JUVENTINI, CARI RAGAZZI O RAZZISTI?

 

L’informazione deviata non decide solo quando un medio alzato è un insulto intollerabile ai Sacri Simboli della Patria, stabilisce anche quando e dove si manifesta il razzismo. Quindi, parlando di calcio, il razzismo non lo troviamo mai tra la tifoseria delle grandi squadre di calcio. Non esiste né a Napoli, né a Roma, né a Torino né a Milano. Si manifesta virulento solo in provincia; nella provincia veneta, tra Padova e Treviso, e a Verona (versante Hellas) in particolare.

Leggete cosa hanno gridato – nell’indifferenza generale e senza che nessuno media mostrasse né scandalo né turbamento – i tifosi della Juve, della cosiddetta Vecchia Signora, martedì sera durante il torneo Tim, svoltosi appunto all’Olimpico di Torino. Leggiamo dalla cronaca fatta dalla Gazzetta dello Sport. Hanno cominciato con un coro all’indirizzo dell’allenatore del Milan Carlo Ancelotti:”un maiale non può allenare”. Il Carletto rossonero non l’ha presa bene ed ha reagito alla Bossi alzando il medio; direi però che il coro dei tifosi juventini era più da vecchia baldracca che da Vecchia Signora. Ma il bello è arrivato subito dopo all’indirizzo dei giocatori dell’Inter: per Balotelli (che sta per compiere 18 anni è avrà la cittadinanza italiana) il coro è stato “Non esiste un negro italiano”, mentre Ibrahimovic e Stankovic sono stati bollati come “zingari”.

Immaginatevi cosa sarebbe successo se la tesi che “non esiste un negro italiano” fosse stata sostenuta e gridata dai tifosi dell’ Hellas invece che della Juve: sarebbe venuto giù il mondo, la grande stampa e la grande televisone li avrebbe bollati come “sporchi razzisti” e avrebbe spiegato che la feccia del Ku-Klus-Klan non deve più poter entrare negli stadi di un Paese civile.

E invece – cosa ancor più vergognosa degli insulti razzisti a Balotelli– sapete la Gazzetta dello Sport come si è rivolta ai tifosi della Juve? Con questo parole e con questo tono affettuoso e pedagogico:” Cari ragazzi, anche se magari quello che cantate non riflette i vostri pensieri ed è quindi un inutile tentativo di intimidire gli avversari, provate a ricordare che la vostra curva è intitolata a Gaetano Scirea….”

I buuuh dei tifosi dell’Hellas riflettono o non riflettono i loro pensieri? Come mai la Gazzerta non li ha mai chiamati “cari ragazzi”? Vi convince o no come esempio di informazione (sportiva) deviata?

 

FANNULLONI E PRECARI CHE BATTAGLIA!

 

 

Fannulloni e precari, due temi di discussione. Due battaglie di destra o di sinistra?

Il direttore del Riformista, Antonio Polito, sostiene che la battaglia di Brunetta contro i fannulloni è una battaglia che la sinistra moderna dovrebbe fare propria, perchè è una battaglia di equità: far sì che i pubblici dipendenti lavorino come i dipendenti privati, e non di meno.

Tanto vergognoso il fenomeno dell’assenteisno nel pubblico che è bastato l’annuncio dei fieri propositi del piccolo grande ministro per farlo diminuire del 18% nel mese di giugno. Ma subito partono anche i siluri: il sindaco di Roma Alemanno dice che no, che è sbagliato affermare “morte ai fannulloni” che bisogna sostituirlo con “viva i meritevoli”. E così il povero Brunetta comincia ad essere colpito dal “fuoco amico”, e già si capisce come andrà a finire: di provvedimenti concreti nemmeno l’ombra, l’effetto annuncio si dissolverà nel giro di qualche mese e la riforma del pubblico impiego andrà in archivio.

Quanto ai precari, nemmeno nella repubblica degli Ayatollah è pensabile che sia il giudice islamico a decidere ed imporre le assunzioni a vita. Succede invece nella Repubblica (laica?) italiana dove le Poste si sono dissanguate invano pagando stuoli di avvocati: ma il giudice ha imposto di assumere in pianta stabile ventimila precari anche se avevano solo contratti a tempo per qualche mese. Il mercato del lavoro lo decidono i magistrati, i costi li paga la fiscalità generale cioè noi.

