IL DRAMMA CHE DIVENTA FARSA

Il dramma è mutato in farsa. Già da un pezzo. Cronache marziane in casa Hellas Verona. Da luglio Setti & C. stanno collezionando batoste in serie su ogni fronte, ma poi li senti parlare e sembra che gravitino in un mondo parallelo.

C’è il ‘caso Volpi’ che nei mesi è dilagato, lasciando domande in sospeso a cui Setti continua a non dare risposte.

C’è il caso Caceres, rinsavito e rispedito alla Lazio con tanto di video saluto. Uno dei punti più imbarazzanti della storia del Verona. L’amico Lotito ringrazia. C’è il caso Pazzini, da settembre separato in casa, gestito che peggio non si poteva. C’è il caso Bessa che si trascina dal ritiro. Pazzini e Bessa, due a cui devi buona parte della promozione. C’è stato Cassano, che con il suo vado-resto-vado ci ha ridicolizzato in mezza Italia. C’è il mercato, con Setti che dichiara restando serio: “Non possiamo fare solo operazioni in entrata”. Fusco gli dà spago: “Con Vukovic in entrata siamo a posto”. Ci stiamo ulteriormente indebolendo (e ce ne voleva) e loro quasi gongolano. Evviva!

C’è un allenatore che da mesi non sa più che pesci pigliare, sul piano tattico e della gestione del gruppo, ma va in sala stampa e pare reciti la poesia a memoria. E’ un brutto lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo no?

La farsa è deflagrata in tutta la sua potenza oggi pomeriggio. Tutte le supercazzole sulla crescita (Pecchia), sull’ottimismo (Fusco) e la positività (Setti ieri) sono andate a farsi benedire. Schiacciate dalla realtà.

Setti, arrivato a Verona, aveva promesso il consolidamento in serie A. E’ in grado ora di sostenere quella promessa? L’associazione Verona col Cuore, trust dei tifosi che studia i bilanci, in settimana si è interrogata sulla sostenibilità finanziaria del Verona di Setti scrivendo: “Gran parte dei finanziamenti ricevuti dal Verona nei primi anni di gestione Setti sono provenuti dalla società anonima lussemburghese Falco Investment, per il tramite dell’allora controllante HV7. Nelle ultime stagioni questo flusso non c’è più stato e si è fatto fronte alla gestione economica-finanziaria riducendo i costi e realizzando plusvalenze “liquidando” il patrimonio giocatori. Tuttavia una volta ridotti al massimo i costi e in assenza di nuove sostanziose plusvalenze, e consapevoli che una società calcistica non può basarsi in larga parte sui soli diritti televisivi, ci domandiamo: quale futuro aspetta l’Hellas Verona?”.

Nel frattempo Stefano Magrini, presidente di Bluvolley, imprenditore e tifoso del Verona, nell’intervista che mi ha concesso ha lasciato trasparire il suo interesse (con altri soci) per il Verona. Interesse di cui si vocifera da tempo. “L’Hellas è un sogno e resterà tale…” mi ha detto quasi rimarcando i puntini di sospensione. Poi è sembrato voler lanciare un preciso e non casuale appello ad altri (qualcuno in particolare?) imprenditori e investitori. Forse qualcosa si muove. Ci ritorneremo. 

LA RESA DEI CONTI

Cortocircuito infinito. Non c’è limite allo sconcerto in questo Verona. Cerci infortunato ma in vacanza alle Maldive – per gentile concessione societaria – con immancabile foto su Istangram e il sorriso rilassato. Non è questione di moralismo e non voglio solleticare inutili populismi, ma quell’immagine stride. La forma in certi casi è sostanza. Pare che lottare per la salvezza qui sia considerato un pranzo di gala.

Dischi rotti (e stonati). Quelli di Fusco. Sarà l’avvicinarsi di Sanremo, sarà che le canzonette danno conforto, ma il ds insiste con la sua nenia preferita: “Caceres ha un contratto con noi fino a giugno 2018”. Lo sanno anche i muri e ciò che più conta Re Lotito, che regna, sovrasta e impera, che Caceres è già alla Lazio. Perché insistere, Fusco?

