QUESTA È LA STORIA…

Questa è una storia di ridicola e drammatica arroganza. Ridicola per la modestia dei suoi protagonisti. Drammatica perché c’è di mezzo il Verona.

Questa è la storia di un presidente con pochi denari e ancor meno credibilità, smentito nelle sue smentite su Volpi e incapace di realizzare le due promesse cardine del suo mandato: il centro sportivo e il consolidamento in serie A. Un presidente che dopo anni di gelo e noncuranza sentimentale ha provato improvvisamente e disperatamente a conquistarsi la piazza con una lettera scritta pure male, un’ora interminabile di video e una serie di interviste accomodanti (ma alle domande vere di Vighini è andato in difficoltà). Un presidente che ha detto restando serio. “Il Verona vale 70 milioni”.

Questa è la storia di un direttore sportivo che da ds in carriera ha esercitato poco. Un ds frenato da una contraddizione: decisionista, ma di scarsa personalità. Così si è circondato di collaboratori che ne hanno ancor meno, in primis l’allenatore. Un direttore sportivo che ha sistemato un po’ i conti e che nella sua prima stagione in B ha indovinato pure qualche colpo (Bessa, Fossati, Bruno Zuculini e Ferrari), ma che quest’anno ha sbagliato di tutto e di più, nel mercato e nella gestione tecnica ed emotiva (i casi Cassano, Pazzini e Caceres hanno lasciato macerie morali). E che ha avuto la debolezza di circondarsi di poco acuti signorsì,  anziché confrontarsi anche solo indirettamente con la critica. La poca lungimiranza e una costante sindrome di accerchiamento, corroborata da futili e insensati appelli all’ottimismo, hanno fatto il resto. Oggi il ds si dimette, una decisione surreale e irritante talmente è fuori tempo massimo. . 

Questa è la storia di un allenatore che faceva l’assistente. Un allenatore che in conferenza stampa non parla mai di calcio, ma di “spirito”, “approccio”, “episodi”, “crescita”, “fiducia” in una serie sconcertante di banalità e parole vuote. Un allenatore che in campo non ha saputo migliorare un solo giocatore (Fares addirittura si è involuto), la cui fase difensiva fa acqua e che via via ha smarrito anche le sue (poche) certezze arroccandosi nella più letale confusione. Un allenatore che si è spinto negli abissi più profondi dichiarando: “Il calcio non ha una logica”.

Questa è la storia di chi ha continuamente ricercato alibi. Di chi ha minimizzato. Di chi ha furbescamente colpevolizzato l’ambiente o alcuni giocatori poi epurati. E’ la storia di chi non ha posto domande. E’ la storia di chi ha scambiato erroneamente il diritto di critica con la libertà di applausi, a favore ovviamente della seconda. E’ la storia dei professionisti del vittimismo che scambiano normalissime critiche per attacchi personali. E’ la storia di chi prova a spegnere le voci non allineate. Ma poi l’unica cosa che si spegne è la loro pietosa tracotanza.

IL NOSTRO VERONA NON È IL VOSTRO VERONA

Ci avete quasi tolto l’anima. E anche dovessimo salvarci, sappiatelo, sarà senza gloria.

Fatevi un giro sugli spalti, cari addetti ai lavori. Ascoltate per una volta gli umori di una città delusa e anche un po’ tradita. Parlate, anche solo cinque minuti, con quelle persone che dovreste rappresentare. Le persone di tutti i giorni, piccoli imprenditori, commercianti, operai, lavoratori, bottegai che si fanno il mazzo tutta la settimana aspettando di abbracciare la loro passione – il Verona, LA squadra della città – e poi devono sorbirsi spettacoli indecorosi.

Oggi la questione non è più nemmeno mettersene dietro tre su venti (sai che impresa!). Ribadisco, il calendario ti sorride e se vinci a Benevento (che ha dieci-punti-dieci! Sarà mica impossibile?) ti ritrovi a un punto dalla Spal (ora salva) e con lo scontro diretto in casa. Ripeto: sarà un’impresa non salvarsi, altroché, con il destino che ti ha messo in mano queste insperate fiches.

