IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

C’è la luce in questo Verona, di cui s’intravede qualcosa di speciale. Certo è presto e il campionato è lungo e tutto quel che volete del campionario di frasi fatte e ovvietà, ma i 6 punti in tre partite non sono un exploit casuale. Impressioni di settembre, belle come il pezzo scritto da Mogol e Mauro Pagani, musicato da Mussida, cantato dalla Pfm. La vittoria di Genova, rispetto a quella con il Napoli, ha un sapore più profondo, rotondo e complesso, come un vino pregiato.

Innanzitutto Sogliano, pur con mezzi economici limitati, ha costruito una squadra con tanta qualità tecnica. Del centrocampo ho già detto nelle scorse settimane: ma lì è impressionante i tanti giocatori bravi di cui Zanetti puà disporre. Manca Serdar, il tuo calciatore più forte? Hai Belahyane, potenziale “crac”. Lui e Harroui hanno rinforzato una mediana e una traquarti che erano già fiore all’occhiello del Verona di Baroni. E se in difesa con gli arrivi last minute di Daniliuc e Bradiric siamo completi (reparto dii categoria), le due variabili che possono determinare il campionato del Verona sono il contributo che darà Zanetti (tattico e di gestione) e il rendimento di Tengstedt. Se l’impatto del tecnico finora è stato esplosivo (lui ha idee brillanti, ma si sapeva, e la squadra lo segue), ma ovviamente occorre valutare questo aspetto nel medio periodo, l’attaccante danese – sui cui Sogliano e lo stesso allenatore credono ciecamente, e che ieri si è sbloccato in campionato – è l’uomo chiave che può alzare il livello del Verona. Bozenik non è arrivato e nemmeno altre punte di spessore (delle due l’una: o si cedeva Suslov, o si rinunciava al colpaccio in attacco), Mosquera è pur sempre una scommessa (ma è entrato bene anche a Marassi); così è chiaro che i fari sono puntati sull’ex Benfica. Se gira lui, il torneo dell’Hellas potrebbe avere risvolti interessanti.

Su Zanetti aggiungo, è naif nell’esprimersi, passionale all’estremo nel porsi: questo può essere un limite a certi livelli e in certi ambiti, ma forse Verona può diventare la “sua” piazza. E Sogliano, dopo tanti anni di carriera e scelte non sempre brillanti in fatto di guide tecniche, può aver trovato il “suo” allenatore.

SQUADRA COMPETITIVA, MA ASPETTIAMOLA CON AVVERSARI IN SALUTE. SETTI? PER LUI È BUSINESS, MA OGGI FA CALCIO CON CRITERIO

Sean Sogliano potrebbe aver realizzato un nuovo capolavoro. Livramento e Mosquera hanno segnato, Belayane ha le stimmate del grande centrocampista. Giusto essere cauti, specie sull’attaccante colombiano, che rimane comunque una scommessa (per quanto non si comprano mai calciatori a scatola chiusa, ma in base a delle qualità potenziali che s’intravedono). Si rafforza però la mia impressione: il Verona tecnicamente è squadra competitiva e anche abbastanza completa. A centrocampo siamo forti, lo eravamo l’anno scorso e adesso abbiamo perfino più alternative. Attenzione, non è scontato resti Suslov, dipenderà dal valore dell’offerta, ma in quel caso arriverebbe un cursore offensivo di fisico e corsa alla Folorunsho. E comunque in mediana e sulla trequarti abbiamo giocatori bravi e alternative all’altezza. Tengstedt è un attaccante vero, ieri non ha brillato ma Sogliano e Zanetti puntano molto sul danese. E certamente lì arriverà un altro titolare, con Bozenik c’è già l’accordo, ma il diesse ha pronte almeno due alternative. Credo che qualcosa si muoverà anche in difesa sugli esterni, più di qualcosa se il sacrificato fosse Tchatchoua e non Suslov (sia chiaro, potrebbe essere anche che non si venda più, c’è una dialettica in corso in società, Sogliano vorrebbe tenere tutti e aspettare semmai gennaio per qualche cessione eccellente).

