerebbe capire almeno questo. Mentre siamo qui a ripetere come beoti che i cittadini, parlamentari compresi, devono essere tutti uguali. In questo caso il massimo dell’uguaglianza non è solo il massimo dall’ingiustizia, ma anche il massimo della stupidità.

Bisognerebbe infatti capire che non è un privilegio del parlamentare, ma un sacrosanto diritto di qualunque cittadino vagliare se esistono oppure no le condizioni per ricorrere allo strumento barbaro della carcerazione preventiva. Strumento espressamente limitato dal codice penale ai soli tre casi – inquinamento delle prove, pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato – proprio per la consapevolezza della sua barbarie se applicato indiscriminatamente.

Tanto per capirci. Parolisi è stato arrestato prima del processo perchè accusato di aver distrutto il profilo facebook della moglie: inquinamento delle prove. Ma che prove ha inquinato, che reato ha reiterato, che pericolo c’era che Papa scappasse? Nessuno. Quindi non andava arrestato nemmeno se fosse stato un semplice cittadino. ( E per questo la Franzoni, altro esempio, rimase libera anche dopo la condanna in primo grado per l’assassinio del figlio)

L’altra cosa che, come beoti, ripetiamo è che Papa è colpevole, che le prove lo inchiodano. C’è un modo per far capire che colpevolezza o innocenza non c’entrano per nulla? Purtroppo non c’è perchè oggi il popolo è assettato di sangue della casta politica. Eppure la differenza tra la giustizia sommaria e la civiltà giuridica è tutta qui, sta tutta nell’habeas corpus: cioè nel diritto di qualunque cittadino a comparire al più presto davanti ad un giudice, ad avere tutte le opportunità per discolparsi davanti a lui dalle accuse, e a non finire mai prima in carcere salvo i tre casi di cui parlavamo.

Se non riconosciamo questo diritto basilare, risparmiamo pure le spese per magistrati e tribunali e lapidiamo direttamente in piazza a furor di popolo i presunti colpevoli.

Il voto della Camera ci induce a fare proprio questo. Una Camera che ha calpestato la civiltà giuridica, che ha rinunciato in modo autolesionistico alla propria prerogativa ( che è base della democrazia e della separzione tra i poteri) offrendo alla mannaia giudiziaria ieri il collo di Papa, domani di un qualunque altro suo membro a gentile rischiesta delle procure.

Il tutto grazie alla regia miope di Roberto Maroni, per il quale l’enorme posta in gioco è stata solo strumentale: pur di mandare in pensione Umberto Bossi ha mandato il pensione anche l’autonomia del parlamento. Un comportamento da statista…


UN MARCHIONNE PER SALVARCI

 Non c’è dubbio che la speculazione internazionale ha messo l’Italia nel mirino. Può darsi che il tutto sia orchestrato dagli Usa e che l’obbiettivo finale sia l’intera Ue, cioè l’euro da eliminare perchè concorrente del dollaro. Ma anche fosse così, è un fatto che l’assalto all’Europa comincia da uno dei suoi anelli più deboli: noi.

Quindi dobbiamo guardare anzitutto alle nostre debolezze. Sono debolezze derivanti dalla scarsa credibilità di un premier dedito al bunga bunga piuttosto che di un ministro delle finanze ospite non pagante dell’ex finanziere Milanese? Tutto questo certo non aiuta; ma sono debolezze contingenti: magari bastasse mandare a casa Silvio e Giulio per diventare un Paese serio, cioè capace di creare ricchezza e non abile anzitutto a sperperare spesa pubblica…

Purtroppo le nostre debolezze sono strutturali, cioè frutto di una (sotto) cultura politica stratificatasi nei decenni con l’apporto e il consenso di ogni schieramento politico. E’ la sotto cultura politica da Paese dell’Europa dell’Est venuta a gala in modo emblematico nel trattamento riservato a Sergio Marchionne.

