AGITATORI DI PROFESSIONE, SINDACI DA DISCARICA

 Ci sono ribelli di professione e sindaci degni di finire in discarica. Delle due categorie quella più pericolosa e molto più vergognosa è la seconda.

I ribelli, i fomentatori di professione sono patetici. Per loro ogni occasione è buona. Rifiuti, alta velocità o basi americane pari sono: basta che non manchi l’occasione per protestare e fomentare la ribellione popolare. Prova ne sia che a partecipare ai blocchi stradali di Chiaiano c’erano anche quelli del comitato “No Dal Molin”, e ditemi voi che c’azzecca il raddoppio della base Usa di Vicenza con l’apertura di una discarica a Napoli. C’azzecca nel senso che, appunto, tutte le occasioni sono buone per gli agitatori di professione.

Nessuno più li prenderebbe sul serio se al loro fianco, a cavalcare e fomentare la protesta dei cittadini, non trovassimo anche i sindaci. Sindaci di ogni colore politico come accaduto oggi nel napoletano, ieri in Val di Susa a bloccare i cantieri della Tav. A riprova che questi sindaci degni di finire nelle discariche della democrazia e della civiltà non li troviamo solo in Campania, ma anche in Piemonte, anche nel nostro Veneto a Vicenza dove il neo sindaco Achille Variati si sente in dovere di promettere ai suoi elettori del comitato “No Dal Molin” almeno il contentino di un referendum, fingendo di ignorare che il raddoppio della base americana è già sancito dagli accordi e dalle alleanze internazionali del nostro Paese e dalle decisioni dei nostri governi (sia Prodi che Berlusconi).

Non stiamo parlando dei Caruso, degli Agnoletto di capi e capetti dei vari comitati di protesta (i cui componenti ricordano i famosi aerei del Duce: trasmigrano da un comitato all’altro e sono sostanzialmente sempre gli stessi). Parliamo di Primi Cittadini, che sono certamente legati ai loro amministrati dal rapporto “intenso” dell’elezione diretta, ma che restano e sono anche rappresentati istituzionali di uno Stato, di un Paese della nostra Nazione. E quindi devono rappresentare anche gli interessi generale di questa nostra Nazione, non limitarsi a cavalcare il mal di pancia dei loro elettori (Anzi: parte più agitata dei loro elettori)

I sindaci dovrebbero educare al senso civico, cioè spiegare ai loro cittadini che è nel superiore interesse del nostro Paese trattare i rifiuti, realizzare l’alta velocità, rispettare gli impegni internazionali, individuare domani anche i siti per le centrali nucleari. Se non lo fanno e invece indossano i panni di Masaniello, meritano per primi di finire in discarica.

LA RIVOLTA DEI SINDACI VENETI

 La rivolta dei sindaci veneti muove all’insegna del federalismo fiscale: trattenersi alla fonte (o comunque vedersi riconsegnato dallo Stato) il 20% del gettito Irpef raccolto nel proprio territorio.

Richiesta legittima perchè rapportata alla ricchezza che i cittadini di ciascun territorio producono col loro lavoro; mentre gli attuali trasferimento dallo Stato ai comuni prescindono da questo criterio e generano palesi ingiustizie: comuni come Napoli ottengono procapite, cioè per ciascun cittadino amministrato, trasferimenti doppi rispetto a Padova e a Verona. E ci sono differenze anche tra città della stessa regione.

C’è però un nodo di fondo da sciogliere sia che si parli di questa che di una qualunque altra forma di federalismo fiscale. Il nodo si chiama conto della serva: se do più soldi a uno bisogna necessariamente che ne dia meno a un altro. Se ne do di più a Verona e Padova, devo toglierli a Napoli e a Palermo. Il governo Berlusconi-Maroni è pronto a farlo e a fronteggiare la rivolta del Mezzogiorno e delle stesse Regioni a statuto speciale del Nord?

