Evasione ed elusione, nel fisco come nel lavoro. La prima è molto più evidente: evade dal lavoro chi si da malato senza esserlo, chi timbra il cartellino e se ne va per i fatti suoi. L’elusione è più subdola: arrivo e mi siedo al mio posto, sembra che sia presente ma in realtà sono altrove, telefono agli amici, cazzeggio su internet, di fatto non lavoro.
Non c’è divieto né regola che possa combattere l’elusione. Patroni Griffi ha deciso un giro di vite al dipartimento della Funzione pubblica: saranno abilitate solo le telefonate urbane; niente più chiamate interurbane, internazionali o verso cellulari. Magari risparmierà sulle bollette, ma non ci sarà nessuna garanzia che i funzionari pubblici, anche senza telefonare agli amici, non stiano alla scrivania a grattarsi la pancia invece che lavorare.
Non ci sono leggi, divieti, sanzioni che servano. Ci vorrebbe altro. Chiamatelo senso civico, senso del dovere, etica del lavoro, ma questa è l’unica cosa capace di combattere l’elusione. E’ una questione culturale, fa parte o no dei cromosomi di un popolo. Più si alza la “linea della Palma”, meno fa parte dei cromosomi anche di noi veneti.
L’altra sera a Rosso & Nero, il prof. Gilberto Muraro (ex rettore dell’ateneo di Padova e docente universitario del tutto degno di questo nome. Uno dei pochi…) chi ha tenuto una vera “lectio magistralis” sull’etica del lavoro in Germania, spiegando che coinvolge tutti, gli operai come gli imprenditori, che significa impegno, serietà, rigore. Il lavoro come etica sociale, per cui lo stesso imprenditore tedesco non si mette a fare il finanziere, non specula in borsa, ma sente in dovere di reinvestire gli utili per migliorare l’azienda a beneficio della propria comunità.
Un tempo eravamo tedeschi anche noi veneti. Non posso dimenticare un gigante come Apollinare Veronesi che, quando creò nel dopoguerra il suo magimificio destinato a diventare in primo in Europa, aveva una precisa finalità sociale: promuovere il riscatto di quella sua montagna veronese, ridotta alla fame da un’agricoltura miserrima, che avrebbe avuto, come ebbe, una grande opportunità di crescita economica con il diffondersi degli allevamenti di animali da cortile che completavano la filiera del mangimificio.
Poi è salita la “linea della Palma”. Anche in Veneto dilaga una imprenditoria assistita, con l’impegno ad essere competitivi non nella produzione ma nel carpire i finziamenti pubblici, nel mettere le mani sulle privatizzazioni; sono arrivati gli investimenti “differenziati”, siamo alle prese con una seconda generazione di imprenditori dediti anzitutto al cazzeggio, né più né meno di certi pubblici dipendenti, ed in più esibendo un lusso tanto smodato quanto cafone. Un insulto per la propria comunità.
L’abisso che separa i nostri imprenditori da quelli tedeschi l’ha delineato Giuliano Ferrara, scrivendo che assistenzialismo, concertazione, mancato ammodernamento del mercato del lavoro hanno “spinto gli imprenditori e diventare supereroi delle vacanze di lusso e del disinvestimento e del consumo pazzo. Avete mai visto lo yacht billionario di un tedesco ancorato a Porto Cervo? Loro sono tutti a Rimini o se la godono in montagna, e per lo più lavorano”.
Gli imprendori tedeschi, hanno un etica sociale, per questo fanno vacanze sobrie e pensano a produrre. Quando manca l’etica, invece, te ne vai in Sardegna a gareggiare con gli sceicchi e i boss della mafia russa su chi ce l’ha più lungo (lo yacht).