No, oggi la questione è un’altra e prescinde dall’esito. Avete fatto a fette la passione sportiva, l’ansia agonistica, l’emozionalità di un risultato. E sapete perché? Perché il VOSTRO Verona, cari addetti ai lavori, non è il NOSTRO Verona.

Noi però rimaniamo con il nostro. Fieramente. E se sarà salvezza festeggeremo tra noi e per noi, perché è il Verona, squadra, pensiero e sentimento della nostra città. Non staremo tra voi e non condivideremo con voi, che dal vostro piedistallo non avete mai capito, che rinchiusi in una bolla autoreferenziale nemmeno volete capire. E se retrocederemo sarà comunque sempre il nostro Verona. Nulla cambierà.

Ma ci salveremo, forse in campo, di sicuro nel nostro senso di comunità. Voi ci avete quasi tolto l’anima. Ma quasi, appunto. Sapete, quella è impossibile cavarla tutta finché ci stringiamo tra noi. E poi ricresce, dimentica questi giorni e mesi tristi e torna forte, fortissima. Nonostante voi, che non sarete mai attori protagonisti di questo film.

 p.s. Buona Pasqua a tutti i lettori. Questa  è un pazza vita.  Dedicate tempo a chi volete bene.

SALVARSI È UN OBBLIGO MORALE, NON UN’IMPRESA

Non sarò umorale. Non sarò sorpreso. Il Verona è questo ed è sempre stato questo. O meglio: a gennaio qualcosa è cambiato e l’Hellas ha trovato più compattezza (il famoso stato d’animo), ma la squadra e la sua conduzione tecnica e sportiva rimangono lacunose. Risultato? Il Verona, in questo stravagante e tristemente mediocre campionato di bassifondi, se la può giocare con squadre in crisi (Torino e Chievo), o demotivate (Fiorentina), ma appena l’asticella si alza tornano prepotenti i suoi limiti tecnici, tattici e atletici. Eppure, nonostante tutto, grazie a quella compattezza e a un calendario amico può salvarsi.

Paradossalmente rimango fiducioso anche dopo l’ennesima figuraccia di una stagione di umiliazioni da collezione. Si badi bene: fiducioso, non ottimista. La fiducia è un concetto razionale, l’ottimismo una categoria dello spirito che lascio volentieri al nostro direttore sportivo. Il calendario del Verona è il meno impegnativo tra le pericolanti e certamente il più adatto alle nostre caratteristiche, ergo ai nostri deficit. Troveremo diverse squadre con meno motivazioni (Benevento, Bologna e Udinese e forse pure Genoa e Cagliari) e dunque il match point in mano l’abbiamo noi. La chiave sarà ovviamente non perdere contro chi la bava alla bocca ce l’avrà davvero, vedi Spal e probabilmente Sassuolo.

Sia chiaro: dato il deprimente panorama della lotta salvezza appena richiamato, è chiaro che restare in serie A non sarà un’impresa memorabile, ma solo un obbligo morale nei confronti di una piazza che per il Verona investe tempo, denaro, sentimenti e sogni. E che quest’anno ha subito l’onta di storiche umiliazioni. E che dopo uno 0-5 si deve sorbire la conferenza stampa di un allenatore che dice che lui non parla di cose tecniche (di che dovrebbe parlare un tecnico, di grazia?). Eppure, ripeto, ciò che conta è che ci possiamo salvare. L’ho scritto dopo la debacle di Roma con la Lazio, lo ribadisco oggi a qualche ora di distanza dall’inopinata sconfitta di ieri. E sapete perché? Perché, come dice Pecchia, “il calcio non ha una logica”. Il suo Verona di sicuro.

LO STATO D’ANIMO DI VALDANO (E FUSCO)

“Una squadra prima di tutto è uno stato d’animo” scriveva Jorge Valdano nel 1986 in Miedo Escenico, un saggio pubblicato sulla spagnola Revista de Occidente.

