LA BARZELLETTA DEL “FEDERALISMO SOLIDALE”

 

Dopo decenni di annunci scocca l’ora del federalismo fiscale. Speriamo che non sia solo una barzelletta, ma c’è da temere il peggio. Per decenni il federalismo è stato la bandiera, la battaglia politica per il Nord che – si diceva – non può continuare ad essere “penalizzato” destinando troppe delle risorse che produce a finanziare l’assistenzialismo al Sud. Adesso che scocca l’ora il Nord viene quasi dimenticato, si rovesca il discorso: tutti si preoccupano, tutti rassicurano che il Sud non sarà “penalizzato”. Quindi continuerà ad avere le stesse risorse, magari qualcosa in più come garantisce il ministro La Russa nella lettera inviata al Corriere delle sera. E prendendole dove? Forse che il Sud ha cominciato a produrre risorse in più? Non risulta. Quindi continueranno ad essere prelevate al Nord: in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, in Emilia. E destinate al Sud. Ma allora, scusate, cos’è cambiato?

Secondo un tipico costume italiano è cambiato solo il nome: per quello che fin qui abbiamo chiamato “assistenzialismo” è stata trovata una denominazione più nobile: d’ora in avanti lo chiameremo “federalismo solidale”. E questa del federalismo solidale è la barzelletta più tragica. Perchè il Nord continuerà a pagare e, molto verosimilmente, si ritroverà con una pressione fiscale aggiuntiva sul groppone.

Sarei molto curioso che qualcuno dei frequentatori del blog mi spiegasse la differenza sostanziale tra federalismo solidale e assistenzialismo. Federalismo fiscale doveva significare e dovunque significa una sola cosa: il territorio che produce le risorse, grazie alla ricchezza creata dal lavoro dei suoi abitanti, ha diritto a tenersele in massima parte per avere infrastrutture più moderne, scuole migliori, una sanità d’eccellenza e via dicendo. Il territorio che produce meno risorse deve imparare a rimboccarsi le maniche e produrne di più, se non vuol scivolare nel quarto mondo. Continuare con l’assistenzialismo o col federalismo solidale serve tanto quanto serve elargire a vita al figlio una paghetta da 700 euro: gli basta per sopravvivere e non si metterà mai a lavorare.

Che andasse a finire in barzelletta lo aveva vaticinato, col suo solito tono caustico, Massimo D’Alema osservando che, se si vuole dare maggiori risorse al Nord senza penalizzare il Sud, “o arrivano nuove tasse o arriva il mago Zurlì…”. Logica difficile da contestare. Mi rendo conto che l’accostamento è pesante, ma stiamo riesumando Aldo Moro con le sue famigerate “convergenze parallele”.

Ai dubbiosi ricordo le parole di Silvio Berlusconi riportate dal Corriere della sera. Il premier ha dato un preciso mandato al ministro per gli affari regionali, il forzista Fitto, affinchè concludesse la trattativa con la Lega con il seguente risultato: “Ti do carta bianca per trattare, ma tu devi portarmi un testo che sia equilibrato, che preveda un federalismo solidale per il Sud…Perchè io non ci sto a perdere un solo voto al Sud”. Also sprach Berlusconi. Ma, senza perdere voti al Sud, temo si facciano solo barzelette, non federalismo fiscale. Nello stesso tempo si intravvade una soluzione: forse bisogna che Berlusconi perda più voti al Nord…Forse quelli già persi l’aprile scorso in Veneto non bastano…

In conclusione: arriva il federalismo o arrivano nuove tasse? E, se arrivano anzitutto barzellete, chi paga lo scotto: più la Lega o più il Pdl?

MORTI DI SALO’ E MALE ASSOLUTO

 

 

I morti di Salò sono morti 60 e più anni fa. Adesso c’è La Russa che vorrebbe restituire loro l’onore, e c’è Napolitano che replica diicendo che gli eroi veri furono quelli che andarono in montagna e non a Salò. Tanto interessante quanto appassionante. Di certo non meritano alcun onore coloro che riesumano a sessant’anni di distanza lo scontro ideologico a scopi puramente strumentali. Un discorso serio andava fatto decenni fa e doveva, appunto, essere serio: perchè la vera secessione in atto dal dopoguerra nel nostro Paese è la mancanza di una memoria e di un giudizio condiviso su quegli avveimenti che nel modo più tragico spaccarono in due gli italiani.