I sindacati fanno le dame della San Vincenzo: poveri precari come fanno ad avere un progetto di vita,non possono nemmeno accendere un mutuo, bisogna assumerli. Neanche nel Paese di Alice si ragiona così. In ogni Paese serio prima si guarda se servono nuovi postini, nuovi professori, nuovi statali; e, solo se servono sul serio, vengono assunti. Non perchè sono precari. Chi è più precario degli abitanti dell’Africa? Li assumiamo tutti alle Poste o nelle scuole?

BOSSI, L’INNO E L’INFORMAZIONE DEVIATA

 


Accanto ai servizi segreti deviati, che preparavano loro le bombe salvo poi attribuirne la responsabilità ad altri con tutta una serie di depistaggi, accanto ai servizi deviati abbiamo anche l’informazione deviata: quella che prepara ad arte la “bomba” del villipendio di Bossi all’Inno di Mameli per depistare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle questioni pregnanti che solleva il leader della Lega. E’ una tesi che ho sostenuto nella mia rubrica televisiva, che ha già suscitato la protesta di Cristiano e Renzo sul blog, e che mi pare interessante ribadire anche in questa sede.

Per poter parlare di “villipendio all’Inno” di “insulti alla Nazione” di “veneti offesi” come hanno fatto in molti dal presidente della Camera Fini fino al presidente del Veneto Galan, avrebbe dovuto esserci un fatto chiaro e inequivocabile: mentre stavano andando parole e note dell’Inno di Mameli un Bossi che alza il medio e lo manda pubblicamente affà’…. Ma nulla è accaduto di così clamoroso. E’ succeso invece che, nel corso dei suoi soliti discorsi vibranti e arruffati, mentre se la prendeva col centralismo e con i prefetti, Bossi abbia detto: l’Inno di Mameli parla di schiavi di Roma, ma noi col cavole che accettiamo di essere ancora schiavi di Roma!…e via col medio alzato. Chiunque sia un minimo in buona fede si rende conto che Bossi non ce l’aveva con l’Inno di Mameli (che nemmeno lui conosce, come il 99% degli italiani che la 2^, la 3^, la 4^ e l 5^ strofa l’hanno letta pre la prima volta solo grazie alle polemiche di questi giorni…) ma ce l’aveva Bossi con l’idea di restare schiavi o servi o vassalli di Roma, cioè con l’idea che continui lo stato centralista e non si attui la riforma federalista.

Tant’è che nessuno dei giornalisti presenti sul momento ha fatto una piega, nessuno ha ritenuto di aver sentito un concetto né nuovo né dissacrante. Come mi racconta Luigi Primon, presente per Telenuovo allo Sheraton di Padova. Solo alcune ore dopo una qualche centrale occulta dell’informazione deviata ha colto l’occasione ed elaborato il piano: e così è uscita una prima nota di agenzia che parlava di insulti all’Inno di Mameli. E solo allora molti degli inviati dei più autorevoli mezzi d’informazione, come tanti bravi soldatini che abbiano ricevuto la velina dal Minculpop, si sono adeguati a questa lettura dei fatti e l’hanno riproposta nei telegiornali della sera e nei quotidiani del giorno dopo.

Una lettura deviata e ridicola. Faccio un esempio che mi pare illuminante. Nella sintesi di storia patria contenuta nell’Inno di Mameli ad un certo punto, nella 4^ strofa, si dice:” I bimbi d’Italia si chiaman Balilla”. Ora immaginatevi, non un federista doc come Bossi, ma un antifascista doc come Ferruccio Parri, che durante un comizio affermi sdegnato: l’Inno di Mameli sostiene che i bimbi d’Italia sono tutti Balilla, ma noi col cavolo che lo accettiamo, vadano al diavolo tutti Balilla, il fascismo non c’è e non ci sarà mai più!…Secondo voi questo Parri immaginario avrebbe voluto insultare l’Inno nazionale o mettere una pietra tombale sulla nazional-fascista Opera Balilla?…

Trovo inoltre vergognoso, degno di sepolcri imbiancati, che questi alfieri così fervidi del Tricolore e dell’Inno di Mameli, pronti oggi a vibrare di sdegno all’idea che Bossi manchi di rispetto ai “sacri simboli”, siano gli stessi che per decenni gli stessi sacri simboli li avevano completamente trascurati, dandoli in appalto gratuito ed esclusivo al Msi di Almirante.