BASTASSE RIESUMARE MAMELI…
Quand’ero alle elementari (oltre mezzo secolo fa) entrava in classe la maestra, noi uscivamo in piedi fuori dai banchi, e si iniziava la mattina a scuola recitando le preghiere. Era una prassi naturale rispetto alla religiosità diffusa e sentita di quel tempo (andato). Dubito assai che oggi, riprendendo la consuetudine delle preghiere (ammesso che le maestre accettino di farle recitare), riusciremmo nuovamente a riempire le chiese e gli oratori…
Allo stesso modo non basta riesumare Mameli per riesumare un amor di Patria italiana che forse non è mai nato e che, se è nato, è morto assieme al fascismo. (Ce lo ricordiamo che, per decenni, solo quei neofascisti del Msi di Almirante cantavano l’Inno e sventolavano il tricolore? E che solo l’avvento della Lega secessionista è servito a farci riscoprire l’amor di patria unita?…)
Il fatto che la commissione cultura della Camera deliberi di far studiare nelle scuole l’Inno di Mameli è utile unicamente a farci capire quanto male siamo messi, quanto sconosciuto sia l’orgoglio per l’appartenenza al nostro Paese. Vi pare che in Germania o negli Usa serva ordinare di studiare l’inno nelle scuole? Non serve perchè tutti già lo conoscono, perchè amano il loro Paese e sono fieri di farne parte. Farne parte: che significa conoscere e condividere la storia, la cultura, le tradizioni.
Breve parentesi comica. La commissione cultura esenta dall’obbligo i soli altoatesini che, con tutti i benefici che gli abbiamo elargito (impensabili se fossero rimasti austriaci) sono tra i pochi ad avere ottimi motivi per gridare a squarciagola “viva l’Italia!”…
Il quotidiano Italia Oggi si schiera a favore dalla cittadinanza per gli stranieri nati in Italia. Lo fa anche con il racconto di un bambinetto negro di pochi anni che: “Indossa la maglia azzurra con, in bell’evidenza, la parola Italia. Parla con i genitori (che si esprimono in un italiano incerto) in un italiano perfetto, con addirittura un pizzico di intonazione locale”
“Il negretto – prosegue il racconto di Italia Oggi – diventerà un calciatore? Un carabiniere? O un chirurgo? Una cosa è certa. E’ già più italiano di molti nostri figli. Orgoglioso di vivere qui. Che non è il suo paese d’adozione ma il suo paese”.
Ne vediamo ogni giorno, nelle nostre città, figli di stranieri che sono esattamente come questo negretto. La cosa sorprendente, o se vogliamo tragica, è appunto che sono “già più italiani di molti nostri figli”. Anche i bambini turchi in Germania si sentono tedeschi, ma non più dei figli dei tedeschi. Anche i bambini messicani negli Usa si sentono americani, ma non più dei figli degli yenkee.
Tedeschi e americani amano il loro paese, sentono un’appartenenza di cui vanno orgogliosi. Noi no. A noi succede di essere superati dai figli degli stranieri che sono più italiani di noi! Per loro, i nuovi italiani, non serve imparare l’Inno di Mameli. Per noi non basta.
L’IMU E IL GIOCO DEI BUSSOLOTTI
Convinto di lenire il “prelievo” dell’Imu che stiamo subendo in queste ore, il governo Monti – anche su ispirazione dei partiti che lo sostengono – ha annunciato che, dall’anno prossimo, il gettito della nuova tassa sulla casa andrà completamente a beneficio dei comuni; resterà sul territorio senza più andare a Roma. Siamo al gioco dei bussolotti o, se preferite, delle tre carte.
Posso infatti capire che gioiscano dell’annuncio i sindaci e gli amministratori locali (di fronte alla prospettiva i poter tornare a spendere a piene mani, o a mani meno vuote degli ultimi anni). Ma a me cittadino – proprietario di casa o di bottega o di capannone o di studio professionale – non ne può fregar di meno di sapere che i miei soldi resteranno tutti in periferia invece che andare in buona parte al centro come nell’anno in corso.
Per me la differenza davvero significativa è una sola: pagare l’Imu o non pagarla. E, dal momento che la pagherò anche nel 2013, per me cittadino non è cambiato assolutamente nulla. Si è aggiunto solo l’ennesimo tentativo di confondere le acque fiscali.
Senza dire che il gioco dei bossolotti è tale per una ragione evidente: il governo centrale rinuncia ad incassare buona parte dell’Imu, la lascia tutta ai comuni, ma, in compenso, annulla i trasferimenti ai comuni stessi. Perchè può annularli? Perchè c’è il gettito Imu. E che differenza fa per il governo incassare l’Imu o non dover più sborsare i trasferimenti? Nessuna: per lui i conti tornano sempre, per noi cittadini non tornano mai.
