CASTRAZIONE CHIMICA REGALO AI PEDOFILI

Castrazione chimica per i pedofili! Adesso non la esclude nemmeno Walter Veltroni; Calderoli e Fini continuano a richiederla. Sembra la soluzione definitiva e terrorizzante: tale da inibire qualunque ulteriore violenza sessuale sui bambini. Invece – se appena ci riflettiamo e chiariamo qualche equivoco – è un autentico regalo fatto ai pedofili stessi.

Primo equivoco: nella castrazione chimica non c’è proprio nulla di definitivo, niente a che vedere col colpo di forbici che evoca e che priverebbe per sempre il reo degli organi sessuali. Si tratta infatti di un farmaco che inibisce la produzione del testosterone, l’ormone da cui dipendono gli appettiti sessuali, ma che funziona solo per il periodo per cui viene somministrato. Dopo di che tutto torna come prima. Appetiti sessuali compresi.

Ma l’autentico regalo che si fa ai pedofili, invocando per loro la castrazione chimica, è quello di classificarli come malati, preda degli appetiti incontrollabili dovuti al testosterone in eccesso, e quindi non responsabili delle loro azioni: come dire che, se violentano i bambini, non è colpa loro ma della natura che li ha fatti malati, ossia con sfrenate produzioni ormonali. Esattamente come l’attenuante dell’infermità mentale che, se riconosciuta all’omicida, lo trasforma in un soggetto bisognoso di cure e gli evita la galera.

Quindi Veltroni, Calderoli e Fini invocando l’intervento farmacologico per i pedofili concedono loro, a priori, il “regalo” dell’attenuante per malattia.

Mi sembra invece più serio partire dal principio che ognuno è responsabile dei propri comportamenti ed è in grado di controllare i propri appetiti: non basta cioè un eccesso di testosterone per giustificare né la violenza sessuale sui bambini né lo stupro di una donna.

Insomma i reati di pedofilia sono qualcosa di troppo grave per concedere loro attenuanti: altrochè castrazione chimica, i responsabili vanno messi in carcere e tenuti dentro.

MEGLIO ZANONATO DI BERLUSCA

Per vedere finalmente all’opera la forbice nel pubblico impiego ci voglio gli ex comunisti che, all’atto pratico, dimostrano di usarla; mentre i liberali tergiversano e il leader del Popolo della Libertà “digitalizza”.

Il sindaco di Padova Flavio Zanonato, sindaco del Partito democratico con un passato mai rinnegato nel Pci, non ha esitato a licenziare una dipendente, pluriassenteista, del suo comune. Non ha esitato a farlo benché questa dipendente fosse anche sindacalista del pubblico impiego.

Viene in mente la battuta dell’avvocato Agnelli: per attuare una politica economica di destra, ci vuole la sinistra al governo. Così ci si chiede se per licenziare in tronco nel pubblico impiego non ci vogliono gli (ex) comunisti…Dubbio tanto più pertinente in quanto, nello stesso giorno in cui usciva la notizia del licenziamento della dipendente comunale, Silvio Berlusconi, ospite di Radio anch’io, glissava ripetutamente alle domande sulla riforma del pubblico impiego.

Il Cavaliere si è limitato a ripetere la formula magica: digitalizzare. Cioè ha spiegato che, digitalizzando le procedure, il costo di ogni singola pratica scenderà da 29 a 3 euro. Magnifico. L’esperienza di tutte le imprese private (Mediaset compresa) dimostra però che il ricorso all’informatica abbatte i costi anche perchè riduce di molto il personale. Quindi è evidente che, se informatizziamo la pubblica amministrazione, a maggior ragione bisogna ridurre drasticamente gli addetti se non si vuol far aumentare in modo esponenziale il numero già alto dei fannulloni.

