SE LA CRISI FACESSE IL MIRACOLO…

 

 

E se la crisi economica alla fine facesse il miracolo? Se questa catastrofe, che di ora in ora si fa più minacciosa ed incombente, avesse in seno anche un risvolto positivo? Se il patarac delle finanze pubbliche e private servisse a farci ritornare un Paese serio? Il Paese che eravamo nel dopo guerra e per tutti gli anni Cinquanta: gente che lavorava e il lavoro andava a cercarselo in giro per il mondo, un Paese dove il pubblico latrocinio era davvero l’eccezzione, un Paese capace di ricostruirsi (alla friulana, non all’irpina…), un Paese senza assistenzialismo per il semplice motivo che non ce n’era per nessuno. E per lo stesso motivo i pubblici dipendenti erano un decimo degli attuali.

Di fronte al tran tran, all’inerzia, all’accidia di un Paese incapace di riformarsi, che ha trovato perfino il compromesso geografico Calderoli-Fitto sul federalismo fiscale del nulla, di fronte a tutto questo vien da pensare che solo un evento esplosivo, altamente traumatico, riesca a risvegliare un popolo; a fargli ritrovare la dignità e la serietà perdute. Così come fu terribile la seconda guerra mondiale con la miseria, la paura, la preoccupazione quotidiana per la sopravvivenza: non c’era spazio per le pugnette, per gli aiuti statali, ognuno doveva darsi da fare e sfangarsela. E questo spirito abbiamo conservato per almeno quindici anni finchè lo statalismo e l’assistenzialismo catto-comunista congiunti non hanno cominciato a corromperci.

Oggi come ne esci dall’apatia, dall’accidia, dal latrocinio diffuso di chi ruba direttamente il denaro pubblico e di chi lo ruba indirettamente intascando lo stipendio senza lavorare? Bisogna che nuovamente non ce ne sia per nessuno. Bisogna che la crisi economica mondiale metta in ginocchio le finanze pubbliche e anche quelle private.

Perchè il Nord accetta da decenni di finanziare il Sud con il frutto del proprio lavoro, e lo accetta sostanzialmente senza battare ciglio (salvo qualche fremito elettorale leghista)? Perchè produce ricchezza in eccesso. Perchè il tenore di vita medio resta molto elevato, resta svizzero, non ostante il continuo salasso di risorse a favore del Sud. Bisogna che l’acqua salga fino al sedere e poi fino alla gola, e allora anche il Nord sarà costretto a svegliarsi per non affogare… Uno Stato alla bancarotta non potrà più pagare milioni di pubblici dipendenti senza mai una verifica di produttività e di competenza. Non ce ne sarà nemmeno per i nostri amministratori locali del Veneto che oggi si permettono di finanziare tutte le sagre, di dare una sede a tutte le associazioni, di mantenere protezioni civili incapaci di proteggerci anche dalle zanzare.

Tutti torneranno a svolgere qualsiasi lavoro, senza più lasciare quelli sgraditi ai “negri” cioè agli immigrati (questo, se mai, è il vero razzismo…). I meridionali, senza più risorse pubbliche per assisterli, torneranno a fare quel che facevano fino agli anni Sessanta: andranno a cercare il lavoro dove c’è, o impareranno a crearselo sotto casa come hanno fatto i veneti. Ma vi pare possibile un Paese che ha il 30% di disoccupazione al Sud e la piena occupazione al Nord, non grazie alla migrazione interna, ma grazie a lavoratori stranieri che arrivano dall’Africa o dall’Europa centrale, mentre i “lavoratori” meridionali sono fermi al paesello ad inveire contro uno Stato che non fa abbastanza per aiutarli?….

Che arrivi la crisi economica e che faccia tabula rasa. Forse è l’ultima speranza di rifondare una Nazione.

NONNO COFFERATI DA LIBRO CUORE

 

 

Da Libro Cuore questo “Cinese” che rinuncia a rifare il sindaco di Bologna per crescere il pupo. Peccato che il Libro Cuore sia fantasia e non realtà. Peccato che all’età di Cofferati (e alla mia) si crescano ormai nipoti e non più figli. Perchè ti manca la grinta e l’entusiasmo della gioventù. Non ha più voglia di importi, cosa essenziale con i figli: per loro la più importante. Cosa che oggi non fanno nemmeno i padri giovani, figurarsi quelli sessantenni: al massimo fanno i nonni, pronti cioè a viziare a tutto spiano le piccole canaglie per sentirsi gratificati dal loro affetto effimero…Speriamo, per il pupo, che la giovane seconda moglie abbia un fratello e che faccia lui le veci del padre al posto di nonno Sergio.