In teoria esiste il comandamento del federalismo fiscale:” Pago, vedo, voto”. Dovrebbe comportare una maggior attenzione nei confronti delle tasse pagate e reinvestite sul territorio. Della serie: nel mio comune posso vedere se il sindaco e gli assessori girano con l’auto blù, se è una Limusine o una Panda, e regolarmi di conseguenza nell’urna. Mentre a livello nazionale nemmeno capisco in quale voragine finiscano i miei soldi.
Dipende però dalla cultura politica applicare o meno questo comandamento. Per applicarlo ci vorrebbe la cultura politica dei repubblicani usa (che nemmeno i democratici possono ignorare, come dimostra la marcia indietro di Obama sulla riforma sanitaria) così riassumibile: pretendo anzitutto di pagare meno tasse possibili, non mi faccio sedurre dall’offerta di servizi perchè so che sono a mie spese.
Da noi la cultura politica è opposta: pretendo dal mio sindaco quanti più servizi possibili (perchè non ho ben chiaro che sono molto cari e totalmente a mio carico) e lo voto solo se li me li garantisce: se mi garantisce gli asili, lo scuola bus, la pulizia del marciapiedi davanti a casa, i servizi sociali, i trasporti pubblici a prezzo politico, etc. ect.
Con questa cultura politica corrente, che è la nostra cultura politica corrente, l’autonomia impositiva in periferia, il federalismo fiscale, non può che generare la moltiplicazione delle tasse. Perchè ogni sindaco sa che, se vuole sperare di essere rieletto, deve spendere sempre di più; deve comprarsi i voti con i servizi erogati.
Non serve quindi essere l’Oracolo di Delfi per vaticinare che l’Imu tutta ai comuni comporterà la sua applicazione alle aliquote massime. Finiremo così col rimpiangere perfino Tremonti (horribile dictu) che aveva provato a mettere gli enti locali a pane e acqua, magari per non tagliare i ministeri. Almeno con lui la spesa pubblica locale era (un po’) sotto controllo. Mentre adesso rischia di tornare fuori controllo tanto alla periferia quanto al centro.
POLITICO TEDESCO, PAGA ITALIANA
La battuta l’ha fatta il politologo americano Edward Luttwack a Ballarò: “Un solo politico tedesco al mondo guadagna più di 25 mila euro al mese: E’ il presidente della provincia di Bolzano Luis Durnwalder”. Come dire che il politico è certamente tedesco, ma la paga è italiana; la stessa che prende l’italianissimo presidente della provincia di Trento Lorenzo Dellai.
(Potremmo aggiungere che Durnwalder il lauto stipendio se lo merita, nel senso che è molto apprezzato non solo dai sudtirolesi ma anche dagli italiani residenti a Bolzano).
I costi della nostra politica non sono certo la causa prima del debito pubblico. Sono solo una tra le tante altre cause che non vanno dimenticate: mi riferisco agli sprechi e ai privilegi delle varie caste pubbliche, dai magistrati ai funzionari dirigenti, dai baroni universitari alla Rai, etc. etc. Ma un esempio, il buon esempio, deve certamente arrivare dalla politica. Possibilmente con un po’ di razionalità e senza isterismi.
Capendo, tanto per dire, che è più importante ridurre la retribuzione di parlamentari e consiglieri regionali, prima ancora che ridurre il loro numero.
Capendo cosa fare con le Autority divenute oggi l’ultima pietra dello scandalo. Al punto che è tornato in campo anche Romano Podi a dire che il Pd ha toccato il fondo accettando la lottizzazione delle nomine. E Santoro si è messo a spiegare che va salvaguardata l’autonomia e la professionalità per questi fondamentali organismi di controllo previsti dalla Costituzione…
Ma quale fondamentali! Cosa hanno mai controllato in questi anni? Ma vi pare che i padri costituenti avessero il buon tempo di appesantire gli apparati pubblici istituendo le Autority? Il problema non è di nominarli in base al Cencelli o in base ai curricula. Il problema vero è capire che vanno cancellate tutte le Autority delle comunicazione o della privacy o della concorrenza. Perchè tutti, dai presidenti ai commissari, percepiscono emolumenti spropositati molto superiori e mille volte più immotivati dei 25 mila euro al mese di Durnwalder. Le Autority sono solo pensioni d’oro (anzi di diamante) per trombati.