Oggi è troppo tardi, oggi è tutto solo strumentale: La Russa e Alemanno che riscoprono un pezzetto di radici fasciste un po’ perchè temono di finire inglobati senz’anima nel Pdb (Partito di Berlusconi) un po’ perchè si sentono scavalcati a destra da Storace; dall’altro lato un centrosinistra in confusione, incapace di fare opposizione, si aggrappa al frustro simulacro dell’antifascismo sperando di aver trovato almeno un collante contro il Cavaliere Nero. E’ patetico un Veltroni che abbandona il museo della shoah come protesta perchè Alemanno ha negato che il fascismo sia “male assoluto” riservando questa definizione solo alle leggi razziali.

Più patetico ancora Gianfranco Fini che, qualche anno fa in Israele alla ricerca di non si sa quale verginità, definì lui per primo così il fascismo. Definizione ridicola perchè un Paese da operetta come il nostro non poteva che dar vita (per fortuna, in questo caso) ad una dittatura da operetta, nemmeno lontana parente del nazismo o del comunismo quanto a sistematica e spietata pianificazione dello sterminio. Anche le dittature da operetta contemplano violenze, omicidi di Stato, negazione della libertà. Ma solo un “mona assoluto” può ignorare la differenza tra una dittatura da operetta che mandava gli oppositori al confino a Ponza e una dittatura “seria” che ne ha sterminati a milioni nei lager o nei gulag. (senza aggiungere che le definizioni apocalittiche sono sbagliate anche nei confronti di nazismo e comunismo che comunque andrebbero analizzati in chiaroscuro)

Con l’aggravante, tornando a Fini, di sputare sulle proprie radici. Da questo punto di vista i post comunisti hanno più dignità di lui. Perchè hanno preso le distanze dal comunismo, conoscono tutto il fallimento della loro vecchia ideologia di appartenenza, hanno voltato pagina, ma hanno conservato anche quel minimo di rispetto per la propria storia che impedisce loro di definire il comunismo “male assoluto”. (Che poi cosa ha ottenuto Fini mostrandosi così zelante? A cosa gli è servito rompere col passato e rifarsi una verginità antifascista: a farsi inglobare meglio nel Pdl?…)

Per concludere guardate come vanno via leggeri i leghisti: non devono portarsi sulle spalle il fardello di alcun passato, non hanno bisogno di dichiararsi né antifascisti né anticomunisti, non tediano i cittadini con gli ideologismi strumentali e, forse anche per questo, volano nell’urna elettorale.

DOVE IL FEDERALISMO? NEL “BOFICE”!

 

La bozza del federalismo fiscale che sta elaborando il ministro Calderoli è quantomeno inquietante, nel senso che è un elenco di nuove tasse, che si aggiungono a quelle vecchie col restyling del nome: appena abolita l’Ici torna la tassa sugli immobili per i comuni che avranno anche la l’imposta di scopo (della serie: c’è da fare un parcheggio in centro? Prendo i soldi dalle tasche dei cittadini allo scopo di costruirlo), nuova tassa unica per le Province che riunisce e arrotonda quelle precedenti, le Regioni oltre all’irap avranno anche l’iva sui consumi. Un federalismo che inneggia alla “nuova autonomia impositiva” degli enti locali (della serie: che bello! Oltre a Roma adesso “ne ciucia el sangue” anche Venezia, Padova, Verona, Isola Rizza…)

La attendevamo da anni questa benedetta riforma e ora il federalismo fiscale ci arriva…nel “bofice”: nel senso che saremo noi cittadini del Nord a pagarlo. Più tasse per tutti. Federalismo doveva significare trattenere più risorse nel territorio che più ne produce, con queste risorse garantire servizi migliori ai cittadini con meno sprechi e quindi ridurre ai cittadini stessi la pressione fiscale, non certo aumentarla. Invece, non ce lo dicono esplicitamente, ma è ormai chiaro cosa accadrà: le risorse dei veneti continuaranno come sempre a finanziare l’assistenzialismo al Sud e, se i veneti vorranno qualcosa in più, i loro amministratori saranno liberi di dargliela prelevando soldi aggiuntivi dalle tasche dei veneti stessi.

Amara verità. Ma non poteva che finire così. Perchè puoi sollevare quanti polveroni vuoi, discutendo di millanta modelli diversi di federalismo, ma alla fine non puoi eludere il conto della serva sul quale si fonda qualunque federalismo vero: se destino più risorse da una parte, devo lasciarne meno dall’altra. Se sostengo, come fa la Lega, che il Veneto, la Lombardia, la Padania in genere hanno diritto a trattenere più risorse, devo però aggungere che, di conseguenza, la Campania, la Calabria, la Sicilia, il Sud in genere ne avranno di meno (oppure dovrei essere Cristo capace di moltiplicare pani e pesci). Ma è questa dichiarazione esplicita che Calderoli e la Lega non hanno coraggio di fare. E’ questo conto della serva chiaro e semplice che non osano quantificare.