Ogni Paese serio, che metta cioè in cima alla graduatoria la creazione della ricchezza e dei posti di lavoro, lo avrebbe trattato come un eroe e un benefattore. E così ha fatto l’America di Obama: inni di lode al salvatore della Chrysler. Noi invece trattiamo come un delinquente, uno sfruttatore degli operai , chi ha salvato la Fiat trasformandola – da decotta che era a carico della fiscalità generale – in azenda viva che compete, che investe, che mantiene e magari aumenta i posti di lavoro.

A Marchionne dovremmo intitolare le strade, erigere monumenti nelle piazze mettendo la sua statua al posto di quelle di Cavour e Garibaldi. Invece passano le parole d’ordine di Landini e della Fiom: è il ricco che vuole arricchirsi ancor più sulla pelle degli operai.

Il trattamento riservato a Marchionne è l’emblema della sotto cultura dominante. Ma ogni imprenditore, ogni artigiano, ogni partita iva che abbia guadagnato col proprio lavoro, con l’inventiva, con il rischio e la passione, viene trattato allo stesso modo: come un ladro, come un malfattore da braccare mettendogli alle calcagna branchi di burocrati incaricati di rendergli la vita (produttiva) impossibile, di azzannarlo con lacci e balzelli.

Se lui si compra il suv va messo il superbollo, se ha la casa di proprietà avanti con la patrimoniale, se prende i bot dagli alle rendite finanziarie. Ma è lui il ladro o il ladro è chi va in ufficio e, anche se non combina una beata minchia, a fine mese incassa lo stipendio?

Siamo – da sempre, quando Silvio ancora cantava in nave – il Paese delle “stangate”. Conviti cioè che la soluzione sia quella di aumentare le entrate fiscali. Ma è inutile aggiungere acqua in una cisterna traforata che la perde da tutte le parti. Anzi: più acqua ci butti più ne viene dispersa. Fosse combattuta fino all’estinzione l’evasione fiscale, servirebbe solo a triplicare le assunzioni nel pubblico impiego, cioè a portare la spesa pubblica (improduttiva) all’80% del pil!

Ci impegneremo mai a tappare anzitutto i buchi? A favorire gli investimenti dei ricchi tanto vituperati, invece che disincentivarli con tasse, regolamenti e burocrazie varie? Se mai lo faremo, vedremo anche al centro delle piazze delle nostre città la statua di Marchionne con la dedica “al ministro dell’economia che salvò l’Italia dal fallimento e la riportò in Occidente”

 

NO GLOBAL, IMPUNITA’ GARANTITA

 

All’indomani della guerra scatenata dai no global in Val di Susa, con centinaia di feriti e lancio di bombe all’ammoniaca contro le forze dell’ordine, la notizia è che… il cantiere della Tav ha riaperto. Notizia accessoria, logica vorrebbe che quella principale fosse un’altra: la notizia cioè dell’identificazione, dell’arresto e del processo per direttissima delle centinaia di antagonisti violenti che – a giudizio del ministro dell’Interno Maroni – hanno compiuto il reato di tentato omicidio.

Ma a quanto pare gli antagonisti violenti non si sa chi siano, si tirano in ballo i black bloc alias gli stranieri sconosciuti.

E’ sempre così. Qualche mese fa a Padova quattro no global aggredirono in pieno giorno a sprangate in testa il consigliere comunale Vittorio Aliprandi. Due furono fermati in flagranza di reato, gli altri due si ecclissarono e – a distanza di mesi – non sono stati né identificati né arrestati. Da non crederci perchè c’erano le telecamere e tutti gli antagonisti padovani sono conosciuti e schedati. Altrettanto vale per quelli dei centri sociali torinesi che da anni sono il fulcro del movimento no Tav. Eppure gli arresti, i processi e le condanne non arrivano mai.

Verrebbe da pensare che ci sia una trattativa tra lo Stato e i no global, un qualche patto segreto e inconfessabile. Ma non facciamo dietrologia e restiamo ai fatti.

Le Brigate rosse furono un fenomeno molto più pericoloso e organizzato: con una struttura apicale e clandestina, che sparava a vista, che non esitatava a sequestrare, processare ed ammazzare, con ramificazioni e coperture in tutta la cosiddetta società civile. A partire da giornalisti ed intellettuali. Eppure furono sgominate. Perchè il mondo politico era forte ed unito. Non esitò a varare, col pieno sostegno dell’opposizione, cioè del Pci, la legge Cossiga ed altri provvedimenti, anche in palese violazione delle garanzie costituzionali.

