LO STATO D’ANIMO DI VALDANO (E FUSCO)

“Una squadra prima di tutto è uno stato d’animo” scriveva Jorge Valdano nel 1986 in Miedo Escenico, un saggio pubblicato sulla spagnola Revista de Occidente.

E’ una frase cara a Filippo Fusco, che la menzionava nell’intervista che mi concesse la scorsa estate, e al “gemello” non troppo diverso Fabio Pecchia, che l’ha ricordata di recente a Telenuovo quando gli chiesi una valutazione del mercato di gennaio. “Ora ho una squadra più vicina alle caratteristiche che volevo, una squadra è prima di tutto uno stato d’animo” mi disse Pecchia.

Questa sua dichiarazione è passata abbastanza in sordina, ma è rivelatrice: nel Verona qualcosa è cambiato. La vittoria con il Torino – come ho avuto modo di scrivere sul mio facebook quella domenica, e di affermare il lunedì successivo a ‘Ghe la femo’ e nei giorni scorsi al ‘Gialloblu Live’ – è stata la prima vera e convincente della stagione per la sua logicità, il suo equilibrio e la sua genesi. Chi mi segue ricorda invece che non mi avevano per nulla convinto sul piano della continuità tecnica le vittorie rotonde con Sassuolo, Milan e Fiorentina. Paradossalmente troppo bulimiche e straordinarie e dunque effimere.

Non è questione di essere profeti, o indovini, ma di vedere e “leggere” il calcio, o quanto meno provarci senza sconti o pregiudizi. Fusco a gennaio, un po’ per bravura (Vukovic, che ha sistemato la difesa e migliorato Caracciolo) e un po’ per fortuna (la promozione di Calvano, causa infortunio di Zaccagni), ha forse creato il famoso “stato d’animo” caro a Valdano. Con sei mesi di ritardo, ma con la tenacia di non darsi per vinto e con la consapevolezza interiore degli errori fatti (errori tecnici, il giudizio sulla sua opera amministrativa Cottarelli style l’ho sempre ritenuto positivo e distinto). Pecchia dal mercato invernale è uscito legittimato e rafforzato nello spogliatoio. La società (Fusco) ha operato in controtendenza fregandosene anche degli strali dell’ambiente e delle nostre critiche: anziché mandare via l’allenatore, è stato ceduto chi – pur mantenendo sempre intatta la sua professionalità – forse non ci credeva e non era allineato fino in fondo. La squadra ancora oggi ha evidenti limiti tecnici, l’attacco spuntato, ma è più solida, disposta meglio e molto operaia.

Dopo la brutta sconfitta con la Lazio scrivevo in questo spazio: “Potremmo addirittura salvarci”. Dopo la vittoria con la Fiorentina ricordavo che sarebbe servito arrivare almeno a 24 punti dopo la partita di Milano con l’Inter per avere concrete chances di salvezza. Qualche lettore mi scrisse che non lo potevo pretendere. Siamo a 22, ma dovendo recuperare Benevento e con di mezzo l’Atalanta in casa. Ci siamo. La strada è giusta.

UN GESTO UMANO NEL CALCIO MALATO

The show must go on? Ma a volte anche no, di grazia. The show must go on? Non sempre, per fortuna. Giusto rinviare la serie A dopo la morte di Astori. Una disgrazia che lascia senza fiato. Non si poteva far finta di nulla, non ci si poteva limitare allo strapuntino simbolico del minuto di silenzio (pardon di applausi, siamo in Italia ahimè). Cos’è un gol in confronto? Cos’è uno scazzo sulla tattica o le sostituzioni? Cos’è l’analisi di una vittoria o di una sconfitta? Meno di nulla. La decisione di Malagò, personaggio criticabile sotto mille altri aspetti, è stata sacrosanta, non scontata (provateci voi a fermare una macchina bulimica e milionaria) e soprattutto umana. Sì, ecco, un gesto umano in un mondo del calcio malato. 

Oggi torniamo a litigare (ma spero anche un po’ a riflettere) ed è giusto, sacrosanto. Ma ieri no, non lo era. Oggi sappiamo che la vita e il calcio continuano, dunque le polemiche, i dibattiti, i litigi, le opinioni. Per fortuna. Ma ieri no, nulla poteva continuare.

