EVASORI FIGLI DEI CORRUTTORI

 

 

La Corte dei conti ha fornito la cifra globale: 160 miliardi di euro, spiegando che tanto ci costano corruzione ed evasione. Giusto mettere assieme i due fenomeni che sono le due facce della stessa disonestà. Aggiungendo però che la disonestà dello Stato, della pubblica amministrazione, è ancora più grave di quella dei cittadini perchè il pubblico dovrebbe dare l’esempio. Con che faccia uno Stato che dilapida 60 miliardi con la corruzione dei suoi funzionari e dei suoi uomini politici va a chiedere ai cittadini di essere ligi, di versare fino all’ultima lira, di non evadere 100 miliardi di euro. Bisogna forse versarli nelle casse pubbliche perchè i corrotti abbiano più risorse da dilapidare o mettersi in tasca? Qui non si tratta di giustificare gli evasori. Ma di capire che finché è pieno di ladri di Stato diventa arduo dire ai ladri privati di non rubare.

Fanno colpo i sei evasori totali pescati nel padovano che, oltre a non pagare una lira di tasse, viaggiano in Porsche e usufruiscono degli alloggi pubblici sottratti ai veri poveri. Non sono certo gli unici. Gli evasori totali e parziali sono centinaia di migliaia. Ma sono tutti “figli”, non dimentichiamolo, dei 3.224 pubblici ufficiali denunciati per corruzione solo nell’ultimo anno. Funzionari pubblici e finanzieri più integri ridurrebbero di molto il numero degli evasori. Esattamente come una magistratura e forze di polizia efficienti riducono di molto il numero dei delinquenti comuni.

Va poi aggiunto che, sempre all’interno della pubblica amministrazione, è ampiamente diffusa quella “evasione dal lavoro” che è in tutto e per tutto uguale all’evasione fiscale; sia sotto il profilo etico che delle risorse economiche sottratte alla collettività.

Tornando ai sei evasori totali del padovano, che sono diventati un caso nazionale, non c’è dubbio che l’abbinamento tra Porsche e alloggi popolari colpisca come un pugno allo stomaco. Tuttavia, una volta ripreso il fiato, non possiamo nemmeno dimenticare che un conto è avere singoli evasori totali, altro conto è ritrovarci con interi territori nazionali che per il fisco non esistono…Quindi mi sembrerebbe più proficuo partire pancia a terra con la lotta all’evasione a Napoli o a Palermo. Non per trascurare né Padova né il Veneto, ma per gettare la rete anche dove è certo che si riempirà fino all’orlo.

Tornando al fenomeno che reputo più grave perché origina o quantomeno facilita l’altro, cioè la corruzione della pubblica amministrazione, non credo che sia contenibile né con le prediche né con gli appelli all’etica. Ci vorrebbero leggi draconiane e punizioni esemplari. Ci sarebbe anche una via da percorrere che darebbe risultati certi, letteralmente matematici: più riduci il numero dei pubblici di pendenti, più riduci le risorse economiche affidate alla loro gestione, più calano di conseguenza le cifre della corruzione. Ma è una strada che nessuno – ne Lega né Pdl, ne Pd né Idv né sinistra radicale – ha intenzione di percorrere. L’unica cosa su cui concordano è l’esatto contrario: più aumenta la torta pubblica più ce n’è da mangiare per tutti.

PALETTA E SECCHIELLO PER DARIO

 

 

La battuta è di una lettera al Foglio che cito per intero “Dopo quest’ultimo trionfo elettorale, Franceschini si è meritato paletta, secchiello e cappellino con l’elica. Gli amici lo aspettano al Lido di Pomposa”. Eh sì, meglio mandarlo al mare a costruire castelli di sabbia questo segretario del Pd che si dichiara soddisfatto del risultato del suo partito e certo di avere innescato il “declino della destra”.

Un Pd, un Franceschini che non sa fare i conti come osserva su La Stampa Luca Ricolfi. Conti elementari: su 32 grandi amministrazioni locali (province e comuni capoluogo) che hanno cambiato colore, non ce n’è nemmeno una che sia passata da destra a sinistra perchè tutte sono passate da sinistra a destra. Ed è un risultato omogeneo nell’intero Paese, nel senso che il Pd ha perso anche nelle “regioni rosse” del Centro Italia. Ed è stato un turno di elezioni amministrative dove il centrodestra è tradizionalmente più debole che nelle elezioni politiche.