E’ una frase cara a Filippo Fusco, che la menzionava nell’intervista che mi concesse la scorsa estate, e al “gemello” non troppo diverso Fabio Pecchia, che l’ha ricordata di recente a Telenuovo quando gli chiesi una valutazione del mercato di gennaio. “Ora ho una squadra più vicina alle caratteristiche che volevo, una squadra è prima di tutto uno stato d’animo” mi disse Pecchia.

Questa sua dichiarazione è passata abbastanza in sordina, ma è rivelatrice: nel Verona qualcosa è cambiato. La vittoria con il Torino – come ho avuto modo di scrivere sul mio facebook quella domenica, e di affermare il lunedì successivo a ‘Ghe la femo’ e nei giorni scorsi al ‘Gialloblu Live’ – è stata la prima vera e convincente della stagione per la sua logicità, il suo equilibrio e la sua genesi. Chi mi segue ricorda invece che non mi avevano per nulla convinto sul piano della continuità tecnica le vittorie rotonde con Sassuolo, Milan e Fiorentina. Paradossalmente troppo bulimiche e straordinarie e dunque effimere.

Non è questione di essere profeti, o indovini, ma di vedere e “leggere” il calcio, o quanto meno provarci senza sconti o pregiudizi. Fusco a gennaio, un po’ per bravura (Vukovic, che ha sistemato la difesa e migliorato Caracciolo) e un po’ per fortuna (la promozione di Calvano, causa infortunio di Zaccagni), ha forse creato il famoso “stato d’animo” caro a Valdano. Con sei mesi di ritardo, ma con la tenacia di non darsi per vinto e con la consapevolezza interiore degli errori fatti (errori tecnici, il giudizio sulla sua opera amministrativa Cottarelli style l’ho sempre ritenuto positivo e distinto). Pecchia dal mercato invernale è uscito legittimato e rafforzato nello spogliatoio. La società (Fusco) ha operato in controtendenza fregandosene anche degli strali dell’ambiente e delle nostre critiche: anziché mandare via l’allenatore, è stato ceduto chi – pur mantenendo sempre intatta la sua professionalità – forse non ci credeva e non era allineato fino in fondo. La squadra ancora oggi ha evidenti limiti tecnici, l’attacco spuntato, ma è più solida, disposta meglio e molto operaia.

Dopo la brutta sconfitta con la Lazio scrivevo in questo spazio: “Potremmo addirittura salvarci”. Dopo la vittoria con la Fiorentina ricordavo che sarebbe servito arrivare almeno a 24 punti dopo la partita di Milano con l’Inter per avere concrete chances di salvezza. Qualche lettore mi scrisse che non lo potevo pretendere. Siamo a 22, ma dovendo recuperare Benevento e con di mezzo l’Atalanta in casa. Ci siamo. La strada è giusta.

UN GESTO UMANO NEL CALCIO MALATO

The show must go on? Ma a volte anche no, di grazia. The show must go on? Non sempre, per fortuna. Giusto rinviare la serie A dopo la morte di Astori. Una disgrazia che lascia senza fiato. Non si poteva far finta di nulla, non ci si poteva limitare allo strapuntino simbolico del minuto di silenzio (pardon di applausi, siamo in Italia ahimè). Cos’è un gol in confronto? Cos’è uno scazzo sulla tattica o le sostituzioni? Cos’è l’analisi di una vittoria o di una sconfitta? Meno di nulla. La decisione di Malagò, personaggio criticabile sotto mille altri aspetti, è stata sacrosanta, non scontata (provateci voi a fermare una macchina bulimica e milionaria) e soprattutto umana. Sì, ecco, un gesto umano in un mondo del calcio malato. 

Oggi torniamo a litigare (ma spero anche un po’ a riflettere) ed è giusto, sacrosanto. Ma ieri no, non lo era. Oggi sappiamo che la vita e il calcio continuano, dunque le polemiche, i dibattiti, i litigi, le opinioni. Per fortuna. Ma ieri no, nulla poteva continuare.