Ma grosso modo la squadra c’è. E Zanetti sul piano tattico non si discute, è preparatissimo. Il suo punto debole potrebbe essere nella gestione degli uomini, l’ho sottolineato qui il 12 agosto, nel senso che la sua esuberanza e il suo entusiasmo da allenatore rampante, che si traducono in ossessività motivazionale coi giocatori, non ammettono vie di mezzo: in casi del genere fai benissimo o malissimo. Ieri con il Napoli è stato tutto fantastico, il tempo ci dirà se hanno inciso anche i problemi di coesione e ambientali degli avversari. Voglio vedere il Verona contro squadre che la mettono sul ritmo e più unite. Però ieri mi è piaciuta la compattezza difensiva del primo tempo, è il segnale che tatticamente siamo a buon punto e che sul piano morale (Zanetti alla vigilia si era soffermato su questo termine) abbiamo voglia di strappare il risultato, non siamo indolenti, c’è concentrazione e la voglia di fare il passo in più per non subire. Credo che da questo punto di vista abbia inciso anche la scoppola rimediata col Cesena.

Il Verona è un piccolo club, Setti deve tenere la rotta sul piccolo cabotaggio e guadagnarci. Per lui è un business e si è capito da anni, quindi inutile star qui a discutere del sesso degli angeli o delle solite cose. Lui non ha il potere negoziale e le possibilità di alzare l’asticella. Altrimenti lo farebbe. Il meccanismo finanziario e anche “politico” funziona se rimane minimale, senza sovraccarichi. Altrimenti potrebbe saltare, lo si è intuito con la crisi finanziaria di gennaio. Però, a differenza del passato, Setti è tornato a fare calcio con criterio. Nel suo business adesso c’è anche un contenuto calcistico. Sarà sempre così? Troppi chiari di luna in questi anni per avere certezze, che nel calcio attuale peraltro hanno in pochi – si va sempre di più verso i fondi d’investimento e i processi storici non li fermi. Le alternative? Può andarti meglio, ma anche peggio. Può venire un fondo serio (vedi Parma), o uno che fa mera speculazione finanziaria. Setti invece, nel bene o nel male, lo conosciamo. Al momento va bene così, in attesa degli eventi e della storia.

AL VERONA MANCA UN PIZZICO DI LIBERTÀ

Paolo Zanetti è un bravo allenatore. Sulla carta e per le tasche del Verona era la scelta più sensata tra i nomi papabili. Ha già esperienza – alti e bassi in serie A, come l’illustre predecessore Juric, in B ha vinto – ma è ancora un tecnico giovane e rampante ed è venuto a Verona con fortissime motivazioni e sete di rilancio.

Motivazioni che però vanno gestite e controllate. L’entusiasmo è tutto, ma se diventa smania, ossessione, fondamentalismo può essere un boomerang. Vedo un Zanetti molto pressante con la squadra, in versione sergente di ferro fin dal primo giorno di ritiro. Chiede, pretende, martella. E ancora: martella, chiede e pretende. Giusto. Però – suggerisco – ogni tanto serve anche lasciar correre, girarsi dall’altra parte, prendere e dare fiato. Essere insomma un pizzico più liberali. Ai giocatori di serie A, tra cui molti nazionali, devi anche concedere delle pause mentali, non puoi essere ossessivo, talvolta meglio essere comprensivo. Non parliamo di ragazzini, ma di iperprofessionisti profumatamente pagati che hanno già raggiunto il vertice. Insomma, un tasso di (loro) egocentrismo lo devi mettere in conto. Dunque per motivarli e – come ama dire Zanetti – “creare mentalità” (mentalità che appunto ancora non c’è, ha ammesso il tecnico) devi essere abile ad alternare bastone e carota, severità e tolleranza, pressione e (un minimo di) distrazione, determinazione ed empatia.

Il Verona tecnicamente c’è (se arriva Bozenik saremmo completi). Tatticamente Zanetti sa il fatto suo. Piccolo particolare: finora in campo non ho percepito quella voglia di divertirsi e di sentirsi liberi.

ZANETTI A VISO APERTO, FINALMENTE UNA CONFERENZA STAMPA VERA

Temperamento, schiettezza e versatilità. Sono le tre parole che prenderei dalla conferenza stampa di ieri di Paolo Zanetti.