Ma ci si aspettava di più dal Pdl, ma si era convinti che Berlusconi sbaragliasse definitivamente il campo; e quindi Franceschini esulta perchè non è stato travolto. A questa impostazione ha risposto un nostro telespettatore con l’esempio calcistico: “Come dire che siccome il Brasile non ha più giocato nel secondo tempo, e si è fermato sul 3 a 0 invece che andare 6 a 0, come dire che per questo…ha vinto l’Italia”. Giusto: Lega e Berlusconi si sono fermati sul 32 a 0 – non hanno conquistato anche Bologna, Firenze e Padova – ma non per questo ha vinto il partito di Franceschini.

Sempre Luca Ricolfi rovescia anzi la valutazione, ricorda cioè che la tornata amministrativa si è svolta in un momento di difficoltà e debolezza del centrodestra, con Berlusconi alle prese col processo Mills, il caso Noemi e il caso Patrizia; con una “concorrenza” tra Lega e Pdl piuttosto scoperta; con un Paese investito dalla crisi economica. Ed è finita 32 a 0. Ed il Pd di Franceschini non ha saputo approfittare nemmeno di circostanze sulla carta a lui favorevoli. A dimostrazione che è ben lontano dall’aver individuato una linea politica e un quadro di alleanze in grado di farlo tornare competitivo nei confronti elettorali.

Ritanna Armeni sul Riformista scrive che “la tenuta del Pd in alcune roccaforti ha i caratteri di una residualità più che di una rimonta”. Giusta anche questa osservazione. Basta pensare a quanto accaduto a Padova, città che il centrosinistra ha tenuto non certo per la rimonta del Pd (crollato anzi di 8 punti) ma solo per la capacità politico e amministrativa di un sindaco come Zanonato, che potremmo proprio definire “residuale” di quella che era la grande scuola di amministratori locali del Pci.

Insomma ad un Dario Franceschini soddisfatto per il risultato elettorale del suo Pd bisogna proprio mettere in mano paletta e secchiello, e in testa il cappellino con l’elica.

ECCO PERCHE’ LA GELMINI E’ DI SINISTRA

 

 

Mariastella Gelmini è proprio di sinistra. Anzi è il ministro della pubblica istruzione più a sinistra nella storia della nostra repubblica. Lo è perchè impegnata a riqualificare la scuola pubblica che resta il primo strumento di promozione sociale anzitutto per quelle classe meno abbienti che la sinistra per prima dovrebbe tutelare. E la scuola pubblica la riqualifichi solo reintroducendo il merito: cioè la promozione per gli studenti che si impegnano e la bocciatura per i cialtroni che non lo fanno.

La Gelmini è di sinistra perchè applaude alla timida risalita della percentuale dei bocciati, ed assicura che continuerà a crescere nei prossimi anni fino ad attestarsi su percentuali Ocse. La scuola che promuove tutti non serve a nessuno. Non premia chi da di più, non stimola ad aumentare le proprie conoscenze e competenze, ossia tutto quello che poi nella vita fa la differenza. I figli dei benestanti possono andare a studiare all’estero; possono sperare che basti ereditare l’azienda o lo studio professionale dei loro genitori. Sono i figli delle persone comuni che non hanno alternative; che hanno bisogno di diplomi e lauree assolutamente qualificanti per ottenere una promozione sociale ed economica. Ed i titoli di studio sono qualificanti, ti aprono la porta a lavori gratificanti e ben remunerati, solo se arrivano dopo la più dura delle selezioni. Democrazia significa garantire a tutti di poter arrivare al titolo di studio. Non garantire a tutti di conseguirlo, perchè questo lo garantisci solo promuovendo anche gli asini – come ha fatto negli ultimi decenni la nostra scuola pubblica – cioè rendendo carta straccia lo stesso titolo di studio.

Ma la Gelmini è di sinistra anzitutto perchè vuole cancellare la più vergognosa ingiustizia patita dai nostri giovani. Ci sono, e li conosciamo tutti, tanti ragazzi seri che sanno dare il giusto valore allo studio: che vanno anche in discoteca, che praticano sport e hanno i loro interessi, che non vivono da seminaristi ma che ritengono l’impegno scolastico prioritario sul resto. Sono quei ragazzi che tutti noi vorremmo avere come figli, perchè ci sembrano i più seri e i più maturi. Sono quei ragazzi e quelle ragazze che la sinistra per prima giudica alternativi alle veline e alle Noemi: perché non pensano di farsi strada nella vita esibendo il book delle loro foto, ma a seguito dell’impegno quotidiano sui books cioè sui libri di testo. Vi sembra giusto umiliare queste ragazze e questi ragazzi mettendoli sulle stesso piano dei cialtroni e dei bulletti e della aspiranti veline? No di certo. Ma è proprio quello che ha fatto la scuola pubblica italiana promuovendo tutti, gli studiosi al pari degli asini, gli studenti educati come i bifolchi, i giovani seri e quelli debosciati.