Vanno anche capiti nella loro reticenza. Sanno infatti benissimo, come lo sappiamo tutti noi, che nel momento stesso in cui annunci e attui tagli all’assistenzialismo in quel momento al Sud scoppia la rivolta. La guerra civile non la vuole nessuno e quindi nessuno intende seriamente attuare una vera riforma federalista nel nostro Paese. Scelta perfetta e responsabile. Bisognerebbe però, quantomeno, avere l’onestà di spiegarlo ai cittadini del Veneto e della Lombardia; invece che continuare a prenderli in giro con l’annuncio di un federalismo prossimo venturo che, se arriverà, ci arriverà solo nel “bofice”; cioè con tasse in più da pagare.

 



E DAGLI CON L’ALIBI DELLA CAMORRA

 Il capo della polizia Antonio Manganelli, deve ritenere che noi cittadini siamo tutti affetti da alzheimer: nel giro di pochi mesi e nello stesso luogo ci ripropone infatti l’identica menata, l’identico alibi della camorra; puntando sul fatto che abbiamo già completamente dimenticato la vicenda rifiuti; e che quindi lo stesso alibi valga a oggi a giustificare l’incapacità di fronteggiare i tifosi guappi, così come ieri era servito a giustificare l’incapacità di togliere la ‘monnezza dalle strade.

Un governo determinato a ripulire Napoli e la Campania ci ha dimostrato che, se anche la camorra esiste (fatto questo incontestabile) è ugualmente possibile eliminare i rifiuti. Aggiungo che, prima ancora del governo di centrodestra, anche un sindaco serio di centrosinistra come quello di Salerno, Vincenzo De Luca, lo aveva già fatto nel suo comune e detto: denunciando cioè il ricorso all’alibi della camorra per mascherare l’incapacità o la mancanza di volontà di intervenire.

Di fronte alla vergognosa dichiarazione del capo della polizia anche il ministro della difesa La Russa – a botta calda – aveva sostenuto che tirar fuori la camorra è solo un alibi, ma poi ha fatto retromarcia e si è riallineato; secondo la miglior tradizione dei ministri democristiani di un tempo…Quanto a Manganelli, se solo facesse onore al suo cognome, saprebbe che il maganello è utile ed efficace tanto se sei noto camorrista quanto se sei incensurato. Bisogna però avere il coraggio di usarlo, questo è il punto vero. Come mai manca il coraggio di usarlo? Come mai i poliziotti sono ridotti ad indossare la cuffietta delle crocerossine? Perchè i loro dirigenti, da bravi burocrati, sono attenti anzitutto a fiutare da che parte tira il vento e non vogliono ritrovarsi a comandare i vigli urbani di Oristano. Per decenni i capi della nostra polizia hanno temuto un solo insulto: fascista! Essere bollati cosi, vanire accusati di aver diretto una “polizia fascista”, significava fine certa della carriera. E così hanno messo dei fiori al posto dei manganelli, hanno mandato i loro agenti a prenderle invece che a darle. Ignorando sistematicamente che, di fronte alla violazione dell’ordine pubblico da parte dei facinorosi tanto del calcio quanto della politica, questo è il compito primario ed istituzionale della polizia: darle.

Quindi, tornando alla turba di facinorosi che domenica ha dato l’assalto a treno, poco importa che tra di loro ci fosse uno, cento o nessun camorrista: andavano dispersi a colpi di sfollagente. Ma prefetto e questore di Napoli (sentiti i suoperiori, cioè Manganelli) non hanno osato farlo. Anche perchè, comprensibilmente dal loro punto di vista, hanno un’immagine indelebile davanti agli occhi: la brutta fine fatta dai propri colleghi che al G8 di Genova diedero l’ordine di pestare i guappi della politica…E qui capiamo anche qual’è la priorità per il governo e il ministro Maroni: rassicurare i vari Manganelli che non rischiano più di finire ad Oristano. In certe circostanze, come in risposta alla turba di guappi che da l’assalto al treno, se ti danno della “polizia fascista” significa solo che…hai fatto il tuo dovere.