Il nuovo allenatore del Verona si è mostrato a viso aperto, spiegando ciò che doveva spiegare, in primis sul piano tattico, cioè che non è un fondamentalista: “Ripartiamo dal 4-2-3-1, ma con margini di adattabilità e la capacità di avere delle modifiche. Contano i principi di gioco e non i sistemi”. Tradotto: mi adeguo alle caratteristiche dei giocatori a disposizione. Snodo fondamentale, questo, con un diesse “fantasista” come Sogliano, che nell’assemblamento delle rosa guarda più al talento individuale e alla personalità del calciatore che alle caratteristiche tattiche. Perciò serve un tecnico che sappia adattarsi al mercato del direttore sportivo e non viceversa.

E proprio sul rapporto con Sogliano, Zanetti è stato chiaro, confermandoci perché è stato lui il prescelto nella rosa di Sean: “Io sono uno diretto e mi piacciono le persone dirette. In questo io e il direttore siamo simili. Il direttore è un libro aperto, ti dice le cose anche scomode, ma preferisco uno scomodo ma vero, a uno che ti dice che sei un grande e poi ti manda a casa dopo quattro partite (il riferimento a Empoli non era causale, nda). Anch’io sono così. Il nostro rapporto, dunque, si manterrà come è stato in questa fase iniziale, improntato alla schiettezza”.   Attenzione, come andrà la relazione Sogliano-Zanetti è probabilmente la madre di tutte le questioni, la variabile dipendente che inciderà più di tutte. Questo perché quando lavori con un uomo totalizzante come Sogliano, ogni giorno sul campo, non puoi essere troppo primadonna o adombrarti di permalosità. Devi, anzi, avere dialettica, capacità di confronto (anche duro) e forza delle tue idee.

E Zanetti è certamente uomo di temperamento e passioni forti. Lo si è evinto anche ieri, sentendolo parlare. Non sono tanto le dichiarazioni ad avermi colpito, ma il tono di esse, la determinazione nel pronunciarle. Zanetti ha fame di rivincita e lo ha detto senza auto-censure, non gli è andato giù l’esonero di Empoli dopo i 43 punti della stagione precedente (“un’impresa sportiva. quella” ha ricordato). Per questo “quando mi ha chiamato il Verona ho sentito il serpente nello stomaco, per venire qui ho rinunciato a proposte economicamente più allettanti, ma non mi interessano i soldi, ho fame e spirito di rivalsa e questo è un club importante, allenare il Verona è una grande responsabilità”. Zanetti poi ha ammesso di sentirsi in sintonia sentimentale con la piazza, altro particolare non banale, perché il Verona storicamente ha sempre fatto bene con allenatori dal forte carattere più che con i giochisti.

Le premesse morali, tecniche e tattiche ci sono, l’impressione è (decisamente) buona. La parola al campo.

…DI ZANETTI E DI ALTRE COSE (CENTRO SPORTIVO)

Paolo Zanetti non è il migliore del mondo, ma è il migliore dei mondi possibili (per il Verona). Nel mazzo di carte che aveva in mano Sogliano, dato il budget, era la scelta più sensata, più di Donati o Inzaghi: perché già esperto, ma ancora tra i rampanti; perché di forte temperamento – come si conviene storicamente alla piazza di Verona – ma non egotico; perché allenatore tout court e non sbiadito di luce riflessa del passato di ex campione; perché tecnico dalla marcata identità tattica, ma non talebano  – vedi la capacità di variare schieramento dalla trequarti in su, dove serve adattarsi ai calciatori di talento. Inoltre, Zanetti ha dimostrato che, se supportato dalla società e da calciatori di qualità, raggiunge gli obiettivi prefissati. Ecco, sebbene nel calcio moderno lo si dimentichi e si conceda eccessiva vanagloria agli allenatori, poi sono i calciatori che fanno la differenza e determinano fortune e sfortune. Baroni si è salvato – e bravo Baroni! – ma nel girone di ritorno disponeva del miglior Serdar (a lungo nel giro della nazionale tedesca), Noslin (ne sentiremo parlare a lungo), Suslov e l’azzurro Folorunsho, più una serie di altri ottimi giocatori di categoria e-o nel giro delle loro nazionali.