Ovvio. E non è che Berlusconi non lo sappia. E’ che non può dirlo. Non può dirlo per almeno tre motivi: perchè siamo in campagna elettorale, perchè ha fatto il partito nuovo con il vecchio alleato Fini (collettore anche dei voti del pubblico impiego), perchè si è alleato con Raffaele Lombardo (e al Sud chi tocca lo statale muore).

Così di fronte ad uno dei problemi epocali per il nostro Paese, quale la riforma del pubblico impiego, il Cavaliere se cava rifugiandosi nell’informatica. Ma se lui digitalizza, mentre l’altro licenzia, non si può appunto che concludere: meglio Zanonato di Berlusca.

 

DA BOLZANETO A GUANTANAMO

 


Da Bolzaneto a Guantanamo il passo è breve. Anzi non c’è nessuna distanza né differenza: sono la stessa cosa. Così scrive oggi in prima pagina il quotidiano Il Manifesto. E, cosa ancora più grave, mette questa affermazione in bocca ai magistrati. Sarebbero stati loro, i pubblici ministeri del processo di Genova a definire Bolzaneto la “Guantanamo italiana”.

Ora sembra ormai assodato che nella caserma genovese alcuni tutori dell’ordine hanno avuto dei comportamenti illegali picchiando e minacciando i no global fermati dopo i disordini e le violenze al G8. Ma nella famigerata prigione americana, dove sono detenuti gli islamici accusati di terrorismo, ci sono prassi nemmeno lontanamente paragonabili: negli interrogatori si usa la tecnica dell’affogamento. Al punto che anche il repubblicano McCain, da ex prigioniero di guerra torturato dai vietcong,ha espresso la sua più totale condanna.

Dunque ci vuole davvero una fantasia sfrenata per pensare che i no global siano stati torturati come i terroristi islamici. Oppure bisogna essere accecati dalle pregiudiziali ideologiche. Le stesse pregiudiziali che, se c’è da fare un accostamento con una detenzione che violi i diritti umani, nemmeno prendono in considerazione un carcere cinese o iraniano (li avete visti i detenuti impiccati a grappoli alle gru dopo i processi islamici?…), perchè il credo ideologico li spinge subito ad andare verso il “Grande Satana”, cioè verso gli Stati Uniti.

Ma l’ideologia rende appunto ciechi, incapaci di esaminare la realtà e quindi non idonei ad amministrare la giustizia. Per questo è particolarmente grave se – come scrive Il Manifesto – sono stati dei magistrati a definire Bolzaneto la Guantanamo italiana.

 

COMINCIAMO A MULTARE I COMUNI

 

 

Al posto degli automobilisti è ora che comincino ad essere multati i Comuni. Multati per quest’uso scorretto che fanno delle contravvenzioni diventate, di fatto, un’imposta locale aggiuntiva. Multati per l’ipocrisia: ci spiegano che lo fanno per la sicurezza stradale, per tutelare la salute degli automobilisti, quando è invece evidente che il loro obiettivo è quello di fare cassa in modo da continuare a spendere e spandere eludendo i tagli che gli ultimi governi hanno imposto nei trasferimenti agli enti locali. Il Sole 24 Ore racconta che nell’ultimo anno le multe elevate dai Comuni sono aumentate del 16%; negli ultimi cinque anni del 76%. Un impennata che non trova riscontro nelle contravvenzioni elevate da polizia stradale, carabinieri e guardia di finanza: dobbiamo credere che questi ultimi non curino la sicurezza stradale o, più verosimilmente, che non abbiano la stessa esigenza di fare cassa?…

Sempre il Sole 24 Ore spiega che ormai per la maggioranza dei comuni italiani “la strada vale più della casa”, cioè che incassano di più con le multe che con l’Ici! (Quindi Berlusconi, se vuole davvero aiutare le famiglie, dovrebbe promettere di togliere le multe prima ancora dell’Ici…)

