IL CAVALIERE DELLA MANCIA E L’IMPERO BRITANNICO

 

 

Complimenti al Manifesto che titola oggi in prima pagina “Il Cavaliere della mancia”. Uno dei titoli più azzeccati, quasi al livello del mitico “Pastore tedesco” con cui il quotidiano comunista uscì all’indomani dell’elezione di Benedetto XVI°. Ammettiamo che è così: il bonus natalizio del governo Berlusconi alle famiglie meno abbienti è solo una mancetta. Rendiamoci però conto che è l’unica misura che un qualunque governo italiano possa varare.

Nel nostro Paese infatti non ci sono risorse per pensare a manovre da New Deal, ma solo per elargire qualche mancetta, qualche sussidio ai più poveri. Il nostro Paese ha il fiato corto. Il fiato corto come certi malati di cuore che trattengono troppi liquidi: sono sempre più deboli, si stancano al minimo sforzo, gli manca letteralmente il fiato. L’unico intervento efficace per questi malati è somministrare loro un diuretico che, liberandoli dei liquidi in eccesso, da loro sollievo e riporta la respirazione a livelli più accettabili.

I liquidi in eccesso che stanno soffocando il nostro Paese sono la spesa corrente, che rappresenta una percentuale spropositata nel bilancio sia dello Stato che degli enti locali. L’unico diuretico in grado di ridare fiato e liberare risorse sarebbe quello che espellesse qualche centinaio di migliaia di pubblici dipendenti. Ma è impossibile somministrarlo. Quando Berlusconi dice che vedrà se è possibile detassare le Tredicesime, e mette le mani avanti aggiungendo che farlo sarebbe “molto oneroso”, ci fa capire che basta questo modesto gettito mancante a mandare in crisi i conti dello Stato. Deve rinunciare ad ogni seria riduzione fiscale, che è la base di qualunque rilancio economico, perchè con la nostra spesa corrente non possiamo permettercelo.

Un New Deal sarà possibile negli Usa di Obama. Il quale ha già annunciato che ridurrà le tasse al 95% degli americani, e senza nemmeno abrogare i tagli delle tasse voluti da Bush per i super ricchi. E contemporaneamente da seguito ad investimenti pubblici megagalattici: centinaia di miliardi di dollari per salvare Wall Street, per rilanciare l’economia, per ampliare il welfare, per potenziare l’istruzione. Come è possibile da un lato incassare di meno con il fisco e dall’altro aumentare gli investimenti? E’ possibile perchè gli Usa non sono soffocati dalla spesa corrente, perchè hanno un apparato pubblico infinitamente più snello del nostro; perchè possono anche affrontare spese spaventose, come per la guerra in Iraq, ma sono spese straordinarie che oggi ci sono e domani cancelli e indirizzi in tutt’altri settori. Negli Usa il diuretico è all’ordine del giorno, e un New Deal è sempre possibile.

Un ultimo dato per comprendere l’abisso nella concezione dello Stato che storicamente ci separa dal mondo anglosassone. Un dato che ho trovato nel volume di Niall Fergusson, “Impero”, che racconta la storia di quell’impero britannico che arrivò ad estendersi su un quarto della superficie terrestre. Il più grande impero della storia. E sapete quanti erano i funzionari inglesi incaricati di amministrarlo? Un migliaio circa! Metà dei pubblici dipendenti del Comune di Padova o di quello di Verona. Tanti quanti ne assumiamo noi per gestire una comunità montana.

Quindi in questa nostra situazione ce già da meravigliarsi che rimangano risorse per una mancia, per un po’ di carità ai poveri sotto Natale.


COSA INNESCA LA STRAGE DI VERONA?