Masochismo d’ordinanza. Giochi a Napoli, aspetti lo scontro diretto (quasi) decisivo con il Crotone e ti fai espellere con probabile squalifica. Pecchia, al solito tarantolato in panchina (ma a che serve? I giocatori così li agiti…), questo giro ha ecceduto pure con l’arbitro. Nel giorno più sbagliato. Autocontrollo, questo sconosciuto.

Parole vuote. Chissenefrega se “abbiamo tenuto il campo” con Juve e Napoli, o “perso con onore”. Le prestazioni con le grandi, nel momento che perdi, contano fino a un certo punto, dato che queste spesso giocano svogliate e sornione, un po’ al gatto con il topo, consce che il gol prima o poi lo trovano. Sono prestazioni quasi falsate, intangibili. E’ fondamentale l’ordine tattico, il gioco, il ritmo atletico e la concentrazione con le nostre (poche) pari grado o con le avversarie di mezzo. E’ qui che finora abbiamo miseramente fallito.

Parole già scritte. Quelle di Fusco mercoledì in un’inusuale conferenza stampa pre-mercato. Il ds ha messo quasi le mani avanti parlando di “poco budget” e ha invocato l’aiuto dei tifosi (che pure verso la squadra c’è sempre stato e comunque certi appelli sono fastidiosi) e pure dei giornalisti (non ho mai letto in nessun manuale deontologico che i giornalisti devono aiutare, so che devono informare, raccontare e analizzare con obiettività e capacità critica, ma aiutare mi è sfuggito). Ha lasciato intendere che confida nel calendario (e su questo può anche aver ragione) e ha ammesso che servono tre-quattro rinforzi. Sono arrivati Matos (serviva un’altra mezza punta che ne abbiamo già 5-6 in organico?) e Petkovic, ariete d’attacco, fisico e discreta velocità, ma poca confidenza con la porta e soprattutto con la serie A. E’ chiaro che stiamo parlando di scommesse (speriamo indovinate). Servirebbero anche un centrale di difesa e un terzino sinistro, ipotesi quest’ultima scartata da Fusco, per il quale lì siamo a posto (contento lui). Disco rotto su Caceres a parte, ho visto un ds più provato del solito e anche un filo più umile. Forse in via Belgio cominciano a rendersi conto degli errori fabbricati in serie da luglio in poi. Chissà. Speriamo non sia troppo tardi.

Resa dei conti. E’ quella con il Crotone dopo la sosta. Non servirà giocare come con la Juve o il Napoli. E’ una partita diversa. Il Verona deve dare un segnale forte e chiaro. La città è con il Verona, indipendentemente da Setti, Fusco e Pecchia. Ed è proprio questo che gli imperatori degli alibi Setti, Fusco e Pecchia non capiscono e non capiranno mai. Loro, non so perché, ne fanno una questione personale.

IL CALCIO QUESTO SCONOSCIUTO

Non ce ne voglia Tonino Guerra alias Filippo Fusco, di professione ottimista (con tanto di citazione di un incolpevole Papa), ma per salvarsi, come diceva il più prosaico Genio Fascetti, “servono i giocatori buoni” (pure in questa deprimente serie A) e non fumose supercazzole di bassa filosofia. In primis un centravanti, professione antica eppure sconosciuta nel Verona, dacché Tonino alias Filippo ha infarcito la squadra di seconde o mezze punte (Kean, Bessa, Verde, Valoti, Cerci, chi più ne ha più ne metta) senza pensare a un-attaccante-uno, assodato che Pazzini non rientrava nei piani. Per tacere poi del caso Caceres (congedo da gran signore, chapeau), con il ds che ancora una settimana fa negava l’evidenza ripetendo la stanca litania “ha un contratto con noi fino al 2018”. Ma pensano che abbiamo l’anello al naso? Senza l’uruguagio la squadra sarà ancora più debole di quello che già è. E lasciamo perdere la voragine della fascia sinistra, bellamente trascurata in estate. Dal mercato devono assolutamente arrivare 3-4 rinforzi. Se siamo ancora in corsa è demerito degli altri e non merito nostro. Continuiamo a scherzare con il fuoco? I discorsi sull’ottimismo e il pessimismo sono fumo negli occhi, predicozzi fuori luogo, affabulazioni riuscite pure male con citazioni colte che le rendono ancora più stonate. Cominciamo a parlare di calcio e a fare autocritica, caro Fusco?