In realtà i Comuni, come hanno eluso i limiti alle nuove assunzioni attraverso il ricorso alle consulenze e ai contratti a termine, così evitano i tagli di spesa che i governi centrali avrebbero voluto imporre loro riducendo i trasferimenti, li evitano aumentando gli introiti con l’imposta locale surrettizia derivante dalle multe. Un’imposta locale per modo di dire: nel senso che c’è il pesante sospetto che i Comuni selezionino a monte le contravvenzioni, evitando di comminarle ai propri residenti e infierendo invece sull’automobilista di passaggio…

In attesa di ridurre nel tempo, col blocco reale delle assunzioni, il numero dei loro dipendenti, gli enti locali dovrebbero cominciare a tagliare le spese limitando in maniera drastica la miriade di contributi che elargiscono ad enti, associazioni, comitati, gruppi e via dicendo. Mi rendo conto che esiste un enorme problema sociale: milioni di persone che sono andate in pensione a cinquant’anni o prima e che adesso devono fare qualcosa per non impazzire nell’inedia. E così si moltiplicano le associazione, i comitati, i gruppi, i “volontari”, le sagre, etc. etc…Il che non toglie che tutto questo fiorire di attività non può essere foraggiato dalla fiscalità generale attraverso i contributi elargiti dagli enti locali.

Bisogna quindi che il prossimo governo non si limiti a tagliare i trasferimenti agli enti locali, ma che imponga ai Comuni il divieto di incrementare in qualunque modo le loro entrate. Solo così i Comuni dovranno sul serio tagliare le proprie spese, e non avranno più ragione di infierire con le contravvenzioni.

SECESSIONE CONTRO LA ‘NDRANGHETA

 


Presi come siamo in questi giorni dal dibattito attorno alle “liste pulite”, quasi non abbiamo recepito la gravità dell’ultimo rapporto della commissione antimafia che ha paragonato la ‘ndrangheta ad Al Qaeda. Nel senso che, come l’organizzazione terroristica islamica ha ramificazioni dovunque e dovunque è in grado di colpire, così la nostra criminalità organizzata non è più un fenomeno circoscritto all’Italia: ha le sue radici storiche e consolidate in vaste aree del nostro Mezzogiorno, dove il suo controllo è totale. E questa è la sua base da dove si diparte per gestire traffici illeciti e colpire in altri Paesi europei. Tant’è che l’esplosiva faida interna del luglio scorso è scoppiata ed ha investito la Germania a Duisburg

La base, il nucleo del tumore maligno, da dove si originano le metastasi che stanno infettando i Paesi stranieri, sono appunto le regioni del Sud che tutti sappiamo: Campania, Calabria, Sicilia, Puglia.

Noi siamo molto preoccupati per le liste pulite (stanca riedizione moralistica del “partito dalle mani pulite” rivendicato trent’anni fa da Enrico Berlinguer). L’Europa invece è molto preoccupata dalla ‘ndrangheta che, grazie alla forza e alle risorse che derivano dal controllo di questo pezzo d’Italia, va a colpire a Dusseldorf piuttosto che a Monaco di Baviera.

E proprio la Germania – mi hanno spiegato – vedrebbe con favore la secessione del Centronord dal Sud d’Italia. La vedrebbe come una “amputazione” necessaria ad evitare che la cancrena della ‘ndrangheta dilaghi, non tanto nel resto del nostro Paese, quanto nel resto d’Europa.

Encomiabile l’impegno di Di Pietro, Veltroni, Fini e Bondi per le liste pulite. Sperando che arrivino a convincersi però che la pulizia vera e seria da fare sarebbe ben altra…E bel altra anche la campagna elettorale se affrontasse problemi angoscianti come la liberazione del Sud dalla criminalità.

 

 

 

PONTI D’ORO (E CASE) AGLI STRANIERI

Ponti d’oro e, soprattutto case pubbliche agli stranieri. Questa la direttiva dell’Unione europea, ribadita anche nella polemica delle ultime ore col comune di Verona il quale ha voluto creare una corsia preferenziale nell’assegnazione degli alloggi in base all’anzianità di residenza: chi è residente a Verona da dieci o venti anni ha qualche punto in graduatoria. Secondo l’Ue però tuttoquesto è vietatissimo perchè discriminerebbe gli immigrati.