 

 

Stavo preparando la puntata di Rosso & Nero sulla crisi economica che entra in famiglia quando è arrivata la notizia della strage di famiglia, della strage di Verona dove il padre commercialista uccide la moglie avvocato, i tre figlioletti bambini, e si toglie la vita. Il primo pensiero è che qui le difficoltà economiche proprio non c’entrano, dato che era una famiglia benestante. Subito dopo pensi che magari ci fossero state: perchè spesso è proprio una difficoltà materiale, una sfida da affrontare, che ti tiene legato alla vita che ti impedisce di partire per la tangente…

I vicini parlano di una coppia affiatata, di tre figli splendidi. Tutti abbiamo conosciuto coppie piene di problemi, magari anche con figli handicappati che diventano la prima ragione di vita. Genitori terrorizzati dal pensiero “cosa faranno quando non ci saremo più noi”, ma che mai pensano di abbreviare le loro sofferenze togliendogli la vita. Si può capire il suicidio. Più difficile capire la strage dei propri cari: è un supremo atto di egoismo? O comunque un atto d’amore distorto?

E’ sufficiente dire “è impazzito, non c’è nulla di razionale nel suo gesto”? O c’è una logica anche nella follia che qualcosa spiega e qualcosa ci fa intuire? Magari ci è più facile, più immediato, comprendere la violenza della belva estranea che irrompe, violenta e ammazza. Ci turba, ci spaventa assai più, questa violenza che cova nella serenità apparente della vita quotidiana; e poi divampa improvvisa e incontrollabile. Perchè? Cos’è successo a questo avvocato di 43 anni? Può accadere anche a ciascuno di noi?

SI BALLA SUL TITANIC SPERANDO NEL MIRACOLO

Come mai una società secolarizzata come la nostra crede ancora nei miracoli? Semplice: perchè solo così si può continuare a ballare sul Titanic illudendosi che la crisi economica non ci mandi tutti a fondo. Il miracolo, statalista o liberale che sia, dovrebbe comunque compierlo il governo; e noi lì ad applaudire la moltiplicazione dei pani e dei pesci continuando a ballare, cioè senza modificare né tenore né stile di vita.
L’attesa e la convinzione generale è che ci pensi il governo – quello nazionale o quello mondiale, il G8 o il G20 o l’Onu – che ci pensi comunque lui a rilanciare l’economia con la ricetta keynesiana, un mega programma di opere pubbliche, oppure con la ricetta liberista, meno tasse per tutti a cominciare dalla prossima tredicesima. Aiuti per le banche sull’orlo del fallimento, per le aziende in crisi, aiuti per le famiglie in difficoltà; aiuti a raffica, e tutti noi “miracolati” appunto da un intervento governativo che farà passare la crisi senza dover spargere né lacrime né sangue.

Sembra incredibile ma non ci si domanda nemmeno da dove dovrebbero uscire tutte queste risorse finanziarie aggiuntive che consentano di aiutare e banche e imprese, per giunta tagliando le tasse, perchè ci sono anche le famiglie da aiutare e i consumi da rilanciare. Rifiutiamo anche di dare uno sguardo all’ovvio: con l’economia globale anche la crisi sarà globale ed arriverà la vera uguaglianza comunista. O pensiamo di poter restare in tre maestre per una classe di quindici bambini mentre ogni cinese produce cento camice al giorno vendute a due euro l’una? Lo capiamo o no che minimo dovremo diventare tutti agenti di commercio, cioè guadagnare in base al fatturato? O ci illudiamo di poter ancora imboscarci in uffici dove i controlli di produttività vengono lasciati fuori dalla porta?

La crisi si annuncia ormai violenta e devastante come uno tsunami. Non ci sarà nemmeno il tempo di filosofeggiare domandandosi se i fannulloni stiano più a sinistra o a destra o nell’Udc. Semplicemente non potranno più esserci da nessuna parte, perchè non ci saranno più risorse per mantenere chi non lavoro e non produce. Come ha scritto Luigi Primon la crisi economica ci porterà al capolinea di “Sprechitalia” , agirà da grande livellatrice, sarà il trionfo dell’uguaglianza comunista: tutte eguali, regioni del Nord e del Sud, a statuto ordinario o speciale; tutti eguali lavoratori autonomi o dipendenti pubblici o privati. Tutti a stringere la cinghia e a rimboccarsi le maniche per tirare avanti. Tutti pagati a cottimo, che indubbiamente suona male ma quantomeno è un criterio oggettivo. Una prospettiva molto impegnativa, ma per certi versi con risvolti di autentica giustizia sociale.
Vogliamo guardare in faccia la realtà, capire che crisi significa anzitutto metterci a lavorare sul serio? O preferiamo chiudere gli occhi e continuare a ballare sul Titanic convinti che Berlusconi o Obama compiano il miracolo di non farci andare a fondo?