Concludo con il depistaggio. Bossi domenica a Padova aveva sollevato la questione della presenza preponderante (63%) di insegnanti meridionali nella scuola. Percentuali sbilanciate che si ripropongono anche in settori statali ben più prestigiosi e assai meglio remunerati: dai primari ospedalieri, ai magistrati, ai dirigenti della pubblica amministrazione. E qui delle due l’una: o ha ragione lady Ciampi quando affermava che i meridionali sono più intelligenti dei settentrionali (ma la tesi ha un vago sapore razzista) oppure c’è qualcosa che non funziona.

Vogliamo affrontare questa questione, capire perchè è accaduta, impegnarci a riequilibrare le presenza territoriali nel pubblico impiego? O non possiamo farlo perchè siamo troppo sdegnati per gli insulti di Bossi all’Inno di Mameli?

 

IL FEDERALISMO DELLE MAZZETTE

Gli entusiasmi per la riforma federalista, che Bossi e la Lega continuano a mettere in vetta alle loro priorità, credo debbano fare i conti con il “federalismo delle mazzette” che arriva dalla regione Abruzzo e con una più seria verifica sull’esistenza o meno dei presupposti di base della riforma stessa.

Ricordiamoci intanto che quella sanitaria è già una spesa federalista, in quanto già trasferita dallo Stato centrale alle varie regioni. E tuttavia non solo questa spesa sanitara è infarcita di mazzette (l’ Abruzzo non è certo l’eccezione…) ma è troppo spesso fuori controllo, con deficit sempre più pesanti. Per questo è giusto domandarsi se del federalismo (in salsa italiana, non dimentichiamolo…) non vengano a mancare i presupposti stessi. I fautori della riforma ci spiegano che, avvicinando ai cittadini la centrale della spesa, aumentano i controlli da parte dei cittadini stessi: si evitano così gli sprechi, si rispamia, si attuano politiche più efficaci e virtuose.

Passando però dalla teoria alla prassi, e restando in ambito sanitario, vi pare che i cittadini dell’Abruzzo, della Campania o anche del nostro Veneto siano impegnati a tirare la giacca ai politici regionali perchè tengano la spesa sotto controllo? Chiedono loro anzitutto di eliminare sprechi e sperperi? Non mi pare proprio. I cittadini domandano più medicine, meno liste d’attesa, più prestazioni; e tutto assolutamente gratis. La cosa che li fa infuriare è il ticket, cioè la misura più concreta per cercare di contenere la spesa sanitaria.

Oggi Formigoni può cavarsela dando la colpa a Tremonti, dicendo che è il ministro dell’economia che diminuisce i trasferimenti alla sua regione. E in questo modo evita che gli elettori lombardi lo massacrino. Tutti i tagli che lo stesso Tremonti sta annunciando, (forse) sarà possibile attuarli perchè partono dalla Stato centrale, cioè ben lontano dal territorio e dalle proteste localistiche; ma serebbero impensabili se, attuato il federalismo fiscale, dipendessero da venti assessori regionali alle finanze i quali verrebbero travolti dalla protesta dei propri elettori.

Non dimentichiamo poi che gli stessi rifiuti campani per decenni sono stati gestiti in salsa federalista: cioè dalla regione Campania e dal comune di Napoli che continuavano ad assumere netturbini, a sprecare risorse, a non concludere nulla. E oggi (forse) ne veniamo fuori perchè è intervenuto lo Stato centrale ad esautorare il federalismo campano…

C’è insomma il pericolo concreto che il federalismo diventi un moltiplicatore di spese e sprechi, perchè il fiato sul collo degli elettori (italiani) spinge il politico ad aprire i cordoni della borsa non certo a chiuderli. Quanto alla Lega, era partita da un progetto forte e chiaro ma blasfemo: la secessione. Di fronte alla scomunica generale è poi ripiegata sul federalismo. Auguriamoci che il federalismo in salsa italiana non sia solo quello delle mazzette e degli sperperi ulteriori.