Ho sentito in molti lamentarsi, qualcuno addirittura ha delirato la tesi strampalata che siccome “muore gente ogni giorno”, allora, no, “non ha senso fermarsi”. Un’equazione idiota, superficiale, acida, che con l’intento di non categorizzare la morte la categorizza più di ogni altra cosa. Furbi, loro. 

Qualche altro ha parlato di “gesto ipocrita”. Processi alle intenzioni, cultura del sospetto infondato (dagli stessi magari che mettono la testa sotto la sabbia davanti ai sospetti fondati), persone che guardano sempre il male in ogni gesto. L’uomo Astori era conosciuto da tutti i colleghi, che evidentemente non erano in condizione di giocare. Ipocrisia? No, e anche fosse (ma non lo è)  meglio l’ipocrisia se l’alternativa è la cinica e disumana sincerità.

LA TRASPARENZA È ANCORA LONTANA

Setti dice che “viene prima il bilancio del risultato sportivo”, che “l’importante è non fare la fine di chi è fallito” e che “se retrocederemo cercheremo di fare una squadra per tornare su”, ma che se non dovessimo farcela non sarebbe un dramma perché “guardate altri club che fanno fatica a risalire”. Sembra un inno al sei politico, alla mediocrità: il massimo che possiamo ambire con lui è un affanno in A, se non un’altalena tra A e B, ma forse nemmeno quella. La miglior risposta l’ha data un grande ex come Domenico Volpati, uomo intelligente e libero, da sempre un po’ coscienza critica delle vicende gialloblu: “Ok i bilanci, ma ai tifosi non puoi togliere i sogni”.

Altroché il consolidamento nella massima categoria tanto sbandierato, la prima grande promessa disattesa da Setti. La seconda è il centro sportivo, di cui Setti tanto si riempie la bocca da cinque anni e mezzo, ma a parte un rendering e i soliti proclami mediatici ad oggi non c’è ancora nulla di concreto.

Potremmo poi ricordare i tanti dinieghi, poi anch’essi smentiti, sulla figura di Gabriele Volpi per misurare la credibilità del nostro amministratore unico. Potremmo rammentare i bilanci della Falco analizzati da Verona col Cuore che attestano che ci sono state due gestioni Setti, una danarosa (con circa 20 milioni ricevuti da Falco) e l’altra austera (il flusso finanziario si è interrotto), ed è facile intuire che Sogliano era solamente la pedina manageriale del disegno del primo Setti, quello danaroso. Dunque accusare Sogliano di aver speso troppo, non solo è inelegante (ma si sa ognuno ha lo stile che si merita), ma significa negare i motivi, la ragione sociale per cui Setti ha preso il Verona ed è anche l’ennesima mezza verità che distoglie dalla verità completa: quel Verona poteva  spendere, anzi doveva, per investire e creare plusvalenze. Meccanismo perfettamente riuscito nella gestione dell’ex ds e dunque del primo Setti. Se poi è cambiato qualcosa (ed è cambiato qualcosa, dicono i bilanci di Falco) non è certo colpa di Sogliano, ma di storie consumate immagino nei piani più alti.

Setti, tra le altre cose, nell’incalzante intervista di Vighini dice: “Più volte ho provato a far entrare Volpi nel Verona”. Ma poi mi chiedo: se i conti lasciati da Sogliano erano tanto disastrati perché chi è venuto dopo (Gardini e Bigon) ha speso milioni di euro per Viviani (cartellino più contratto) e Pazzini (contratto milionario quinquennale)? Spese milionarie che, a differenza di quelle di Sogliano (che hanno garantito 25 milioni di plusvalenze e tre anni in A più il paracadute, dunque indirettamente 100 milioni di ricavi), sono state una zavorra economica per il Verona. Fatti questi che smontano la narrazione settiana.

Potremmo poi chiederci: perché un talent scout contrattualizzato dal Verona, intendo Dritan Derwishi, era da un anno l’amministratore unico della Falco e al momento lo è anche della nuova società che è stata trasferita in Italia, la H23? E’ come se un collaboratore di Marotta, per dire, fosse l’amministratore della controllante della Juventus. Inusuale. Magari Setti, da qualche settimana improvvisamente verboso con i media, ci spiegherà anche questo.

Qualche timidissimo passo avanti verso la chiarezza l’amministratore unico lo sta facendo, ma ancora non basta. Siamo ancora lontani da una vera trasparenza.