Il quale è molto preoccupato: “Seicento chilometri in due giorni! Non si può pensare che un bambino cresca passando gran parte del suo tempo in autostrada!”. E la mamma? Non può proprio trasferirsi a Bologna? Che sia presidente della repubbica marinara di Genova? O che non regga il “Cinese” più a lungo di un fine settimana?

Tanto per passare il tempo in questo nostro fine settimana vi prospetto due ipotesi e vi invito a scegliere: che Cofferati, come diciamo in Veneto, si sia “infigato” al punto da rinunciare a rifare il sindaco per stare accanto alla giovane mogliettina? (Non è escluso, capita specie alle soglie della terza età). O che si sia inventato il pretesto del pupo perchè stima assai ardua la riconferma in una Bologna che vira a destra di suo (come un po’ tutto il Paese) e dove lui per giunta ha anche rotto con la sinistra radicale?

Dite la vostra liberi, ovviamente, di aggiungere anche altre ipotesi che spieghino il Cofferati da Libro Cuore.


 

BERLUSCONI CI TUTELA ?! E L’EUROPA FA CRACK

 


Sono molto preoccupato per i miei risparmi e il conto corrente. Lo sono da quando Berlusconi ha detto che me li tutela lui. Ma allora sono da tutelare? Sono a rischio anche loro? Perchè io, da sventato, pensavo che fossero a rischio solo le azioni e i fondi. Mentre Berlusconi mi ha convinto che tutto è a rischio, anche quattro soldi tenuti in banca (Che sia più sicuro trasferirli sotto il materasso?). E così si scatena il panico: ecco a cosa serve l’intervento dei politici in economia, a trasformare l’allarme in panico. A cosa servano le iniezioni di denaro pubblico lo abbiamo constatato negli ultimi giorni: Wall Street aveva retto benino alla bocciatura del piano Paulson, non ha retto invece alla sua successiva approvazione e, come è arrivata la montagna di denaro pubblico, è crollata la fiducia assieme a Wall Street. Stessa cosa in Europa. Lo scorso fine settimana i grandi Paesi europei, ognuno rigorosamente per conto proprio, hanno varato le statalizzazioni bancarie e i loro bravi interventi pubblici. Risultato: lunedì sono conseguentemente crollate le borse di Parigi, di Londra, di Francoforte. E da lunedì non la smettono di andare a picco. Altro che delirare sulla fine del mercato e sugli Stati Uniti che avrebbero scoperto i vantaggi del socialismo statalista. Bisogna lasciare il mercato libero di spurgare fuori gli escrementi (cioè le banche bancarottiere); quando invece ricorri al tappo dell’intervento statale il marcio resta dentro e tutto si trasforma in una vescica purulenta e maleodorante fino all’esplosione finale.

Può darsi che quelle fin qui svolte siano solo considerazioni o illusioni da vecchio liberale. Ma una cosa è certa, un crack è già avvenuto: quello dell’Europa Unita. Alla prima crisi seria, al primo provvedimento che non riguardasse il calibro del cetriolo ma un piano di salvezza per l’economia continentale, l’Ue si è sfaldata e ognuno ha scelto di procedere per conto proprio: la Merkel e Brown in modo esplicito, Sarkozy salvando la facciata perchè, da presidente di turno, non poteva dare all’Europa lo stesso calcione esplicito sferrato dai primi due. Non meravigliamoci, non poteva che essere così: non c’è storia comune, non ci sono radici, nulla che cementi l’utopia degli Stati Uniti d’Europa. Gli Usa americani sono nati e si sono cementati nella comune guerra di indipendenza dalla madrepatria britannica. L’Europa invece ha conosciuto solo guerre e divisoni intestine e tutt’ora le conosce: i cechi si sono separati dagli slovacchi, i valloni dai fiamminghi; dalla Spagna alla Gran Bretagna fino alla Georgia e all’Ucraina fiorisce l’autonomismo spinto fino all’indipendentismo, e qualcuno ancora delira di mettere assieme l’Europa? I tedeschi con gli italiani? Dei conti correnti dei tedeschi ce ne frega esattamente quello che a loro frega dei nostri depositi bancaria: una minchia.

L’unione monetaria è stata una brillante idea degli stati europei forti a spese di quelli deboli. Se vogliamo vederla la realtà l’abbiamo sotto gli occhi: grazie alla vecchia liretta, svalutabile a piacimento, compivamo incursioni corsare nel mercato tedesco piazzandoci il nostro export. Il folle cambio lira-euro, l’introduzione della moneta unica, ha falcidiato il potere d’acquisto dei nostri stipendi e affondato la goletta corsara impedendo ulteriori incursioni sul mercato tedesco a colpi di svalutazione. Ci ha garantito lo stesso calibro di cetriolo, ma nessuno scudo comune che ci ripari da una crisi finanziaria ed economica seria.