 

LA MARTINI TUTELA O DISCRIMINA?

 

 

Proviamo a decidere quale è lo sfregio, quale la violenza nei confronti dei bambini rom: prendere loro le impronte o lasciarli in balia di genitori (veri o presunti) che li inducono a rubare con le minacce o che li utilizzano nell’accattonaggio? La domanda si riprone dopo il “blitz” del sottosegretario Francesca Martini che ha individuato e denunciato (chiedendo l’intervento delle forze dell’ordine) una donna rom che teneva con se una bimbetta nuda nel chiedere la carità. Un intervento che la sinistra engagée ha accolto con sovrano disprezzo, ironizzando (vedi Liberazione) su “l’impegno diretto” dell’esponente leghista “nella lotta all’illegalità”

Ben altra sarebbe l’illegalità a giudizio del quotidiano comunista. Ma dovremmo forse plaudire a “l’impegno diretto” nella “lotta contro la discriminazione” di quegli esponenti di Rifondazione che hanno esibito in pubblico le proprie impronte digitali? Hanno fatto più loro a tutela dei bimbi rom o ha fatto di più Francesca Martini?

Va combattuta oppure no questa battaglia di legalità per impedire che i nomadi utilizzino anche i neonati portandoseli dietro e piazzadoli nella strade sotto la calura estiva o d’inverno col gelo? Se siamo contro la discriminazione etnica ci voltiamo dall’altra parte di fronte alla scena che ha visto Francesca Martini, e stigmatizziamo il ricorso alle impronte? Se invece siamo razzisti (e/o leghisti) chiamiamo la polizia e speriamo che a questi genitori venga tolta la patria potestà?

C’è qualcosa che non funzione in questi schematismi o va bene così?

Possiamo anche cancellarla la proposta Maroni; e mi sembra poco verisimile che si riesca ad attuare anche un semplice censimento dei e nei campi nomadi. Ma, risparmiata loro la “tortura” delle impronte, cosa intendiamo fare concretamente per impedire le altre torture, quelle vere, che troppi adulti infliggono quotidianamente, liberamente, nell’indifferenza dei censori della Martini, a tanti bimbi rom?

 

LA MAMMA METTE IL FIGLIO AI DOMICILIARI

 

 

Il buonsenso e la serietà della nostra gente emerge anche dall’ultima vicenda veronese. Parlo del gruppo di ragazzini che – sull’onda del caso Tommasoli – si sono inventati un’aggressione per una sigaretta negata, quando invece erano stati loro ad ustionarsi durante un gioco maldestro. Il buon senso emerge dalla dichiarazione della madre, di uno di questi adolescenti scapestrati, agli agenti che avevano passato la notte ad indagare sulla falsa aggressione: “Voi non li potete arrestare, ma ai domiciliari mio figlio lo terro io! E per parecchio tempo!”.

La mamma che si fa carceriera del proprio figlio perchè è consapevole che, o ci prova lei a raddrizzargli la schiena, o non lo fa nessuno. Da sempre sono i genitori il fulcro dell’educazioni dei figli, ma una volta lo Stato almeno ti dava una mano. Adesso invece sono abandonati a loro stessi.

Non li aiuta una classe politica che non da certo grandi esempi, non quando è al vertice di Palazzo Chigi e ancor meno quando è sul palco di Piazza Navona. Non li aiuta una magistratura che, al di là del fatto che i minori siano o no perseguibili, dovrebbe dare loro il senso che la legge esiste e va applicata con serietà; invece una volta é “da ovo” e un’altra “da latte” a seconda di chi è l’imputato, e adesso è arrivata anche a sentenziare che, se sei un rasta, puoi fumare quanta erba vuoi perchè fa parte del tuo itineriario religioso-spirituale…Non li aiutano insegnanti che non riescono nemmeno a fare gli insegnanti, che hanno portato un Di Pietro fino alla laurea senza nemmeno insegnargli i congiuntivi, e che certo non possono fare gli educatori.