Una mia perplessità, poiché sono per il calcio essenziale, veloce, verticale, piuttosto può riguardare la cosiddetta e controversa “costruzione dal basso”, di cui Zanetti si fa portatore. È un’idea tattica che se da un lato permette di far salire gli avversari in modo da colpirli poi sulla trequarti, dall’altro necessità di interpreti, ergo difensori, bravi nel palleggio. Sembra però che Zanetti non la applichi in modo totale e comunque si serve di un centrocampista che si abbassa sulla linea dei difensori.  Questo è un tema che sarà interessante approfondire anche nella conferenza stampa di presentazione del tecnico di Valdagno.

Ci sono gli scettici su Zanetti (ed è comprensibile), ma vorrei aprire una breve riflessione-digressione: noi a volte pensiamo che Verona sia il centro del mondo, in realtà siamo sì un club di serie A, ma economicamente non di fascia media (vedi Torino o Monza), ma piccola. Tradotto: non possiamo ambire a nomi di richiamo, ma arrivare agli emergenti o a chi ha sete di rilancio.   

Bottagisio. Setti dopo 12 anni di presidenza è riuscito finalmente a mantenere la promessa: il Verona ora ha un centro sportivo di proprietà. Sarà la casa delle giovanili e questo dara anche un’identità e un’allure al club, che si dota di qualcosa che rimarrà anche nel futuro. Ma soprattutto quella di Setti è un’operazione immobiliare che rafforza il valore economico e patrimoniale della società. Un passepartout con le banche e un asset da esibire ai potenziali compratori. L’occasione attesa da anni si è manifestata con un’asta fallimentare, come un’asta ha permesso a Setti di comprare la sede di via Olanda. Setti, va detto, è uomo che sa fiutare gli affari. Ma rilancio l’idea di Vighini: sarebbe affascinante in futuro ridare Veronello all’Hellas, intesa la prima squadra. E programmare all’antistadio occasionali sedute di allenamento o le partitelle in famiglia, per concedersi di tanto in tanto alla città. Modernità e identità possono andare in simbiosi.   

IL PARADOSSO: LA SVOLTA GRAZIE AL SEQUESTRO DELLE AZIONI. IL CLUB ORA AL BIVIO DELLA STORIA

Il Verona, nel dicembre 2022, viveva una drammatica e pericolosa fase di transizione sia tecnica che economica. Era da poco finito il ciclo di Juric e Tudor, il bilancio era gravato da ricchi ingaggi pluriennali della rosa e la squadra inchiodata all’ultimo posto in classifica.

La prima svolta.  Setti chiamò Sogliano, che è uomo molto più razionale e intellettualmente raffinato di quello che appare. Prima di quel Natale ci incontrammo una mattina in un bar in borgo Trento e mi rivelò: “Vorrei cambiare almeno 15 giocatori, servirebbero facce nuove per ridare nuovo entusiasmo. È finito un ciclo e non ne è stato aperto uno nuovo. Ma devo procedere con calma, sono appena arrivato e non posso mettere in pratica tutto quello che ho in testa. Inoltre non è fattibile riuscire a sgravare alcuni costi del bilancio in pochi mesi.  Intanto bisogna cercare di condurre in porto la nave”. Da lì solo pochi e mirati accorgimenti conservativi, (Zaffaroni che affianca Bocchetti e l’ingaggio di Duda e Ngonge), ma sufficienti per acciuffare un’insperata salvezza allo spareggio.

Poi l’estate scorsa un mercato con il freno a mano: tanti nuovi innesti, sì, tuttavia sul groppone ancora la vecchia guardia. Insomma, la rivoluzione di Sogliano era rimasta (ancora) incompiuta, i conti erano in rosso e nel frattempo Setti apriva una trattativa con un fondo d’investimento per la cessione delle quote. Non casuale, a quel punto, la scelta pragmatica di ingaggiare un allenatore adatto ad attraversare questa incerta “terra di mezzo” come Baroni, uomo di buon senso e di equilibrio, non rampante e non egocentrico, non il più bravo in assoluto tra coloro che potevano arrivare, ma il migliore in rapporto alla nostra situazione deficitaria. La cambiale da pagare era il doversi arrabattare in mezzo a mille casini: spogliatoio non amalgamato tra nuovi e vecchi, facce spente, giocatori con la testa altrove, incertezza societaria, titubanze di un Baroni che certamente non è un leader maximo o un temerario. Morale? Classifica ancora da tregenda e un altro Natale al buio, con la spada di Damocle del sequestro giudiziario delle azioni del club e la trattativa col fondo d’investimento che saltava.