Non ce ne voglia l’intoccabile “Profeta” Fabio Pecchia, la cui carriera da tecnico e lo score in campionato suggerirebbero umiltà e che tuttavia umiltà non ha con quel sorrisino professorale d’ordinanza che accompagna le sue dichiarazioni “lunari”. Vince 3-0 con il peggior Milan che si ricordi e dopo una serie infinita di sconfitte, alcune pure imbarazzanti, va in Rai (radio) a gigioneggiare e a dire che l’ambiente di Verona non aiuta (a nemmeno 24 ore da una vittoria in un Bentegodi da brividi). Perde 4-0 a Udine e afferma che “non è grave” (quisquilie). Ieri sera è tornato ad attaccare l’ambiente asserendo in sostanza che è per quello che “facciamo risultato più fuori casa che in casa” (cosa peraltro falsa). Continua con l’ormai irritante solfa della crescita (rispetto allo sconcertante avvio di campionato decrescere era impossibile), senza peraltro affrontare mai nessun tema tecnico-tattico. Cominciamo a parlare di calcio, caro Pecchia?

Non ce ne voglia l’ex amico di Volpi Maurizio Setti, ma la gestione di Caceres è uno dei capitoli calcisticamente più umilianti della storia del Verona. Arrivato a Verona in deficit atletico e fisico, ora che sta bene lo diamo alla Lazio dell’amico Lotito. Work in progress. Stiamo lavorando per voi. Anzi no, per gli altri. Cominciamo a fare calcio, caro Setti? 

SETTI, OPERE E OMISSIONI

Piange il telefono, perché lei non verrà”. Maurizio Setti canta Modugno. Lei in realtà è un lui, Gabriele Volpi, ma la storia assume contorni tragicomici che neanche ai tempi di “C’eravamo tanto amati” di Barbareschi. Setti dipinge Volpi come una femme fatale. Setti sedotto e abbandonato. Storia triste. Inconsolabile patimento. Roba da far impallidire gli sceneggiatori di Beautiful e i loro Ridge e Brooke: “Quello tradito sono io. Provo tanta amarezza” lamenta a L’Arena il presidente del Verona, in un’intervista che già dal titolo svela (“Io, Volpi e l’Hellas. Adesso vi racconto tutta la verità”. Adesso. E prima cosa ci ha raccontato?).

Setti racconta di un Volpi prima amico: “Vacanze con le famiglie, gite in barca, viaggi e cene… Mi chiamava quattro o cinque volte al giorno per un consiglio, per un confronto, per scambiarci un saluto”. Già, proprio una brava persona, salutava sempre. Ma poi Volpi, neanche fosse a sua insaputa un novello Dr Jekyll e Mr Hide, agli occhi di Setti si è trasformato. Irriconoscibile, anzi impalpabile, di più invisibile: “Volpi non s’è fatto più sentire, non ha più risposto. Né alle telefonate, né ai messaggi. Non l’ho più sentito. All’anno nuovo, inizio 2016, ho cominciato a chiamarlo, a mandare messaggi. Niente di niente. Per settimane, per mesi. Finché mi hanno risposto i suoi legali che mi hanno diffidato di parlare con Gabriele Volpi, avrei dovuto parlare solo con loro”. C’è chi ama (“chi mi conosce bene sa cosa vuol dire per me l’amicizia” sottolinea Setti) e chi forse si sente un po’ infastidito da tanta attenzione. Punti di vista.