 

PRONTO SETTI?

Se il presente e il futuro piangono, allora consoliamoci con il passato. Suggerisco a Setti di ripristinare un vecchio format della tv e farlo suo. ‘Pronto Raffaella?’ potrebbe diventare ‘Pronto Setti?’ e al posto dei fagioli nel barattolo potremmo mettere le inesattezze, gli omissis e le mezze verità che ogni volta l’amministratore unico del Verona ci racconta. Prova poi tu a indovinare quante sono. Provaci.

In effetti Setti, una volta finito l’inchiostro per le lettere, si è dato al video. I risultati sono ancora un po’ altalenanti – 54minuti54 sul web (altroché tempi di recupero, qui si è andati ai supplementari) sono leggeri come un convegno di numismatica – eppure sorprendenti. Cioè sorprende che ci sia qualcuno che è riuscito ad arrivare fino in fondo. Pare che quei pochi eroi si stiano riprendendo solo ora. Solidarietà.

Ma non sottilizziamo. E’ solo questione di prenderci gusto e poi si impara: i video di Setti potrebbero diventare una rubrica settimanale, tipo il famigerato “Matteo risponde” di renziana memoria, o i mitologici appelli agli italiani di Berlusconi con la calza sulla telecamera e i libri dietro (ma erano veri?).

‘Pronto Setti?’ sono sicuro diventerà virale, sbancherà gli auditel di tutto il mondo, pronto per la BBC, o – perché no? – per sostituire il David Letterman. L’usato sicuro non tradisce mai. E passi per il profluvio di demagogia, riuscita pure male. Funziona così: l’amministratore unico seleziona le due-tre domande che preferisce, non troppo impegnative, cita il nome di due-tre tifosi e ne invita uno in sede per farsi il selfie, così dar da intendere che lui, dopo anni di alzate di spalle, silenzi, colori sballati e gaffe memorabili, improvvisamente ci tiene al popolo del Verona e al senso di appartenenza. Come se quel popolo avesse l’anello al naso. 

Restano sempre da indovinare i fagioli nel barattolo, pardon, le inesattezze, gli omissis e le mezze verità dette. E’ più facile salvarsi.

P.s. Potremmo addirittura salvarci. Dalla 31° alla 37° il calendario è abbordabile, con molte squadre già senza obiettivi. Ma ci stiamo affidando a un miracolo (la salvezza del Crotone dell’anno scorso non è altro che una preghiera ai santi, non è calcio) e all’altrui indolenza. Pecchia a Telenuovo ha detto testualmente: “Il calcio non ha una logica”. Allora affidiamoci ai maghi o alle fattucchiere, che serve Coverciano? Dunque se ci dovessimo salvare non ci sarà logica. Perfetto allora: salviamoci, ma poi questi signori se ne vadano a casa.

GIÀ… I FATTI CARO SETTI

Giovanotto…carta, calamaio e penna, su avanti scriviamo!”. Amore in quantità. “Ma si, fai vedere che abbondiamo. Abbondandis in abbondandum, che poi dicono che siamo provinciali…”.

Lettere aperte, quasi commoventi. Totò e Peppino? No. Ernest Hemingway e Marlene Dietrich? Men che meno. Setti, sì, Setti e il suo panegirico di ieri.  

C’è l’immancabile retorica della strada (“sono figlio di operai”).

C’è il risentimento (giustificato) verso chi usa per offendere “persone che non ci sono più” (ma l’autore si è scusato pubblicamente e sarebbe stato altrettanto giusto ricordarlo); salvo poi usare per “difendersi” le stesse persone che non ci sono più. E che peraltro non possono commentare il passaggio sul fallimento sfiorato (“una società che era vicina al fallimento, proprio come quel Verona che mi venne ceduto”).

C’è l’invito a venire con il proprio commercialista per controllare il bilancio del Verona (ma spero anche delle altre società della complessa catena di controllo e magari della società anonima lussemburghese), tuttavia nemmeno si prova a confutare nel merito l’analisi di Verona col Cuore (che commercialisti sono!).

C’è la lode a Fusco in un “mondo fatto di furbetti che ho anche conosciuto da vicino”. Spero non si riferisse a Lotito e Preziosi, non due verginelle, con cui Setti è stato immortalato a pranzo in Lega.