 


LA GOMORRA DEL PALLONE INSEGNA…

 

Puntualmente sono già stati scarcerati i pochi fermati del branco protagonista della “Gomorra del pallone”: cioè dell’assalto al treno alla stazione di Napoli e poi allo stadio Olimpico di Roma. Decisione “perfetta”, la scarcerazione immediata, per confermarli nella certezza dell’impunità e quindi per mettere questi guappi e i tanti loro simili nella condizione di perpetrare la violenza all’infinito. “Perfetta” anche la motivazione addotta il giorno prima dai responsabili delle forze dell’ordine che hanno assistito immobili ed anzi accompagnato il duplice assalto: “Non siamo intervenuti per evitare il peggio”. Imbecilli: è proprio non intervenendo che si crea il peggio, altrochè evitarlo. Quando lasci che venga occupato un edificio e creato un centro sociale – e non intervieni subito a sgombrarlo per paura degli scontri e delle critiche, e non denunci e non fai condannare al piu presto tutti gli occupanti – succederà che questi andranno ad occupare le case pubbliche e pretenderanno di decidere loro a chi assegnarle; pretenderanno di essere loro a stabilire chi può manifestare perchè “democratico” e chi no; si sentiranno sempre più i padroni delle città. Di peggio in peggio, come accaduto a Padova, a Venezia, a Bologna, a Roma (anche con i centri sociali della destra). E lo stesso vale con i guappi delle varie tifoserie: dovevano essere randellati subito, dovevano subire condanne esemplari. Invece, “per evitare il peggio”, si resta a guardare mentre agiscono indisturbati e sempre più tracotanti.

Oso ricordare che chi dirottò un traghetto, in modo soft senza né minacce né violenze, per andare a protestare sul campanile di San Marco, fu condannato ad anni di carcere. La turba dei guappi napoletani ha dato l’assalto ad un treno, se ne è impossessata terrorizzando e minacciando i passeggeri, pestando i ferrovieri, a Roma è salita su quattro autobus (messi premurosamente a loro disposizione, come si fa con i rapinatori di banca che minacciano di uccidere gli ostaggi se non hanno garantita la fuga), ha dato l’assalto allo stadio sfondando i cancelli ed andando a prendere posto dove voleva. Su centocinquanta circa ne sono stati fermati sei e subito rilasciati. Possiamo chiedere che tutti e centocinquanta vengano trattati minimo come i Serenissimi?

Come dimostra la vicenda inglese degli hooligans, un Paese serio riesce a riportare alla civiltà in poco tempo e in via definitiva questi animali. Bisogna colpire col pugno di ferro anzitutto i loro complici, cioè le società calcistiche; colpirle duro nel portafoglio; quando invece continuiamo a foraggiarle con sconti e dilazioni fiscali o con diritti televisivi garantiti dalla Tv di stato, cioè dalla politica. Un presidente come De Laurentis, che si è detto dispiaciuto per i disagi subiti dai suoi tifosi guappi, va radiato a vita dal mondo del calcio. E poi bisogna usare il pugno di ferro con i protagonisti della violenza. Usarlo subito e con la massima decisione, perchè solo così si evita il peggio.

Un Paese serio, dicevo. Ma il problema è tutto qui: non siamo un Paese serio. Non abbiamo uno Stato capace di garantire la sicurezza ed i diritti dei cittadini (nemmeno dei passeggeri di Trenitalia). Adesso che parliamo di guappi, di Gomorra del pallone, cioè dei nostri violenti, e non di rom né di romeni né di magrebini, possiamo finalmente capirlo invece che nascondere tutto dietro la cortina fumogena del razzismo: siamo un Paese impotente, incapace di fronteggiare qualsiasi emergenza di ordine pubblico, sia straniera che italiana. Ed è naturale che un Paese, che non riesce a mettere in riga nemmeno i guappi del calcio, oltre che essere storiamente in balia delle mafie, diventi la terra d’elezione della feccia dei quattro continenti. Feccia che, ovviamente, evita la concorrenza e quindi si installa di preferenza nelle regioni non controllate dalle mafie, cioè al Nord e al Centro.

Si capisce così quanto poco senso abbia fare i confronti statistici e dire che la Germania ha milioni di immigrati in più, che in Svizzera sono già il 20%. Dimenticando di aggiungere che questi sono Paesi seri, dove è impensabile che una banda di ultràs si impossessi impunemente di un treno. In Germania possono vivere 4-5milioni di turchi, perchè vivono da tedeschi nel rispetto delle leggi. Da noi bastano cento magrebini o centocinquanta guappi per metterci alla corda.

 

GLI AVANGUARDISTI DELL’ISLAM

 

Giusto qualche giorno fa, nel blog precedente, esprimevo la speranza che non ci costringano a diventare fondamentalasti. Speranza vana perchè sono già in azione i nostri “avanguardisti dell’Islam”, come ci dimostra quanto accaduto al museo veneziano di Ca’ Rezzonico dopo che un guardiano si era permesso di ricordare ad una donna mussulmana con indosso il niqab (il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi) che – regolamento alla mano – “non è consentito l’ingresso a viso coperto”.