Sempre a proposito di pensioni d’oro, il governo dei tecnici ha bisogno di un tecnico per controllare la spesa pubblica. E nomina commissario topo Gigio, alias Giuliano Amato, con i suoi 30 euro al mese di quiescienza. Della serie Dracula presidente dell’Avis, il topo messo a guardia del parmigiano…
Tornando al parallelo tra politici tedeschi e italiani c’è un ultimo episodio da ricordare. Nel periodo di Natale il ministro Cancellieri, allora fresca di nomina, andò a sciare a Cortina e, a dimostrazione del nuovo Monti-style ispirato alla sobrietà, precisò di aver pagato l’albergo di tasca propria. Peccato che fosse accompagnata da uno stuolo di guardie del corpo, anche loro alloggiate nello stesso albergo di Cortina, ovviamente a spese del contribuente…Sempre in quei giorni, a pochi chilometri di distanza cioè di là delle Alpi, sciava anche Angela Merkel con suo marito, da privata cittadina e del tutto priva di scorta.
Conclusione: la Merkel ha fatto le vacanze di Natale a proprie spese, senza nessuna esibizione di sobrietà; da tedesca. La Cancellieri invece le ha fatte a nostre spese e con la presa in giro della falsa sobrietà esibita; da perfetta italiana.
MODELLO ARMANI PER CIALTRONI
Se vogliamo capirlo, troviamo ogni momento la spiegazione del perchè siamo divenuti un Paese di cialtroni. Perchè la “cultura” diffusa è quella che emerge anche in queste ore dal fronte sindacati-Pd contro la meritocrazia che il ministro dell’istruzione Francesco Profumo vorrebbe introdurre sia tra gli studenti che tra i docenti.
Per i primi, per gli studenti più meritevoli, prevedere sgravi fiscali. E per i docenti che si distinguono nella didattica introdurre un bonus, cioè un premio nella retribuzione. Misure di puro buon senso se vogliamo motivare l’impegno di tutte due le categorie e riqualificare la nostra pubblica istruzione. Ma per sinistra e sindacati saremmo invece di fronte ad una “deriva elitaria di scuola ed università”.
Come se nella società, nella vita, non esistesse a tutti i livelli una “deriva elitaria”: l’idraulico più bravo guadagna di più, il commerciante più sveglio innova e mantiene vivo il suo negozio, lo stilista più capace diventa Giorgio Armani.
E proprio Giorgio Armani, presentando i suoi ultimi modelli a Shanghai, ha fatto questo discorso (riportato da Italia Oggi): “Tanti ragazzi non hanno voglia di lavorare e invece devono imparare partendo dalla gavetta, facendo sacrifici. Anche a me non piaceva il mio primo impiego, ma mi è servito a crescere. Tutto e subito non esiste. Invece ci vuole tanta fatica. Che senso ha stare a casa con i genitori a 30 anni? Non sentono il bisogno di essere indipendenti? Se avessi un figlio sarei durissimo. Per il suo bene”.
Pd e sindacati invece che durissimi sono molli come lo squaqquarone, per la rovina dei nostri ragazzi. Loro ti spiegano che non è vero che manca la voglia di lavorare e di impegnarsi. È che i nostri ragazzi – dicono – rifiutano “la deriva elitaria”…Peccato che così cadano preda della deriva cialtronesca: voglio essere promosso anche se non studio, voglio che il lavoro vengano ad offrirmelo a casa, se decido di insegnare mi metto in coda ed ho diritto al posto…
Nel pubblico impiego i nuovi arrivati che, nello slancio dei neofiti, vorrebbero impegnarsi sul serio, vengono subito messi in riga dai colleghi più anziani: niente derive elitarie, sia chiaro! Qui si batte la fiacca tutti assieme, tutti uguali, tutti pagati poco ma in compenso controllati niente e col posto garantito a vita comunque.
E’, appunto, la “cultura” dell’egalitarismo al ribasso che ti spinge a diventare e vivere da cialtroni.