Ho sentito in molti lamentarsi, qualcuno addirittura ha delirato la tesi strampalata che siccome “muore gente ogni giorno”, allora, no, “non ha senso fermarsi”. Un’equazione idiota, superficiale, acida, che con l’intento di non categorizzare la morte la categorizza più di ogni altra cosa. Furbi, loro. 

Qualche altro ha parlato di “gesto ipocrita”. Processi alle intenzioni, cultura del sospetto infondato (dagli stessi magari che mettono la testa sotto la sabbia davanti ai sospetti fondati), persone che guardano sempre il male in ogni gesto. L’uomo Astori era conosciuto da tutti i colleghi, che evidentemente non erano in condizione di giocare. Ipocrisia? No, e anche fosse (ma non lo è)  meglio l’ipocrisia se l’alternativa è la cinica e disumana sincerità.

LA TRASPARENZA È ANCORA LONTANA

Setti dice che “viene prima il bilancio del risultato sportivo”, che “l’importante è non fare la fine di chi è fallito” e che “se retrocederemo cercheremo di fare una squadra per tornare su”, ma che se non dovessimo farcela non sarebbe un dramma perché “guardate altri club che fanno fatica a risalire”. Sembra un inno al sei politico, alla mediocrità: il massimo che possiamo ambire con lui è un affanno in A, se non un’altalena tra A e B, ma forse nemmeno quella. La miglior risposta l’ha data un grande ex come Domenico Volpati, uomo intelligente e libero, da sempre un po’ coscienza critica delle vicende gialloblu: “Ok i bilanci, ma ai tifosi non puoi togliere i sogni”.

Altroché il consolidamento nella massima categoria tanto sbandierato, la prima grande promessa disattesa da Setti. La seconda è il centro sportivo, di cui Setti tanto si riempie la bocca da cinque anni e mezzo, ma a parte un rendering e i soliti proclami mediatici ad oggi non c’è ancora nulla di concreto.

Potremmo poi ricordare i tanti dinieghi, poi anch’essi smentiti, sulla figura di Gabriele Volpi per misurare la credibilità del nostro amministratore unico. Potremmo rammentare i bilanci della Falco analizzati da Verona col Cuore che attestano che ci sono state due gestioni Setti, una danarosa (con circa 20 milioni ricevuti da Falco) e l’altra austera (il flusso finanziario si è interrotto), ed è facile intuire che Sogliano era solamente la pedina manageriale del disegno del primo Setti, quello danaroso. Dunque accusare Sogliano di aver speso troppo, non solo è inelegante (ma si sa ognuno ha lo stile che si merita), ma significa negare i motivi, la ragione sociale per cui Setti ha preso il Verona ed è anche l’ennesima mezza verità che distoglie dalla verità completa: quel Verona poteva  spendere, anzi doveva, per investire e creare plusvalenze. Meccanismo perfettamente riuscito nella gestione dell’ex ds e dunque del primo Setti. Se poi è cambiato qualcosa (ed è cambiato qualcosa, dicono i bilanci di Falco) non è certo colpa di Sogliano, ma di storie consumate immagino nei piani più alti.

Setti, tra le altre cose, nell’incalzante intervista di Vighini dice: “Più volte ho provato a far entrare Volpi nel Verona”. Ma poi mi chiedo: se i conti lasciati da Sogliano erano tanto disastrati perché chi è venuto dopo (Gardini e Bigon) ha speso milioni di euro per Viviani (cartellino più contratto) e Pazzini (contratto milionario quinquennale)? Spese milionarie che, a differenza di quelle di Sogliano (che hanno garantito 25 milioni di plusvalenze e tre anni in A più il paracadute, dunque indirettamente 100 milioni di ricavi), sono state una zavorra economica per il Verona. Fatti questi che smontano la narrazione settiana.