Ma guai se qualche cattivone di giornalista volesse fare dell’ironia. Ho letto con una certa malinconia l’intervista nel pensare che il fu Ranzani, quello che voleva internazionalizzare il brand e sprovincializzarci, oggi pranza con dei tramezzini, beve acqua minerale, “rigorosamente naturale” of course, in compagnia di un “mezzo sigaro spento che attende di essere fumato”. Mezzo, manco uno intero. 

Tralasciando gli omissis sul contenzioso in corso al Tribunale di Genova. Dice a L’Arena Setti: “HV7, la società che all’epoca controllava l’Hellas, aveva emesso, ricorrendo a uno strumento di finanziamento tipico delle società per azioni, un prestito obbligazionario di dieci milioni di euro. Volpi mi aveva dato la disponibilità per sottoscrivere una parte del prestito attraverso la società San Rocco Immobiliare (…), la San Rocco Immobiliare ha sottoscritto cinque milioni del prestito. Scadenza del prestito obbligazionario al portatore il 30 giugno 2019 (…). Qualche mese fa gli amministratori della San Rocco – e non Volpi direttamente – mi hanno chiesto di pagare immediatamente gli interessi del prestito e in un secondo momento mi hanno intimato, senza presentare i titoli obbligazionari, di restituirlo prima della scadenza pattuita. Ma la San Rocco era stata messa in liquidazione e il prestito scadeva solo al 30 giugno 2019. Noi ci siamo doverosamente rifiutati di pagare. A quel punto la San Rocco Immobiliare ha promosso una causa avanti il Tribunale di Genova, che va avanti. Ci siamo difesi convinti di aver ragione”.

Auspicando che Setti abbia ragione, riguardo questo prestito è giusto anche ricordare – come scrive Alessio Corazza sul Corriere di Verona di sabato – che “il prestito emesso da HV7 scade nel giugno 2019, ma la San Rocco ne chiede adesso il rimborso immediato sostenendo che non sono stati pagati gli interessi pattuiti”; e che “a partire dal 31 gennaio 2017 gli obbligazionisti avrebbero potuto chiedere di convertire l’importo rimanente da rimborsare in azioni ordinarie della stessa società di Setti. Se avesse esercitato l’opzione, “San Rocco” (e quindi indirettamente Volpi) sarebbe diventato socio della HV7. E tuttavia in quel momento Hv7 non aveva più alcun rapporto diretto con il club gialloblu perché, nell’agosto 2016, ne ha ceduto tutte le quote alla Falco Investments Sa”.

Perché Hv7 ha ceduto le quote alla Falco pochi mesi prima che la San Rocco potesse esercitare l’opzione? Perché Setti il 12 dicembre nel comunicato stampa ufficiale negava (correttamente) contenziosi diretti tra lui e Volpi o Volpi e l’Hellas, ma non ha menzionato (salvo poi ammetterlo qualche giorno dopo al Corriere di Verona, ma solo perché sollecitato da un giornalista) il contenzioso di Genova tra la San Rocco e l’Hv7? Soprattutto perché Setti ha costituito una società lussemburghese, fatto non chiarito nell’intervista a L’Arena? Perché Setti in tutti questi anni ha sempre negato qualsiasi rapporto finanziario, anche indiretto, suo e-o della sue società con Volpi e-o le sue società, limitandosi a parlare di amicizia, salvo poi ammettere che un prestito obbligazionario di una società riconducibile a Volpi verso la controllante dell’Hellas Verona c’è stato?

Domande che mi piacerebbe porre a Setti. Senza pregiudizio e anzi con rispetto. In nome della credibilità e della trasparenza. 

TRA CORSA SALVEZZA E LE AMBIGUITÀ DI SETTI

Gira che ti rigira si torna sempre lì. Ai personalismi. Alle isterie di cui essi sono portatori. E alle dicotomie: “O con me o contro di me”. Al giubilo se si vince, o ai de profundis se si perde. Pecchia dopo la vittoria con il Milan a Radio Anch’io dichiara: “L’ambiente non ci ha aiutato”. Non ricordo contestazioni a Peschiera, o una stampa particolarmente ostile. Perché creare contrapposizioni? 