Non ci furono critiche né ordini del giorno da parte dell’assiociazione nazionale magistrati (allora molto “rispettosa” quando c’era di mezzo il Pci). Senza sottilizzare troppo sul mezzo, fu conseguito il fine di battere il terrorismo.

Oggi invece, al cospetto di questi antagonisti sgangherati (rispetto alle Br) il mondo politico è debole, diviso e tremebondo. Diciamo che oggi, rispetto agli anni Ottanta, si è affernata la piena autonomia della magistratura che, da parte sua, nel perseguire i reati dei no global non sembra metterci lo stesso impegno che mette nel perseguire quelli del Cavaliere.

E – va rimarcato – per quanto impegno ci metta, non viene a capo nemmeno del Cavaliere…Figuriamoci degli antagonisti…Per loro l’impunità è garantita in partenza.

LA MANOVRA DELLE TRE CARTE

 

Per metà pomeriggio mi ero illuso di aver 100 euro in più. Nella manovra che il governo stava per varare era infatti annunciata la cancellazione di 13 ordini professionali su 19, compreso quello dei giornalisti, e avrei quindi risparmiato l’iscrizione annuale. Ma nel giro di tre ore, questa manovra vergognosa incentrata sul gioco delle tre carte, aveva già cancellato la cancellazione e ripristinato gli ordini professionali, alias corporazioni di origine fascista che non trovano riscontro nel mondo civile.

Non sto a dire quanto sarebbe importante concellarli tutti, gli ordini professionali, per sgessare il Paese, ripristinare il merito e la mobilità sociale, dare attuazione al dettame costituzionale che contempla la libertà d’impresa. Sottolineo solo la codardìa dei nostri governanti, della trimurti Berlusconi-Bossi-Tremonti: è bastato che il presidente dell’ordine dei giornalisti, piuttosto che dei medici o degli psicologi, alzassero il ditino minaccioso perchè questi cacasotto dei nostri governanti facessero dietro front.

Uso questi termini perchè non c’è viltà più grande che annunciare i sacrifici da lacrime e sangue, le manovre da 40 miliardi e oltre, salvo demandarne l’applicazione concreta ai…governanti che verranno; a dopo le prossime elezioni politiche quando non si sa chi governerà e se confermerà o meno la manovra.

Tutti ricordiamo il furto legalizzato di Giuliano Amato che, a notte fonda, mise le mani nei conti correnti degli italiani. Fu un’infamia. Ma gli va riconosciuto il coraggio di essersene assunta la piena paternità e responsabilità: perchè la attuò subito, nel ’92 quand’era presidente del consiglio in carica. Non la demandò ad un ignoto sucessore. E dire che Giuliano Amato era soprannominato Topo Gigio…ma un topino col coraggio da leone in confronto all’attuale trimurti.

Un trio che non ha nemmeno il coraggio di stangare dove ha competenze dirette, che delega cioè alla gestione regionale della sanità l’introduzione dei ticket! Che annuncia il taglio degli stipendi dei ministri per farlo poi scomparire (ridurlo ad una limatina prossima ventura) col solito gioco delle tre carte. Senza capire che, se vuoi risultare credibile agli occhi dei cittadini ai quali chiedi sacrifici, devi anzitutto imporli alla classe politica: ad esempio equiparando da subito gli stipendi dei nostri parlamentari a quelli dei tedeschi o degli inglesi.

Insomma un vergognoso gioco a nascondino , dov’è scomparsa anche la riforma fiscale. Ed è il male minore, una scelta perfino seria. Perchè o hai il coraggio di fare le due aliquote 23 e 33% tanto care al Berlusconi che fu, oppure, se devi limitarti a togliere un punticino d’Irpef per aumentare un punticino d’Iva, tanto vale non fare nulla che almeno risparmi la presa in giro del contribuente.