C’è poi quella che sembra avere tutta l’aria (ma certamente sbagliamo) di un excusatio non petita accusatio manifesta: “Osvaldo Bagnoli presidente onorario non è e non sarà mai un gesto per abbindolare la tifoseria”. Perché specificarlo? Chi mai l’ha detto o scritto?

C’è poi il coup de théatre, assai demagogico: “Chiunque voglia chiedere chiarimenti e spiegazioni può scrivermi a…”. Ma intanto nessun cenno di risposta ai giornalisti (ad esempio il sottoscritto) che da mesi propongono interviste e-o incontri anche solo informali per capire.

C’è infine il solito refrain sui fatti che lui preferisce alle parole. Bene i fatti parlano di un presidente che ha goduto di introiti milionari come nessun’altro predecessore. Che ha rilevato il Verona in B ereditando una squadra tecnicamente già strutturata (Jorginho, Maietta, Hallfredsson, Rafael). Che dopo tre anni positivi ha silurato il ds (lo stesso che ha portato Fares, Valoti e Zaccagni, ora citati come patrimonio) ed è stato capace di collezionare una retrocessione umiliante, una promozione per il rotto della cuffia e un campionato – l’attuale – che rischia di essere addirittura più umiliante di quello di due anni fa.

I fatti – seguendo l’analisi di Verona col Cuore ad oggi non smentita e non confutata – raccontano dell’improduttività della società di marketing HVMC, di un’anticipazione finanziaria alla Seven 23 (la società dei marchi di abbigliamento di Setti) e degli ultimi due bilanci della HV7 non disponibili. I fatti ci riportano alla cessione del marchio del 2013 che ha salvato il bilancio. I fatti confermano i rapporti finanziari, perlomeno indiretti, con Volpi per anni smentiti. I fatti sono il quinquennale a Pazzini (5 anni!), poi soprammobile solo due anni dopo (la chiamiamo continuità di gestione? Programmazione? Lo definiamo progetto?). I fatti parlano di un forte e improvviso ridimensionamento economico, a cui non è mai stata data spiegazione.

Setti dice che è stanco di falsità, ma sarebbe auspicabile una maggiore onestà intellettuale da parte sua.

KARMA PAZZINI

C’è un karma. Una ferrea legge del contrappasso. Pazzini segna al Real. Un gol determinante e bello per tempismo, tecnica, fattura. Il Verona senza Pazzini (e senza punte) gioca 42′ minuti con un uomo in più e non riesce nemmeno a scaldarli i guanti di Allison.

Ci sono fatti che superano qualsiasi dibattito e opinione. Vicende che soffiano sul castello di carta della fragile e servile retorica. Per mesi Fusco e le sue grancasse ci hanno dato da intendere che Pazzini non serviva, perché bollito, fragile, sfiorito. E poi guadagnava troppo. Noi ci siamo sempre chiesti se Pazzini, schierato (con Kean, seconda punta capace di “accorciargli” il campo) e soprattutto gestito in un certo modo, non potesse essere perlomeno utile in una squadra scalcagnata e povera tecnicamente come il Verona. E soprattutto se una volta ceduto non fosse il caso di prendere un centravanti vero e non una carrellata di seconde punte.

Ma questi sono discorsi di calcio e a Verona, mi si permetta, probabilmente non è più solo calcio da un pezzo. Ma come: vinci di rado e in modo troppo illogico, la fase difensiva fa acqua da tutte le parti (oggi l’indolente Dzeko ha sbagliato una roba tipo 72 gol), lo spogliatoio è una polveriera (quattro giocatori della rosa erano in tribuna oggi, perché?) e chi ti ha portato in A quasi da solo (Bessa e Pazzini) viene epurato? Perché in tutto questo caos e nonostante una serie interminabile di sconfitte allenatore e ds non sono mai stati messi in discussione? A prescindere direbbe Totò. Che senso ha discutere dell’esonero di Pecchia nella settimana di Firenze, ma prima e dopo non più? Cos’è un “teatrino”? Uno strapuntino per l’opinione pubblica incazzata? E un ds che ti regala un mercato come l’ultimo, è un ds o un (ottimo) “commissario” alla spending rewiev che deve tagliare, ridurre e “liquidare”? Fusco alias Cottarelli: via Pazzini e Bessa, ma non solo, abbiamo perso persino un Torregrossa qualsiasi, che in serie B ti sarebbe stato utile. E’ calcio questo? E poi cosa ci resta? Setti non ce lo dice.