Obiezione, questa della Ue, comunque infondata dato che se mai si “discrimina” per anzianità di residenza e non per nazionalità ( il marocchino residente da dieci anni ha gli stessi diritti del veronese). Ma la cosa interessante è notare come l’applicazione cieca del principio di uguaglianza non genera giustizia bensì l’esatto opposto: cioè l’ingiustizia.

Non c’è dubbio infatti che gli immigrati hanno redditi più bassi dei nostri e nuclei famigliari molto più numerosi quindi, se non si intervenisse con qualche correttivo, il risultato sarebbe scontato: cento per cento delle case pubbliche assegnate a loro. Un risultato che però sarebbe palesemente ingiusto, perchè non si può ignorare il contributo che una persona ha dato negli anni alla sua comunità attraverso il lavoro, le tasse, la vita quotidiana. Non si può ignorarlo ed equipararlo nei diritti all’ultimo venuto. Senza aggiungere che questo risultato oltre che ingiusto sarebbe anche foriero di scatenare la guerra tra poveri, l’ostilità verso lo straniero.

Per altro va notato che questo esito teorico (cento per cento di case pubbliche assegnate agli stranieri) non si verifica in nessun comune. Il che significa che tutti di fatto applicano dei correttivi (confessati o meno) per aggirare il principio cieco dell’uguaglianza ed evitare così di produrre il massimo dell’ingiustizia nell’assegnazione delle case.

 

COSA CAMBIA DA BENITO A FIDEL

 


Cosa cambia da Benito a Fidel? Anzitutto la durata: noi ce la siamo cavata in un Ventennio, loro invece, i cubani, ci sono ancora dentro dopo cinquant’anni. Cambia che di Castro si può dire che è “una figura controversa” o “comunque lo si voglia giudicare – afferma Bertinotti – resta un grande protagonista della storia”. E Mussolini, comunque lo si voglia giudicare, resta un grande protagonista della storia? No, di Benito è vietato dirlo. Lo ha vietato lo stesso Gianfranco Fini con la sua definizione tombale: “Il fascismo è male assoluto”. Una condanna così netta che nessuno a sinistra a mai pronunciato nei confronti del comunismo.

Cambia che su Fidel si può dare un giudizio a luci e ombre, mentre per Benito devono esserci solo le ombre ( perchè è chiaro che il “male assoluto” non poteva nemmeno far arrivare i treni in orario…). La vera differenza è che una cultura ancora dominante nel nostro Paese non ha dubbi nel condannare, senza se e senza ma, le dittature di destra mentre tende a giustificare quelle di sinistra. Magari alla luce dei buoni propositi. Della serie: il comunismo sì, è vero che poi è degenerato, ma si proponeva di liberare gli oppressi e instaurare la giustizia sociale…Senza rendersi conto che i buoni propositi, se mai, sono un’aggravante delle dittature di sinistra rispetto a quelle di destra: nel senso che entrambe hanno ridotto il popolo in miseria e schiavitù; ma le prime, le dittature di sinistra, lo hanno anche preso in giro promettendogli di liberarlo…

Gli storici anglosassoni non hanno mai fatto differenze tra nazifascismo e comunismo, accomunandoli nell’unica definizione di “totalitarismi”.

Tornando a Fidel c’è ancora chi esibisce in sua difesa i risultati ottenuti dalla dittatura castrista sul fronte dell’istruzione e della sanità. Come se tutte le dittature (comprese quelle di Stalin e di Hitler) non puntino sempre su un programma sociale. Come se Mussolini non abbia anche lui promosso l’istruzione (con la grande riforma scolastica di Gentile) o istituito le pensioni o bonificato l’Agro Pontino. O fatto la guerra in Eritrea ed Etiopia esattamente come l’ha fatta Fidel in Angola e Mozambico!