Fingiamo che il nodo gordiano sia già sciolto e poniamoci l’interrogativo successivo: queste risorse in più che abbiamo garantito al territorio a chi le facciamo gestire, ai singoli comuni come vorrebbero i sindaci o alla Regione? L’Italia è l’Italia dei Comuni e quindi viene quasi naturale immaginare un federalismo fiscale su base municipale (la Regione è quasi un’astrazione disegnata a tavolino: quando andiamo in vacanza e conosciamo altre persone viene più immediato presentarci a loro dicendo “sono veronese, sono padovano, sono trevigiano” che non dicendo “sono veneto”…)

Un conto però è lasciare il 20% dell’Irpef ai comuni grossi, che si troverebbero con una massa finanziaria in grado di attivare diversi investimenti e servizi, mentre se la lasciamo ai tanti comunelli veneti da qualche migliaio di abitanti cosa faranno mai con quel 20% di irpef? Forse una rotonda in più (anche dove non serve)?… Penso cioè che se vogliamo programmare interventi economici di un certo respiro per il territorio, dobbiamo lasciare l’Irpef dove genera massa critica e non disperderla in mille rivoli. Dobbiamo lasciarla alla Regione o, come minimo, a quelle Provincie che oggi molti dichiarano di voler abolire e che potrebbero invece assumere un ruolo simile alle contee statunitensi.

Proviamo a ragionarci. Ed ecco anche il senso del sondaggio che proponiamo nella pagina Web. La scelta immediata sarebbe quella di lasciare i soldi del federalismo fiscale ai comuni ma se pensiamo ai compiti fondanti del sistema federalista – deve essere il territorio a gestire come minimo scuola, sanità e sicurezza – diventa arduo pensare di espletare questi compiti disperdendo le risorse tra i 581 municipi della nostra Regione.


ZAPATERO CI CONSIDERA LA SUA DISCARICA

C’è voluto qualche giorno, ma alla fine il bluff di Zapatero e dei suoi ministri è stato scoperto. Il bluff, cioè il finto sdegno progressista contro un governo italiano, xenofobo e razzista, che si appresterebbe ad organizzare espulsioni di massa di clandestini e rom. In particolare la ministra spagnola Bibiana Aido sembrava sul palco assieme a Beppe Grillo quando diceva che a Berlusconi serve uno psichiatra e che lei è pronta a pagargli le visite (a dire il vero di pagare Grillo non si sarebbe mai offerto…)

Il primo a scoprire il bluff è stato Javier Moreno direttore de El Paìs (l’equivalente spagnolo di Repubblia) che proprio intervistato da Repubblica ha spiegato come Zapatero, avendo adottato lui negli ultimi mesi misure molto più restrittive (cioè di destra) contro gli immigrati, abbia voluto rifarsi un’immagine con la sua sinistra interna sparando contro il nostro governo, contro Berlusconi e Maroni.

L’altra osservazione fondamentale per scoprire il bluff zapateriano l’ha fatta Massimo Franco sul Corriere scrivendo. “Madrid ha paura che un indurimento delle leggi da parte del governo di Roma faccia rifluire le rotte dei clandestini nel Mediterraneo di nuovo verso le coste spagnole”.

Questo è il nocciolo di tutta la faccenda. Finché la linea era quella irresponsabile-buonista-accogliente dell’ex ministro Paolo Ferrero, gran parte dei disperati dell’Africa si riversavano verso le nostre coste. Ed alla Spagna andava benissimo. Se oggi il tam tam diffonde la notizia di un giro di vite italiano c’è, dal punto di vista spagnolo, il pericolo che le rotte dei clandestini rifluiscano verso la penisola iberica; e che Zapatero sia nuovamente costretto ad ordinare di sparare come a Ceuta e Melillia o ad organizzare blocchi navali attorno alle Canarie. Sarebbe la fine dello scaricabarile verso l’Italia. Non saremmo più la sua discarica. (Avviso per i frequentatori trinaricciuti del blog: non considero i clandestini rifiuti da mandare in discarica, sottolineo come Zapatero consideri il nostro Paese discarica per i problemi spagnoli)

E noi questo, realisticamente, possiamo aspettarci dal decreto Maroni: il segnale di un giro di vite che arrivi al tam tam dell’immigrazione clandestina informandola che non accettiamo più passivamente di essere il ricettacolo dei disperati.

