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MANDORLINI, DA “CAPOPOPOLO” A “IMPIEGATO” (ALLA FACCIA MIA!)

Antonio Tabucchi in “Sostiene Pereira” scrive che tutti noi abbiamo un “io dominante”, ma che negli anni questo può cambiare a seconda del mutamento delle circostanze. E’ un concetto simile a quello che, ancor prima, Hermann Hesse aveva ampiamente trattato  nella sua letteratura, in particolare in “Siddharta” e “Il lupo della steppa”.

L’amico Marco Gaburro, nel suo blog, scrive di un Mandorlini più “aziendalista” rispetto al passato, vedi l’esclusione di Cacia per i noti problemi contrattuali del giocatore. E’ vero ed è un segno di intelligenza. Il mister ha saputo modificarsi una volta che ha capito che l’aria attorno a lui era cambiata, ergo gli interlocutori in società. Martinelli, managerialmente, non era quello che è Setti ora. Il compianto e indimenticato presidente della promozione in B (ricordiamolo sempre) aveva del club una gestione patriarcale “vecchia maniera”, più romantica e basata in un certo senso sugli affetti, così trovò nel Mandorlini “caudillo” l’uomo giusto per surrogare alle mancanze organizzative di quella struttura.

Setti, attraverso il lavoro di Gardini e Sogliano, una volta arrivato ha rivoltato quell’assetto deficitario come un calzino, ritrovandosi tra i piedi un allenatore inizialmente sgradito, ma amato dalla “piazza” e soprattutto vincolato a un biennale. Mandorlini, per quel suo temperamento “sudamericano”, infatti non calzava nel disegno del nuovo corso. Un temperamento che col tempo, tuttavia, si è attenuato, attraversando anche tempeste e periodi di tensione costellati di rapporti ai “minimi storici”, come i lettori di questo blog sanno bene. Con la stagione attuale, assieme a quelle che per Setti e Sogliano sono state le prime significative vittorie (per via Belgio la promozione dell’anno scorso è il minimo sindacale), si sono normalizzate anche le relazioni tra le parti.

Lo stesso presidente l’ha riconosciuto ieri: “Con Mandorlini sarebbe bello continuare, specie dopo tutto il percorso che è stato fatto assieme”. Con la parola “percorso” Setti non si riferisce solo ai risultati (che, fuori da ogni ipocrisia, rimangono comunque la cosa più importante), ma anche alla crescente sintonia tra il tecnico di Ravenna e la dirigenza, se non umana (ma chissenefrega), quantomeno professionale.

Scrivevo l’8 agosto 2012, primo – e per lungo tempo unico – a rendere di pubblico dominio le ambiguità allora esistenti tra il mister e la società: “Mandorlini, emotivo, dittatoriale, “padre padrone”, per indole anarchica e solitaria  poco aziendalista, lui stesso essenza del “potere carismatico e non democratico” (cit.) per dirla col sociologo Max Weber, è capace di fare “solo” il tecnico? Di “limitarsi” ad allenare giocatori non scelti da lui? Be’ sono perplesso. Mandorlini come tutti gli emotivi (razza che conosco bene) necessita di sentirsi sulla pelle la creatura che ha in mano. Mandorlini, per inciso, non è e non potrà essere mai un mero esecutore”.

Mi sbagliavo. Il Mandorlini “capopopolo” è diventato un ligio dipendente. Complimenti.

P.S. Mandorlini che – è risaputo – “non mi sente”, eppure so che ci vede benissimo. Mi dicono infatti che sia uno dei miei più affezionati lettori e che quelle (poche) volte che non può leggermi è solito chiedere in giro: “Che scrive Barana?”. Non si scomodi mister, il sottoscritto le vuole tanto bene: dove lo trovo un altro come lei?

 

 

 

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