Sorprendete, e significativa, è stata già la reazione della donna velata che ha protestato vivacemente (ce la immaginiamo una donna occidentale che protesta perchè a Riad le dicono di togliersi la croce dal collo? Obbedire e in silenzio…). Ma cioè che lascia allibiti è la pronta discesa in campo dei nostri avanguardisti islamici. A cominciare dal direttore di Ca’ Rezzonico, Filippo (Mohamed?) Pedrocco che definisce l’azione del guardiano “un fatto sgradevole, discriminatorio e stupido non condiviso né da me personalmente né dal resto della direzione dei musei civici” e preannuncia che “prenderemo i provvedimenti necessari nei confronti del guardiasala”. Capito? Nel nostro Paese puoi rubare tranquillamente lo stipendio, fingendo di lavorare, e nessuno ti dice nulla. Ma, se osi ricordare ad una donna mussulmana ciò che prevede il regolamento dei muesei veneziani, ti definiscono subito razzista e stupido, e minimo ti arriva una punizione e magari anche il licenziamento da parte del solerte avanguardista islamico che dirige il museo.

Avanguardisti islamici sono poi quei mezzi d’informazione che, da un episodio che dovrebbe appartenere alla normale prassi quotidiana, passando quindi inosservato, hanno invece montato il caso. Emuli delle nostre fanciulline della televisione di stato. Le ricordate le varie Lilli Gruber, inviate a Bagdad o in altri Paesi islamici, che puntualmente vanno in vidio con il velo in testa? Nessuno impone loro di metterselo, è una loro libera scelta, a loro piace ammiccare, far capire da che parte stanno…Insomma è un esempio tipico di “fellatio non petita” al fondamentalismo.

Tra i nostri avanguardisti islamici va annoverato lo stesso sindaco di Venezia Massimo Cacciari che – al solito molto liberal- ha sentenziato: “ognuno si vesta come vuole!” (Magari andrò a rovarlo in mutande nel suo ufficio a Ca’ Farsetti perchè mi confermi di persona l’assunto…). Ma qui non è questione di essere né liberal né tolleranti. E’ fuori luogo invocare la reciprocità tra Stati, e quindi sostenere che noi concederemo in Italia la libertà di culto agli islamici solo quando loro l’avranno garantita ai cristiani nei loro Paesi. Però, se non vogliamo diventare dei coglioni integrali, dobbiamo almeno pretendere il rispetto reciproco qui, nel nostro Paese, a casa nostra. E non accettare – come denunciava Oriana Fallaci – che il Battistero della sua Firenze venga lordato di urina ed escrementi. E non accettare supinamente che nelle nostre città – non a Teheran né ad Istambul – le chiese debbano essere sprangate e protette per evitare il saccheggio sistematico. Non sono una persona particolarmente pia, ma una volta, nella mia città e altrove, mi piaceva mettere il naso nelle chiese: respirare l’atmosfera, guardare un affresco o gli arredi. E potevo farlo a tutte le ore. Oggi è impossibile: sono tutte e sempre sprangate, tolto l’orario delle messe, per evitare che portino via tutto pestando anche i sacerdoti che tentassero di opporsi.

E mentre a Verona, a Padova, a Venezia i nostri luoghi di culto sono costantemente sotto assedio – nell’indifferenza dei mezzi d’informazione – il problema, lo scandalo, l’emblema dell’intelloranza religiosa e della discriminazione, sarebbe che un guardiano abbia chiesto ad una donna islamica di scoprire il volto se vuole entrare in un museo!? Qui non è questione di essere liberal: è questione di non essere “coglional”, come i nostri avanguardisti islamici, come Filippo (Mohamed) Pedrocco.

 

 

ALEMANNO, SINDACO DI BAGDAD?

 

Roma come Bagdad. Dopo l’aggressione subita da una coppia di cicloturisti olandesi, massacrati di botte da due rumeni e lei anche stuprata, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha sostenuto che se l’erano andata a cercare, nel senso che avevano campeggiato in un posto pericoloso. L’infelice affermazione di Alemanno mi ha fatto ricordare il sequestro di Giuliana Sgrena: anche in quel caso si disse che la giornalista del Manifesto se l’era cercata, nel senso che si era recata in una zona della città notoriamete a rischio rapimenti e per incontrare personaggi altrettanto notoriamente collegati alla pratica del sequestro di cittadini occidentali.