E oggi cosa vorremmo? Che gli Stati forti si facessero carico di quelli deboli? Lo vedete Berlusconi andare dalla Merkel e da Brown a dire loro: siete i Paesi fortunati dovete destinare parte della vostra richezza ad aiutare i Paesi meno fortunati come il mio…Lo immaginate Berlusconi? E la sentite la pernacchia che sommergerebbe questa sua richiesta? Certe menate sul federalismo solidale funzionano solo sul fronte interno. Diciamo che sono…molto provinciali e poco europee. Gia prima che l’Europa facesse crack, figuriamoci ora.

 

NIENTE RAZZISMO SOTTO LA LINEA GOTICA

 

 

Nella disperazione per i mala tempora che currunt possiamo tirare almeno un sospiro di sollievo: c’è un baluardo invalicabile contro il dilagare del razzismo, è il baluardo della Linea gotica. Gli angloamericani la spazzarono via, ma oggi regge benissimo agli assalti (si fa per dire) dei mezzi d’informazione; anzi è come il Vallo Adriano: il razzismo, la barbarie, dilagano solo al Nord, da Milano a Parma passando per le città del nostro Veneto; ma nulla di ciò che accade al di sotto comunque e mai viene classificato allo stesso modo. Il razzismo sotto la Linea gotica non esiste: si possono anche mettere in fuga i rom e bruciare gli accampamenti che i media sono tutti partecipi de “l’esasperazione degli abitanti di Ponticelli”. Punto e a capo.

Non sto nemmeno a ridiscutere su quanto accaduto ieri a Milano e oggi a Parma. Sono comunque episodi controversi, nel senso che a Milano lo stesso pm ha escluso l’aggravante dell’odio razziale e a Parma le autorità comunali forniscono una versione opposta a quella del giovane ghanese Emmanuel. Eppure l’accusa di razzismo è finita diretta su tutte le prime pagine e sui telegiornali nazionali, senza bisogno di alcuna verifica. Non è assolutamente controverso, è inuppugnabile, documentato da foto e filmati con tanto di audio, quanto accaduto lunedì al quartiere Scampia di Napoli: duecento immigrati neri manifestavano per protestare contro gli alloggi e le loro retribuzioni indecenti; sono stati circondati e aggrediti dagli abitanti di Scampia; la polizia è intervenuta in forze non per fare gli occhi neri ai neri, ma per impedire che glieli facessero i napoletani; i quali sono riusciti ugualmente a malmenare alcuni immigrati ed anche un giornalisto reo di aver scritto a loro favore; l’urlo della folla di Scampia era: “Negri, o ve ne andate o vi ammazziamo!”.

Tutto questo è documentato, e fotografato (con rinvio alle immagini del sito Web) dal Corriere della sera. Però finisce a pagina 22, con un titolino e senza nemmeno un richiamo in prima. E il termine razzismo non compare. Immaginiamo adesso per un attimo che gli amici di Abdul Guibre, quando hanno manifestato a Milano, fossero stati circondati ed aggrediti da una moltitudine di milanesi al grido: “Negri, o ve ne andate o vi ammazziamo!”. L’articolo sarebbe finito nelle pagine interne? O i titoli cubitali di tutti i quotidiani ci avrebbero annunciato che Milano è la nuova capitale del vecchio Sudafrica? Cosa sarebbe accaduto se i residenti di Borgo Trento o di Quinzano (Vr) dell’Arcella o della Sacra Famiglia (Pd) si fossero comportati come quelli di Scampia? Altro che Ku-Klux-Klan che l’Unità immagina sia in azione a Treviso: quelli del K-K-K era piccoli gruppi mascherati che agivano di notte; mentre a Scampia abbiamo assistito ad un assalto razzista di massa compiuto in pieno giorno.Ma, essendo successo sotto la Linea gotica, non è accaduto nulla; perchè là il razzismo non può e non deve esistere.

Mi domando se il confine tra razzismo e antirazzismo sia geografico. E se sia politico: Milano, Parma, Verona in mano al centrodestra, Napoli al centrosinistra. Rispondete voi navigatori del blog. Ma non eludete la domanda fondamentale: com’è possibile che Parma finisca in prima pagina e Scampia a pagina 22?