Credono di salvarsi così? Di evitare la batosta elettorale giocando alle tre carte? Questo credono il veneto Tremonti (originario del bellunese) e i lombardi Bossi e Berlusconi? Aveva ragione il siciliano Leonardo Sciascia: la “linea della palma” sale sempre più a Nord. Ormai ha raggiunto il Lombardo-veneto…


“LEGATO” BRICOLO VADE RETRO!

 Lo ha capito Eugenio Scalfari, speriamo lo capisca anche Umberto Bossi.

E’ sacrosanto che sulla testata di Repubblica resti scolpito da qui all’eternità “Fondatore Eugenio Scalfari”, perchè dalla morta gora della carta stampata lui riuscì a far emergere un quotidiano che se non è il primo per copie vendute è di certo il secondo. Ma Scalfari non pretende di essere lui che oggi sceglie il direttore di Repubblica e nemmeno il caposervizio dell’edizione di Bologna.

Così il nome di Umberto Bossi merità di restare scolpito come “Fondatore” sul simbolo della Lega Nord, perchè dal nulla senza soldi, senza banche, senza poteri più o meno forti alle spalle, riuscì a dar vita ad un partito che ora (in Veneto) è il primo partito politico. Ma non pretenda di contuinuare a dirigerlo, di gestirlo come fosse cosa sua, di inventarsi una sucessione nordcoreana, di mandare “legati” in Veneto…

Oggi la Lega è diventato un moderno partito del Nord Italia. Che governa regioni, grandi città, provincie, che entra nei cda delle banche. Giustamente perchè, se vuoi governare, devi avere in mano le leve del potere reale. Ma non puoi più farlo, con le ampolle, le camice verdi, le corna in testa, i prati di Pontida, i “legati” e i “cerchi magici”…Vi pare che un grande partito possa essere guidato dal Trota, dalla Martini e da Rosy Mauro con Manuela Bossi dietro le quinte? Mettiamoci anche Elisabetta Tulliani, ed è certo che la Lega non avrà né Futuro né Libertà…

Fra i tratti folcloristici della Lega d’antan, preoccupata di darsi una infarinatura culturale, c’era il recupero di questo termine dal diritto romano: i legati. Che sarebbero i commissari inviati a domare i leghisti “ribelli”, cioè non allineati ai lombardi. E così adesso si parla di un Federico Bricolo “legato” della Lega Veneta. Da un anno circa Bricolo già lega i leghisti padovani, cioè impedisce loro di scegliersi un segretario che non sia pronto a baciare la pantofola al “cerchio magico” passando dalla via del prosecco di Paolo Gobbo. Adesso vorrebbe (o dovrebbe) legare allo stesso carro di sicofanti anche tutti gli altri leghisti veneti.

A questo punto mi sia consentita una breve digressione. Tanti anni fa mi sono laureato con Gianfranco Folena, padre dell’on. Pci-Pds Pietro Folena, un docente universitario straordinario (il padre). Qualche anno fa avevo un frastidioso mal di schiena, che né clinici né ospedalieri riuscivano a curarmi; Albino Bricolo, padre di Federico, me l’ha risolto in cinque minuti. Un grandissimo medico.

Per me i Folena e i Bricolo, quelli veri, restano i padri. Sui figli ho qualche perplessità.

Anche Folena junior finì a fare il “legato”, cioè il commissario del suo partito in Sicilia e non gli disse bene: fu l’inizio della sua fine politica (fece un ultimo passaggio parlamentare con Rifondazione e poi a casa). Un esito da non augurare all’attuale presidente dei senatori della Lega Nord.

Che Bricolo non contribuisca a farla diventare una Lega Nord…coreana. Che non si impegni a cercar di ridurre i leghisti veneti in lecchini di pantofole lombarde. A meno che la sua ambizione non sia trasformarsi nella controfigura di Gobbo…


SOLDI IN TASCA AL CITTADINO

 

 

Se Silvio Berlusconi fosse uno statista liberale ( e non quel pacioso post democristiano che è) al posto della stitica riformetta fiscale di cui si ciancia, attuerebbe la stessa rivoluzione del welfare che sta attuando in Gran Bretagna il premier David Cameron.