Li hanno umiliati e messi sullo stesso piano insegnati e presidi che, per primi, hanno voluto sottrarsi a qualsiasi controllo; che promuovevano tutti per non essere giudicati e bocciati loro. Ma la responsabilità capitale è di una classe politica, di ministri della pubblica istruzione che vanno ascritti alla destra più demagogica, populista e becera. La destra che se ne frega del futuro dei figli della gente comune. Per fortuna adesso è arrivata la Gelmini. Finalmente un serio ministro di sinistra che boccia gli alunni somari e vuol pagare meglio solo gli insegnanti più preparati.


IL SOLO TORTO DI GHEDDAFI

 

Il torto del colonnello Gheddafi non è certo quello di essere stato pesantemente colluso col terrorismo; nemmeno di aver cacciato via tutti gli italiani dalla Libia senza indennizzo; meno che mai l’essere un dittatore che non rispetta libertà democratiche e diritti umani. Il suo torto, agli occhi dei nostri progressisti da salotto, è unico ed attuale: aver aiutato il governo Berlusconi a (tentar di) frenare i flussi migratori, cioè a fare quello che chiedono il 90% degli italiani che vivono nelle città e nei paesi, non nei salotti. Per questo solo motivo è stato contestato; per questo diventa scandaloso riceverlo in Parlamento, dove, come ricorda D’Alema, Arafat si presentò tranquillamente con la pistola alla cintola, dove ha trovato le porte aperte Beppe Grillo per spiegare ai senatori/senatrici che sono o mafiosi o criminali o zoccole.

Gheddafi ha il torto di aver detto che il re è nudo, cioè che l’asilo politico è una menzogna in un Africa oppressa certo dalla fame ma non dalla persecuzione politica. Importa poco che abbia aggiunto, con molto realismo, che è assai problematico riuscire a frenare i flussi perché è enorme la spinta migratoria verso l’Europa. Il solo fatto di aver aiutato il nostro governo a provarci è una colpa capitale agli occhi dei benpensanti delle porte aperte. (Quando invece provarci è comunque doveroso. Che altrimenti non solo arrivano tutti qui, ma soprattutto arriva qui tutta la feccia.)

Il resto dell’ambaradan attorno al colonnello sconfina col folclore. I quattro ignoranti inutilmente iscritti alla Sapienza che contestano un Gheddafi il quale accusa gli Usa di essere alla stregua di Bin Laden, cioè che la pensa proprio come loro! Ma vanno capiti: erano stati caricati per la contestazione e non si fatto in tempo a ricaricarli per gli applausi…E poi l’Italia antifascista che dovrebbe essere entusiasta di uno che si presenta con appuntata al petto la foto del “Leone del deserto”, dell’eroe libico della Resistenza al colonialismo fascista; dovrebbero dargli la tessera ad honorem dell’Anpi, invece lo trattano con sussiego se non con disprezzo; dimenticano perfino che è il “compagno” Gheddafi, quello che ha attuato la rivoluzione socialista in Libia…Sempre per via del torto respingimenti.

Va detto che è puro folclore anche l’arrivo del leader libico nella Capitale: la divisa con gli alamari, quella foto sul petto, quelle amazzoni di scorta da far livido d’invidia l’amico Silvio. Ma va aggiunto che Gheddafi è persona intelligente, si adatta alle diverse situazioni: poco tempo fa quando andò in visita a Parigi non si presentò con questa coreografia da operetta né disse ciò che detto qui; ma qui da noi lui sa di essere a casa sua, cioè in quella Roma levantina che prima di essere capitale d’Italia resta la capitale dell’Unione africana presieduta dal colonnello…Fosse sbarcato a Milano già lo stile e la coreografia sarebbero mutati.

 

PRIMO SINDACO NERO, DONNA E…DELLA LEGA!