Nel mezzo si perde di vista la sostanza, che non muta neppure dopo il KO rifilato al Milan. Il Verona è una squadra costruita male e che a gennaio, se vuole avere concrete chances di salvezza e non affidarle alla roulette russa, deve essere rinforzata. Pecchia è un ‘allenatore scommessa’ che, imberbe, da un anno e mezzo si sta costruendo, come ammette a suo modo lui stesso (“siamo giovani e in crescita”, sembra parli di sé dato che l’età media della squadra non è tra le più basse del torneo). Setti è un presidente che, analizzando determinati fatti, non brilla per trasparenza e che potrebbe certamente impegnarsi di più anche sul fronte della credibilità.

VERONA MAL COSTRUITO. La squadra abbonda di mezze punte (Bessa, Valoti, Verde, Cerci) ed è senza un vero centravanti (Pazzini è sul mercato e quest’anno non è mai rientrato nei piani di Pecchia, Kean è una seconda punta). Pecchia, seppur tardivamente e spinto dall’emergenza, da Reggio Emilia propone brillantemente un 4-4-2 di mezze punte che si esalta negli spazi e in contropiede. Questo assetto è vantaggioso in trasferta o quando, come con il Milan, il Verona non deve fare la partita. Ma non può essere la soluzione del rebus, specie in prospettiva di un girone di ritorno con 4 scontri diretti in casa (Crotone, Cagliari, Sassuolo, Spal). A gennaio è indispensabile un attaccante di razza.

Manca poi un terzino sinistro che sappia innanzitutto difendere. Dobbiamo salvarci, non rappresentare un new deal di filosofia offensivista applicata al calcio, sebbene Fusco/Pecchia, per cultura calcistica, mirerebbero a questo. La campagna estiva – budget risicato a parte – e le scelte tecniche di questa prima parte di campionato rispecchiano questa loro presunzione pallonara. Pecchia fin dal ritiro era partito con l’idea di schierare terzini molto offensivi, a destra addirittura un’ala (Romulo) e a sinistra Souprayen, dignitoso negli affondi, da tregenda nei ripiegamenti, o Fares, ala pure lui. Gradualmente (ma anche in questo caso tardivamente) l’allenatore si è ravveduto, prima togliendo dai quattro Romulo, poi con il Milan arrivando a schierare a sinistra un terzino “marcatore”, Caceres, che ha giocato quasi a uomo su Suso. Cambia il calcio e gli allenatori da Sacchi in poi continuano a passare per demiurghi, ma un principio breriano è sempre valido: se sei più scarso prima devi pensare a non prenderle.

LE SPERANZE DEL GIRONE DI RITORNO. Si gioca per due risultati anche a Udine. Sarà un test impegnativo contro un avversario in salute. Prima di Cagliari tratteggiavo come linea di galleggiamento quota 16 al giro di boa. Ma chiudere l’andata a 14 (con la Juve vada come vada) non sarebbe esiziale. La quota salvezza è a 35-36 punti e il girone di ritorno (storicamente foriero di maggiori soddisfazioni per le pericolanti) non pare indigeribile. Quattro scontri diretti su cinque sono al Bentegodi (solo il Genoa è fuori, Benevento fa storia sé), mentre Benevento, Chievo, Bologna e Udinese potremmo incrociarle già meno motivate. Sarà determinante “grattare” qualche punto a chi è in corsa per l’Europa, vedi Fiorentina, Sampdoria e soprattutto Atalanta e Torino che verranno a Verona. La differenza, credo, sarà tutta lì.