Uno Stato che si muove come i gamberi. Una volta ragazzi e ragazze erano mediamente più maturi, perchè iniziavano a lavorare prima, perchè dovevano imparare prima a fare i conti con la vita, e diventavano maggiorenni a 21 anni; cioè restavano fino a quell’età sotto tutela dei genitori. Adesso languono nel limbo degli studi, cazzeggiano a tempo indeterminato al liceo e all’università, ma lo Stato ha deciso che sono pienamente responsabili di loro stessi fin dai 18 anni. E c’è chi vorrebbe addirittura abbassare la maggiore età a 16 anni.

Nemmeno la Chiesa contribuisce più ad educare i nostri ragazzi. Gli oratori appartengono all’archeologia della memoria. I pochi preti rimasti hanno troppo da fare con gli immigrati, con il sociale, con le prostitute, per dedicarsi ai giovani. Mi ricordano quel medico di base che non si prendeva mai la briga di andare a visitare a casa una sua anziana paziente invalida, in compenso era sempre pronto a partire volontario per l’Africa…

Insomma se non ci pensa la famiglia a dare un esempio, ad educare i figli, non ci pensa nessuno. E per raddrizzargli la schiena, ovviamente, non servono a nulla (anzi sortiscono l’effetto opposto) la permessività e il buonismo. Bisogna metterli ai domicialiari e usare il bastone. Ce lo ha ricordato questa mamma veronese. Confermandoci inoltre che la nostra gente col suo buon senso è molto più seria del nostro Stato con i suoi apparati.

 


ELUANA, L’EUTANASIA E I GIUDICI

 

 

Tre considerazione attorno ad Eluana e alla sentenza della Corte d’Appello di Milano che ha riconosciuto il “diritto di morire”.


Primo. Chi non condivide questa sentenza sostiene che siamo di fronte ad una introduzione surrettizia dell’eutanasia nel nostro Paese. Non è così, è molto peggio. Perchè siamo di fronte alla più pericolosa delle degenerazioni che può seguire all’introduzione dell’eutanasia: quando cioè non è il diretto interessato a decidere della propria morte, ma è un altro che lo fa al suo posto. Nella fattispecie il padre di Eluana. Il quale sostiene che sua figlia, prima dell’incidente che 17 anni fa la ridusse in coma, ogni qualvolta vedeva una persona in quello stato affermava che lei, piuttosto di ridursi così, avrebbe preferito farla finita, cioè morire. Non escludo di aver detto anch’io qualcosa del genere in passato, il che però non da ai miei figli il diritto di darmi la morte quando (tra poco) sarò completamente incapace di intendere e di volere…Perchè si possa parlare di eutanasia, ci vuole una chiara ed inequivocabile espressione di volontà del diretto interessato. Non di un qualunque parente per quanto stretto, per quanto affezzionato, per quanto in buona fede. Infatti nel caso che oggi tutti ricordiamo, quello di Piergiorgio Welby, fu lui che fino all’ultimo e in piena coscienza rivendicava il diritto di morire. Non era sua moglie a raccontarci che 17 anni prima aveva espresso quel desiderio. Con Welby fu eutanasia, non lo è con Eluana.

Secondo. Nel caso di Eluana nemmeno Travaglio riesce…ad infilarci Silvio Berlusconi. E, non essendoci di mezzzo il Cavaiere nero, tutti dovrebbero capire quanto sia oggi invasivo e discrezionale il ruolo assunto da taluni magistrati. E’ infatti indiscutibile che al momento l’eutanasia è vietata dalle leggi italiane. Leggi che naturalmente si possono modificare, ma solo con la sovranità popolare espressa indirettamente, dal Parlamento, e/o direttamente attraverso un referendum. Proprio così furono introdotti nel nostro Paese prima il divorzio e poi l’aborto: con leggi confermate da un referendum. Sarebbe stato immaginabile introdurre divorzio e aborto attraverso la sentenza di una Corte d’Appello? No, chiunque l’avrebbe giudicata una forzatura inaudita. E altrettanto vale oggi per l’eutanasia.