 Scrive sul Corriere Gian Antonio Stella che “L’onda di piena del Carroccio va oltre la Padania. La Lega Nord supera i confini celtici”, cioè quelli del Po’ ottenendo consensi crescenti in Emilia, Umbria, Toscana e Marche. Dato ancor più significativo dei “confini celtici”, la Lega ha superato anche i confini del luogo comune che la definisce partito xenofobo e razzista. Lo ha fatto nominando il primo sindaco nero d’Italia che, per giunta, è anche un sindaco donna (come dire Obama e HiIary Clinton assieme): a Viggiù, comune della provincia di Varese, la Lega ha infatti messo sulla poltrona di Primo Cittadino l’afroamericana Sandy Cane, una donna di 48 anni nata a Springfield nel Massachusetts da padre militare americano e madre originaria del varesotto.

La notizia l’ho letta, per caso, in un trafiletto solo perché era nella stessa pagina del Corriere che ospitava l’articolone di Stella. Direi che meritava ben altro rilievo, proprio perchè spazza via il luogo comune che vuole la Lega pregiudizialmente ostile a qualunque straniero (specie a quelli che non hanno la pelle bianca). Ora d’accordo che Sandy Cane non è perfetta – nel senso che le manca di essere trans – ma se fosse stato il Pd o Rifondazione o lo stesso Pdl (corrente Fini) a far diventare sindaco per la prima volta nel nostro Paese una donna nera, credo che l’evento avrebbe ottenuto paginate nei quotidiani e servizi nel Tg nazionali…

Lungi dall’essere pregiudizialmente xenofoba, la Lega è pragmatica: se trova una donna in gamba come questa Sandy Cane (direttrice di un albergo in Val d’Aosta) la mette a fare il sindaco, a prescindere dal colore della pelle, convinta che possa amministrare bene e portare acqua al mulino del Carroccio. Ovvio che ci vuole anche un minimo di sintonia politica; ed infatti la prima sindaca nera sostiene che la Lega è molto americana per via della “richiesta di rispettare rigorosamente la legge con i clandestini”. Col che la Cane sgombra il campo anche dall’altro luogo comune che vorrebbe gli Usa molto “accoglienti” con i clandestini: a prescindere dal fatto che ne entrino tanti, non ostante il muro al confine con il Messico, tuttavia per la legge americana clandestini sono e clandestini restano, cioè fuorilegge e privi di diritti.

Tornando alla Lega va preso atto che ha fatto breccia anche nel veneziano, arrivando ad un pelo dal conquistare (con un altra donna Francesca Zaccariotto) la presidenza di questa provincia che è – cito dal Corriere – “con Mestre e Marghera  l’ultima zona operaia e fordista del Veneto”. Cosa dobbiamo concludere? Che sono gli operai che non capiscono più nulla e votano Lega? Oppure che è un luogo comune anche quello di etichettare come “di destra” un partito capace di raccogliere il voto dei ceti popolari?

Concludo con la moglie di un mio amico. Famiglia di solida tradizione Pci-Pds-Pd, la quale però spiegava al marito sconcertato: “Questa volta ho votato Lega perchè la vera opposizione a Berlusconi è Bossi, non certo Franceschini!…”. Superato lo sconcerto il marito non è riuscito a darle torto. E provate a pensarci anche voi, amici del blog, specie gli antiberlusconiani viscerali: chi è l’unico che tiene sul serio per le p… il Cavaliere? Vi pare che sia Di Pietro o Dario o i fantasmi di Ferrero e Diliberto, oppure quel vecchio pirata padano con la bocca storta ma il cervello che continua a funzionare fin troppo bene?…


 


AL CAVALIER CORNUTO MANCA D’ESSER GAY

 

 

Il titolo, la sintesi perfetta, l’ha fatta Italia Oggi che scrive in prima pagina: “Elezioni, ha vinto Noemi”. Ha vinto perchè, spiega sempre il quotidiano, “Nell’ultimo mese 2.236 dichiarazioni politiche solo sul suo caso”. Si può discutere di chi sia la colpa, se dei comportamenti di Berlusconi o delle scelte editoriali di Repubblica, ma il risultato è questo: il caso Noemi ha dominato la campagna elettorale, praticamente non si è parlato d’altro. Con che risultati? Chi ci ha guadagnato? Chiediamocelo adesso che il voto è alle porte.

