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LA GRECIA E IL POPULISMO

Concordo al cento per cento con quanto dice al Corriere lo scrittore greco Apostolos Doxiadis: “Il governo ha posto al popolo greco una domanda fasulla: siete d’accordo con le misure di austerità che i creditori europei e internazionali voglio imporci? Più o meno è come chiedere a un individuo: vuoi ricevere metà del tuo stipendio? Vuoi trasferirti in una casa più piccola e pagare il doppio di affitto? Vuoi prenderti una brutta malattia? L’uomo della strada, a meno di non essere un masochista, risponderà certamente no”.
L’esito del referendum era dunque scontato. Come sarebbe scontato l’esito di un referendum in materia fiscale – che giustamente la nostra Costituzione esclude – perchè il popolo italiano all’unisono risponderebbe no, le tasse non le voglio! Ma, a quel punto, non esisterebbe più lo Stato…
Nessuno dice sì ai sacrifici, all’austerità. Ma un governo serio ha il dovere di imporla per il bene dei cittadini.
I populisti invece hanno un mantra, una parolina magica da contrapporre all’austerità, che si chiama “flessibilità”. La richiede anche il governo Renzi. Ma, maggiore flessibilità significa una cosa sola: tornare a spendere, a far debito pubblico.
Credo non occorre essere grandi economisti per capire un concetto elementare. Se una famiglia è indebitata fino al collo deve tagliare le spese superflue e impegnarsi ad incrementare gli introiti (lavorando di più) o deve invocare la “flessibilità”, inveire contro la propria banca che non le concede ulteriore credito?
Tsipras, Podemos (Grillo e Salvini), i populisti in genere, inveiscono contro la Troika, contro Bruxelles. Quando dovrebbero assumersi la responsabilità di trasmettere una visione più realista.
Vale anche per Renzi. Dove sono i tagli agli sperperi e agli sprechi della spesa pubblica? Sempre annunciati e mai attuati. Dov’è il merito, il premio, lo stipendio legato alla produttività? Non pervenuti.
Il problema vero è che – a furia di “diritti acquisiti” e privilegi corporativi – siamo diventati un popolo di fancazzisti. Non solo nel pubblico, anche nel privato.
Non è la Troika, non è la Merkel ad imporci una svolta. La impone il mondo globalizzato con la concorrenza di centinaia di milioni di persone che – venendo dalla miseria e volendo migliorare il loro tenore di vita – sono disposte a lavorare e a far sacrifici come abbiamo fatto noi italiani negli anni del dopo guerra. Come ci illudiamo di non dover più fare.
La parrucchiera italiana non risolve i suoi problemi votando Tsipras (né Grillo né Salvini), perché deve comunque misurarsi con la parrucchiera cinese che oggi nelle nostre città lavora il doppio a metà tariffa.
Non si risolve nulla uscendo dall’euro. Bisognerebbe uscire dal mondo…

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