“Praticamente continuo a fare tutto io” ha detto ieri Maurizio Setti a una testata online laziale. “Ma lo dico in senso buono…” ha aggiunto. Tu pensa se lo diceva con cattive intenzioni…
Dichiarazioni che lasciano storditi tifosi e opinione pubblica veronese, che pensavano che con l’arrivo del fondo americano, Setti, al di là delle fumose (e inglesizzanti) formule embedded (o cazzo! un inglesismo…), fosse da appuntare alla voce passato.
E invece Maurizio è sempre tra noi, fiero, perfino loquace ora (con i colleghi laziali), uno che andreottianamente “si eclissa ma non tramonta mai” (come raccontavano ammirati dall’inner circle del Divo Giulio), e non manca di dircelo – in senso buono, s’intende – giusto appunto per fugare i dubbi di chicchessia, rispedire al mittente prematuri epitaffi e segnare il territorio.
Del resto, il calciomercato ha seguito il medesimo copione: vendo quelli forti (o “regalo” citando proprio Setti su Belahyane alla Lazio), compro a pochi soldi scommesse in giro per il mondo (affidandosi all’intuito di Sogliano).
Solito Setti, solito mercato, solita gestione rasoterra, consueti affari con Lotito: gattopardianamente è cambiato tutto (Presidio Investors) per non cambiare nulla (Setti e il “praticamente continuo a fare tutto io”). Tradotto: il Verona non è più di Setti, ma di fatto è ancora di Setti. Sembra uno scioglilingua, un labirinto concettuale per sinapsi forti, nasconde però un connubio esistenziale che pare inscalfibile: si possono costruire tutti i perimetri societari di questo mondo, nominare board con tizio e caio, dagli States alla Germania, ma Setti è il Verona di quest’epoca, si è preso il suo corpo e pure la sua anima. Perché fa quel che vuole, pure “regalare” Belahyane, e lo sbandiera pure ai quattro venti. Mentre dagli Stati Uniti giunge il rumoroso (rumorosissimo) silenzio di Presidio Investors.