 

NIENTE FURTI ALLA AMATO NEGLI USA

 

Per capire il congresso Usa che, letteralmente a furor di popolo, boccia il piano Bush non ostante la concreta prospettiva di un colossale crac economico-finanziario, per capirlo, bisogna pensare al furto Amato dei primi anni Novanta: l’unica occasione in cui anche noi siamo stati americani, cioè abbiamo capito che lo Stato letteralmente ci ruba i soldi in tasca. Ce li ruba quando non utilizza la fiscalità per dare in cambio servizi (a costi decenti) ma per evitare i fallimenti privati. Ci ruba i soldi quando, esempio recentissimo, scarica sulla collettività i debiti di Alitalia invece che lasciarla fallire. Il nostro esempio storico, clamoroso e insuperato, resta la Fiat: per decine d’anni abbiamo permesso che l’Avvocato facesse il dandy, andando in giro per il mondo come uno scemo con l’orologio sopra il polsino della camicia e la cravatta fuori dal pullover, e intanto ci rubavano i soldi dalle tasche per pagare i debiti della sua azienda che né lui né i suoi manager sapevano tenere sul mercato. Ce li hanno rubati col pieno consenso dei partiti di governo, di quelli di opposizione e dei sindacati, pronti a coprire il latrocinio perchè bisognava salvare la Fiat e i posti di lavoro. Negli Usa la Fiat la lasciavano fallire, i dipendenti dovevano trovarsi un altro lavoro, e uno come l’Avvocato lo avrebbero mandato a Guantanamo.

Negli Usa è impensabile che i soldi di tutti i cittadini, i fondi dello Stato, servano per evitare il fallimento dei privati incapaci. E dire che Alitalia, la Fiat stessa, sono fruncolini in confronto al mega bubbone, al big-ben che oggi potrebbe far esplodere l’intero sistema economico usa (e non solo) mandando sulla strada milioni di persone. Ma per gli americani un principio è e resta un principio, anzi vale più che mai proprio nei casi estremi: il denaro pubblico deve servire per garantire la sicurezza, la lotta al terrorismo, le grandi infrastrutture, la ricerca, tutto ciò che rappresenta la pubblica utilità; mai per soccorrere banchieri, finanzieri e imprenditori farabutti e incompetenti. Devi lasciarli fallire se vuoi restare americano e non diventare un…pollo d’allevamento europeo a denominazione statalista controllata.

Il sentimento dominante del popolo americano lo ha riassunto un congressita repubblicano, il texano Jeb Hensiarling, che ha votato contro il piano del suo presidente definendolo “una china scivolosa verso il socialismo” e spiegando che “se perdiamo la capacità di fallire, presto perderemo quella di aver successo”. Gli Usa cioè diventerebbero vecchi e statalisti proprio come il Vecchio Continente.

Non so come andrà a finire. Può darsi che riescano a spaventare il popolo americano e i suoi rappresentanti al punto da costringerli a snaturarsi approvando il salvataggio statale da 700 miliardi di dollari. Ma per il momento ci arriva una lezione che dovremmo mandare a memoria: per salvare il culo a pochi, o anche a tanti, non si può rubare nelle tasche di tutti.


 

VOGLIO UN SINDACO CHE TAGLI…

 


Voglio un sindaco che tagli, che si impegni a diminuire il biancio del suo comune a ridurre il numero dei dipendenti.

Non mi interessa nessun altro punto del suo programma perchè, con le migliori intenzioni del mondo, sono solo programmi di spese aggiuntive: assumere vigili urbani per rendere la città più sicura (ma non abbiamo già stuoli di poliziotti e carabinieri?), costruire piste ciclabili (dove passano tre ciclisti al giorno), nuove rotonde per fluidificare il traffico (ormai ne abbiamo anche in giardino di rotonde), centri sociali per anziani nei quartieri (mancano forse i bar per chi vuole socializzare?), nuovi asili a go go (affidiamo i bimbi ai nonni, che così “socializzano” con i nipoti). Spese, spese, spese. Ragionano tutti così: amminstratori di sinistra, di destra, delle Lega. Voglio un sindaco che tagli, altrimenti non lo voto.Voglio un presidente di provincia, di regione, del consiglio soprattutto, che tagli. Altrimenti…Col che è chiaro che non andrò più a votare, perchè non ne trovi uno che si impegni a tagliare. Ma tutti noi cittadini dovremmo essere categorici: o tagli o non ti voto più. Perchè di questo passo c’è solo la bancarotta. Come ha scritto Vittorio Feltri, abbiamo tanti problemi tutti seri: l’immigrazione, la crisi economica, il cambio lira-euro, le mafie. Ma il problema più grave di tutti è il dilagare senza argini degli apparati e della spesa pubblica. Senza argini e senza inversioni di tendenza qualunque sia il colore dei governi. Di questo passo si va alla bancarotta: non solo della Sicilia o di Catania, ma anche del Lazio, della regione e dei comuni veneti, dell’intero Paese.