La seconda svolta. Ecco,  qui si manifesta il paradosso. Del resto, nella storia, sono le grandi crisi ad aprire ai grandi cambiamenti.  La deficienza finanziaria della società e i problemi giudiziari di Setti con Volpi fanno saltare finalmente il tappo. Setti non ha più tempo, non può più procrastinare e deve reperire soldi in fretta. Sogliano così trasforma un (gigantesco) problema in un’opportunità: “Ora cambio tutto, facce, volti e diamo aria nuova allo spogliatoio” mi dice in quei giorni. Il ds realizza finalmente la rivoluzione  che aveva in testa da 13 mesi. Con piena soddisfazione di Baroni, che vede nel cambiamento la strada per la sua legittimazione: “Il mister ora è più sollevato, sente sua la squadra e la ritiene anche più forte tecnicamente” mi rivela Sogliano a febbraio. Il resto è storia nota: il Verona ingrana la quinta, girone di ritorno da decimo posto, 26 punti nelle ultime 21 partite e, a differenza dello scorso anno, salvezza conquistata per meriti tecnici e non demeriti altrui.

Ora la festa. Nei prossimi giorni la grande riflessione: cosa vuol essere il Verona?  Un club che vive alla giornata, rasenta i muri e galleggia affannato e sopravvivente con risicati budget, oppure che decide di fare uno step e diventare di media fascia? È chiaro che la domanda ne presuppone un’altra: cosa farà Setti? Deciderà di continuare da solo, di farsi supportare da un socio, o di cedere tutte le quote?

Siamo arrivati a un bivio della nostra storia. Oggi sostenere una serie A è finanziariamente sempre più oneroso, tra nuovi fondi, ricconi del sud-est asiatico o munifiche proprietà americane che alzano l’asticella economica generale. Ed è un trend destinato a crescere sempre più velocemente – nonostante le resistenze degli storici padroni del calcio italiano – perché il capitalismo globale non conosce inibizioni (e nemmeno regole), il calcio è un po’ una zona franca degli affari e l’Italia (come l’Inghilterra trent’anni fa) oggi è potenzialmente la nuova frontiera di investimenti internazionali, con il business edilizio (leggi nuovi stadi e centri sportivi) come attrattore irresistibile anche (purtroppo) di nuove speculazioni.

Quindi Setti faticherà sempre di più a competere. Il giochetto spendo zero-mi salvo-incasso i diritti tv (o il paracadute) non può durare all’infinito. Un Sogliano non lo trovi facilmente e comunque lo stesso diesse è il primo a sapere che operazioni alla Ngonge, alla Serdar o alla Noslin – che sono state una combinazione di abilità, buone relazioni e fortuna – non si ripetono in automatico. Setti deve decidere cosa fare da grande: continuare a rischiare, mollare la mano, o farsi affiancare?  

LODE AL PAREGGIO, QUESTO BISTRATTATO (ANCHE DA BARONI)

Il calcio di oggi è strano: gli allenatori, fin dalle giovanili, non insegnano più a difendere. E così ogni partita è anticipata dall’invocazione arrogantella e stucchevole del tecnico di turno: “Giocheremo per vincere”, suffragata ormai dall’evergreen banalotto: “Se ci mettessimo a difendere prima o poi il gol lo prenderemmo” (ma perché di grazia? Proprio perché tu non insegni a difendere…). Baroni, purtroppo, non fa eccezione, anzi, è uno degli adepti di questa cultura “giochista”.  

Non si ha più la capacità di strappare anche il punticino, di grattare i muri, sfangarla e farla franca, che nel calcio non sarebbe una vergogna dacché fa parte del dna culturale di questo sport. Peccato grave, specie se sei una squadra che deve salvarsi e quindi fare propria la massima intramontabile che amava ripetere quel raffinato filosofo della realtà che era Thomas Hobbes: “Primum vivere deinde philosophari” .