L’accusa alla Sgrena poteva starci perchè Bagdad è, e soprattutto era allora, la città forse più pericolosa del mondo. Ma Alemanno non è il sindaco di Bagdad: è il sindaco di una grande capitale del mondo civile, culla della cristianità; città che non è teatro di guerra; e dove due turisti stranieri, che campeggiano abusivamente, possono ipotizzare al massimo di venire multati; ma non certo massacrati e stuprati da “belve” che girano indisturbate. Anche la povera Giovanna Reggiani scese ad una stazione e in una zona periferica degradata. Ma cosa avremmo detto se l’allora sindaco Veltroni avesse sostenuto che se l’era andata a cercare? Cosa avrebbe detto Alemanno da esponente dell’opposizione?

Veltroni allora affermò che bisognava mettere in gabbia “le belve” e rispedirle di corsa a casa loro. Sembrava quasi quello che dovrebbe essere un Alemanno, cioè un esponente della destra legge ed ordine. L’attuale sindaco di Roma sembra invece il clichè di un Veltroni, convinto cioè che il degrado si combatta con le chiacchiere o con le commissioni Attali; teso a scimiottare Obama o Sarkozy, come sempre scimiottano coloro che hanno complessi di inferiorità politico-culturale.

Anche le nostre città venete presentano zone degradate, dove è rischioso circolare, dove i cittadini a ragione non ci vanno più o ci vanno malvolentieri. Ovviamente non ci basta che i nostri sindaci mettano tanti bei cartelli col segnale di pericolo: vogliamo che facciano tutto il possibile per combattare il degrado e renderle nuovamente sicure ed agibili per tutti. Questo vale a maggior ragione per Roma e per i romani che hanno scelto Alemanno sperando nella svolta. Non certo per sentirsi dire che la loro città è ridotta come Bagdad.

 

 

LIBERTA’ FEDERALISMO E TRADIMENTI

 Corrado, nel blog precedente, ha fatto un’osservazione che trovo fondamentale e che trasferisco qui per poterla analizzare e discutere. Corrado sostiene che non solo l’aumento spaventoso dei pubblici dipendenti rispetto agli anni Sessanta non ha garantito ai cittadini nuovi servizi reali, ma inoltre – aggiunge – “tutto questo si traduce quasi sistematicamente in una riduzione delle libertà personali”. Concordo in pieno, trovo questa osservazione fondamentale anche per la scelta del modello politico preferibile: il numero eccessivo di statali non solo costa uno spropoposito, non solo non produce servizi aggiuntivi apprezzabili per i cittadini ma – soprattutto – limita sempre più pesatemente la loro libertà. Per il semplice motivo che uno stato sempre più pesante interferisce in maniera sempre più pesante (ed indedita, e del tutto inutile) nella vita del cittadino.

Questo vale anche là dove la pubblica aministrazione ha un’efficienza imparagonabile alla nostra pubblica amministrazione borbonica (anche in Veneto): penso alla Germania o alla Francia. Perchè in ogni caso il modello statalista, o socialista, o socialdemocratico, che chiamar si voglia, è penalizzante e diseducativo per l’individuo. Nel senso che presume un cittadino di serie B, una specie di figlio minorato che non cresce, che non matura, che tale resta per tutta la vita e che quindi – come recita

la formula classica del welfare socialdemocratico – ha bisogno di essere assistito “dalla culla alla tomba”. A questo cittadino, che consideri un minorato irrecuperabile, non puoi dare i soldi in mano perchè li spepererebbe in maniera irresponsabile; e quindi devi essere tu Stato a trattenerteli, con una tassazione pesante, per garantirgli la pensione, la sanità, le assistenze e i servizi vari. Mi sembra chiaro che la più grave di tutte le limitazioni della propria libertà è essere trattato dallo Stato come un minorato.

Senza aggiungere che un modello socialdemocratico degradato in salsa italiana procura anche le risorse che consentono di vivere di politica a quel numero spropositato di persone che, solo nel nostro Paese, vivono appunto di politica. (Cominciamo a tagliare la trippa, cioè le risorse che finiscono nella casse pubbliche, e cominceranno a calare anche i gatti…)

All’opposto il modello liberale si pone l’obiettivo di far crescere l’individuo, di renderlo adulto e responsabile. Gli procuri un’educazione iniziale, ma poi vuoi e credi che sia in grado di autogestirsi; e quindi gli lasci anche in mano i soldi perchè sia lui a scegliersi e pagarsi un fondo pensione piuttosto che un’assicurazione sanitaria. Non solo eviti di costruire baracconi pubblici inutili e dispendiosi come l’Inps, ma soprattutto valorizzi la persona, la fai crescere anche esponendola ai rischi che sempre comporta un’assunzione di responsabilità. Mentre col modello statalista-socialdemocratico magari la tuteli di più ma proprio perchè la condanni ad essere perennemente sotto tutela.