E non è solo una questione di costi e pressione fiscale insostenibili. Insostenibili anche in un Paese dove tutti pagano le tasse, figuriamoci dove le pagano solo la metà dei cittadini come nel nostro. Ma c’è, più grave ancora del dato economico, quello culturale: questa spesa pubblica senza limiti e confini ci corrompe, ci intossica, ci snatura. Se mai andasse in porto il federalismo fiscale, che significa destinare meno risorse al Sud e più risorse al Nord, avrebbe un unico effetto sicuro: i meridionali sarebbero costretti ad essere meno “terroni” e noi settentrionali saremmo indotti a diventare più “terroni”: cioè a far conto sulle risorse, sugli investimenti, sui posti di lavoro pubblici. Snaturati su quella che è (era) la nostra caratteristica migliore.

L’altro giorno, a Radio anch’io, quello sciagurato di sindaco di Castelvolturno sosteneva che i poliziotti e l’esercito non bastano. Ci vogliono – ripeteva – massicci finanziamenti pubblici, dello Stato, perchè non bastano le poche risorse del suo comune per togliere dal degrado il litorale Domizio. Lo ascoltavo e pensavo al Veneto che, quando sono nato negli anni Cinquanta, era tutto un degrado, tutto una miseria capillare. E come ne è uscito quel Veneto? Forse con i massicci investimenti statali o con i bilanci dei suoi comuni (che erano un decimo dei bilanci attuali)? Come sappiamo ne è uscito solo grazie al lavoro dei veneti che si sono rimboccati le maniche ( senza sprecare energie nei lamenti) e hanno costruito un tenore di vita più che decoroso. Il tutto restando liberi, dal servaggio al potere politico e belli cioè in grado di guardarsi allo specchio senza vergognarsi.

Se vogliamo restare così, quelli che ancora (abbastanza) siamo, dobbiamo votare solo amministratori locali e nazionali che taglino. Altrimenti corromperanno anche noi a furia di spesa e posti pubblici.


 

RIVOLTA NERA DA MILANO A CASTELVOLTURNO

 

Da Castelvolturno a Milano è arrivato, sia pure con modalità diverse, lo stesso segnale univoco: dobbiamo prepararci a fare i conti con la protesta, con la rivolta sociale, dei neri e degli immigrati in genere. Un fattore nuovo, ancor più preoccupante del loro coinvolgimento nella criminalità, che prefigura scenari (cito il Corriere della sera) da “sommosse nei ghetti neri di Los Angeles e rivolte nelle banlieue parigine”.

Le violenze, l’autentica rivolta dei nigerani a Castelvolturno, sono di una gravità senza paragoni. Le scene dei neri che giravano sparando in aria, che distruggevano auto, vetrine, mezzi pubblici le abbiamo viste prima – osservava l’inviato de La Stampa – solo nei Paesi africani durante un golpe. Era in atto un golpe anche sulla riviera Domizia? Il golpe degli spacciatori nigeriani che tentavano di soppiantare i casalesi? Di certo la ferocia della camorra, che ha colpito implacabile come sempre, non può giustificare la rivolta dei nigeriani. Un telespettatore ha fatto un parallelo che trovo inoppugnabile: i coniugi Pelliciardi di Gorgo al Monticano l’agosto dell’anno scorso sono stati massacrati e seviziati nel modo più bestiale da due albanesi e un romeno. Ma l’atrocità della mattanza non avrebbe comunque giustificato la rivolta dei loro amici e conoscenti trevigiani; cosa avremmo detto se si fossero messi a scorazzare sparando in aria, distruggendo mezzi pubblici o dando l’assalto ad abitazioni di albanesi, romeni o altri immigrati? Li avremmo giustificati o avremmo detto che aveva ragione l’Unità a parlare di Ku-Klux-Klan in azione a Treviso? E a Castelvolturno cosa abbiamo visto? Una protesta civile di cittadini immigrati esasperati o il Ku-Klux-Klan nigeriano in azione? Hanno lamentato la latitanza dello Stato; ed uno Stato più presente ci vorrebbe di sicuro: tanto per contrastare la camorra, quanto per impedire che accanto a due mila immigrati regolari ce ne siamo venti mila di clandestini.

Per altro quanto accaduto a Castelvolturno è tanto inaudito che stenti perfino a credere (pietosa illusione) che sia accaduto nel nostro Paese. Non riesci ad immaginare una replica in Veneto. E magari senti più incombente ciò che è successo sabato scorso a Milano, pensi che questo possa ripertersi anche nelle nostre città venete: la protesta per l’assassinio di Abdoul Guibre, la manifestazione “antirazzista” degenerata in violenza, danneggiamenti, lanci di bottiglie contro le forze dell’ordine, slogan minacciosi verso la città e i suoi abitanti. Bob, metalmeccanico marocchino di 22 anni, dichiara al Corriere: “ Lanciamo un segnale: ci siamo e possiamo fare male a questa città che ci tratta come bestie”. Capito? A Milano, in una delle grandi capitali dell’Europa civile (non nella Castelvolturno della camorra) si sentono trattati come bestie!…Magari anche a Verona, anche a Padova, anche nei piccoli centri del nostro Veneto si sentono trattati come bestie. E cosa si fa? Non sto nemmeno a vedere se questo giudizio sia fondato o delirante, mi domando solo come fronteggeremo la loro rabbia quando scenderanno in piazza.