Terzo. Proprio come nel caso di divorzio ed aborto anche con l’eutanasia siamo di fronte a questioni che hanno grandi implicazioni etiche, nel senso che legalizzandoli andiamo a modificare valori e regole di vita della nostra società. Non mi sembra dunque corretto invocare la dimensione privatistica: cioè sostenere che, se anche non sei favorevole, tu singolarmente non vi fai ricorso, ma devi riconoscere a chi lo vuole il diritto di utilizzarli. E’ un ragionamento da Ponzio Pilato. Se sono convinto che l’eutanasia sia un male per la società in cui vivo, se credo che diffonda la cultura della morte, ho il dovere di battermi contro la sua introduzione, non posso limitarmi a dire che io non vi farò mai ricorso. Salvo poi prendere atto, se così succede, che la maggioranza del Parlamento e dei cittadini ha deciso in maniera diversa dalle mie convinzioni.

 

MARONI FASCISTA O BOTTONI AUTOLESIONISTA?

 A volte ho l’impressione che la Chiesa italiana sia impegnata a far harakiri. Quantomeno quella parte (cospicua) della Chiesa italiana che si identifica nelle posizioni di mons. Bottoni, il responsabile delle relazioni interreligiose della diocesi di Milano, il quale ha dichiarato che è “da fascisti” chiudere la moschea di viale Jenner.

Bottoni, e i tanti sacerdoti che anche in Veneto la pensano come lui, si ergono a difensori dei diritti della fede islamica, cioè della concorrenza religiosa più insidiosa. E già questo lascia perlessi. Ma, soprattutto, sembrano ignorare che il peso enorme che tutt’ora la Chiesa esercita nella società italiana è dovuto al fatto che non esiste l’uguaglianza di diritti tra le varie confessioni religiose. Nel nostro Paese esiste la libertà religiosa, sancita in astratto, ed esistono poi tutti i privilegi che il Concordato garantisce solo alla Chiesa cattolica: l’otto per mille (con la quota inespressa che non va allo Sato ma viene ridistribuita a tutto vantaggio della Chiesa), le migliaia di insegnanti di religione scelti dai vescovi e pagati dallo Stato, i contributi economici per i luoghi di culto, l’esenzione dall’Ici, etc. etc.

La “cattolicissima” Spagna era l’unico altro Paese occidentale dove la Chiesa esercitasse un peso e un potere simile all’Italia. E cos’è accaduto? Che Felipe Golzales prima e in particolare Luis Zapatero poi hanno preso sul serio proprio ciò che invocano i vari Bottoni: pari diritti tra tutte le fedi religiose, fini dei privilegi, gli islamici trattati come i cattolici. E così la Chiesa spagnola ha imboccato il viale del tramonto. La Chiesa italiana ora si impunta su viale Jenner. Ma non farebbe meglio a ringraziare invece che insulare chi cerca di rendere la vita non troppo facile ai suoi concorrenti?

Domada conclusiva: è fascista Maroni o è autolesionista Bottoni?

IL GREMBIULE NON FA IL GIAPPONESE

 

L’abito non fa il monaco, figuriamoci se il grembiule fa il giapponese.

Il ministro Gelmini vuole reintrodurre il grembiule nelle scuole, ed è difficile non essere d’accordo: è una questione di decoro, evitare che ragazzi e ragazze si presentino sbracati o con un look da discoteca; è anche una questione di decenza sociale nei confronti dei troppi stronzetti/e griffati dai loro genitori. Nel “tempio del sapere” si dovrebbe entrare vestiti con decenza e sobrietà.

Dopo di che prendiamo atto che nemmeno dieci grembiuli basterebbero ad avvicinarci alla civiltà che hanno dimostrato le scuole e l’intera società giapponese di fronte a quei loro connazionali (nove studenti e un docente) che avevano osato lordare con dei graffiti le pareti esterne della cupola del Brunelleschi. I tanti altri turisti giap giunti in vitita a Firenze hanno fotografato allibiti quei graffiti-ideogrammi e, una volta tornati in patria, è partita la caccia ai colpevoli. Un “chi l’ha visto?” lanciato dai principali quotidiani e dalle principali reti televisive del Giappone. Un intero Paese che trovava inaudito farsi conoscere all’estero con un gesto così rozzo e volgare. Per il rapporto armonioso che lega i giapponesi alla propria storia, alle opere d’arte, all’ambiente, è inaudito che qualcuno possa lordare un monumento, possa sporcare, possa comportarsi in modo non educato.