Una rivoluzione quella di Cameron talmente lontana dalla cultura politica italiana (ultimo Paese, il nostro, dove il socialismo reale è spravvissuto al crollo dell’Unione sovietica) che i media nemmeno riescono a raccontarcela. E sì che il cardine, il perno della rivoluzione è semplicissimo: rimettere i soldi in tasca al cittadino, invece che costringerlo a versarli nella casse pubbliche.

Si ottengono così due effetti precisi: si rida potere e dignità al cittadino, che non è più in balia dei cosiddetti “servitori dello Stato” che trattano lui, il cittadino, come un servo; e si migliora la qualità dei servizi, che devono migliorarsi nella competizione se vogliono che il cittadino li compri e li paghi.

Per quanto ci sforziamo di non comprenderlo (lo rifiutiamo, abbiamo il rigetto, essendo un corpo estraneo alla nostra tradizione cattolica e comunista) il meccanismo è elementare: non è più il pubblico che spende le cifre enormi prelevate con le tasse, dicendo che così garantisce “gratis” al cittadino la scuola, la mutua, la sanità e l’assistenza; il pubblico restituisce i soldi al privato cittadino che ci pensa lui a spenderli per ottenere le stesse cose dove trova più conveniente spenderli.

Perchè, se andiamo in un ottima pensione a Rimini, ci costa massimo 50 euro al giorno e veniamo trattati con mille attenzioni? Perchè il proprietario guadagna sulla nostra presenza ed ha tutto l’interesse a far sì che ritorniamo anche l’estate prossima. Perchè se andiamo in ospedale costiamo – di pura retta alberghiera, esclusa ogni prestazione sanitaria – 300 euro al giorno, alloggiati in camerate da 6-8 letti e rischiando di morire per quello che ci danno da mangiare? Perchè tutti gli addetti del servizio sanitario nazionale sono pagati a prescindere e non gliene frega niente che torniamo o meno a ricoverarci.

Perchè per un semplice prelievo di sangue aspettiamo minimo un oretta, mentre se entriamo in un negozio si precipitano subito ad offrirci le scarpe piuttosto che il televisore? Perchè nel primo caso siamo utenti, nel secondo clienti.

Non si tratta di criminalizzare i pubblici dipendenti, perchè è il meccanismo che rende quasi tutti irresponsabili e menefreghisti: se il propritario della pensione di Rimini fosse pagato a prescindere, si comporterebbe esattamente come i direttori dei ristoranti e degli alberghi pubblici della Croazia ai tempi di Tito.

Ce lo riordiamo o no che cessi erano quei pubblici esercizi statali dell’ex Juguslavia? E perchè le nostre scuole pubbliche, i nostri ospedali, le case di riposo dovrebbero essere qualcosa di diverso?

L’unico sistema per costringere il pubblico a migliorarsi è metterlo in concorrenza con gli stessi servizi offerti dal privato. Ma questo può avvenire solo se c’è il cittadino, con in soldi in tasca, che decide dove andare a spenderli in base al rapporto qualità\prezzo più vantaggioso.

L’ultima ridotta della resistenza statalista consiste nel sostenere che certi beni sono troppo preziosi – la scuola, la sanità, l’acqua – per consentire che vadano in mano ai privati. Non si vuol capire che la regola è esattamente la stessa che si tratti di jeans, di salute, di salami, di istruzione o di alberghi: sono comunque prodotti, e il privato li confeziona meglio e a costi inferiori rispetto al pubblico.

Il bene che molti di noi considerano il più prezioso di tutti, l’automobile, ci interessa forse che sia italiana o tedesca o francese o prodotta da un’azienda statale? Assolutamente no: compriamo quella che riteniamo più consona e vantaggiosa per le nostre esigenze. Facessimo lo stesso ragionamento che per l’acqua, gireremmo tutti in Alfa sud…

Tornando a Cameron, sia chiaro che per noi guardare alla sua rivoluzione è pura utopia: nell’ultimo Paese del socialismo reale tutto proseguirà come sempre continuando a peggiorare gradualmente: sempre più tasse, servizi pubblici sempre più scadenti, finchè tutto salterà in aria…


LEGA VENETA SERVETTA DI BOSSI

 

Non c’è dubbio che una crisi profonda, dopo la duplice batosta amministrativa e referendaria, abbia investito, oltre al Pdl, anche la Lega Nord. E lo dimostra il fatto che, alla vigilia di Pontida, sia entrata in fibrillazione perfino la Lega Veneta fin’ora sempre paciosa, silente e allineata.