Quella di Milano – hanno osservato i media – è stata la prima manifestazione degli immigrati di seconda generazione, quelli con la pelle nera ma nati qui e con la cittadinanza italiana. L’esperienza europea insegna che la seconda generazione è spesso più pericolosa e meno integrata della prima: loro hanno bruciato in Francia le periferie; erano giovani islamici all’apparenza perfettamente integrati (fotografati a fare rafting sui torrenti, come i fighetti della Padova o della Verona bene) gli autori degli attentati di Londra. Dobbiamo considerarle risposte indotte dal razzismo dei francesi e degli inglesi?

Ultimo pensiero (sconsolato) ai nostri intellettuali da salotto. I Moni Ovadia e le Ottavia Piccolo, gli Agnoletto no global e rifondaroli, che pensavano di cavalcare la protesta antirazzista: avevano organizzato la manifestazione, stabilito slogan e percorsi, e già si vedevano belli a guidarla in prima fila con i neri a reggergli lo strascico. Ma in un battibaleno sono stati soppiantati dagli amici di Abdoul che hanno deciso loro dove si andava e cosa si sfasciava. Della serie: ad aizzare i lupi si rischia di finire tutti sbranati.

 

RAZZISTI SI NASCE, CIVILI (FORSE) SI DIVENTA

 

 

Abdul trucidato in quel modo a Milano, la sua pelle nera, le accuse di razzismo (come sempre) rivolte ai veneti e al Veneto, l’Unità (fondata da Antonio Gramsci, diretta da Concita De Gregorio) arriva ora a raccontarci che a Treviso agisce il Ku-Klus-Klan contro i neri e gli islamici. Sono questioni troppo serie per essere trattate in modo sciocco e superficiale. Vediamo se riusciamo ad essere meno banali partendo da un postulato, guardandoci allo specchio: siamo tutti razzisti; razzisti si nasce, civili (forse) si diventa.

Per natura, se lasciamo prevalere i nostri istinti, siamo tutti aggressivi, violenti, razzisti. L’uomo non è il “buon selvaggio” di cui parlava Rousseau, che viene poi corrotto dalla società e dall’educazione o dalla politica (a seconda se diventi leghista o rifondarolo, che compri Libero o L’Unità). Al contrario, come spiegava Thomas Hobbes, in natura c’è l’”homo homini lupus” e solo le leggi, lo Stato, l’educazione e la cultura riescono a mettergli la museruola; cioè a renderlo civile o meno incivile (anche se la natura barbara e violenta resta sempre latente)

Conta la vicenda, l’educazione, l’esperienza personali; e, quando parliamo di Veneto e di veneti, conta la storia. Se mai si decidessero ad insegnarla a scuola, la storia del Veneto, si saprebbe che La Serenissima è stata per dieci secoli la regina del Mediterraneo perchè commerciava ed aveva relazioni con tutti: mussulmani, ebrei, ortodossi, cattolici, gialli, neri; il Moro di Venezia, l’Otello di Shakespeare, era uno dei suoi comandanti supremi ed era di colore. La Serenissima non poteva permettersi di essere razzista per uno dei motivi più pregnanti: per non compromettere il suo sviluppo economico. Ed i veneti per dieci secoli sono stati educati al vantaggio dei rapporti con il “diverso”. Poi è arrivato l’Impero asburgico, crogiulo di popoli, tutt’ora unico esempio serio di federalismo europeo. E’ vero che nell’ultimo secolo e mezzo i veneti hanno subito il rigurgito della barbarie nazionalista e unitaria, ma oso pensare che siano stati corrotti solo in superfice!…Al di là delle battute: una regione che ha avuto la storia del Veneto è, proprio per motivi storici, più aperta, se volete meno razzista, di una regione come la Basilicata o la Savoia. Una città come Verona, terra di relazioni per collocazione geografica, con una storia di sede papale ed imperiale, ha una frequentazione con i “diversi” che l’ha più immunizzata dalle reazioni xenofobe e razziste. Lo stesso vale per Padova sede di una delle più antiche università d’Europa, che da secoli comporta incontri e conoscenze tra maestri e discepoli di mezzo mondo.