IN VATICANO UNA SOLA OSSESSIONE
Le vicende vaticane, venute clamoroamente alla luce negli ultimi giorni, fanno pensare che…ci sarebbe un ottimo motivo per abolire il celibato dei sacerdoti: la patonza infatti è un diversivo, in mancanza del quale la lotta per il potere diventa l’unica ossessione.
Magari sarà un po’ blasfemo dirlo, ma è netta l’impressione che con un po’ di bunga bunga volerebbero meno “corvi” oltre Tevere…Berlusconi dedicava le sue serata ad altro. Preti, monsignori e cardinali invece non hanno alcuna distrazione: tutti concentrati sul potere sia di giorno che di notte.
Partendo da questa premessa si capisce che la questione è antica. Oggi l’unica, vera, novità è la velocità dell’informazione. Notizie in contemporanea e così – tanto il popolo di Dio, quanto l’opinione pubblica laica – vengono a conoscere in tempo reale quello che accade nello Stato del Vaticano. Mentre per secoli è stata sola la storia a raccontarci – secoli dopo – dei Borgia piuttosto che delle guerre continue combattute attorno e per il Soglio di Pietro.
Tanto per fare l’ultimo esempio, il Corriere ora ci racconta un preciso precedente: due furti subiti in Vaticano da Paolo VI, nell’estate del 1968, mentre il Papa era nella residenza estiva di Castelgandolfo. Ma il Corriere, appunto, ce lo racconta oggi. Mentre quando avvenne questa clamorosa effrazione, nel 1968, non ci fu notizia o non ebbe il rilievo che meritava. Rimase “coperta”, proprio come gli atti dell’inchiesta successiva che mai furono pubblicati.
Nel ricordo rimane solo quell’affermazione di Paolo VI sulla presenza reale di Satana e sul fumus diabolico che si insimuava anche in Vaticano. Frasi che riecheggiavano la Babele evocata oggi dall’attuale Pontefice.
Si potrebbe aggiungere che lo stesso Benedetto XVI, teologo di enorme spessore, non ha una caratura politica altrettanto consistente (come già si vide con il discorso di Ratisbona) ed è quindi in particolare difficoltà nel gestire l’attuale contingenza. (Al contrario di Papa Wojtyla, parroco di campagna sotto il profilo teologico ma politico di prima grandezza). Tuttavia la figura del Pontefice è un particolare tutto sommato secondario, sovrastrutturale. Al pari delle battaglie senza quartire per il potere che, appunto, si sono sempre combattute dietro le mura vaticane.
Sono altri i dati strutturali che possono farci comprendere il progressivo declino della Chiesa cattolica e della religiosità un po’ in tutto l’Occidente. Non dimentico mai la definizione che sentii da una professoressa di filosofia: “Dio è tutto ciò che non è scienza”. Più avanza la scienza, più perde terreno il divino. Da Galileo in poi sono state le scoperte scientifiche, la loro diffusione e conoscenza, il primo nemico della fede.
Poi è arrivato il benessere capillare, il tenore di vita sempre più alto, altro nemico micidiale. Infine questa informazione in tempo reale, i suoi mille canali, che rendono quasi impossibile qualunque censura. Il colpo di grazia, ma per un organismo già fortemente debilitato.