L’assessore regionale Franco Manzato, bossiano di stretta osservanza, sostiene che bisogna cacciare “gli eretici”. Sarebbero – per capirci – quei leghisti veneti che al cospetto dell’Umberto non rispondono comunque e sempre :”Si capo, giusto capo, hai ragione capo”. Per essere ancora più chiari quelli che non fanno come il segretario “nazionale” veneto Giampaolo Gobbo.

Si capisce però come – almeno in teoria – esista anche un’alternativa: o cacci via dalla Lega Nord del Veneto gli eretici, oppure cacci via gli yes man, quelli che hanno rinunciato comunque ad avere un giudizio politico autonomo. Per chiamarli col loro nome: cacci via i servi di Bossi e dei lombardi.

Val la pena di ricordare che la Lega in Veneto raccoglie, in percentuale, il doppio dei consensi della Lombardia. Ma non ha mai messo sul piatto questo peso elettorale. Non si sogna di pretendere un rapporto paritario all’interno della federazione Lega Nord, non sa imporre nemmeno un po’ di rispetto per i suoi leader e i suoi elettori veneti. E così non conta nulla, non ha ministri, viene sistematicamente esclusa dai tavoli delle decisioni. La si consulta solo dopo, per avvallare le decisioni prese da Bossi. E già è andata bene che il Senatùr abbia risparmiato al Veneto di ritrovarsi con il Trota al vertice di Palazzo Balbi…

L’ultimo, clamoroso, esempio di questa esclusione sistematica della Lega Veneta anche dai tavoli delle decisioni, è arrivato l’altro lunedì ad Arcore alla riunione convocata da Berlusconi per cercare si un individuare una via d’uscita dopo la prima batosta alle amministrative.

A villa San Martino si presentarono: Bossi con figlio Renzo (sic) detto il Trota, il ministro Maroni, il capogruppo alla Camera Reguzzoni, il segretario della Lega Lombarda Giancarlo Giorgetti e il presidente del Piemonte Roberto Cota. In sintesi: cinque lombardi, un piemontese, nessun veneto.

Bossi deve aver pensato che era inutile portarsi appresso anche…i camerieri. Può darsi che Gobbo l’abbia mandato il giorno dopo a sparecchiare i tavoli e lavare i piatti. Di certo quando si discutevano scelte fondamentali per il futuro del Carroccio la sua presenza è stata ritenuta superflua.

Penso ai tavoli da sparecchiare e ai piatti da lavare perchè, da vecchio che sono, ricordo come venivano rappresentati i veneti nei primi film della commedia all’italiana: i maschi da bravi ragazzi un po’ tonti che finivano a fare i carabinieri in Sicilia; mentre le ragazze venete erano lo stereotipo delle servette, cameriere tutto fare di facoltosi padroni romani o milanesi cui fornivano ogni genere di servizio e servizietto (e senza pericolo che loro, i padroni, facessero la fine di Strauss Kahn…)

Oggi, cinquant’anni dopo, la Lega Veneta è ridotta a fare la servetta di Bossi e della Lega Lombarda: ascari che ramazzano voti da offrire come “onoranse” al Senatùr

Bossi ha un unico pensiero, una sola preoccupazione, più che comprensibile dal suo punto di vista: che i leghisti veneti restino servette e non si sognino di alzare la testa e rivendicare i dividendi elettorali. Per questo ha concentrato tutti i suoi interventi al fine di impedire che emerga la realtà, cioè che il vero leader della Lega in Veneto è Flavio Tosi. Lo ha impedito negandogli la presidenza della Regione, bloccando per anni il congresso regionale, quelli provinciali, mandando il”cerchio magico” (ma imbelle) a cercare di sovvertire anche il congresso provinciale del Carroccio di Verona.