Ma poi c’è quel karma, il karma Pazzini, che svela e rivela. Scoperchia un vaso di pandora privo di onestà intellettuale e trasparenza, ricco solo di cupezza, presunzione e freddezza ai limiti del cinismo. Ma in ogni dramma c’è il risvolto comico. Quel suo gol al Real imbarazza le grancasse ufficiali e rende quasi divertenti, surreali e finanche grotteschi i loro balbettii, ancora e nonostante tutto giustificazionisti. Povero Verona.

UN BRODINO? NO, UNA FLEBO

Scusate se non m’illudo. Non l’ho fatto neppure dopo l’exploit di Reggio Emilia con il Sassuolo ammutinato contro Bucchi e ancora meno dopo il 3-0 rifilato a quel Milan dead man walking. Troppe poche vittorie e finanche illogiche (nel risultato e nelle dimensioni) per cogliere i meriti nostri e non i demeriti altrui. Vittorie a cui sono seguite orrori in serie.

Scusate se non m’illudo. Lo storico del Verona del trio meravilla Setti-Fusco-Pecchia edizione 2017-18 parla chiaro: vittorie (poche) altisonanti, sconfitte (troppe) oscene. Il filo logico è che non c’è… un filo logico: manca continuità – innanzitutto di gioco – e solidità tecnica, tattica, agonistica e identitaria (in primis nella scelta degli uomini sui cui puntare).

Scusate se non m’illudo. La classifica resta drammatica. Le rivali (Spal e Crotone), pur non irraggiungibili (ma 4 punti non sono pochi), stanno ingranando e il calendario non ci sorride.

Scusate, però vorrei illudermi. E soprattutto crederci. Ma non mi basta vincere facile, sempre e solo contro chi non ha mordente. Vorrei cominciare a vincere…difficile, quando conta davvero, negli scontri diretti e nella partite senza domani, quando la palla scotta e i ritmi s’impennano. Il Verona oggi non ne è capace. Anzi. Domani, chissà. 

Scusate, fatemi allora illudere. E crederci. Ma non ora. Non oggi. Prima voglio vedere l’Hellas con Roma, Samp, Lazio, Benevento, Torino, Chievo e Atalanta. Pretendo continuità e (almeno) 10-11 punti. E’ la soglia minima per tirare a campare.  

Sennò Firenze sarà solo fuffa. Sbobba da quattro soldi. Meno di un brodino. Una flebo, ecco, una flebo per un Verona ancora, ahimè, agonizzante, ma che perlomeno respira (e respiriamo anche noi, ché scrivere e commentare sempre oscenità alla lunga è devastante). È già qualcosa, almeno diamo un senso a tutto. Ma “tu dimmi che non vuoi morire” caro Verona.   

IL DRAMMA CHE DIVENTA FARSA

Il dramma è mutato in farsa. Già da un pezzo. Cronache marziane in casa Hellas Verona. Da luglio Setti & C. stanno collezionando batoste in serie su ogni fronte, ma poi li senti parlare e sembra che gravitino in un mondo parallelo.

C’è il ‘caso Volpi’ che nei mesi è dilagato, lasciando domande in sospeso a cui Setti continua a non dare risposte.

C’è il caso Caceres, rinsavito e rispedito alla Lazio con tanto di video saluto. Uno dei punti più imbarazzanti della storia del Verona. L’amico Lotito ringrazia. C’è il caso Pazzini, da settembre separato in casa, gestito che peggio non si poteva. C’è il caso Bessa che si trascina dal ritiro. Pazzini e Bessa, due a cui devi buona parte della promozione. C’è stato Cassano, che con il suo vado-resto-vado ci ha ridicolizzato in mezza Italia. C’è il mercato, con Setti che dichiara restando serio: “Non possiamo fare solo operazioni in entrata”. Fusco gli dà spago: “Con Vukovic in entrata siamo a posto”. Ci stiamo ulteriormente indebolendo (e ce ne voleva) e loro quasi gongolano. Evviva!

C’è un allenatore che da mesi non sa più che pesci pigliare, sul piano tattico e della gestione del gruppo, ma va in sala stampa e pare reciti la poesia a memoria. E’ un brutto lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo no?