SINISTRA ANTICA NOSTALGICA DEL NAZISMO

 C’è una sinistra moderna capace di riconoscere i propri errori che hanno portato alla sconfitta elettorale, primo tra tutti l’aver trascurato il tema sicurezza-immigrazione. Questa sinistra ha preso atto che Berlusconi e la Lega hanno vinto perchè hanno saputo interpretare meglio le attese dei cittadini (compresa una parte di quelli che votavano a sinistra). C’è una sinistra antica che non prende atto e non fa autocritica, preferisce evocare i fantasmi del passato più tragico: pogrom, razzismo, campi di concentramento. Si inebria credendo di essere stata sconfitta nell’urna dai neonazisti: il Cavaliere nero e i leghisti.

Tale è il desiderio di evocare la resurrezione del nazismo che la intravvedono anche la dove la Lega non esiste, cioè a Napoli. E così Adriano Prosperi in prima pagina di Repubblica parla di “pogrom moderno” e di rom “in fuga davanti a popoli ebbri di sangue”… Ci sarebbe una piccola differenza da ricordare, a costo di rovinare i festeggiamenti per il ritorno del razzismo: nei pogrom storici le case venivano bruciate con dentro gli ebrei, dopo aver inchiodato le porte delle abitazioni per essere certi che morissero tra le fiamme senza alcuna via di scampo. Ad ogni pogrom le vittime erano centinaia. Gli autori erano ebbri di sangue e di corpi carbonizzati. Proprio come nei lager nazisti e comunisti.

A Ponticelli i napoletani, dopo aver subito per anni le angherie, le minacce e i crimini commessi dai rom, li hanno messi in fuga con minacce ed azioni molto persuasive; ma senza aggressioni di massa, senza pestaggi, senza ritrovarsi con le mani “grondanti di sangue”. Dopo averli messi in fuga, e solo dopo, hanno dato alle fiamme le baracche del campo nomadi per evitare che i nomadi stessi ritornassero ad abitarle.

Il metodo usato non è certo ortodosso, ma i napoletani (e i camorristi) hanno fatto esattamente quello che doveva fare lo Stato: sciogliere gli assembramenti illegali di persone che vivono di espedienti e di crimini e abbattere con le ruspe le baraccopoli. Un Paese civile ha una sola alternativa: o costruisce case decorose per alloggiare i rom e, prendendo atto che il lavoro non appartiene alla loro cultura, destina loro un minimo ( o un massimo) vitale, attingendo le risorse dalla fiscalità generale; oppure li disperde e li allontana dal proprio territorio nazionale. Ma un Paese civile non può tollerare che vivano in condizioni subumane in campi abusivi, fingendo di ignorare che le risorse economiche non possono che andare ad attingerle nelle case e nelle tasche dei cittadini.

Quanto al ruolo svolto anche in questa circostanza dalla camorra è solo la conferma di un assunto che tutti dovremmo ormai conoscere e che Luca Ricolfi ci ha ricordato anche in questi giorni: l’antistato prospera dove lo Stato non c’è; e, più lo Stato latita nella sua impotenza, più l’antistato conquista spazio e seguito.



 

 

 

ROM E GIUSTIZIA FAI DA TE

 

 

In attesa che entri in vigore il decreto sicurezza di Maroni e produca qualche effetto anche sul fronte rom, i cittadini e Napoli e non solo (pure a Novara) hanno cominciato a prendere d’assalto i campi nomadi armati di spranghe e con lancio di bottiglie molotov. Siamo alla giustizia fai de te.

L’editorialista de La Stampa, Luca Ricolfi, non si limita a denunciare il fenomeno ma aggiunge che, proprio perché è una strada sbagliata, pericolosa e che non risolve i problemi, proprio per questo dobbiamo capire cosa alimenta la giustizia fai da te. E Ricolfi non ha dubbi: la tentazione di farsi giustizia da se nasce nel cittadino esasperato perché lo Stato lo ha lasciato solo in balia dei criminali. Giunge a fare un parallelo che mi sembra perfetto: “La giustizia fai da te – scrive – come la mafia prospera dove lo Stato si ritira o non fa il suo dovere”.