MA ELUANA NON E’ WELBY

 

Arrivo ad Eluana partendo da una premessa: rivendico il diritto di poter decidere come vivere, come e fino a che punto farmi curare, come e quando morire. Trovo assurdo considerare il suicidio un reato perché non appartengo allo Stato; la mia individualità viene prima del contratto sociale. (Mi domando se, anche chi sente di appartenere a Dio, debba preoccuparsi di rispondere a Lui della sua vita, di ciò che ha fatto e di come ha vissuto, o di come e quando è morto). Per quanto mi riguarda sono favorevole all’eutanasia appunto perchè rivendico – anche senza particolare sofferenza fisica o psichica – il diritto di essere io a decidere della mia morte. Io. Non mio padre né mio figlio, né il mio medico di fiducia, né il mio amico o la mia amica del cuore. Io e solo io.

Ed è proprio questo il punto che non mi convince nel caso di Eluana Englaro e nella sentenza finale dei giudici della Cassazione i quali – al di là di cavilli ed iter giuridici – di fatto hanno accolto la richiesta del papà di poter staccare il sondino alla figlia. Quindi ha deciso Peppino, non Eluana. Si è sancito l’esatto contrario della libertà di scelta: cioè la facoltà che decida un altro al posto del diretto interessato. Quindi l’eutanasia non c’entra in nessun modo. E’ sorprendente che non solo molti mezzi d’informazione, ma la stessa Chiesa, non si rendano conto di usare il termine eutanasia del tutto a sproposito. E’ sorprendete che i radicali evochino il precedente di Piergiorgio Welby che è, questo sì, un caso da manuale di eutanasia: perchè lui mille volte e fino alla fine ha espresso la volontà di farla finita; non è stata sua moglie a raccontarci che Piergiorgio vent’anni prima avrebbe detto…

Anche quando si parla di “testamento biologico”, altra iniziativa che condivido in pieno, si intende che sia il diretto interessato a mettere per iscritto la propria volontà in caso di malattia invalidante. Lui, con firma autenticata. Non un qualsiasi congiunto per procura e per sentito dire. Non mi sogno di discutere la completa buonafede di Peppino Englaro; ma sul piano delle regole è una follia delegare ad un’altra persona la decisione sulla propria vita e la propria morte. Si profilano infatti scenari più che inquietanti: dalle autorità sanitarie che, per questioni di bilancio, “tagliano” i pazienti più costosi spiegandoci che lo fanno per “lenire le loro sofferenze”, fino ai parenti a vario titolo interessati ad “accelerare” il decorso dei loro congiunti…Immaginatevi, tanto per dire, i genitori di un Pietro Maso in coma a causa di un incidente auto: c’è un dubbio che il figliol prodigo, in spasmodica attesa di eredità, avrebbe spergiurato sulla loro “volontà di non tirare avanti da vegetali”?…

Solo lo Stato può decretare la morte di una persona, e solo in quei Paesi dove esiste la pena capitale. Se la morte viene decretata da un qualunque altro soggetto si chiama omicidio. Se passa attraverso organi dello Stato, come la magistratura, dove non esiste la pena capitale è un omicidio di Stato. In ogni caso non ci si può nascondere dietro l’alibi della battaglia per introdurre l’eutanasia che è e resta indissolubilmente legata alla volontà espressa dall’unico vero soggetto interessato: il morituro.