Dopo l’intervista a Libero di Daniela Santanchè, ho pensato che a Silvio mancava solo la benedizione…delle corna. Formidabile il regalo che gli ha fatto la leader del Movimento per l’Italia certificando che “Veronica ha un compagno” e che, come logica conseguenza, lui il Cavaliere è un cornuto. Cornuto e vincente, mi vien da dire. Perchè i cornuti nel nostro Paese hanno sempre suscitato una grande simpatia, una grande compartecipazione…magari nell’illusione di non compartecipare del loro stato: siamo cioè molto solidali con i cornuti perchè siamo convinti di non essere come loro. E questo vale in particolare per un personaggio passibile di grande invidia come il Cavaliere: invidiato per le ville, per le televisioni, per il potere la ricchezza e le donne. Nessuno può competere con lui. Ma adesso possiamo consolarci pensando che lui è cornuto e noi no. E così l’invidia si trasforma in simpatia, in solidarietà maschile

Al Cavalier cornuto manca una sola cosa. E l’ha ben individuata Giuliano Ferrara: essere gay. “Se Berlusconi fosse gay – ha scritto sul Foglio – se le sue feste avessero lo charme discreto di casa Armani o il sapore un po’ trasgressivo di una serata firmata Dolce & Gabbana, non staremmo qui a domandarci se e come debba difendere il suo stile di vita da una serie di sospetti, di attacchi, di inquisizioni, di stupori planetari…”. Non c’è dubbio: chiunque volesse indagare o discutere scelte e abitudini sessuali di un gay non potrebbe farlo, verrebbe subito bollato come omofobo e retrogrado. La privacy del gay è sacra, nemmeno Repubblica o L’Espresso potrebbero violarla.

Ma, come ben sappiamo, nessuno è perfetto. E quindi il Cavaliere deve accontentarsi di essere solamente cornuto; che resta sufficiente a garantirgli tante simpatie maschili. Che si abbinano alle antipatie che Veronica invece riscuote in ambito femminile. Il comune sentire di tante donne venete, che hanno telefonato nelle ultime settimane a Telenuovo, non è per nulla solidale con lady Berlusconi: tendono a considerarla una privilegiata e un’ingrata, che ha tentato di “pugnalare” un marito tanto prodigo alla vigilia delle elezioni; e che, per giunta, ha pure l’amante. Un’aggiunta che magari sarebbe ben gradita anche a tante signore, le quali però rimuovono la tentazione rifugiandosi nel moralismo e inasprendo così’ la riprovazione contro la povera Veronica.

La quale certo non merita giudizi tanto severi. Anzi: vivesse in un Paese meno bigotto potrebbe esibirlo il suo amante e portarselo in giro per il mondo come faceva Cecilià Sarkozy; mentre lei è costretta a consumare al chiuso di villa Macherio, non con filosofi né con affascinanti professionisti ma…col body gard che passa il convento Italia.

Inutile però disquisire sul Paese che dovremmo essere e non siamo. Nell’Italia dove il caso Noemi ha dominato la campagna elettorale, il combinato disposto dell’amante e delle corna penso che finirà col riempire l’urna del cornuto. Giusto o sbagliato che sia.

 

LA LEZIONE DEL COMPAGNO BAGNASCO

 C’era una volta il “compagno” don Camillo. Tra virgolette perché, come sappiamo, si era solo travestito da “compagno” per accompagnare Peppone in visita in Unione sovietica. Oggi invece c’è il compagno Angelo Bagnasco. Senza virgolette perché la ricetta proposta dal presidente dei vescovi italiani per superare la crisi economica, è proprio una ricetta veterocomunista; degna di quelli che don Camillo chiamava i “trinaricciuti”. Nel suo intervento all’assemblea di Confcooperative il cardinal Bagnasco non si è infatti limitato a ripetere l’invito generico a tenere presente i più poveri, i cassintegrati, i licenziati, le vittime della crisi economica; ha voluto anche indicare una precisa via d’uscita invitando le imprese a “fare meno utili e più posti di lavoro”.

Non so se sia rimasto un Oliviero Diliberto a far finta di credere che i problemi dei disoccupati si risolvono così. Di certo tutti gli ex compagni hanno accettato il principio che prima bisogna produrre più ricchezza e solo dopo si può procedere a ridistribuirla. Se le imprese fanno meno utili, lungi da creare nuovi posti di lavoro, semplicemente chiudono cioè cancellano anche i posti di lavoro che hanno. Solo aumentando gli utili arrivano ad aumentare i posti di lavoro ( e non per bontà, ma come mezzo per ampliarsi e guadagnare ancora di più…). Per fare un esempio che il compagno Bagnasco dovrebbe comprendere al volo: solo aumentando il gettito dell’8 per mille possiamo puntare ad aumentare gli aiuti ai bambini del Terzo Mondo (e consolidare il radicamento della Chiesa in quei Paesi). O dobbiamo auspicare che la Chiesa faccia meno utili, che incassi meno 8 per mille, perché così si deciderà a dare più banchi di scuola ai bimbi africani?…