Questo mi sembra il corretto rapporto di causa-effetto. Che pensare il contrario serebbe come convincersi che le chiese si sono svuotate perchè i centri commerciali sono aperti la domenica e non capire che, prima si sono svuotate le chiese, e di conseguenza riempiti i centri commerciali…
FRATELLI SERPENTI D’ITALIA
La retorica dice fratelli d’Italia, la realtà invece mostra i paranti serpenti, i serpenti d’Italia
Con le due tragedie del fine settimana – attentato di Brindisi e terremoto in Emilia – gli appelli e le professioni di unità si sono sprecate: tutti uniti contro il terrorismo, contro chi non esita a colpire anche i ragazzini! Uniti e solidali di fronte alla calamità che si é abbattuta sul ferrarese! Peccato che nella sera stessa di domenica fosse in programma la finale di Coppa Italia e che, allo stadio olimpico di Roma, l’unità si sia dissolta…
Chiamandosi Coppa Italia, agli organizzatori è venuta la brillante idea di chiamare Arisia a cantare Fratelli d’Italia…e tanti sono stati i fischi e i boati che rischiava di venir giù lo stadio! Diciamo che i conquistati, i tifosi del Napoli, hanno fischiato l’inno dei conquistatori, i tifosi piemontesi della Juventus…Di certo non erano quei beceri di leghisti secessionisti a sbeffeggiare l’Inno di Mameli…
E il presidente del Senato Schifani, allibito ed indignato per i fischi, deve essere un simil siciliano. Fosse un siciliano vero saprebbe cosa pensano i suoi conterranei, non dei nordisti, ma dei calabresi: considerati minus quam da ogni siculo degno di questo nome. Come dire che la disunità d’Italia, che i fratelli serpenti, non ci sono solo tra nordisti e sudisti, ma anche tra isolani e “continentali” (così i siciliani, con un certo disprezzo, chiamano chiunque non sia siciliano a partire dai calabresi)
Che poi finiamola con la sciocchezza che esista solo una disunità territoriale, che sarebbe stata ispirata dalla Lega. Non sarà mica stato il Senatùr ad ispirare il perenne scontro ideologico e politico che da secoli affligge il nostro Paese! Estrema destra ed estrema sinistra si trattano come nemici (da eliminare) non come avversari politici.
E vi pare che i rapporti di lavoro siano ispirati e conformi ai fratelli d’Italia? Non solo i datori di lavoro sono stati dipinti come sfruttatori e affamatori del popolo, ma anche chi oggi prova a riformare il mercato del lavoro (leggi Fornero) è trattato da nemico del popolo. E per questo non si contano gli attentati terroristici contro gli Adinolfi e i Marco Biagi.
Per concludere: che differenza c’è tra gli ebrei, indicati da Hitler come origine di tutti i mali economici dell Germania, e i funzionari di Equitalia o i banchieri che oggi vengono imputati per la crisi di ogni azienda? (magari anche di aziende fallite per manifesta incapacità di chi le guidava…)
E’ la perenne esperazione, il naturale modus vivendi ed operandi, di serpenti che tutto si sentono fuorchè fratelli d’Italia chiamati ad assumersi responsabilità comuni in un Paese che dovrebbe essere il loro Paese. In quale stadio francese o tedesco o inglese si è mai sentito l’inno nazionale fischiato da decine di migliaia di cittadini? Ma quelli sono Paesi uniti nella realtà, non solo nel linguaggio retorico.
PAGARLI, MA LASCIARLI A CASA
Pagarli, ma lasciarli a casa. E’ questa la linea del Piave. L’ultima, realistica, trincea difensiva. Non si può infatti pensare di licenziare gli eserciti di pubblici dipendenti, di burocrati, che sono stati assunti negli anni. Non puoi farlo perchè devono mangiare, non sanno fare lavori veri, e quindi non puoi più negare loro lo stipendio se non vuoi affrontare la rivolta sociale. Ma, appunto, puoi almeno lasciarli a casa per evitare che facciano danni.
Danni di questo tipo. Mi raccontava un ristoratore che, dovendo spostare il freezer dalla posizione invernale a quella estiva, lui deve (dovrebbe) farsi fare da un professionista il disegno della nuova collocazione e poi presentarlo all’Asl per l’approvazione! In caso contrario rischia sanzioni che vanno dalla multa alla chiusura del locale!
Ora la cosa più vergognosa è che il tutto viene spiegato alla luce delle “sacre” ragioni dell’igiene e della sicurezza alimentare. Mantre è una procedura ignobile, vergognosa, concepita solo per consentire a certi professionisti di lucrare e per fingere che gli stuoli di burocrati inutilmente assunti alle Asl abbiano qualcosa da fare. Anzi: per fornire loro uno strumento di ricatto nei confronti di ristoratori e pubblici esercenti.
Ecco perchè, come ho scritto di recente a proposito dei filmati di Striscia all’Asl di Verona, i più seri sono quelli che timbrano il cartellino e se ne vanno via; quelli che non fingono di lavorare e non fanno danni “lavorando”. Quelli che paghiamo e se ne stanno a casa.
Il caso del ristoratore vale quello del meccanico costretto a seguire e pagare le lezioni di prontosoccorso. E sono solo due dei mille altri esempi di pratiche e passaggi burocratici concepiti solo per depredare ed esasperare chi ancora ha voglia di lavorare sul serio e di produrre.