SE BERLUSCONI S’AFFLOSCIA



 

Se Berlusconi s’affloscia, non è perché in Usa ha vinto Obama, ne perché il Trentino è l’Ohio di Veltroni: si affloscia perchè gli elettori di centrodestra cominciano a scoprire che il suo è solo…l’ennesimo governo democristiano, e non quel autentico e serio governo di destra che loro si aspettavano. Non un governo capace di sfidare gli scioperi, la protesta e la tensione sociale, anche l’impopolarità, pur di andare avanti nei programmi e nelle riforma annunciate.

E’ significativo che un termometro molto sensibile agli umori dell’elettorato nordista di centrodestra, qual è Libero di Vittorio Feltri, abbia espresso tutta la delusione titolando in prima pagina: Il governo ha paura. Ha paura dello scontro, della tensione sociale, dei sondaggi che potrebbero calare, e per questo cala le braghe di fronte agli scioperi e alle manifestazioni. Giustamente Feltri non si sofferma più che tanto sulle “aquile selvagge”, su quei piloti che oggi tutti sono pronti a crocifiggere, ma parla anzitutto della scuola, dell’università, del contrordine compagni impartito ad una Gelmini che adesso deve scendere a patti con sindacati, baroni e rettori per evitare nuove agitazioni.

Cioè deve fare anche lei quello che hanno sempre fatto i governi democristiani memori del “verbo” andreottiano (l’importante è durare, il potere logora solo chi non ce l’ha): cedere alle richieste corporative, garantire che piccoli e grandi privilegi non saranno toccati ma, eventualmente, solo ampliati. E’ molto semplice evitare qualunque tensione sia con i docenti che con i magistrati che con gli autoferrotramvieri che con gli infermieri che con i tassisti: basta cedere alle loro richieste, basta calare sempre le braghe. Peccato che così non si governi il Paese e non si attui alcuna riforma. Riforme, tutte, che partono da un unico presupposto comune: tagliare gli interessi corporativi degli addetti e fare finalmente quelli degli utenti. Detto in altri termini: se concerti hai già rinunciato a riformare e a governare; continui solo a fare il democristiano.

Così facendo anche il Berlusconi ter comincia ad afflosciarsi, la lune di miele inizia a declinare. Dovesse dimostrarsi una “democristianeria” la stessa riforma federalista, come molti segnali indicano, cominceranno ad afflosciarsi anche le vele della Lega.

 


I MILLE “MERIDIONI” D’ITALIA



 

La raffica di scioperi degli ultimi giorni ci confermano che non c’è solo il Meridione, luogo geografico pervaso dal tumore dell’assistenzialismo che ha ormai distrutto quasi tutte le cellule sane della cultura del lavoro, ma che ci sono anche gli altri mille “meridioni”, nemmeno delimitati geograficamente, che pervadono l’intero Paese: sono i meridioni delle corporazioni, dove domina l’interesse di casta ed è sconosciuto quello collettivo.

I “fannulloni” sono andati in piazza contro Brunetta che ha osato, dopo decenni di latitanza dello Stato, verificare che le assenze nel pubblico impiego siano davvero giustificate; quando le verifiche dovrebbero essere la contropartita logica e doverosa per chi ha il privilegio di lavorare nel pubblico a spese della fiscalità generale. Scioperano le hostess, queste “cameriere dell’aria” che hanno agio di girare il mondo e di essere pagate il triplo pur lavorando un quarto delle “cameriere di terra” di bar e ristoranti. Non parliamo dei piloti che lottano come aquile per star fuori dal mercato, cioè per non avere orari e stipendi equiparati ai loro colleghi stranieri. Scioperano i trasporti con autisti il cui orario di lavoro inizia ad essere conteggiato quando escono di casa. Scioperano docenti universitari che possono trascurare sia la ricerca che la didattica e restare ugualmente di ruolo a vita negli atenei.