Comprendere questo rapporto di causa effetto è fondamentale per non dare un giudizio distorto, per non attribuire al cittadino colpe che sono anzitutto dello Stato. Non è escluso che ci siano anche dei fanatici, persone che hanno visto troppi film di Charles Bronson e indossano i panni del “Giustiziere della notte”. Ma siamo alla psicopatologia, sono casi psichiatrici. Mentre il giudizio politico è diverso: il cittadino comune, proprio perché paga le tasse vuole il rispetto del contratto sociale, cioè vuole che sia lo Stato con leggi, forze dell’ordine e magistratura a difenderlo. Non capisce perchè dovrebbe farlo lui quando ha pagato altri per garantire la propria sicurezza. Arriva ad impugnare la spranga solo se lo Stato lo abbandona, se lo lascia in balia dei rom. E magari arriva a metterli in fuga, come fatto dai napoletani di Ponticelli, quando doveva pensarci lo Stato a tenere i nomadi lontani dalle loro case e dai loro bimbi a rischio rapimento.

Ultima considerazione sul modo equilibrato e comprensivo con cui i mezzi d’informazione nazionali hanno trattato l’assalto al campo nomadi di Ponticelli con mazze e lancio di bottiglie molotov: hanno descritto i fatti, sottolineato quanto i cittadini napoletani fossero “esasperati” e non hanno aggiunto altri commenti. Non penso che avrebbero decritto nello stesso modo un assalto a un campo rom che fosse successo a Verona o in genere nel Lombardo-Veneto. L’esperienza insegna che qui da noi i cittadini non hanno diritto all’attenuante dell’esasperazione, se reagiscono è perché sono razzisti, xenofobi e preda di quella diffusa cultura leghista-naziskin che alimenta l’odio per il “diverso”…Che ci sia una sezione del Carroccio anche a Ponticelli?

 



LA SICUREZZA DI LUCA TONI

 

 

La sicurezza di Luca Toni gli deriva dal fatto di vivere a Monaco di Baviera, non a Modena o in una delle città del nostro Veneto.

Come noto il centravanti della nostra nazionale quest’anno ha giocato, con grande successo, nel Bayern. Il Magazine del Corriere della sera gli ha dedicato la copertina e una lunga intervista nella quale Toni, dopo aver parlato di calcio, dice: “Vedo quanto è bella Monaco e vorrei che fossero altrettanto belle le città italiane. Basterebbe la sicurezza, guardi. A Monaco non ci sono furti, non ci sono ladri, non ti rubano la macchina”. Questo in una grande città tedesca, mentre il giornalista del Corriere ricorda che in una piccola città italiana, a Modena dove Toni ha tenuto una casa, sono andati subito a derubarlo.

Va sottolineato il quadro che fa il centravanti della nazionale perché smentisce la tesi che tutto il mondo sia Paese: cioè che anche le altre nazioni siano sopraffatte, come la nostra, dalle questioni della sicurezza e dell’immigrazione che sarebbero per tutti ingestibili. E’ una balla colossale. Paesi come la Germania, la Francia, la Spagna, l’Austria, la Svizzera si sono impegnati per governare fenomeni certamente complessi e difficili e, alla fine, hanno ridotto e incanalato l’impatto per i loro cittadini. Noi invece abbiano cazzeggiato per decenni alternando il buonismo più irresponsabile ad una “faccia feroce” altrettanto inconcludente. Se pensiamo al senso di legalità, al rispetto delle regole, che i governi italiani hanno dimostrato e sviluppato negli ultimi decenni, non c’è da meravigliarsi che una quota di stranieri delinqua: c’è da meravigliarsi che non delinquano tutti! Che ce ne siano moltissimi così seri da lavorare ed integrarsi non ostante la pochezza delle nostre politiche.