Potremmo poi chiederci: perché un talent scout contrattualizzato dal Verona, intendo Dritan Derwishi, era da un anno l’amministratore unico della Falco e al momento lo è anche della nuova società che è stata trasferita in Italia, la H23? E’ come se un collaboratore di Marotta, per dire, fosse l’amministratore della controllante della Juventus. Inusuale. Magari Setti, da qualche settimana improvvisamente verboso con i media, ci spiegherà anche questo.

Qualche timidissimo passo avanti verso la chiarezza l’amministratore unico lo sta facendo, ma ancora non basta. Siamo ancora lontani da una vera trasparenza.

 

PRONTO SETTI?

Se il presente e il futuro piangono, allora consoliamoci con il passato. Suggerisco a Setti di ripristinare un vecchio format della tv e farlo suo. ‘Pronto Raffaella?’ potrebbe diventare ‘Pronto Setti?’ e al posto dei fagioli nel barattolo potremmo mettere le inesattezze, gli omissis e le mezze verità che ogni volta l’amministratore unico del Verona ci racconta. Prova poi tu a indovinare quante sono. Provaci.

In effetti Setti, una volta finito l’inchiostro per le lettere, si è dato al video. I risultati sono ancora un po’ altalenanti – 54minuti54 sul web (altroché tempi di recupero, qui si è andati ai supplementari) sono leggeri come un convegno di numismatica – eppure sorprendenti. Cioè sorprende che ci sia qualcuno che è riuscito ad arrivare fino in fondo. Pare che quei pochi eroi si stiano riprendendo solo ora. Solidarietà.

Ma non sottilizziamo. E’ solo questione di prenderci gusto e poi si impara: i video di Setti potrebbero diventare una rubrica settimanale, tipo il famigerato “Matteo risponde” di renziana memoria, o i mitologici appelli agli italiani di Berlusconi con la calza sulla telecamera e i libri dietro (ma erano veri?).

‘Pronto Setti?’ sono sicuro diventerà virale, sbancherà gli auditel di tutto il mondo, pronto per la BBC, o – perché no? – per sostituire il David Letterman. L’usato sicuro non tradisce mai. E passi per il profluvio di demagogia, riuscita pure male. Funziona così: l’amministratore unico seleziona le due-tre domande che preferisce, non troppo impegnative, cita il nome di due-tre tifosi e ne invita uno in sede per farsi il selfie, così dar da intendere che lui, dopo anni di alzate di spalle, silenzi, colori sballati e gaffe memorabili, improvvisamente ci tiene al popolo del Verona e al senso di appartenenza. Come se quel popolo avesse l’anello al naso. 

Restano sempre da indovinare i fagioli nel barattolo, pardon, le inesattezze, gli omissis e le mezze verità dette. E’ più facile salvarsi.

P.s. Potremmo addirittura salvarci. Dalla 31° alla 37° il calendario è abbordabile, con molte squadre già senza obiettivi. Ma ci stiamo affidando a un miracolo (la salvezza del Crotone dell’anno scorso non è altro che una preghiera ai santi, non è calcio) e all’altrui indolenza. Pecchia a Telenuovo ha detto testualmente: “Il calcio non ha una logica”. Allora affidiamoci ai maghi o alle fattucchiere, che serve Coverciano? Dunque se ci dovessimo salvare non ci sarà logica. Perfetto allora: salviamoci, ma poi questi signori se ne vadano a casa.

GIÀ… I FATTI CARO SETTI

Giovanotto…carta, calamaio e penna, su avanti scriviamo!”. Amore in quantità. “Ma si, fai vedere che abbondiamo. Abbondandis in abbondandum, che poi dicono che siamo provinciali…”.

Lettere aperte, quasi commoventi. Totò e Peppino? No. Ernest Hemingway e Marlene Dietrich? Men che meno. Setti, sì, Setti e il suo panegirico di ieri.  

C’è l’immancabile retorica della strada (“sono figlio di operai”).