La farsa è deflagrata in tutta la sua potenza oggi pomeriggio. Tutte le supercazzole sulla crescita (Pecchia), sull’ottimismo (Fusco) e la positività (Setti ieri) sono andate a farsi benedire. Schiacciate dalla realtà.

Setti, arrivato a Verona, aveva promesso il consolidamento in serie A. E’ in grado ora di sostenere quella promessa? L’associazione Verona col Cuore, trust dei tifosi che studia i bilanci, in settimana si è interrogata sulla sostenibilità finanziaria del Verona di Setti scrivendo: “Gran parte dei finanziamenti ricevuti dal Verona nei primi anni di gestione Setti sono provenuti dalla società anonima lussemburghese Falco Investment, per il tramite dell’allora controllante HV7. Nelle ultime stagioni questo flusso non c’è più stato e si è fatto fronte alla gestione economica-finanziaria riducendo i costi e realizzando plusvalenze “liquidando” il patrimonio giocatori. Tuttavia una volta ridotti al massimo i costi e in assenza di nuove sostanziose plusvalenze, e consapevoli che una società calcistica non può basarsi in larga parte sui soli diritti televisivi, ci domandiamo: quale futuro aspetta l’Hellas Verona?”.

Nel frattempo Stefano Magrini, presidente di Bluvolley, imprenditore e tifoso del Verona, nell’intervista che mi ha concesso ha lasciato trasparire il suo interesse (con altri soci) per il Verona. Interesse di cui si vocifera da tempo. “L’Hellas è un sogno e resterà tale…” mi ha detto quasi rimarcando i puntini di sospensione. Poi è sembrato voler lanciare un preciso e non casuale appello ad altri (qualcuno in particolare?) imprenditori e investitori. Forse qualcosa si muove. Ci ritorneremo. 

LA RESA DEI CONTI

Cortocircuito infinito. Non c’è limite allo sconcerto in questo Verona. Cerci infortunato ma in vacanza alle Maldive – per gentile concessione societaria – con immancabile foto su Istangram e il sorriso rilassato. Non è questione di moralismo e non voglio solleticare inutili populismi, ma quell’immagine stride. La forma in certi casi è sostanza. Pare che lottare per la salvezza qui sia considerato un pranzo di gala.

Dischi rotti (e stonati). Quelli di Fusco. Sarà l’avvicinarsi di Sanremo, sarà che le canzonette danno conforto, ma il ds insiste con la sua nenia preferita: “Caceres ha un contratto con noi fino a giugno 2018”. Lo sanno anche i muri e ciò che più conta Re Lotito, che regna, sovrasta e impera, che Caceres è già alla Lazio. Perché insistere, Fusco?

Masochismo d’ordinanza. Giochi a Napoli, aspetti lo scontro diretto (quasi) decisivo con il Crotone e ti fai espellere con probabile squalifica. Pecchia, al solito tarantolato in panchina (ma a che serve? I giocatori così li agiti…), questo giro ha ecceduto pure con l’arbitro. Nel giorno più sbagliato. Autocontrollo, questo sconosciuto.

Parole vuote. Chissenefrega se “abbiamo tenuto il campo” con Juve e Napoli, o “perso con onore”. Le prestazioni con le grandi, nel momento che perdi, contano fino a un certo punto, dato che queste spesso giocano svogliate e sornione, un po’ al gatto con il topo, consce che il gol prima o poi lo trovano. Sono prestazioni quasi falsate, intangibili. E’ fondamentale l’ordine tattico, il gioco, il ritmo atletico e la concentrazione con le nostre (poche) pari grado o con le avversarie di mezzo. E’ qui che finora abbiamo miseramente fallito.