Non ho mai condiviso il grido di dolere di chi si sdegna e denuncia le “ingerenze” della Chiesa. Penso che abbia il pieno diritto di farlo; e non solo sui temi etici, anche in quelli sociali, economici e genericamente politici. Dovrebbe però stare attenta, nelle materie non di sua diretta competenza, a limitarsi agli auspici generici; evitando cioè di entrare nel dettaglio e nelle soluzioni per non dare l’impressioni, come fatto dal Bagnasco versione economista, di aver superato il limite massimo della propria incompetenza.

Provo a spiegarmi con un ultimo esempio. Già resteremmo stupefatti nel sentire la Marcegaglia, il ministro Tremonti o i sindacati, esprimere preoccupazione per i calo dei cattolici praticanti. Ma se avessero addirittura la pretesa di spiegarci come si fa a riportarli a messa la Domenica (diminuendo la durata delle prediche e aumentando i posti a sedere nelle chiese) avremmo la netta sensazione di aver compiuto più di qualche passo nel delirio. Lo stesso accade quando il compagno Bagnasco vuol far l’economista e viene a spiegarci che bisogna diminuire gli utili per aumentare i posti di lavoro.


 


CALCIO SPECCHIO DEL PAESE (E DI NOEMI)

 

 

Il calcio, si sa, è lo specchio del Paese. E che Paese di sepolcri imbiancati, falsi ed ipocriti, sia il nostro lo ha ben dimostrato quest’ultima (penultima) giornata di campionato: A Torino i giocatori granata a fine gara hanno aggredito e pestato quelli del Genoa, colpevoli di aver giocato sul serio la partita invece di accettare la combine del pareggio. Al Bentegodi quelli del Bologna erano incollati al cellulare; a giocare, a conquistarsi la salvezza sul campo, nemmeno ci pensavano: tutti ad ascoltare il risultato di Torino, a sperare che vincesse il Genoa al posto loro. Perfino il Chievo – e sto parlando di una delle pochissime società serie del nostro calcio – ha rinunciato al dovere di onorare lo spettacolo, cioè di giocarsi fino in fondo la partita, calcolando che gli bastava un punticino e quindi che era sufficiente contenere l’esangue Bologna…

Passi per il Chievo che, essendo un club serio, è stata massacrato dagli arbitri e che aveva il “diritto” di stare in guardia nella partita decisiva. Ma il comportamento del Bologna è stato vergognoso, quello del Torino scandaloso. Che sia Luciano Moggi il direttore sportivo della squadra di Cairo? Ci avevano spiegato che bastava far fuori lui per restituire piena moralità al mondo del calcio… E invece i pochi cretini che ancora vanno allo stadio, i tanti imbecilli come me che pagano l’abbonamento a Sky, assistono a spettacoli come quello dell’Olimpico di Torino; vedono calciatori che sembrano cascatori, arbitri incompetenti e in male fede che li assecondano, presunti protagonisti di uno spettacolo che avrebbero il dovere di onorare e che puntualmente tradiscono con combine, sceneggiate, falsità.

Cambia il Paese e cambia anche il calcio, o viceversa. In Inghilterra tutte le partite sono partite vere e, non a caso, tutti gli stadi sono stracolmi.

Sempre domenica a Birmingham il Newcastle aveva bisogna di un punto per salvarsi e giocava contro un Aston Villa già in vacanza, che non aveva cioè più nulla da chiedere al campionato; che però ha onorato lo spettacolo e battuto gli avversari condannandoli alla retrocessione: pianto dei tifosi sugli spalti, ma in campo solo abbracci e strette di mano tra giocatori. (Altro che l’indegna caccia all’uomo scatenata da quelli del Torino.) Un esempio di vera sportività, non l’eccezione ma la norma nel calcio inglese che è specchio di un Paese serio; un Paese in cui anche l’etica ha basi ampie e condivise, non ci si inventa il capro espiatorio, non si fa finta che tutto sia colpa del Moggi del calcio o della politica. In un Paese così è naturale che provochino uno scandalo anche dei semplici rimborsi spesa dei parlamentari.