Inseriamoci adesso nel contesto europeo. Se persino i tedeschi, culturalmente rigorosi, sono stanchi del rigore della Merkel e le hanno tolto il voto, figuriamoci noi italiani che culturalemte siamo ben poco rogorosi, per non dire cialtroni…Il che non toglie che sia una follia pensare che l’austerity è finita, che possiamo tornare a spendere e spandere per finanziare la crescita col denaro pubblico ed uscire così dalla crisi.
L’Europa, e il rigore tedesco, centrano ben poco. Se un Paese importa più di quello che esporta. Se ha un debito pubblico che sfiora ormai i duemila miliardi di euro e che neppure Monti è riuscito, non dico e ridurre, ma nemmeno a contenere (essendo aumentato anche nell’ultimo trimestre). Se questo Paese non sa controllare la spesa pubblica né combattere l’evasione fiscale e quindi continua ad aumentare la tasse dirette ed indirette strangolando così i consumi e le attività economiche, questo Paese può essere in Europa o in Africa o in Australia: è comunque destinato a fallire per le proprie colpe, non per colpa della Merkel.
Poco conta ricontrattare le regole dell’Unione europea. Conta, conterebbe, molto di più lasciare a casa quello stuolo di burocrati, mandare al macero legge e regolamenti, che – dietro l’ignobile paravento del nostro bene, della nostra salute, del benessere collettivo – sono solo un ostacolo al lavoro e alla produzione.
FLAVIO SPIEGA IL TRIONFO DI FLAVIO
Flavio spiega il trionfo di Flavio. E non adesso che, a giochi fatti e bocce ferme, sono capaci tutti (o quasi). La cosa interessante è che lo fece già un anno fa.
Stiamo parlando di Flavio Zanonato, sindaco Pd di Padova, che un anno fa andò a trovare i suoi amici del Pd veronese in festa a Montorio. E chiese loro: “Avete il campo base?”. Momento di sconcerto tra i democratici scaligeri i quali non sanno che Zanonato ha la tessera del Cai da quand’era ragazzo e quindi usa il linguaggio della montagna.
Seguì spiegazione su questa falsariga. Per scalare una vetta difficile, qual’è la competizione con un sindaco molto popolare come Flavio Tosi, ci vuole un campo base: vale a dire un candidato, un programma e un piano di comunicazione concepito per far conoscere e apprezzare l’uno e l’altro agli elettori. Il segretario del Pd scaligero, Enzo D’Arienzo, dovette ammettere, imbarazzato, che un anno fa il centrosinistra a Verona non aveva nulla di tutto questo: né candidato sindaco, né programma, né piano di comunicazione. Al che Zanonato chiosò: “Allora avete già perso!”
Una profezia che si è puntualmente avverata oggi, cioè il 6 e 7 Maggio di un anno dopo.
Chi, come Flavio Zanonato, conosce le regole della competizione politica sa benissimo che non puoi scegliere un candidato pochi mesi prima e buttar giù un programma senza tutto il tempo (e la strategia comunicativa) necessario a farli conoscere. O meglio: puoi anche farlo, ma la sconfitta è garantita.
Zanonato lo ha capito un anno fa. Non lo capiscono invece nemmeno ora i veronesi sconfitti che attribuiscono la debacle alle cause più strampalate ed extrapolitiche. Bertucco, ad esempio, sostiene che Tosi ha vinto grazie ad una “esorbitante esposizione mediatica nazionale”. Non si accorge di scambiare la causa con l’effetto: nel senso che uno non diventa sindaco di Verona perchè è andato in tivvù da Santoro o da Lerner, ma ci va perchè ha dimostrato di essere un sindaco capaci di affrontare i problemi.
Esattamente come Zanonato, dopo aver risolto via Anelli, venne invitato ad ogni talk show nazionale in cui si parlasse di immigrazione e sicurezza. Ma questo, quando ti metti in competizione con un sindaco uscente popolare, devi averlo messo in conto e devi, a maggior ragione, saper elaborare una controstrategia comunicativa altrettanto efficace.
Non puoi aspettare che ci pensi l’Espresso con l’ultimo articolo giustizialista (o con la rimasticatura dell’ultimo articolo giustizialista che ha fatto Stella sul Corriere): non si vince una competizione elettorale con “l’aiutino”, con il Viagra delle Procure! La vinci se sai far politica.