Aggiungiamo che, come dicono a Verona, non puoi correre il Gran Premio con i mussi: ci vogliono almeno dei cavalli (non dico dei purosangue), altrimenti è inutile annunciarlo. Temo cioè che sia inutile che il nuovo governo annunci e vari, come sta facendo in queste ore, il decreto sicurezza quando poi per renderlo operativo devi affidarti ai “mussi”: ossia ad apparati dello Stato demotivati e sclerotizzati dai decenni di ignavia e irresponsabilità in cui li ha lasciati languire la classe politica.

Con gli apparatnik della vecchia Unione Sovietica non si andava da nessuna parte. E così oggi, prima bisognerebbe riformare dalla base la magistratura e le forze dell’ordine, e solo dopo pretendere che un decreto sicurezza trovi efficace applicazione e produca risultati simili alla Monaco di Luca Toni.

 


 

IL PROBLEMA E’ IL DELINQUENTE NON IL “DIVERSO”

 Gli studenti collegati dal liceo Maffei di Verona con Annozero di Santoro spiegavano quanto accaduto nella loro città con la solita litania del “diverso”. C’è una certa cultura intollerante – dicevano – che diffonde la paura del diverso, che istiga all’odio per il diverso e allora, è inevitabile, che poi si apra anche la caccia al diverso, che si arrivi al pestaggio del diverso. Il diverso che sarebbe l’immigrato, il nomade, il gay

Facciamola finita con queste banalità e con queste falsità

Per quanto riguarda gli omosessuali, a Verona come nel resto d’Italia, al massimo si può provare fastidio per gli eccessi di esibizionismo durante i gay pride. Per il resto il comune sentire è: si facciano pure gli affari loro, che sono fatti loro. Nessuno si sogna né di discriminarli né di aprire la caccia al gay.

Per quanto riguarda gli immigrati, gli stranieri che lavorano ed entrano a far parte della comunità, non c’è nessuna paura ma solo curiosità. Pensiamo solo all’esperienza che quasi tutti oramai abbiamo fatto attraverso i nostri figli che hanno compagni di scuola stranieri attraversi i quali abbiamo conosciuto anche i genitori. C’è forse paura? No: c’è la curiosità di fare tante domande sul loro Paese, sui gusti, sulle abitudini, su come ci vedono e ci giudicano. La paura scatta solo con quelli stranieri che compiono atti criminali: che rubano, che scippano, che si dimostrano violenti. Ma allora il problema non è il “diverso”, il problema è il delinquente.

Va capito anche il timore che sorge in chi vede piazze e luoghi della propria città occupati in orario di lavoro da stranieri in età da lavoro, che bivaccano invece di lavorare. E’ naturale domandarsi se non siano dediti a procurarsi di che vivere con attività “alternative” al lavoro… Ma anche qui la paura non è un pregiudizio, è invece indotta dal comportamento dello straniero.

La diffidenza si moltiplica nei confronti dei rom. Perché mentre constatiamo quotidianamente che la larga maggioranza degli immigrati lavora e non crea problemi, non riusciamo a vederne uno di rom che lavori e voglia integrarsi…

Non dimentichiamo in fine che nel nostro Paese esiste sì l’odio pregiudiziale ed indistinto verso il diverso. Ma non c’entrano nulla né gli stranieri né i rom né i gay. E’ l’odio cieco nei confronti dell’avversario politico che le contrapposizioni ideologiche hanno alimentato per decenni in un modo vergognoso: anche se eri la persona più seria e corretta bastava dirsi comunista perchè la destra ti mettesse al bando; bastava professare idee di destra, idee fasciste, e la sinistra faceva altrettanto trattandoti da subnormale.

Oggi direi che il peggio è passato. Ma il pregiudizio dell’odio e della discriminazione verso il politicamente diverso sono duri a morire.