Il nostro invece è il Paese dei sepolcri imbiancati. Sono passati quasi vent’anni da quando Craxi andò in Parlanento a dire quello che tutti sapevano: cioè che erano falsi i bilanci di tutti i partiti, perchè tutti ricevevano finanziamenti illeciti. Nessuno osò fiatare di fronte all’evidenza. Ma subito dopo l’ipocrisia riprese il sopravvento, fecemmo finta che ci fossero i buoni e i cattivi, il partito dei ladri e il partito degli onesti. Si cercò di far credere che fosse tutta colpa del Moggi di allora, cioè Craxi stesso. Così come adesso il focolaio dell’immoralità starebbe tutto nel presidente “papi”…Siamo il Paese dei sepolcri imbiancati, dei gesuiti. Di Emma Bonino che ieri candidava Cicciolina al parlamento, simbolo della porno liberazione sessuale, e oggi invoca una commissione d’inchiesta sulle frequentazioni del premier…

Nei Paesi seri si ha il coraggio di fare le domande. A Clinton si chiese, senza tanti giri di parole e di parentele, se aveva avuto rapporti sessuali

con la Lewinsky. Punto. Invece il “papa nero” del nostro giornalismo, quel gesuita di Giuseppe D’Avanzo, non ha coraggio di fare la stessa domanda chiara e diretta a Berlusconi; ci gira attorno, pone interrogativi sul padre, sulla madre, adesso intervista anche il fidanzato; insinua, morboseggia, da bravo italiano vuol sapere con quale aereo Noemi è andata a Villa Certosa per Capodanno.

D’altronde non c’era anche con “papi” Luciano il problema dell’aereo usato da Alessandro Moggi per portare a cena a Parigi Ilaria D’Amico? Il calcio è specchio del Paese…

SE LA PRESIDE CHIEDE IL PERMESSO

 

Se la preside chiede il permesso…succede il finimondo! Perchè il permesso in questione è il permesso di soggiorno. Lo ha chiesto agli studenti stranieri dell’ultimo anno, prossimi all’esame di maturità, la preside dell’istituto Leonardo da Vinci di Padova ed è appunto successo il finimondo; è nato un caso nazionale: con i cobas che hanno presentato un esposto in procura; l’associazione Razzismo stop che denuncia la discriminazione degli immigrati; i dirigenti scolastici regionali che parlano di “errore molto grave”. Si invoca l’intervento chiarificatore del ministro Gelmini; la preside non sa più come cavarsela e cerca di spiegare che non intendeva “ledere i diritti degli stranieri”.

La legge garantisce il diritto all’istruzione ai minori stranieri a prescindere dal fatto che siano o meno regolari. E’ tutto da vedere se i maturandi siano ancora minori, a occhio direi che sono tutti già maggiorenni. Diamo comunque per scontato che la preside abbia sbagliato, che abbia richiesto a sproposito di mostrare il permesso di soggiorno. Ma vi pare giustificato tutto il pandemonio che ne è nato? Ha forse compiuto un reato? Ha discriminato gli studenti stranieri come avveniva con gli ebrei durante il nazismo? E’ più grave una preside che chiede di esibire il permesso di soggiorno a chi non è tenuto a farlo oppure un governo e uno Stato che chiudono gli occhi, che fingono di non vedere centinaia di migliaia di clandestini che bivaccano senza permesso alcuno nelle nostre città? Quale dei due è il caso e lo scandalo nazionale?

Alla fine bisogna arrivare al dunque. L’immigrato finché studia, anche se maggiorenne e clandestino, ha diritto a farlo; se ha bisogno di cure è sacrosanto dargliele a prescindere che sia regolare o meno. Giustissimo. Ma dopo c’è o no un momento in cui andiamo a verificare se è regolare o meno? Possiamo chiedergli di mostrare questo benedetto permesso di soggiorno? Oppure, chiedendoglielo, violiamo quello che troppi ritengono essere il suo vero “diritto”: restarsene da clandestino nel nostro Paese.

Anche perchè alla preside è vietato chiedere il permesso agli studenti stranieri, mentre i vigili hanno l’obbligo di chiedere ai vu cumprà il permesso di controllarli. E sto parlando dei vigili del sindaco filosofo di Venezia Massimo Cacciari (vigili progressisti, si presume) non di quelli del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi (vigili fascisti, si presume). Questo sì che meritava di diventare un caso nazionale, mentre è finito in prima pagina solo sul Gazzettino di Venezia: centinaia di vu cumprà sfilati per ponti e campielli, una manifestazione di protesta contro i troppi controlli cui vengono sottoposti dalla polizia municipale veneziana! Si arriva a questo: non puoi controllare se hanno le licenze commerciali, se vendono merce contraffatta, se sono regolari, perchè se lo fai li perseguiti. Mi sembra chiaro anche quale sarà il passo successivo: vietato cercare di prevenire i furti perchè non possiamo tormentare e discriminare i ladri. Altro che violazione dei diritti degli immigrati; ormai è vietato il diritto al buon senso.