E l’Umberto ha perfettamente ragione perchè, con Tosi leader consacrato, basta ascari, basta leghisti veneti ridotti a sparecchiare il tavolo e lavare i piatti. Invece con Gobbo tutto a posto, tutto tranquillo come da anni e anni, proni e pronti a rispondere sempre: obbedisco sior capo!

Mentre ad Arcore si decideva il futuro del governo e della stessa Lega, il segretario “nazionale” veneto sarà rimasto a Treviso a bersi un prosecco, pensando felice: finché obbedisco a Bossi continuo a fare il sindaco, il segretario e anche l’eurodeputato. Che culo!…

Proseguirà nella Lega Veneta l’era dei maggiordomi, ben ricompensati per servigi e fedeltà; o arriverà il tempo della rabbia e dell’orgoglio?







MARONI E LE RIFORME IMPOSSIBILI

 

 

Nel giorno in cui il centrodestra è riuscito nell’impresa di riesumare anche l’istituto referendario (che da tempo immemorabile falliva il quorum), aggiungendo così un’altra cocente sconfitta a quella appena maturata alle amministrative, il ministro Maroni ha lanciato attraverso il Corriere un ultimatum a Berlusconi. O il governo ottiene quattro obiettivi precisi, oppure è meglio andare subito ad elezioni anticipate perchè – ha spiegato l’esponente leghista – “tirare a campare equivale a tirare le cuoia” .

L’assunto di Maroni è indiscutibile: se non combini nulla gli elettori ti mandano a casa a calci nelle urne. Ma si tratta di vedere se sono realisticamente raggiungibili i quattro punti dell’ultimatum

In politica estera chiede che l’Italia cessi di bombardare la Libia e che le navi Nato blocchino l’esodo dei profughi dalle coste libiche stesse. Richieste sacrosante. Ma, se solo Berlusconi osasse avanzarle al tavolo degli alleati, otterrebbe un unico effetto: gli aerei Nato, oltre a continuare a dare la caccia a Gheddafi, metterebbero anche lui nel mirino cominciando a bombardare Palazzo Grazioli e villa San Martino…Meglio lasciar perdere.

Maroni invoca poi una drastica riforma fiscale che abbassi la pressione e garantisca il quoziente famigliare. Riforma tanto sacrosanta quanto fondamentale. Ma qui entra in ballo quello che domenica, sempre sul Corriere, ha scritto Galli della Loggia: che tanto la destra quanto la sinistra da vent’anni parlano di riforme; parlano, parlano e non riescono ad attuarne nemmeno una perchè vengono blaccate dai “tre pilastri dell’immobilismo” che sono “il privilegio, il corporativismo, la demagogia”.

“In Italia – scrive Galli della Loggia – qualunque individuo così come qualunque istituzione, qualunque impresa capitalista, non sopporta né il merito né la concorrenza né controlli indipendenti. Qualunque categoria, qualunque organismo non sogna altro che monopoli, numeri chiusi, carriere assicurate, condoni, esenzioni, ope legis, proroghe, trattamenti speciali, pensioni ad hoc, comunque condizioni di favore”.

Inutile, insomma, prendersela con i politici come se fossero gli unici a godere dei privilegi. Di fatto abbiamo la somma di tutti i privilegi delle varie corporazione che fanno la maggioranza degli italiani. Una maggioranza conservatrice, che non vuole le riforme, per continuare ad avere privilegi e a “saccheggiare le casse pubbliche”

Un saccheggio – spiega sempre Galli della Loggia, che avviene – ecco la demagogia – in nome de “i diritti, la democrazia, la solidarietà: parole d’ordine, discorsi che, agitando ogni volta la bandiera del bene, sono serviti unicamente a promuovere il più spietato particolarismo”.

Ci vorrebbe – conclude l’editorialista del Corriere – “la più difficile tra le rivoluzioni: quella culturale”. Solo così, dopo la rivoluzione culturale che introduca merito concorrenza vera e controlli, le riforme tornerebbero ad essere un obiettivo concreto e non una vuota chiacchera.