SETTI E L’ONESTA’ INTELLETTUALE. Lunedì scorso Fiorani, consulente per gli affari italiani di Volpi, alla cena di Natale dello Spezia ha rivelato: “Abbiamo un contenzioso con il Verona”. Per “un investimento che il signor Volpi ha ritenuto di fare pur senza avere alcuna partecipazione in quella società o alcun ruolo decisionale. Speriamo la cosa si risolva nell’arco di qualche settimana in accordo con i tempi della giustizia civile”. A stretto giro la smentita del Verona con un comunicato ufficiale: “Non esiste alcun contenzioso in corso tra Gabriele Volpi (o società a lui riconducibili) e l’Hellas Verona FC. Gabriele Volpi (o società a lui riconducibili) non ha mai fatto investimenti o finanziamenti a vantaggio dell’Hellas Verona FC. Non esiste alcun contenzioso in corso tra Gabriele Volpi e Maurizio Setti”.

Un comunicato tecnicamente ineccepibile, ma nella sostanza furbetto nella sua incompletezza e proprio per questo non proprio esemplare sotto il profilo dell’onestà intellettuale. Sabato sul Corriere di Verona il collega Alessio Corazza ha fatto luce sulla vicenda: c’è effettivamente un contenzioso al tribunale di Genova, non tra Volpi e l’Hellas o tra Volpi e Setti (e in questo il comunicato del club è formalmente corretto), ma tra due società riconducibili a Volpi e Setti: la San Rocco Immobiliare spa, società attualmente revocata, ma della galassia di Volpi, che nell’ottobre 2015 ha sottoscritto cinque milioni di euro di un prestito obbligazionario da dieci milioni complessivi emesso dalla HV7 spa, e appunto la HV7 spa, società di cui Setti è amministratore unico e all’epoca controllante diretta dell’Hellas Verona. “Setti – scrive il Corriere – conferma l’esistenza di questo contenzioso specifico” e “sostiene al contrario di aver mantenuto tutti gli impegni”. Chi ha ragione o chi torto lo stabiliranno i giudici, ma perché ammettere l’esistenza di un contenzioso solo sul Corriere di sabato, sollecitato da un giornalista, e non di propria sponte nel comunicato ufficiale di lunedì?

Corazza poi ricorda che nell’agosto 2016 Hv7 “ha ceduto tutte le sue quote alla Falco Investments Sa, società di diritto lussemburghese”. La stessa Falco di cui ha parlato Gianni Dragoni sul Sole 24 Ore il 6 marzo 2016 e Mario Gerevini il 12 ottobre 2015 sul Corriere della Sera. Ripongo a Setti una domanda che gli feci su questo blog a suo tempo: perché affidarsi a una società lussemburghese?

Setti poi ha smentito quanto il Corriere di Verona ha appreso da fonti vicine a Fiorani su “un’altra società chiamata Lonestar registrata a Panama” che “si ritiene creditrice nei confronti della stessa Falco Investments per una cifra complessiva di circa 11,3 milioni di euro”. E ha smentito “anche l’esistenza di un altro contenzioso, aperto in Lussemburgo, per il rimborso di una parte di quel presunto credito”.

Sarebbe auspicabile che Setti, in nome del principio di trasparenza, convocasse una conferenza stampa per affrontare con completezza questi nodi che contribuiscono ad alimentare il clima di ambiguità. Magari dopo l’Epifania approfittando della breve sosta del campionato.

IL MONOLITE SETTI-FUSCO-PECCHIA

Se non fosse dannatamente drammatico sarebbe tutto irresistibilmente comico. D’altronde tra commedia e tragedia il confine è spesso labile. I grandi drammaturghi insegnano.

Senti Pecchia in sala stampa e non sai se ridere o piangere. Lui, nel frattempo, filosofeggia: “Si è fatta rimontare anche la Samp, capita”. Mai una disamina tecnica o tattica, una mezza autocritica, un confronto serrato e onesto. Solo slogan, peraltro stanchi e stantii. “Siamo in crescita”. Carisma assente. Personalità debole. La squadra, per la quarta volta rimontata, ne risente.