VERONA IL VESCOVO E LO PSICHIATRA

 

Verona sotto processo. Il (nuovo) processo di Verona. Stefano Lorenzetto scrive di “corvi razzisti sulla città di Giulietta” e aggiunge: “non date retta a quelli che parlano male di Verona. Sono i professionisti del pregiudizio etnico e quindi, loro sì, razzisti della peggior specie”

Tra i primi a parlar male di Verona ci sono anche veronesi illustri, come lo psichiatra Vittorino Andreoli che, interrogato dal Corriere della sera, non fa tanti distinguo e sentenzia: “In città come Verona tra i giovani esiste un solo tipo di cultura: quella della forza, dell’eliminazione, della violenza”. Rileggete bene. Andreoli non dice esiste ANCHE una cultura della violenza, dice esiste SOLO quella cultura. Lui vede cioè una città tutta popolata di naziskin pronti a colpire con le spranghe. Un po’ come quelli che vedono tutti gay o tutti comunisti o tutti violentatori con le bave alla bocca. Non vorrei rubare il mestiere allo psichiatra, ma mi pare che queste siano visioni un tantino paranoiche.

D’altronde al tempo del delitto Maso, fu Vittorino Andreoli a rubare il mestiere ai sociologi. E, come perito del tribunale, spiegò che l’assassinio dei genitori per entrare in possesso dell’eredità ben si inquadrava in quella cultura contadina veneta dove l’uomo sempre dedicava maggiori cure al maiale rispetto alla moglie…Vi sembra uno che ama la sua città e le sue radici culturali o uno che vuole distruggere entrambe con furia naziskin?

Molto più cauto nei giudizi un altro veronese doc, il vescovo Giuseppe Zenti, che non possiede certezze né verità, ma umilmente si interroga e cerca di capire. Esclude che sia questo del massacro di Nicola Tommasoli il vero volto di Verona.

Perchè Verona, spiega, “resta comunque una città più che mai vivibile”. Parla il vescovo Zenti di una “cultura della notte” dove alcol e droga rischiano di sprigionare la violenza interiore. Violenza che si dovrebbe invece cercare di arginare con l’impegno congiunto delle famiglie, della scuola, degli educatori.

Quale è l’analisi che vi convince di più, quale la rappresentazione più realistica di Verona, quella del vescovo o quella dello psichiatra?

LA VIOLENZA DEI “NORMALI” E’ LA PEGGIORE

 

Per i media nazionali l’aggressione subita da Nicola Tommasoli è la rivincita del caso Luis Ignacio Marsiglia. Allora i naziskin e l’aggressione razzista esistevano solo nella fantasia mitomane del professore ebreo, e i media che l’avevano avallata dovettero scusarsi con la città. Oggi invece è tutto vero, provato e confessato. E così si può sparare a zero su Verona senza tema di smentite. Tanto più che oggi Verona è la Verona di Tosi (che colpe specifiche non ne ha, ma la presenza alle sfilate della destra estrema poteva senz’altro risparmiarsela). E così traspare la voluttà di poter sbattere in prima pagina la “Verona nazista”

Chi parla di naziskin o di “pestaggio fascista” però non si rende conto di fornire a questi delinquenti l’alibi della motivazione politica. Mentre i giovani aggressori non sono né nazisti, ne fascisti né brigatisti; sono qualcosa di peggio ancora: sono nichilisti. Non si tratta di negare la loro appartenenza al Fronte Skinheads né il look e i simboli riconducibili alla destra estrema. Ma, come hanno rilevato gli inquirenti, nella fattispecie dell’aggressione a Tommasoli non c’è nulla di politico: perchè la vittima non è né un immigrato né un avversario di schieramento, è il primo che passa per la strada; e il casus belli non è uno scontro ideologico ma la banale richiesta di una sigaretta. E’ il gusto della violenza per la violenza, siamo ad Arancia Meccanica

In questo senso la violenza “normale” o dei “normali” è la peggiore di tutte. Perché gli squadristi al pari dei brigatisti, al pari di tutti i terroristi, una motivazione per quanto perversa e inaccettabile ce l’avevano e ce l’hanno: la rivoluzione fascista, colpire al cuore dello Stato, punire l’Occidente imperialista. Gli aggressori di Tommasoli no

Anche gli episodi di violenza che vedono protagonisti gli stranieri immigrati hanno una spiegazione, che non significa assolutamente giustificazione. Ma spiegazione si: sono allo sbando in un Paese straniero, hanno esigenze primarie da soddisfare, sono abbagliati dal nostro benessere. Gli aggressori di Tommasoli no.