E poi ci sono gli altri meridioni corporativi, che in questi giorni non hanno scioperato, ma che condividono l’identica cultura di casta: I magistrati che chiamano i controlli di produttività attentati alla loro autonomia; i giornalisti che pretendono di avere un ordine professionale senza essere liberi professionisti e anzi avendo la garanzia del posto di lavoro dipendente. E poi c’è il Meridione vero e proprio, intossicato da decenni di assistenzialismo, che resta il problema dei problemi. Fini e D’Alema tentano l’ennesimo depistaggio, la smenano con questa commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo. La questione, anzi la domanda, è una sola: ce la facciamo a riconvertire un’economia assistenziale, basata sugli interventi statali a fondo perduto, in un’economia reale reale basata sul lavoro e la produttività? No, non ce la facciamo perchè appena chiudi i rubinetti al Sud scoppia la rivolta. Quindi non puoi che lasciarli aperti, quindi devi rinunciare ad un vero federalismo fiscale.

E poi ci sono gli italiani che lavorano. Qualcuno anche al Sud. E molti di quelli che lavorano- senza privilegi corporativi, senza paracaduti sociali, anche il sabato e quando capita pure la domenica – sono lavoratori stranieri. Hanno la stessa determinazione che avevamo noi negli anni Cinquanta e Sessanta. E adesso, che arriva la crisi, dovremmo rimandare a casa il muratore moldavo se resta senza lavoro? Qui tenderei a diventare un po’ maoista…Prima di rimandare a casa chi lavora, manderei i piloti e i baroni universitari a coltivare patate.

 


OBAMA, SAN ZENO E OTELLO



Con un certo ritardo ma ci sono arrivati anche gli americani. Hanno il loro presidente nero 17 secoli dopo di Verona che, dal 362 al 372, ebbe il suo vescovo nero, per la precisione “moro e pescatore”: Zeno, o Zenone che dir si voglia, il quale arrivò dal Nordafrica (un po’ più su del Kenia) e venne a guidare la diocesi scaligera.

San Zeno era appunto anche lui nero, ma non per questo eretico. Nei dieci anni da vescovo (più di un doppio mandato presidenziale usa) non è che smantellò il ruolo della Chiesa di Verona. Anzi: combatte l’eresia ariana e – così raccontano le cronache – fu decisivo nel “confermare e rafforzare sia il popolo che il clero nella vita delle fede”. E’ bene ricordarlo ai tanti che cadono nell’equivoco di credere (o di sperare…) che Obama, in quanto nero, non abbia una profonda fede a stelle e strisce; ed anzi voglia smantellare il ruolo imperiale dell’America. Non scambiamo i desideri con la realtà: Obama è molto più americano di tanti americani bianchi, tanto più adesso che l’America l’ha fatto arrivare dove si pensava che nessun afroamericano potesse arrivare. Adesso che ha constatato di persona il “yes we can”, sarà più che mai convinto che l’America sia il meglio possibile, e vada perciò difesa e conservata

Un nero alla Casa Bianca, con molto ritardo rispetto a Verona, con un certo ritardo anche rispetto a Venezia che, nel Cinquecento, aveva il suo Moro di Venezia: Otello, comandante supremo dell’esercito della Serenissima. Se non proprio un Doge, una specie di Colin Powell comandante supremo nella guerra del Golfo. Anche lui, Otello, nordafricano come Zeno o, secondo un altra versione, capitano di ventura dell’Italia Meridionale. Comunque veneziano di adozione, eppure totalmente dedito al servizio della Serenisima; determinato a difenderla dai suoi nemici, non a trasformarsi in una quinta colonna.

Due esempi dalla storia veneta che forse ci aiutano a capire meglio quale potrà essere il ruolo di Obama nella storia americana. Il nero, l’uomo della provincia o delle province imperiali che arriva al vertice è fino in fondo partecipe dei valori che animano quelle istituzioni – la Chiesa, la Serenissima, l’impero romano o quello americano – può essere un innovatore, ma per ridare slancio e futuro a quelle istituzioni; non certo per affossarle.