Giornali e televisione giapponesi all’unisono si sono scusati con l’Italia (!). Quanto ai grafittari, gli studenti sono stati sospesi e l’insegnante – tanto più colpevole in quanto da lui ci si aspettava il buon esempio – è stato licenziato in tronco. Il tutto col pieno e totale consenso dell’opinione pubblica, dei mezzi d’informazione, della cultura e della politica giapponesi. Senza proteste, accuse di discriminazione, tragedie né sceneggiate (immaginate cosa serebbe successo da noi?); con gli studenti e l’insegnante impegnati solo a cospargersi il capo di cenere. Una scuola e un’intera società in totale sintonia di fronte all’inciviltà sciocca e gratuita, che da noi invece viene addirittura promossa: per noi i graffiti sono una forma d’arte da tutelare…

Ce ne vogliono di grembiuli per diventare come i giapponesi. Da quegli italiani sgangherati che siamo possimo almeno ammirarli? Possiamo dire che sono un popolo, una razza, una civiltà superiore alla nostra? O la legge Mancino ce lo vieta?…

 

ROM: RAZZISTI NOI O LADRI LORO?

 Famiglia Cristiana definisce “razzista ed indecente l’idea delle impronte per i bambini rom” promossa dal ministro degli Interni Maroni. Il settimanale cattolico non dedica invece nemmeno una parola ai genitori rom. A quei genitori cioè, come gli otto arrestati a Verona, che costringano i figli a rubare con botte e violenze sessuali. Questi genitori degeneri e degenarati non meritano un po’ d’attenzione? O li giustifichiamo perchè provengono da una “cultura diversa”?

E se fossero genitori veneti a rifiutarsi di mandare i figli a scuola, ad educarli all’accattonaggio, a trasformarli in mini delinquenti, ad insegnare loro come cavarsela nelle maglie slabbrate della giustizia (per cui se anche i carabinieri ti fernano, tu scappi il giorno dopo dall’istituto minorile e torni a delinquere)? Cosa diremmo in questo caso? Credo che Famiglia Cristiana per prima chiederebbe di togliere la patria potestà a questi genitori e sbatterli in galera. Dopo di che prenderebbe atto che, se i veneti sistematicamente educano i figli alla criminalità, bisogna per difendersi cominciare a prendere anche le impronte digitali a questi baby criminali…

Il problema con i rom non è che siamo razzisti noi, è che sono ladri loro. Non tutti loro; ma tanti di loro, ma troppi di loro. E, come ha riconosciuto la Corte di Cassazione assolvendo il sindaco Tosi dall’accusa di istigazione all’odio razziale, di fronte ad un comportamento da ladri o li “discrimini” o rinunci a perseguerli e a difendere la tua comunità.

La mossa più vergognosa del politicamente corretto è l’accostamento tra i rom e gli ebrei, che sarebbero entrambi vittime della persecuzione razzista. Si dimentica che gli ebrei venivano dicriminati a priori, pur rispettando tutte le regole e le leggi delle varie comunità nazionali in cui vivevano. Con i rom è l’esatto contrario.Sono loro che non accettano le regole e le leggi: pretendono di darsi al nomadismo senza controlli, non mandoni i figli a scuola, non cercano un lavoro, scelgono sistematicamente di vivere ai margini della legge e, alla fine, i cittadini li discriminano per difendersi. Chi impedisce ai rom di condurre un esistenza normale? Se i loro genitori avessero educato i figli in maniera radicalmente diversa, nessuno si sognerebbe di prendere le impronte digitali ai bambini rom. L’antirazzismo salottiero di Famiglia Cristiana non può confondere la causa con l’effetto, né sottrarsi alla responsabilità complice di chi giustifica il furto invocando la “diversità culturale”.