Il Verona visto con il Torino, ma anche con il Genoa (e perfino con il Milan, quando Baroni ha scelto di giocare uno contro uno a viso aperto) ha palesato mancanza di praticità e concretezza, e incapacità di adattarsi alle circostanze mutevoli della partita. E si è caricato ed è stato caricato di inutili pressioni. Così ha giocato per “vincere” e ha perso, non sapendo pareggiare. Sia da monito per le restanti due giornate e soprattutto per Salerno, lunedì: non carichiamoci a pallettoni di pressioni e aspettative, non facciamoci condizionare da smanie e manie grandiose, non giochiamo con la sindrome dell’ “ultimatum”.  Non è la partita della vita. Non siamo obbligati a vincere, ma abbiamo due risultati su tre a disposizione (e all’Inter ci penseremo poi).   

LA SALVEZZA (QUASI) CERTA, IL TOCCO DI SOGLIANO E LA TENTAZIONE IRRESISTIBILE DI SETTI…

È quasi fatta. E non c’è da stupirsi: il Verona, da quattro mesi a questa parte, ha cambiato marcia: 23 punti in 19 partite, prestazioni e solidità in crescendo e, nel mazzo, due giocatori sopra la media: Noslin e Serdar. Se l’ex nazionale tedesco non sorprende (per lui era questione di condizione mentale e fisica), la storia da raccontare è quella di Noslin, un passato familiare complicato, cresciuto nei sobborghi popolari di Amsterdam, fino a pochi anni fa calciatore di quarta serie olandese e rider. Noslin a 25 anni è attaccante in ascesa: ha talento, fame, umiltà, spiccata intelligenza extra-calcistica e lo raccontano come un ragazzo di una compostezza e un’educazione straordinaria. Dopo Ngonge, un’altra perla di Sogliano, che nei Paesi Bassi sa pescare come pochi e, in generale, è uno di quelli che ama e vede il talento individuale e – budget permettendo – su quello, più che sull’impostazione tattica degli allenatori, costruisce le squadre. Un ds all’antica, non schematico, fantasista: è infatti l’allenatore che poi dovrà assemblare il suo mercato e adattarsi ai giocatori (di qualità), non il contrario.

Al Verona ora basta un punto, con due è sicuro, ma la squadra è in salute, può muovere la classifica sia con Torino, Salernitana e Inter e dunque tranquillamente scrollare le spalle al calendario delle altre, fregandosene di calcoli e “radioline”. Va detto però che in queste ultime tre giornate ci sono una miriade di scontri diretti: Sassuolo-Cagliari, Udinese-Empoli e Frosinone-Udinese (aggiungerei Lecce-Udinese di domenica, i salentini sono virtualmente già salvi ma non possono far avvicinare l’Udinese). Quasi certo che le due che retrocederanno con la Salernitana (le più a rischio sono Sassuolo, Empoli e Udinese) non raggiungeranno i 35 punti.

A salvezza matematica potremo riaffrontare il discorso societario: riproponendo una questione di cui avevamo già scritto su questo spazio il 20 marzo: la razionalità suggerirebbe a Setti di vendere il club, ma l’emotività, lo status e la perpetua riproposizione del business incasso-spendo zero-mi salvo sono una tentazione irresistibile per rimanere in sella. Una cosa è certa: finché è in serie A, è Setti che decide se e a quali condizioni passare la mano. 

IL VERONA HA QUALITÀ ED È PADRONE DEL SUO DESTINO

Ora però la smetteremo di dire che il Verona è scarso e che tutte le altre sono più forti. Va bene il cuore, la capacità di soffrire, la grinta, ma nel Verona c’è anche e soprattutto qualità individuale. Quella fa la differenza, perché a calcio devi innanzitutto saperci giocare. È un’ovvietà, ma a Verona spesso la trascuriamo, presi come siamo a parlare di tutto fuorché di pallone e di tecnica. Sta di fatto che Baroni nello scontro della vita con l’Udinese si è potuto concedere il lusso di mettere in panchina Suslov, Duda, Bonazzoli e Vinagre in un colpo solo. Poi, chiaro, senza la giusta miscela tra temperamento e accortezza tattica non vai da nessuna parte, infatti qui avevamo sottolineato come quel mix fosse colpevolmente mancato contro il Genoa e pure contro il Milan, quando si è giocato lancia in resta e si sono palesate troppe distrazioni e leggerezze individuali (sciagurato sul piano tattico anche il primo tempo di Bergamo).