Aggiungo due brevi considerazioni sulle elezioni usa. La prima: adesso che Obama ha stravinto tutti si spellano le mani ed applaudono la grande democrazia americana. Oso ricordare che è la più antica del mondo, non è diventata tale adesso; era una grande democrazia anche quattro anni fa quando vinse Bush. La seconda è stata evidenziata da Massimo Gramellini su La Stampa: la notte scorsa a Chicago per festeggiare la vittoria del nuovo imperatore del mondo c’erano in piazza un milione di persone, dieci giorni prima a Roma per ridare fiato ad un aspirante presidente del consiglio italiano sconfitto ce ne sarebbero state due milioni e mezzo…Una grande democrazia sa fare bene i conti, sia nelle urne che nelle piazze.


STUDENTI SINDACATO GIALLO DEI BARONI



 

Vedendo gli studenti che sfilano e scioperano fianco a fianco con i professori e, in particolare, con i docenti universitari mi è venuto in mente il sindacato giallo, quello che si inventavano (e che finanziavano) i padroni per far credere che non ci fosse un conflitto, che non esistesse una controparte, che imprenditori e lavoratori avessero gli stessi interessi. Mentre gli interessi che si cercava di tutelare attraverso il sindacato giallo erano solo ed esclusivamente quelli dei padroni. Vuoi vedere che gli studenti dell’autunno caldo del 2008 sono ridotti a fare il sindacato giallo dei baroni universitari? Come fanno a non capire che i docenti sono invece la loro controparte? Che si trovano a frequentare scuole ed università ridotte a bidoni vuoti, cioè inconsistenti per il loro futuro, perchè le risorse e le attenzioni sono state tutte dirottate a soddisfare gli interessi del personale (docente e non) a scapito degli interessi dell’utente.

E’ un discorso che vale per tutto il pubblico impiego: si parli di sanità piuttosto che di giustizia, di enti locali piuttosto che di compagnie aeree, di scuola o di comunità montane, il risultato non cambia. Ed è anche comprensibile. Perchè esistono i sindacati dei dipendenti e fanno il loro mestiere, mentre non esiste il sindacato degli utenti che tuteli i loro interessi. Dovrebbe essere il compito primo ed alto della politica, quello di farsi carico del bene comune, dell’interesse generale. Ma abbiamo una classe politica che ragione per segmenti successivi: oggi teme di perdere il voto dei magistrati, domani quello dei piloti, ieri quello dei ferrovieri, l’altro ieri si chiedeva che fine avrebbero fatto le preferenze degli infermieri…E così le corporazioni, delineate dal fascismo, sono divenute dominanti nell’Italia antifascista…

L’utente, dicevamo, viene sempre dopo il dipendente. Gli studenti e il loro futuro, molto dopo le attese presenti dei 7 mila che ambiscono a stabilizzarsi all’università attraverso concorsi che Francesco Giavazzi, in prima pagina del Corriere, ha definito con un aggettivo chiaro e semplice: “concorsi falsi”. Ma solo nella scuola succede di vedere le vittime che si battono per i loro aguzzini. Non è mai successo che i pazienti, in lista d’attesa costante, scioperino a fianco di medici ed infermieri. Che i cittadini, per i quali la giustizia arriva (quando arriva) dieci o venti anni dopo, sfilino a fianco dei magistrati. Che chi viaggia in treno o in areo sia solidale con le richieste di piloti e ferrovieri. Solo nella scuola, e in questi giorni nelle piazze, gli studenti stanno dalla stessa parte dei docenti. Dei baroni.

Sottolineo dei baroni. Perchè posso capire i maestri, i professori delle medie che, come tutte le persone normali, ambiscano ad avere il posto di lavoro garantito a vita. Ma questi giganti del sapere, loro che rappresentano le vette della cultura e della ricerca e della docenza, loro almeno vogliono mettersi sul mercato? Accettare cioè di essere confermati nell’incarico in base a ciò che hanno prodotto a beneficio dei loro studenti. O hanno il diritto di restare in cattedra a vita e a prescindere?