C’è il risentimento (giustificato) verso chi usa per offendere “persone che non ci sono più” (ma l’autore si è scusato pubblicamente e sarebbe stato altrettanto giusto ricordarlo); salvo poi usare per “difendersi” le stesse persone che non ci sono più. E che peraltro non possono commentare il passaggio sul fallimento sfiorato (“una società che era vicina al fallimento, proprio come quel Verona che mi venne ceduto”).

C’è l’invito a venire con il proprio commercialista per controllare il bilancio del Verona (ma spero anche delle altre società della complessa catena di controllo e magari della società anonima lussemburghese), tuttavia nemmeno si prova a confutare nel merito l’analisi di Verona col Cuore (che commercialisti sono!).

C’è la lode a Fusco in un “mondo fatto di furbetti che ho anche conosciuto da vicino”. Spero non si riferisse a Lotito e Preziosi, non due verginelle, con cui Setti è stato immortalato a pranzo in Lega.

C’è poi quella che sembra avere tutta l’aria (ma certamente sbagliamo) di un excusatio non petita accusatio manifesta: “Osvaldo Bagnoli presidente onorario non è e non sarà mai un gesto per abbindolare la tifoseria”. Perché specificarlo? Chi mai l’ha detto o scritto?

C’è poi il coup de théatre, assai demagogico: “Chiunque voglia chiedere chiarimenti e spiegazioni può scrivermi a…”. Ma intanto nessun cenno di risposta ai giornalisti (ad esempio il sottoscritto) che da mesi propongono interviste e-o incontri anche solo informali per capire.

C’è infine il solito refrain sui fatti che lui preferisce alle parole. Bene i fatti parlano di un presidente che ha goduto di introiti milionari come nessun’altro predecessore. Che ha rilevato il Verona in B ereditando una squadra tecnicamente già strutturata (Jorginho, Maietta, Hallfredsson, Rafael). Che dopo tre anni positivi ha silurato il ds (lo stesso che ha portato Fares, Valoti e Zaccagni, ora citati come patrimonio) ed è stato capace di collezionare una retrocessione umiliante, una promozione per il rotto della cuffia e un campionato – l’attuale – che rischia di essere addirittura più umiliante di quello di due anni fa.

I fatti – seguendo l’analisi di Verona col Cuore ad oggi non smentita e non confutata – raccontano dell’improduttività della società di marketing HVMC, di un’anticipazione finanziaria alla Seven 23 (la società dei marchi di abbigliamento di Setti) e degli ultimi due bilanci della HV7 non disponibili. I fatti ci riportano alla cessione del marchio del 2013 che ha salvato il bilancio. I fatti confermano i rapporti finanziari, perlomeno indiretti, con Volpi per anni smentiti. I fatti sono il quinquennale a Pazzini (5 anni!), poi soprammobile solo due anni dopo (la chiamiamo continuità di gestione? Programmazione? Lo definiamo progetto?). I fatti parlano di un forte e improvviso ridimensionamento economico, a cui non è mai stata data spiegazione.

Setti dice che è stanco di falsità, ma sarebbe auspicabile una maggiore onestà intellettuale da parte sua.

KARMA PAZZINI

C’è un karma. Una ferrea legge del contrappasso. Pazzini segna al Real. Un gol determinante e bello per tempismo, tecnica, fattura. Il Verona senza Pazzini (e senza punte) gioca 42′ minuti con un uomo in più e non riesce nemmeno a scaldarli i guanti di Allison.

Ci sono fatti che superano qualsiasi dibattito e opinione. Vicende che soffiano sul castello di carta della fragile e servile retorica. Per mesi Fusco e le sue grancasse ci hanno dato da intendere che Pazzini non serviva, perché bollito, fragile, sfiorito. E poi guadagnava troppo. Noi ci siamo sempre chiesti se Pazzini, schierato (con Kean, seconda punta capace di “accorciargli” il campo) e soprattutto gestito in un certo modo, non potesse essere perlomeno utile in una squadra scalcagnata e povera tecnicamente come il Verona. E soprattutto se una volta ceduto non fosse il caso di prendere un centravanti vero e non una carrellata di seconde punte.