La scelta tra modello liberale o statalista è fondamentale. Tanto che è secondaria perfino la riforma federalista se prima non abbiamo chiarito quale federalismo andiamo a costruire: quello liberale o quello statalista? La mia paura cioè è che gli amministratori locali di regione e comuni, messi dalla riforma federalista nella condizione di trattanere più risorse nel territorio, utilizzino queste risorse per appesantire la loro macchina amministrativa (federalismo statalista) quando invece è necessario alleggerirla (federalismo liberale). Il sindaco di Verona Flavio Tosi denuncia spesso la scandalosa situazione del comune di Napoli che, percentuamente al numero di abitanti, ha dieci volte i dipendenti del comune di Verona. Perfetto. Purchè da un alto e un basso non ne esca quella via di mezzo che trasformerebbe Verona in una mezza Napoli…Per essere chiari fino in fondo: non solo va falcidiato il numero dei comunali di Napoli ma va ridotto anche quello di Verona, che è comunque già inutilmente sovrabbondante; altrimenti andiamo a realizzare il federalismo statalista.

Ultima considerazione dedicata al tradimento consumato in questi mesi dal duo Berlusconi-Tremonti: più soldi in tasca sono la condizione fondamentale perchè il cittadino possa esercitare la propria libertà. Se non glieli restituisci lo lasci in balia dello statalismo, lo consideri un minorato da tenere sotto tutela. Senza la riduzione delle tasse non c’è né libertà né Popolo della Libertà. Berlusconi la libertà l’aveva fatta intravvedere nel 2001 quando promise (senza mantenere) che avrebbe fatto scendere l’aliquota massima al 33%. Oggi invece col suo ministro Tremonti ha dichiarato che le tasse non scendono e non scenderanno nemmeno nei prossimi anni: questo è il tradimento della libertà. Un governo che mantiene la pressione fiscale allo stesso livello del governo Prodi (43%) non è espressione del Popolo della Libertà ma di un “Popolo dello Statalismo”.

 

IL SINDACATO DEI NON LAVORATORI

 

 

Un sindacato che difende i fannulloni che, di fronte agli otto ferrovieri licenziati a Genova perchè beccati a farsi timbrare il cartellino da un collega, promuove e organizza addirittura il boicotaggio del trasporto ferroviario: questo è ancora il sindacato dei lavoratori o è diventato invece il sindacato dei non lavoratori? Sto parlando della Cgil, non di un Cobas qualsiasi, non di un sindacatino autonomo che per definizione vive difendendo le posizioni più estreme e residuali. Ma, appunto, di un grande sindacato che, essendo tale, dovrebbe farsi carico del comune sentire della maggioranza dei lavoratori stessi; se non vuole diventare sempre più marginale, sempre più sorpassato.

Mi pare che oggi la larga maggioranza dei lavoratori non accetti più certe forme spudorate di assentiesmo. Non è Brunetta, sono loro per primi che vogliono farla finita con i fannulloni. E non parlo solo dei dipendenti del settore privato, sempre più esacerbati dal confronto con i privilegi di cui godono i dipendenti pubblici. Gli stessi statali sentono che certe situazioni sono insostenibili ed indifendibili. E così la Cgil rischia di rappresentare solo i non lavoratori, cioè i fannulloni.

Un sindacato serio – al limite – può fare una trattativa sottobanco con l’azienda ferrovie per tutelare in qualche modo gli otto (magari ottenendo un silenzioso reintegro), ma non può difenderli ufficialmente; una difesa che – a tutti gli effetti – equivale a negare che esistano fannulloni e assenteisti. Cioè a negare la realtà.

Dieci anni fa anche certi sindaci negavano la realtà, cioè sostenevano che il problema sicurezza era una “percezione” o una montatura della destra politica. Adesso anche i sindaci di centrosinistra sono diventati “sceriffi”, nessuno più nega l’esistenza del problema e tutti sono impegnati a rassicurare concretamente i cittadini. Solo qualche esponente di Rifondazione nega ancora la realtà e continua a parlare di “montatura della destra”: questi rifondaroli sono i Cobas della politica. Ma la Cgil è diventata anche lei un Cobas o vuole continuare ad essere un grande sindacato di massa?