Noi vecchi sessantottini avevamo molte idee confuse, ma almeno una chiara: i baroni volevamo mandarli a casa. Quarant’anni dopo gli studenti sono diventati il loro sindacato giallo. Ed è la conferma di quanto bene funzionino queste università: hanno fumato il cervello a chi le frequenta, non capiscono più nemmeno chi è la loro controparte.

 


SCUOLA, TORNELLI E DE GAULLE DA OPERETTA

 

 

Nel post precedente Silvestro mi chiede quale sia la via maestra per la riforma scolastica. Possiamo fare mille considerazioni didattico-pedagogiche e magari perderci nei ragionamenti col risultato di conservare lo statu quo di una scuola ridotta ad un bidone vuoto. Oppure possiamo scegliere un approccio chiaro e semplice. La via maestra è il tornello. Mi spiego: mia figlia Lucia è arrivata quasi alla fine del terzo anno di Economia e non ha mai visto un docente in faccia; ha fatto solo ed esclusivamente esami scritti, test che molto spesso puoi addirittura coreggere al computer in automatico. Quando la base degli studi universitari dovrebbero essere gli esami orali, il colloquio diretto tra studente e docente che solo può permettere a quest’ultimo una valutazione completa che riguardi anche la personalità, il carattere, l’approccio allo studio dell’allievo e non solo l’arido nozionismo. Ma gli esami orali sono stati cancellati in tutte le facoltà. Perchè non ci sono docenti a sufficienza? Non diciamo sciocchezze, sono uno stuolo: quando va male uno ogni dieci studenti. Ma interpretano la tanto decantata autonomia degli studi universitari allo stesso modo identico dei magistrati: autonomia vuol dire libertà di non fare una beata minchia, autonomia vuol dire divieto di controllarmi e verificare se mi guadagno lo stipendio o meno. E allora cominciamo dai tornelli. Tornelli per i docenti. Gli stessi che Brunetta vuole installare anche nei palazzi di giustizia perchè certi magistrati in nome dell’autonomia – come denuncia il ministro – lavorano due giorni alla settimana.

Se siamo fessacchiotti prendiamo per buono il loro blateramento – magistrati che ci assicurano che il buon funzionamento della giustizia è la loro unica preoccupazione, baroni che raccontano di non dormire la notte perchè la ricerca è senza fondi – se siamo appena smagati abbiamo capito che la difesa ad oltranza degli interessi corporativi e la loro unica e vera linea del Piave.

Tornando alla scuola, università e anche cicli inferiori, l’equivoco vero è quello dell’autonomia. Vogliono essere autonomi ma a spese della collettività. Quando è talmente evidente che o sei autonomo anche nel reperire le risorse finanziarie, come avviene per college e scuole anglosassoni che si mettono sul mercato e raccolgono le rette e gli stessi fondi per la ricerca a fronte del prodotto culturale che sanno garantire; o sei capace di fare così e sei giustamente autonomo, oppure dipendi dal finanziamento pubblico ma sei tenuto a seguire alla lettera programmi, orari e selezioni ministeriali. Rettori, presidi e docenti vari interpretano invece l’autonomia in questo modo vergognoso: farsi i…azzi loro a spese nostre, senza garantire nulla agli studenti.

La cura Gelmini è un aspirina per una scuola pubblica con la febbre da cavallo. Ed il primario capo è un tentenna: un momento sembra De Gaulle e tuona che darà direttive precise al ministro degli Interni per impedire le occupazioni che sono violenza contro la libertà e la democrzia; il momento dopo diventa la caricatura di De Gaulle, un De Gaulle da operetta, e frigna che lui la polizia nelle scuole non ha mai detto di volerla mandare…

Quando nelle scuole bisognerebbe mandarci, non solo la polizia, ma le forze armate al gran completo per garantire il diritto allo studio di tutti i cittadini, ed in particolare di quelli meno abbienti. Perchè come mi spiegava già quarant’anni fa lo Zwirner, quello vero (cioè il prof. Giuseppe, uomo di sinistra, del Partito d’azione, partigiano della brigata Trentin): una buona scuola pubblica è la garanzia di accesso al sapere per tutti. Se – proseguiva lo Zwirner – distruggiamo questa scuola (eravamo nel ’68) il ricco si salverà sempre andando a studiare all’esterno o nella scuola privata, mentre il poveraccio sarà condannato a restare un ignorante…Così come ha certificato l’Ocse in questi ultimi anni.