L’altra accusa rivolta a Tosi era quella di di aver messo ovunque i suoi uomini, di aver distribuito tutte le poltrone ai tosiani. Come se Zanonato negli enti padovani ci avesse messo…i leghisti! Così fan tutti: tutti i sindaci mettono uomini di loro fiducia nelle stanze dei bottoni, e poi i cittadini li giudicano in base ai risultati. Holland, tanto per capirci, in Francia non lascerà nemmeno un usciere scelto sa Sarkozy.
Tornando al “campo base”, la lezione di Zanonato vale per tutti. Ed in particolare per chi ha un partito da ricostruire partendo dalle macerie: cioè dai resti fumanti del Pdl di Verona ridotto – dalla gestione dei Giorgetti (ex An) – ad avere un terzo dei voti che An aveva a Verona, la metà di quelli che aveva perfino il vecchio Msi…
In conclusione nel trionfo di Tosi contano di certo i suoi meriti ma anche – e non poco – i demeriti dei suoi avversari (politici?).
IL POSTO FISSO SPIEGATO DA STRISCIA
Posto fisso=fancazzismo. A chi avesse un dubbio sulla validità di questa equazione, lo ha chiarito e dissolto Striscia la notizia con i filmati che documentano il comportamento dei dipendenti dell’usl di Verona: chi timbra il cartellino e va al bar oppure va a fare la spesa oppure risale in macchina e se va per i fatti suoi.
A Verona, non a Palermo.Non c’è Nord e Sud. Tutto il mondo, cioè tutto il pubblico impiego, è paese. Lo è perchè può contare sul posto fisso e lo stipendio pagato a prescindere. E mi vien da aggiungere che quelli che salgono in macchina e se ne vanno sono i più seri: perchè almeno non restano in ufficio a far finta di lavorare. (Che, anche volendo lavorare, non ci riesci. Dato che ovunque ci sono almeno il doppio degli eddetti che servono…)
Dopo di che, se vogliamo essere seri tutti noi, dobbiamo ricordare che è l’occasione che fa l’uomo ladro. Cioè che – fossimo dipendenti dell’usl o di altri settori del pubblico impiego, avessimo il posto fisso garantito anche nel settore privato – ci comporteremmo esattemente come gli “immortalati” da Striscia. Quando nessuno può controllarti né sanzionarti, quando comunque non rischi di perdere il lavoro e lo stipendio, diventi giorno dopo giorno sempre più cialtrone.
In modo encomiabile Maria Bonavina, direttore generale dell’usl di Verona, ha chiesto a Striscia di acquisire i filmati per denunciare i responsabili. Peccato che non serva a nulla; peccato che mai gli assenteisti vengano puniti, cioè licenziati. Stella e Rizzo hanno documentato che nemmeno il guardiano di Pompei, condannato per stupro di una turista americana, fu licenziato: fu solo spostato a guardia di un altro sito archeologico…
Stando così le cose, il fancazzismo non può che prosperare. Va capito che qualunque appello al senso del dovere, all’etica personale è inutile o largamente insufficiente (le eccezzioni non fanno la norma). Specie nei nostri tempi in cui le istituzioni – stato, religione, scuola, famiglia – hanno di fatto rinunciato ad educare alla morale civile.
D’altra parte, se l’uomo fosse naturalmente buono e onesto, non servirebbe lo stato, le leggi, i tribunali e le carceri. Mentre servono perchè l’uomo è naturalmente un delinquente, e quindi sono indispensabili la deterrenza preventiva e, se non basta, la punizione. Così se l’uomo fosse naturalmente laborioso potremmo anche concedergli il posto fisso o l’art.18…Siccome, invece, tende ad essere e comportarsi come i dipendenti dell’usl 20 immortalati da Striscia, l’attuale “articolazione” del mercato del lavoro pubblico (e privato) è un’autentica follia che garantisce solamente inefficienza e costi fuori controllo.
Ma la responsabilità, sia chiaro, non è degli assenteisti. E’ di una classe politica che, per demagogia, ci ha istigato a trasformarci noi tutti da uomini in assenteisti.