 

 

ETICHETTE, ACCATTONI E RAZZISMO

 Dopo qualche giorno di latitanza per ferie, riprendo con una nuova opinione per rispondere e rilanciare ai tanti commenti arrivati sull’ultimo tema dell’accattonaggio.

Cominciamo con le etichette che ad alcuni piace tanto appiccicare. Se dialogando con voi continuassi a bollarvi come “comunisti” o “fascisti” o “leghisti”, cosa pensereste? Magari che ho pochi argomenti e per questo mi rifugio nello stereotipo; o forse che voglio eludere il merito, cioè il confronto con la sostanza delle vostre opinioni; o magari che ho un’ossessione alla Berlusconi il quale – notoriamente – vede comunisti dovunque…Non capisco dunque perchè una persona intelligente e piena di argomenti, come ad esempio Renzo, non sappia rinunciare al gusto dell’etichetta: devo forse pensare che, un po’ alla Berlusconi, anche lui vede, non comunisti, ma leghisti dappertutto?…Scherzi a parte, questo ricorso alle etichette mi sembra elusivo: perchè un’opinione va valutata per la sua sensatezza o meno, perchè ha una logica, perchè sta in piedi oppure no. Ma non perchè è fascista o leghista o comunista o tardodemocristiana. E, in ogni caso, anche quando la hai bollata con lo stereotipo ideologico o partitico, resta tutto da dimostrare se quella opinione sia valida oppure no.

Tornando al merito della questione elemosina, è evidente che vi sono sfruttatori e sfruttati. Ma la questione cruciale è che esiste anche una terza categoria: quella dei “bauchi” i quali, facendo la carità, forniscono il carburante che fa funzionare l’intero meccanismo; cioè consentono agli sfruttatori di fare lauti guadagni sulla pelle degli sfruttati. Provo ad aggiungere un parallelismo: chi fa la carità produce un effetto molto simile a chi va a puttane; anche i clienti delle lucciole forniscono infatti il carburante che garantisce il lauto guadagno dei papponi e lo sfruttamento delle prostitute, di quelle consenzienti e peggio ancora di quelle schiavizzate. Aggiungiamoci anche una differenza: c’è chi paga per ottenere un appagamento sessuale e chi elargisce per ottenerne uno “spirituale”, cioè per sentirsi buono e sensibile di fronte alla miseria altrui.

Qualche considerazione in fine su questa autentica ossessione razzista che riesce ad intruffolarsi anche quando stiamo discutendo di accattonaggio. Trovo vergognoso confondere i peti con le trombe d’aria. C’è stato e c’è un fenomeno spaventoso, di una drammaticità senza pari, che ha portato e porta allo sterminio di milioni di persone in nome della presunta superiorità razziale (o ideologica o religiosa). Questo è il razzismo. Confonderlo con alcune reazioni xenofobe (termine che significa paura dello straniero, non odio per lo straniero e meno che mai volontà di distruggere lo straniero) che si sono manifestate anche nelle nostre città è una autentica vergogna; anzitutto nei confronti delle vittime del razzismo vero. Questa logica porta, appunto, a confondere i peti con le trombe d’aria. E chi argomenta, che si comincia sempre così ma poi si va sempre a finire colà, non sta che spiegandoci che i peti sempre e comunque innescano le trombe d’aria. Ripeto, non nego che alcune reazioni, che alcuni discorsi xenofobi si manifestino anche nelle nostre città. Anche in una città come Verona che pure ha radici secolari di civiltà e di tolleranza, per il semplice motivo che da secoli è terra di relazioni e di incontri tra popoli diversi. Accusare Verona e i veronesi di razzismo è un delirio, significa non conoscere la loro storia; significa non capire che il modo di essere e di agire, il sentire profondo di una comunità, sono il risultato di una stratificazione secolare che può essere modificata solo da un’azione contraria altrettanto lunga: anche ammesso cioé che la Lega predicasse l’intolleranza, sarebbe solo un graffietto superficiale che non intacca l’animo profondo dei veronesi…In ogni caso ci sta che sulla stampa nazionale, che da altre regioni e città arrivi l’accusa di razzismo a Verona e ai veronesi. Ma che questa accusa venga mossa, avallata e rilanciata ad ogni piè sospinto – e con una particolare voluttà – da alcuni veronesi stessi, lo trovo davvero aberrante. Aberrante e molto più inquetante delle manifestazioni xenofobe. Non credo infatti che sia una battaglia in nome dei grandi valori della tolleranza, ma piuttosto un gusto masochistico di sputare dove si mangia, dove si è nati e dove si vive.