 

TOSI “CONDANNATO”…A GUIDARE IL VENETO

 Sulla prima pagina de L’Unità di oggi domina un titolone: “Verona, sindaco condannato. Ha diffuso idee razziste”. Lo leggono i leghisti più smagati ed esultano; lo leggono quelli di sinistra più razionali e si mettono le mani sui capelli. Perchè entrambi giungono, con stati d’animo opposti, all’identica conclusione: avanti di questo passo Flavio Tosi diventerà presidente del Veneto a furor di popolo…

Non c’è infatti solo un precedente illuminante in questa lunga vicenda giudiziaria che vede Tosi accusato di violazione della legge Mancino, per aver organizzato nel 2001 una raccolta di firme contro un campo nomadi abusivo, dichiarando che “gli zingari devono essere mandati via perchè dove arrivano ci sono furti”. Il precedente è questo: il 2 dicembre del 2004 viene condannato a sei mesi di carcere, ed a pagare 10 mila euro di risarcimento all’Opera nazionale nomadi e 5 mila euro ad ogni singolo nomade che si fosse costituito parte civile; pochi mesi dopo, nella primavera del 2005, Tosi viene confermato in consiglio regionale con 28 mila voti di preferenza, il più alto numero di preferenze ottenute da un candidato da Roma in su. Certe sentenze sono un insulto al buon senso, sono la giustizia nel mondo alla rovescia: Tosi condannato a pagare un risarcimento ai nomadi, quando nessun nomade è mai stato condannato a risarcire uno dei tanti cittadini derubati…

Ma non c’è solo questo precedente. C’è anche una notizia, che avevamo anticipato in Palazzi & Potere e che oggi ufficializza un altro quotidiano, Il Gazzettino: la Lega vola nei sondaggi e in Veneto si attesta ormai sopra il 40%. Vogliamo scandalizzarci pensando che tutti i veneti stanno diventando razzisti come Tosi? O vogliamo aprire gli occhi e capire quali sono le cause scatenanti e quali gli effetti?

Lo ha capito benissimo un altro Flavio sindaco, quello di Padova Zanonato, che è letteralmente furibondo nei confronti dell’associazione Razzismo stop (Verificatelo guardando il servizio sul Tg Padova di questa sera). Questa associazione ha preso lo spunto da un episodio banale e insignificante – il fermo di due giovani africani durante un operazione antidroga – ha preso lo spunto da qui per lanciare l’accusa di razzismo contro le forze dell’ordine, le istituzioni e i cittadini padovani, spingendo gli immigrati di colore ad una clamorosa manifestazone di protesta. Zanonato ha accusato quelli di Razzismo stop di essere loro che istigano all’odio razziale. Il sindaco di Padova del Pd è furibondo perchè che sa bene che, quando lanci un accusa inesistente, ti si ritorce contro: i padovani che si sentono accusati di razzismo e di violenze dai neri, reagiscono votando Lega e non certo Pd.

Così i veronesi ieri, e oggi i veneti. Quando vedono che i giudici (e certi mezzi d’informazione) invece che condannare tutti quei nomadi che rubano, che vivono di espedienti, che sfruttano e violentano i bimbi nell’elemosina coatta, quando vedono che i giudici si preoccupano invece di condannare Tosi perchè cerca di difendere i cittadini dai furti dei nomadi, i veronesi e i veneti restano allibiliti. Vi pare possibile che si schierino dalla parte di questi magistrati “democratici e antirazzisti”? Le pare possibile, Concita De Gregorio, che dicano è ora far governare il Veneto dal Pd?… Mi pare molto più probabile che, come ieri hanno portato a furor di popolo Tosi al vertice di Palazzo Barbieri, domani lo portino anche al vertice di Palazzo Balbi.