Ribadiamo: il Verona basta a se stesso, dunque per salvarsi deve limitarsi a restare concentrato e coerente nel a fare ciò che sa, senza complicarsi la vita, cercare virtuosismi o astruse formule. Baroni è bravo finché resta nel “suo” calcio, meno ogniqualvolta cerca (o è costretto a cercare) evasioni o mutamenti che si rivelano esiziali.

L’11 marzo, ospite di Supermercato in esterna, auspicavo che il Verona potesse arrivare a 31 punti dopo la partita con l’Udinese. Missione compiuta, siamo a regime, con la classifica che meritiamo (i punti persi e guadagnati si sono compensati). Allora immaginavo però che avremmo lasciato indietro qualche avversaria in più e invece il Lecce ha ripreso a correre, il Cagliari si è tirato fuori dalla melma e l’Empoli ha mantenuto la testa sopra la sabbia. Pertanto si potrebbe alzare la quota salvezza rispetto ai preventivati 35 punti, anche se molto dipenderà da Frosinone e Udinese che sono quelle che inseguono. Ma ora, a cinque partite dalla fine, è inutile stare qui a rimuginare e non vale la pena nemmeno elaborare tabelle. Piuttosto partirei da un dato di fatto che è una consapevolezza: il Verona ha raccolto 20 punti nelle ultime 17 partite, una buona media frutto di un cammino equilibrato, regolare (cinque vittorie, cinque pareggi, sette sconfitte). Significa che la squadra, al netto di qualche calo di tensione, è generalmente solida e non propensa a colpi di testa o harakiri improvvisi. Questo offre buone sensazioni per la volata finale. Il Verona è padrone del proprio destino.   

INCAZZATI E GRUNGE, SOLO COSÌ CI SALVEREMO

Mettiamocelo in testa. Non siamo la Berliner Philharmoniker o la London Symphony Orchestra. Non possiamo perderci in virtuosismi tecnici, la vanità è un lusso che non ci è concesso.  Il Verona deve badare al sodo, essere pratico, immediato, un po’ sporco. Ecco, continuando nella metafora musicale, più grunge e meno raffinato. Ergo, non esiste buttare via punti vitali per palle perse con leggerezza in pieno recupero, per la mollezza nei contrasti in area di rigore e per banali errori di impostazione nella nostra metà campo. Non possiamo neppure pensare di giocare a viso aperto con il Milan (non ne abbiamo i mezzi atletici, oltre che tecnici), o di sprecare tutte le energie nel primo tempo arrembante con il Genoa. Non dico di essere sparagnini, non è nella mentalità di Baroni, tuttavia più pragmatici sì.

C’è poi un limite tattico che è insito nel nostro allenatore, che ha dei meriti inconfutabili per i risultati del girone di ritorno, ma concettualmente rimane di fondo un monotematico, che fatica ad adattarsi all’avversario e a leggere le partita in corso d’opera. Non è un caso che ci abbia messo un girone intero a trovare la quadra tattica del Verona (perdendo mesi con un modulo in cui non credeva) e che ancora si perda in alcuni dettagli sostanziali  appena è costretto a cambiare lo spartito – in alcune partite ha abbassato il baricentro della squadra mettendo mediani o difensori al posto di attaccanti, con il Genoa nel secondo tempo l’ha infoltita di punte e mezze punte; una mancanza di coerenza che è indice di confusione.

Ribadisco che la squadra tecnicamente è all’altezza del compito a cui è chiamata, cioè non retrocedere. Abbiamo ritrovato due giocatori che in tempi non sospetti indicavo come decisivi:  Serdar, tornato ai suoi livelli di profilo internazionale, e Bonazzoli, che può essere il nostro uomo salvezza. Il punto perso col Genoa, può essere recuperato, l’importante è trovarsi a 30-31 punti dopo lo scontro diretto con l’Udinese.  Tuttavia occorre non inseguire menate, limitandoci a fare le cose che sappiamo fare. Vale per Baroni e i giocatori (il Davidowicz di turno non può impostare).  Basta essere centrati (tatticamente) e concentrati (nelle mezze palle, nei duelli individuali). E resteremo in serie A.