Dopo di che anche la storia, l’educazione, la civilizzazione possono fino ad un certo punto. Perchè l’istinto dell’uomo resta quello del lupo, con la violenza e il razzismo latenti e pronti ad esplodere. L’esempio che faccio spesso è quello di Michele Serra: quando una decina d’anni fa una banda di immigrati fece razzia nella sua casa sulle colline emiliane, scrisse un pezzo su Repubblica che trasudava odio razziale contro i magrebini. Ma il problema non è accusare Serra di essere diventato razzista: il problema è di evitare che vadano a rubargli in casa, aiutandolo così a tenere sotto controllo il lupo che tende a riemergere in lui come in tutti noi.

E, se qualche volta il lupo scappa di mano perfino a Michele Serra, figuriamoci cosa succede a due farabutti come quelli del furgone-bar di Milano che si sentono irrisi da un gruppo di ragazzotti – per giunta di colore – che credono di poter prendere i dolcetti senza pagarglieli. Scrivo per giunta perchè sono convinto, come Santo (ex Ultimo), che il colore della pelle abbia pesato: che sia stata benzina sul fuoco della violenza che esplodeva. Però non facciamo confusione tra la bestia del razzismo che prende il sopravvento in un individuo e le “campagne razziste orchestrate”: solo il delirio, solo un desiderio inconfessato, può spingerci a vedere il Ku-Klus-Klan in azione a Treviso e in Veneto.

Le campagne razziste le ha orchestrare il nazismo contro gli ebrei (e non solo), le ha orchestrate il comunismo stalinista contro i cosacchi (e non solo); le ha delineate ed attuate con pesantissime discriminazioni (non con stermini) il fascismo delle leggi razziali. Siamo seri: vi pare che Gentilini, vi pare che Maroni orchestrino?…

Se siamo convinti, se condividete il postulato da cui sono partito (il razzismo c’è e resta latente in ciascuno di noi) allora cambia completamente tutta la prospettiva. La prima preoccupazione, la più seria, diventa evitare le cause che possono scatenarlo, farlo riemergere. Quando in poco tempo arrivano milioni di stranieri, e per giunta in maniera “disordinata” (non come in Svizzera, non come in Germania); quando le cifre dimostrano l’incidenza di questi stranieri sulla criminalità; quando i più bassi livelli retributivi del mercato del lavoro crollano ulteriormente, perchè i datori di lavoro ci sguazzano in questa super offerta di manodopera; quando succede tutto quello che è successo nel nostro Paese è molto più probabile che esplodano le reazioni razziste. Ma allora chi sono i fomentatori (consapevoli o meno) di questi rigurgiti razzisti: quelli che invocano legge ed ordine e chiedono un giro di vite, o quelli che vogliono lasciare le porte spalancate per continuare ad accogliere tutti? Chi ci aiuta a tenere il lupo a museruola e chi lo aizza a scatenarsi?




OGGI ABDUL, IERI TOMMASOLI

 Abdul Salama Guibre, cittadinanza italiana nato nel Burkina Faso, aveva la pelle nera ed è stato massacrato per aver rubato un paio di biscotti. Il veronese Nicola Tommasoli aveva la pelle bianca ed è stato massacrato per non aver offerto una sigaretta. Vale la perna di ricordarlo a quanti, come iene, hanno subito azzannato la tragedia di Milano per lanciare l’accusa di razzismo: si muore per il più futile dei motivi (il parcheggio, un litigio in discoteca, lo scippo di 100 euro) che innesca aggressività e violenza bestiali, a prescindere dal colore della pelle.

I carnefici di Tommasoli erano vicini all’estrema destra e non mancò il tentativo di trovare una matrice politica al massacro. Movente che però i magistrati hanno escluso; così come il pm di milano oggi ha contestato l’omicidio volontario di Abdul ma senza l’aggravante dell’odio razziale. Già ieri però, senza nemmeno aspettare i primi riscontri, il leader di Rifondazione Paolo Ferrero aveva sentenziato definendolo “un intollerabile atto di razzismo” collegato alle “campagne xenofobe e razziste” della Lega. Ed anche l’ex segretario Ds Piero Fassino non aveva esisitato a parlare di “un clima di intolleranza e di odio in cui ogni orrore può accadere”.

Non voglio nemmeno escludere che padre e figlio titolari del furgone bar, entrambi pregiudicati, una volta arrivati allo scontro e alle sprangate possano aver gridato “sporchi negri” in faccia ad Abdul e ai suoi amici (come riferirebbero alcuni testimoni). Ma non è stato il colore della pelle il fattore scatenante della rissa, bensì l’idea di aver subito il furto di qualche dolcetto. Così come si arriva alla follia di uccidere perchè qualcuno ha osato parcheggiare al mio posto o rivolgere un complimento alla mia ragazza o negarmi una sigaretta. Il “clima di intolleranza e di odio”, le “campagne xenofobe e razziste” – quando sono sul serio la causa scatenante – generano fenomeni ben diversi: squadre e squadracce che a freddo partono e vanno a pestare a morte il primo negro che capita o il primo ebreo o il primo avversario politico.