Con la differenza che Benito era sincero e diceva di voler conquistare l’impero per gli italiani, mentre Fidel si travestiva da pia dama della San Vincenzo e raccontava che l’esercito cubano andava a “liberare” quelle popolazioni…

L’ultima differenza è che Castro ha vissuto abbastanza per assistere all’implosione del suo mito, per vedere il crollo di una rivoluzione cubana ridotta ad elargire stipendi da 18 dollari al mese; che oggi con il passaggio delle consegne a Raul ha come primo obiettivo quello di riuscire a “dar da mangiare alle masse” (vedi titolo di oggi su Repubblica).

Mussolini, come conseguenza della scelta di gettarci nella tragedia immane della guerra, è morto prima dell’implosione altrettanto inevitabile della sua rivoluzione. Dico inevitabile perchè abbiamo l’esempio del franchismo che non è entrato in guerra ed è durato impoverendo sempre di più la Spagna ed emarginandola dal mondo occidentale. Una Spagna che solo dopo l’abdicazione di Franco, con la democrazia e il libero mercato, ha imboccato la via della crescita economica e della modernità.

 

 

 

DALLA PARTE DI FIORELLO

Sto dalla parte di Fiorello. Capisco benissimo il suo appello sconsolato: se questa classe politica – ha detto – non riesce nemmeno a togliere i rifiuti dalle strade di Napoli prima del 13 aprile, allora stracciamo la scheda elettorale, non andiamo a votare, perchè vogliamo vedere dei fatti e non possiamo accontentarsi solo delle promesse.

Subito hanno crocefisso il povero Fiorello con l’accusa di cavalcare l’antipolitica come Grillo, di fare del facile qualunquismo, di usare in modo improprio la Rai “che è il luogo del servizio pubblico, sacrario della politica se c’è ne uno”

Partiamo da quest’ultima accusa virgolettata di Edmondo Berselli, che è la più esilarante. Basta cambiare l’ordine degli addendi: la Rai non è servizio pubblico ma pubblico servizio, cioè wc dove ognuno – da Celentano a Luttazzi – ha potuto esibire i propri escrementi. Ma improvvisamente diventa scandaloso se Rosario Fiorello lancia da VivaRadio2 il suo appello sconsolato e scherzoso.

Lui che ha sempre usato toni leggeri, che non ha mai fatto il giullare di nessuna parte politica, che non ha mai assunto l’aria ispirata, arrabbiata ed engagée del moralizzatore che pretende di avere la ricetta per redimere il mondo (e in questo senso è agli antipodi di Beppe Grillo). Ma di fronte alla totale dimostrazione di impotenza di una classe politica (quella locale responsabile diretta, quella nazionale non meno responsabile nella sua cieca acquescienza nazionale) che in 15 anni non è riuscita a risolvere ciò che tutti i Paesi civili hanno risolto, cioè lo smaltimento dei rifiuti a Napoli e in parte della Campania, di fronte a questo a Fiorello sono cadute le braccia come ad ogni altra persona di buon senso.

Diventa spontaneo domandarsi: ma se questa classe politica non riesce nemmeno a togliere i rifiuti dalle strade di Napoli, come facciamo a crederle quando ci promette di riformare il pubblico impiego, di attuare la riforma federalista, di ridare un senso alla scuola e all’università, di creare serie prospettive per i giovani? Non è riuscita a partorire il topolino di un termovalorizzatore, dovremmo ritenerla capace di far da levatrice alla montagna delle grandi riforme? Dobbiamo dargliene il mandato sulla fiducia col voto del 13 aprile o domandare prima una minima verifica nei fatti?