Ma questi sono discorsi di calcio e a Verona, mi si permetta, probabilmente non è più solo calcio da un pezzo. Ma come: vinci di rado e in modo troppo illogico, la fase difensiva fa acqua da tutte le parti (oggi l’indolente Dzeko ha sbagliato una roba tipo 72 gol), lo spogliatoio è una polveriera (quattro giocatori della rosa erano in tribuna oggi, perché?) e chi ti ha portato in A quasi da solo (Bessa e Pazzini) viene epurato? Perché in tutto questo caos e nonostante una serie interminabile di sconfitte allenatore e ds non sono mai stati messi in discussione? A prescindere direbbe Totò. Che senso ha discutere dell’esonero di Pecchia nella settimana di Firenze, ma prima e dopo non più? Cos’è un “teatrino”? Uno strapuntino per l’opinione pubblica incazzata? E un ds che ti regala un mercato come l’ultimo, è un ds o un (ottimo) “commissario” alla spending rewiev che deve tagliare, ridurre e “liquidare”? Fusco alias Cottarelli: via Pazzini e Bessa, ma non solo, abbiamo perso persino un Torregrossa qualsiasi, che in serie B ti sarebbe stato utile. E’ calcio questo? E poi cosa ci resta? Setti non ce lo dice.

Ma poi c’è quel karma, il karma Pazzini, che svela e rivela. Scoperchia un vaso di pandora privo di onestà intellettuale e trasparenza, ricco solo di cupezza, presunzione e freddezza ai limiti del cinismo. Ma in ogni dramma c’è il risvolto comico. Quel suo gol al Real imbarazza le grancasse ufficiali e rende quasi divertenti, surreali e finanche grotteschi i loro balbettii, ancora e nonostante tutto giustificazionisti. Povero Verona.

UN BRODINO? NO, UNA FLEBO

Scusate se non m’illudo. Non l’ho fatto neppure dopo l’exploit di Reggio Emilia con il Sassuolo ammutinato contro Bucchi e ancora meno dopo il 3-0 rifilato a quel Milan dead man walking. Troppe poche vittorie e finanche illogiche (nel risultato e nelle dimensioni) per cogliere i meriti nostri e non i demeriti altrui. Vittorie a cui sono seguite orrori in serie.

Scusate se non m’illudo. Lo storico del Verona del trio meravilla Setti-Fusco-Pecchia edizione 2017-18 parla chiaro: vittorie (poche) altisonanti, sconfitte (troppe) oscene. Il filo logico è che non c’è… un filo logico: manca continuità – innanzitutto di gioco – e solidità tecnica, tattica, agonistica e identitaria (in primis nella scelta degli uomini sui cui puntare).

Scusate se non m’illudo. La classifica resta drammatica. Le rivali (Spal e Crotone), pur non irraggiungibili (ma 4 punti non sono pochi), stanno ingranando e il calendario non ci sorride.

Scusate, però vorrei illudermi. E soprattutto crederci. Ma non mi basta vincere facile, sempre e solo contro chi non ha mordente. Vorrei cominciare a vincere…difficile, quando conta davvero, negli scontri diretti e nella partite senza domani, quando la palla scotta e i ritmi s’impennano. Il Verona oggi non ne è capace. Anzi. Domani, chissà. 

Scusate, fatemi allora illudere. E crederci. Ma non ora. Non oggi. Prima voglio vedere l’Hellas con Roma, Samp, Lazio, Benevento, Torino, Chievo e Atalanta. Pretendo continuità e (almeno) 10-11 punti. E’ la soglia minima per tirare a campare.  

Sennò Firenze sarà solo fuffa. Sbobba da quattro soldi. Meno di un brodino. Una flebo, ecco, una flebo per un Verona ancora, ahimè, agonizzante, ma che perlomeno respira (e respiriamo anche noi, ché scrivere e commentare sempre oscenità alla lunga è devastante). È già qualcosa, almeno diamo un senso a tutto. Ma “tu dimmi che non vuoi morire” caro Verona.