Stabilire poi una correlazione, come ha fatto Paolo Ferrero, tra l’aggressione di Milano e le parole pronunciate a Venezia dal ministro Maroni è semplicemente vergognoso. Maroni ha infatti solo ribadito l’esigenza di dare un giro di vite all’immigrazione clandestina. Esigenza condivisa da tutte le persone di buon senso a destra come a sinistra: perchè mettere un limite agli ingressi incontrollati è, al contrario, il primo rimedio contro le reazioni xenofobe e razziste che innevitabilmente si scateneranno se le porte del nostro Paese continuano a rimanere aperte a tutti. Questo governo vende fumo (federalismo) e lancia grida manzoniane (prostituzione) ma non orchestra campagne razziste.

I due che hanno massacrato Abdul per qualche biscotto rubato sono due animali. E tanto basta. Chi vuole presentarli anche come protagonisti di un’aggressione razzista rischia di diventare lui pure un animale, che sfrutta le tragedie per cercare di dimostrare i propri teoremi politici.

 

 

LA BARZELLETTA DEL “FEDERALISMO SOLIDALE”

 

Dopo decenni di annunci scocca l’ora del federalismo fiscale. Speriamo che non sia solo una barzelletta, ma c’è da temere il peggio. Per decenni il federalismo è stato la bandiera, la battaglia politica per il Nord che – si diceva – non può continuare ad essere “penalizzato” destinando troppe delle risorse che produce a finanziare l’assistenzialismo al Sud. Adesso che scocca l’ora il Nord viene quasi dimenticato, si rovesca il discorso: tutti si preoccupano, tutti rassicurano che il Sud non sarà “penalizzato”. Quindi continuerà ad avere le stesse risorse, magari qualcosa in più come garantisce il ministro La Russa nella lettera inviata al Corriere delle sera. E prendendole dove? Forse che il Sud ha cominciato a produrre risorse in più? Non risulta. Quindi continueranno ad essere prelevate al Nord: in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, in Emilia. E destinate al Sud. Ma allora, scusate, cos’è cambiato?

Secondo un tipico costume italiano è cambiato solo il nome: per quello che fin qui abbiamo chiamato “assistenzialismo” è stata trovata una denominazione più nobile: d’ora in avanti lo chiameremo “federalismo solidale”. E questa del federalismo solidale è la barzelletta più tragica. Perchè il Nord continuerà a pagare e, molto verosimilmente, si ritroverà con una pressione fiscale aggiuntiva sul groppone.

Sarei molto curioso che qualcuno dei frequentatori del blog mi spiegasse la differenza sostanziale tra federalismo solidale e assistenzialismo. Federalismo fiscale doveva significare e dovunque significa una sola cosa: il territorio che produce le risorse, grazie alla ricchezza creata dal lavoro dei suoi abitanti, ha diritto a tenersele in massima parte per avere infrastrutture più moderne, scuole migliori, una sanità d’eccellenza e via dicendo. Il territorio che produce meno risorse deve imparare a rimboccarsi le maniche e produrne di più, se non vuol scivolare nel quarto mondo. Continuare con l’assistenzialismo o col federalismo solidale serve tanto quanto serve elargire a vita al figlio una paghetta da 700 euro: gli basta per sopravvivere e non si metterà mai a lavorare.

Che andasse a finire in barzelletta lo aveva vaticinato, col suo solito tono caustico, Massimo D’Alema osservando che, se si vuole dare maggiori risorse al Nord senza penalizzare il Sud, “o arrivano nuove tasse o arriva il mago Zurlì…”. Logica difficile da contestare. Mi rendo conto che l’accostamento è pesante, ma stiamo riesumando Aldo Moro con le sue famigerate “convergenze parallele”.

Ai dubbiosi ricordo le parole di Silvio Berlusconi riportate dal Corriere della sera. Il premier ha dato un preciso mandato al ministro per gli affari regionali, il forzista Fitto, affinchè concludesse la trattativa con la Lega con il seguente risultato: “Ti do carta bianca per trattare, ma tu devi portarmi un testo che sia equilibrato, che preveda un federalismo solidale per il Sud…Perchè io non ci sto a perdere un solo voto al Sud”. Also sprach Berlusconi. Ma, senza perdere voti al Sud, temo si facciano solo barzelette, non federalismo fiscale. Nello stesso tempo si intravvade una soluzione: forse bisogna che Berlusconi perda più voti al Nord…Forse quelli già persi l’aprile scorso in Veneto non bastano…

In conclusione: arriva il federalismo o arrivano nuove tasse? E, se arrivano anzitutto barzellete, chi paga lo scotto: più la Lega o più il Pdl?