Nell’attesa anche Roberto Maroni è solo l’ultimo dei tanti che continuano a parlare di riforme, “il grande mito della politica italiana”.

 


INUTILE SCIMMIOTTARE LE PRIMARIE

 Mi vien da pensare che tra i tanti che, nel centrodestra, hanno perso la testa dopo la sconfitta alle amministrative ci sia anche l’eminenza grigia del Cavaliere, il suo primo consigliere politico: Giuliano Ferrara.

Il direttore del Foglio ha infatti individuato nelle primarie il perno per il rilancio. E continua ossessivamente a ripetere che il Pdl deve indirle per l’inizio del prossimo Ottobre. Come se la riscossa di Berlusconi potesse avvenire copiando il Pd, facendo propria la battaglia di Nichi Vendola

Le primarie hanno funzionato a sinistra, sono servite a immettere energie nuove in uno schierameto che era soffocato dall’oligarchia identica a se stessa da quarant’anni (da tanto sono sulla scena D’Alema, Bindi, Veltroni, Bersani & c.) e intenta solo a tagliare la testa a qualunque nuovo concorrente emergente. Grazie alle primarie gli emergenti di sinistra sono finalmente emersi.

Completamente diversa la situazione della destra dove il leader è già emerso ed ha già attuato l’unica rivoluzione possibile: cancellare il partito tradizionale, trasformandolo in un semplice comitato elettorale. Ferrara adesso vorrebbe che Berlusconi tornasse indietro: cioè riesumasse il partito radicato sul territorio, con le primarie per scegliere i vertici nazionali e locali del partito, magari anche i candidati al parlamento e alla guida del governo.

Ma vi pare che Pdl (e Lega) abbiano perso perchè la base non aveva potuto scegliere il coordinatore di Verona, di Padova o del Veneto? Perchè non ha potuto indicare Tizio invece di Caio da mandare al Parlamento?

Come insegna la grande tradizione del Pci, che nessuno conosce meglio di Ferrara, deputati e senatori sono sempre stati scelti dal vertice: funzionari di partito ligi e affidabili, perfetti yes-man con i quali non correvi il rischio che a Roma si montassero la testa…

Quanto alla batosta elettorale ha riguardato tanto un partito “di plastica”, il Pdl, quanto quello ben radicato sul territorio, la Lega. Ed il motivo non sono certo le primarie né la riorganizzazione, ma le riforme che nessuno riesce a fare in questo nostro Paese ingovernabile.

Come conferma anche l’incontro di ieri ad Arcore con Tremonti, Berlusconi non riuscirà mai a fare la riforma fiscale, ad abbassare le tasse in modo singificativo (cioè premiante nelle urne). Non ci riuscirà perchè bisognerebbe tagliare drasticamente la spesa pubblica, cioè falcidiare la grande armata dei pubblici dipendenti. Bisognerebbe abolire i privilegi delle coorporazioni, e il povero Bersani non c’è riuscito nemmeno con quella, sgangherata, dei tassisti…Figuriamoci se si può farlo con notai, avvocati, medici, magistrati, giornalisti.

La Lega ha perso perchè i clandestini continuano ad arrivare. E continuano ad arrivare perchè tanti, troppi, hanno interesse a farli arrivare: imprenditori di varie risme che vogliono manodopera a basso costo e orario illimitato, associazionismo cattolico e laico che tanto più è “accogliente” tanto più riesce a lucrare denaro pubblico…Grazie ai clandestini è resuscitata perfino Rifondazione comunista, che è riuscita a trovare uno spazietto politico e di visibilità con le sue “brigate della solidarietà”.

Insomma i clandestini sono utili a troppi per applicare quelle politiche di rigore tipo Francia o Spagna. E per questo ha perso la Lega, non perchè non fa le primarie o perchè non ha nominato segretario generale un Alfano padano…

Durante la prima Repubblica si mascherava l’impotenza cambiando governo ogni dieci mesi. Adesso invece – ahimè – i governi durano, durano anni, durano l’intera legislatura; e gli elettori si accorgono che il re è nudo: cioè che nessuno riesce a governare nel senso serio e pieno della parola.