Parole già scritte. Quelle di Fusco mercoledì in un’inusuale conferenza stampa pre-mercato. Il ds ha messo quasi le mani avanti parlando di “poco budget” e ha invocato l’aiuto dei tifosi (che pure verso la squadra c’è sempre stato e comunque certi appelli sono fastidiosi) e pure dei giornalisti (non ho mai letto in nessun manuale deontologico che i giornalisti devono aiutare, so che devono informare, raccontare e analizzare con obiettività e capacità critica, ma aiutare mi è sfuggito). Ha lasciato intendere che confida nel calendario (e su questo può anche aver ragione) e ha ammesso che servono tre-quattro rinforzi. Sono arrivati Matos (serviva un’altra mezza punta che ne abbiamo già 5-6 in organico?) e Petkovic, ariete d’attacco, fisico e discreta velocità, ma poca confidenza con la porta e soprattutto con la serie A. E’ chiaro che stiamo parlando di scommesse (speriamo indovinate). Servirebbero anche un centrale di difesa e un terzino sinistro, ipotesi quest’ultima scartata da Fusco, per il quale lì siamo a posto (contento lui). Disco rotto su Caceres a parte, ho visto un ds più provato del solito e anche un filo più umile. Forse in via Belgio cominciano a rendersi conto degli errori fabbricati in serie da luglio in poi. Chissà. Speriamo non sia troppo tardi.

Resa dei conti. E’ quella con il Crotone dopo la sosta. Non servirà giocare come con la Juve o il Napoli. E’ una partita diversa. Il Verona deve dare un segnale forte e chiaro. La città è con il Verona, indipendentemente da Setti, Fusco e Pecchia. Ed è proprio questo che gli imperatori degli alibi Setti, Fusco e Pecchia non capiscono e non capiranno mai. Loro, non so perché, ne fanno una questione personale.

IL CALCIO QUESTO SCONOSCIUTO

Non ce ne voglia Tonino Guerra alias Filippo Fusco, di professione ottimista (con tanto di citazione di un incolpevole Papa), ma per salvarsi, come diceva il più prosaico Genio Fascetti, “servono i giocatori buoni” (pure in questa deprimente serie A) e non fumose supercazzole di bassa filosofia. In primis un centravanti, professione antica eppure sconosciuta nel Verona, dacché Tonino alias Filippo ha infarcito la squadra di seconde o mezze punte (Kean, Bessa, Verde, Valoti, Cerci, chi più ne ha più ne metta) senza pensare a un-attaccante-uno, assodato che Pazzini non rientrava nei piani. Per tacere poi del caso Caceres (congedo da gran signore, chapeau), con il ds che ancora una settimana fa negava l’evidenza ripetendo la stanca litania “ha un contratto con noi fino al 2018”. Ma pensano che abbiamo l’anello al naso? Senza l’uruguagio la squadra sarà ancora più debole di quello che già è. E lasciamo perdere la voragine della fascia sinistra, bellamente trascurata in estate. Dal mercato devono assolutamente arrivare 3-4 rinforzi. Se siamo ancora in corsa è demerito degli altri e non merito nostro. Continuiamo a scherzare con il fuoco? I discorsi sull’ottimismo e il pessimismo sono fumo negli occhi, predicozzi fuori luogo, affabulazioni riuscite pure male con citazioni colte che le rendono ancora più stonate. Cominciamo a parlare di calcio e a fare autocritica, caro Fusco?

Non ce ne voglia l’intoccabile “Profeta” Fabio Pecchia, la cui carriera da tecnico e lo score in campionato suggerirebbero umiltà e che tuttavia umiltà non ha con quel sorrisino professorale d’ordinanza che accompagna le sue dichiarazioni “lunari”. Vince 3-0 con il peggior Milan che si ricordi e dopo una serie infinita di sconfitte, alcune pure imbarazzanti, va in Rai (radio) a gigioneggiare e a dire che l’ambiente di Verona non aiuta (a nemmeno 24 ore da una vittoria in un Bentegodi da brividi). Perde 4-0 a Udine e afferma che “non è grave” (quisquilie). Ieri sera è tornato ad attaccare l’ambiente asserendo in sostanza che è per quello che “facciamo risultato più fuori casa che in casa” (cosa peraltro falsa). Continua con l’ormai irritante solfa della crescita (rispetto allo sconcertante avvio di campionato decrescere era impossibile), senza peraltro affrontare mai nessun tema tecnico-tattico. Cominciamo a parlare di calcio, caro Pecchia?

Non ce ne voglia l’ex amico di Volpi Maurizio Setti, ma la gestione di Caceres è uno dei capitoli calcisticamente più umilianti della storia del Verona. Arrivato a Verona in deficit atletico e fisico, ora che sta bene lo diamo alla Lazio dell’amico Lotito. Work in progress. Stiamo lavorando per voi. Anzi no, per gli altri. Cominciamo a fare calcio, caro Setti?