Quanto al qualunquismo bisogna intenderci su cosa sia, e se non sia invece cosa ben diversa l’aprire gli occhi sulla realtà. Porto un solo esempio: se leggo (Corriere della sera di lunedì) che la prossima udienza di certe cause civili viene fissata al 2020, mi cadono le braccia e concludo che l’amministrazione della giustizia è ormai allo sfascio. Sto facendo della demagogia, indulgo alla “antigiustizia” o sto fotografando la realtà?

Per concludere direi che Fiorello ha solo fotografato la realtà.



IL TERRITORIO TI TIENE SVEGLIO

 

La campagna elettorale è iniziata da pochi giorni e siamo già al torpore. Grazie anche alla novelle vague buonista, Veltroni e Berlusconi non ci tengono svegli nemmeno col vecchio scontro ideologico (comunisti/ cavaliere nero) e pacatamente ripetono promesse che sembrano fotocopiate l’uno dall’altro: tagli alle tasse, contenimento della spesa, aiuti alle famiglie, rilancio dell’economia.

Luca Ricolfi, su La Stampa, osserva che la domanda, su dove verranno trovate le risorse per mantenere le promesse elettorali,viene ogni volta elusa con risposte vaghe e non compromettenti: con la lotta all’evasione fiscale, con la riduzione degli sprechi nella pubblica amministrazione… Giuseppe De Rita, sul Corriere, ironizza che oramai i politici potrebbero anche risparmiarsi la fatica di presentare programmi così generici, scontati, fotocopiati.

Berlusconi e Veltroni fanno promesse tanto simili. Dal territorio invece emergono realtà così diverse e contrastanti: il Sole 24 Ore ci mostra quanto costi di più la vita a Venezia rispetto a Napoli o a Bari; lo stesso Corriere racconta che la Regione Lazio ha il doppio dei dipendenti della Lombardia e il numero più alto di assenze per malattia tra le regioni italiane. ( Il Lazio, prima governato da Storace ora da Marrazzo: a dimostrazione che la differenza non la fa destra o sinistra, ma la fa il territorio)

Se muovesse da queste precise diversità che ci mostra il territorio la campagna elettorale risulterebbe, credo, meno soporifera.Se Veltroni e Berlusconi poi volessero spiegarci come in concreto si possa uscirne, allora ci sveglieremo del tutto…

 

C’E’ DI PEGGIO DEL FINTO CIECO

 


Comprensibile lo stupore per il finto cieco scoperto a La Spezia che fruiva della sua bella pensione di invalidità totale, e totalmente fasulla, tant’è che l’hanno beccato a guidare l’Ape. Stupore e preoccupazione magari perché stiamo parlando della Liguria: ed è naturale chiedersi, se dilagano anche al Nord le pensioni di invalidità fasulle, quante mai saranno in altre zone del nostro Paese?…

Ma c’è di peggio dei finti ciechi. Sono le centinaia di migliaia di pubblici dipendenti che nemmeno guidano l’Ape, che non fanno assolutamente nulla e neppure corrono il rischio di essere scoperti. Sono quelli che continua a denunciare Flavio Tosi quando osserva che la regione Veneto ha 2.500 dipendenti mentre le regioni Campania e Sicilia, con un numero di abitanti analogo al Veneto, ne hanno rispettivamente 7.500 e 15.000.

Come dire che in regione Campania peggio dei finti ciechi ne abbiamo 5.000 e in Sicilia 12.500. E moltiplichiamo pure i numeri pensando ai dipendenti comunali o ai primari ospedalieri: uno ogni tre posti letto al Federico II di Napoli, un primario ogni venti posti letto al policlinico di Padova.

Questa è la voragine che fagocita fiumi di denaro pubblico. Il falso cieco per cui oggi ci scandalizziamo è solo un rivolo.

Flavio Tosi propone una soluzione che, almeno sulla carta, è inoppugnabile: stabilire la regola che allo stesso numero di abitanti (di comuni, regioni, provincie, Usl, comunità montane, etc.) deve corrispondere lo stesso numero di pubblici dipendenti. Ma arriveremo mai ad imporre questa soluzione? Cosa pensate?