(So che è superfluo, ma avrei una replica da suggerire a Silvestro, dubbioso, Frenk e qualche altro: in un Paese in cui il presidente del consiglio è libero di corrompere i testimoni, si può forse vietare ai vu cumprà di vendere merce contraffatta?! O si può sottilizzare se uno ha o meno il permesso di soggiorno quando al Cavaliere Nero tutto è permesso?!)


LA VERA MENZOGNA DI BERLUSCONI

 

 

La camera da letto è l’ultima risorsa rimasta a chi vuole mandare a casa Berlusconi, non con la via maestra della sconfitta alle elezioni, ma con la via traversa della sue frequentazioni sessuali. E così si continua ad insistere sui rapporti che il premier avrebbe avuto o avrebbe con Noemi Letizia piuttosto che con sua madre, con la Carfagna piuttosto che con la schiera delle veline; mentre incombe la domanda di Repubblica sul numero di minorenni che, oltre a Noemi, lo stesso Berlusconi starebbe “allevando”. Ma le anime belle dell’antiberlusconismo sentono un certo imbarazzo: diventa infatti troppo da bigotti questo continuo spiare dal buco della serratura della sua camera da letto. E così sono diventati tutti americani, Berlusca come Bill Clinton: inaccettabile non era il “servizietto” fattogli dalla Lewinsky, ma il fatto che il presidente Usa avesse negato l’accaduto, cioè che avesse mentito.

Quindi è arrivata la virata: anche con Silvio il problema non è più la scopata ma la menzogna. Tutti a dire che Berlusconi ha mentito, che deve andare a casa perchè è inaccettabile che un premier menta ai cittadini. Ha mentito e tanto basta, a casa, eliminato dalla scena politica! Ma mentito su cosa? Possiamo domandarcelo? Non si sarà mica inventato un’intervista di sana pianta come ha fatto l’autorevole inviato Richard Owen dell’autorevolissimo Times? Non avrà mica scambiato il signore per il Signore? (se volete divertirvi andate a leggere cosa racconta sul Giornale di oggi Stefano Lorenzetto di questo Richard Owen).

Tornando a Berlusconi le terribili menzogne del premier non riguardano neppure un rapporto sessuale (che resta tutto da dimostrare) ma le circostanze in cui ha conosciuto il padre di Noemi, Elio; da quanto tempo frequenta l’intera famiglia; improvvisata o premeditata la sua partecipazione alla festa di compleanno?…

Come si vede tutte questioni cruciali per il futuro del nostro Paese, in cui la verità o la menzogna fanno una differenza abissale: possono salvare gli italiani o precipitarli nell’abisso…Ci fosse ancora l’abitudine di occuparsi di politica, invece che spiare dal buco della serratura (sperando di cogliere Berlusconi in fallo, possibilmente con una minorenne), ci sarebbero diverse menzogne da rinfacciare al premier. Menzogne davvero cruciali per il destino del nostro Paese.

Ricordo quella più clamorosa e gravida di conseguenze mortifere: l’impegno di fissare l’aliquota massima dell’irpef al 33%. Una promessa solenne che Berlusconi ha lasciato cadere (dando la colpa a Casini e agli alleati del suo secondo governo) senza che nessuno lo inchiodasse ad un volta faccia così clamoroso (oggi l’aliquota massima è sopra il 43%, più alta di quella del “vampiro” Vincenzo Visco) che ha segnato il tradimento della rivoluzione liberale; che ci condanna a restare il Paese più sovietico dell’Occidente, cioè quello col più alto numero di pubblici dipendenti in rapporto agli abitanti; quello col più alto numero di enti e consigli di amministrazione inutili; un Paese dove perfino la riforma federalista si svuota come un pallone sgonfiato: cosa mi cambia se (ben che vada) pago le stesse tasse di prima e non vengono ridotti gli apparati pubblici ma rischiano anzi di moltiplicarsi come metastasi?

Questa è la vera menzogna su cui inchiodare Berlusconi e mandarlo a casa facendogli perdere le elezioni: Altro che Elio, Noemi, il regalino di compleanno e le pugnette neoclintoniane.