Perfino la violenza più simile alla loro, quella degli ultras del calcio, per esplodere ha bisogno di inventarsi uno straccio motivazione: la rivalità con la tifoseria avversaria, oppure le forze dell’ordine che hanno appunto la pretesa di far rispettare l’ordine. Ma il povero Tommasoli non è un poliziotto né un tifoso avversario, è solo il primo che ti capita sottomano.

Riesco solo a fare una considerazione molto generica: quando viene meno la funzione civilizzatrice della religione, della scuola, della famiglia, allora la belva primordiale che si annida in ciascuno di noi si sente libera di scatenarsi sul primo che capita senza alcuna motivazione che non sia il piacere della violenza per la violenza. E la belva si sente tanto più libera in uno Stato dove la repressione è al bando e la giustizia allo sbando.


FURBO IL GRILLO, INGENUI I GRILLINI

 Il colpo di coda di Vincenzo Visco, che prima di lasciare la guida del fisco ha reso pubblico il reddito degli italiani, oltre alle mille polemiche innescate ha avuto anche l’effetto secondario di mettere in crisi il rapporto tra Beppe Grillo e i suoi fans: grillini di mezza Italia sdegnati e delusi nel constatare che il loro guru guadagna più di 4 milioni di euro all’anno. Beata ingenuità: ma cosa pensano che lo facesse gratis? Che fosse un volontario dello sdegno moralistico? Che riempisse i teatri , distribuisse video, organizzasse vaffa days per spirito di servizio incurante dell’incasso?

Il fatto che Beppe Grillo guadagni di più del principe degli attori e dei comici italiani, Roberto Benigni, ci fa capire quale è stata la furbizia del comico genovese: aver fatto la vittima dura e pura del sistema, quello che non va in televisione, quello che non si fa intervistare dai giornalisti tutti servi, quello costretto a rivolgersi alla piazza di internet. Ben studiato, se così guadagni di più di chi va in televisione, fa film di successo, vince Oscar, si fa intervistare a raffica e prende perfino in braccio i politici… Senza aggiungere che Grillo ha avuto la genialità di inventarsi il filone più remunerativo di tutti: quello delle prediche, dei comizi, a pagamento. Filone che ovviamente funziona solo se dall’altro lato ci sono gli ingenui pronti a pagare il biglietto per inebriarsi di fronte alla pugnetta moralistica.

La chiamo pugnetta in quanto del tutto inconcludente per i risultati pratici. E qui apro una beve parentesi sulla cosiddetta antipolitica che rischia di essere un’attività puramente onanista. Prendiamo l’esempio per eccellenza, quello dei costi della casta. La questione si affronta davvero solo con un progetto politico che indichi dettagliatamente l’obiettivo finale e il percorso praticabile per arrivare sul serio a tagliare i costi della casta. Mentre l’invettiva antipolitica (quella praticata da Grillo per il trasporto dei sui fans) cioè il vaffa day, lo sdegno vibrante per lo stipendio dei parlamentari, lo scandalo inaudito per il numero dei politicanti, l’unico effetto pratico che produce è appunto quello di una pugnetta liberatoria per i fans. Il solo risultato pratico è il documentato aumento dei redditi del guru.

Il quale Beppe Grillo, va ribadito, è un furbo di tre cotte. Provate a pensarci: la predica per antonomasia, quella dal pulpito della Chiesa, è ad offerta libera, se vuoi lasci qualcosa nella cassetta altrimenti te ne vai. Nessuno si è mai sognato di poter far pagare un comizio, da quelli storici di un Pajetta o di un Almirante fino agli attuali di Veltroni e Berlusconi. Solo a lui, al guru genovese, è riuscita la realizzazione della predica-comizio a denaro sonante.