Eppure il tecnico un alibi ce l’ha, gigantesco e definitivo, e glielo offre ogni giorno Setti, che non lo esonera, ma nemmeno lo mette in discussione. Delle due l’una: o salvarsi è importante ma non fondamentale (se succede meglio, male che vada c’è il paracadute), o l’allenatore è intoccabile perché Setti ritiene la squadra scarsa. Delle due nessuna, perché forse c’è una terza via, meno calcistica e più aziendale: Setti ha bisogno di “mister risparmio” Fusco e Fusco ha bisogno di Pecchia. Per questo, mentre si continua a perdere, nulla si muove. Cortocircuito tecnico, ma Setti ha sempre detto che “prima viene l’azienda Verona”.

Partiamo dall’inizio. Fusco non è solo un ds, ma un manager ad ampio raggio, con compiti anche amministrativi. A Bologna ha tagliato di 12 milioni il monte ingaggi, ceduto giocatori per una cifra simile e speso quasi zero. A Verona Setti, dopo le spese pazze di Gardini-Bigon (il quinquennale milionario a Pazzini, l’esborso record per Viviani), da un anno e mezzo gli chiede la stessa cosa. E Fusco sta eseguendo diligentemente. L’anno scorso, pur con affanno, se l’è cavata anche sul piano tecnico grazie al redivivo Pazzini (lo stesso del quinquennale) e a tre abili operazioni: Bruno Zuculini, Ferrari e soprattutto Bessa. Obiettivi (taglio costi e promozione) raggiunti. 

Quest’anno in A le difficoltà sono cresciute e Fusco, che in ambito amministrativo ha mantenuto la rotta, sul piano tecnico è parso spaesato. Un mercato deficitario: con poco budget, è vero (ma Fusco è a Verona proprio per questo), ma anche con tanta confusione. Dalla querelle Cassano al pasticcio Pazzini, (una tentata cessione che rientrava nel ridimensionamento dei costi), dal tentativo ingenuo per Bony alle priorità sbagliate (Kean). Fusco ha perso tempo, consegnando a Pecchia una squadra incompleta e malassortita.

Già Fusco e Pecchia. Un rapporto indistruttibile. Fusco non esonererà mai Pecchia, che è una sua “pedina”, cioè il perfetto archetipo di allenatore per il suo modo di lavorare. Mi spiego: Fusco è un dirigente “totalizzante”, che vive il campo e la quotidianità, non vuole primedonne attorno e costruisce il “suo” spogliatoio plasmando un gruppo ristretto e fiduciario a sua immagine e somiglianza (“per me la squadra è uno stato d’animo che si costruisce nel tempo su un asse tecnico e caratteriale” e troppi giocatori rischiano “di ubriacare l’allenatore”, dichiarava il 15 giugno 2015 alle pagine bolognesi di Repubblica). La figura minimalista di Pecchia è complementare al potere decisionale di Fusco.

Dunque Setti ha bisogno di Fusco, per risparmiare. Fusco ha bisogno di Pecchia, perché lo impone la sua leadership. Perciò nulla si muoverà da qui alla fine del campionato.

IL PAESE DEL SOTTOSOPRA

La vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana”. La massima di John Keats, poeta britannico, è eterna. Il Verona ne imbrocca una (a Reggio)? Giubilo, esaltazione, cantori in orazione. Il Verona affonda? 10 sconfitte in 15 partite, appena due vittorie (di cui una con il disastrato Benevento, hai voglia!), 30 gol subiti, peggior difesa del torneo dopo il solito Benevento, appena 12 fatti? Pare non sia colpa di nessuno.

Non lo è di Setti, figurarsi. Il presidente, non pervenuto ai mass media, non parla e se parlasse probabilmente ci ricorderebbe dei suoi “quattro campionati di A” e delle “due promozioni” in 6 anni, magari omettendo che i contributi tv di cui la sua presidenza ha goduto non li ha avuti nessuno dei suoi predecessori. E poi immagino che aggiungerebbe che “abbiamo l’antistadio”. Argomentazione determinante. Mentre il centravanti, si sa, è un dettaglio. E giocare in partenza per la peggiore mediocrità (il quartultimo posto), quando si parlava di consolidamento, pare sia un toccasana per cui dobbiamo infinitamente ringraziare.

Non lo è di Fusco, che siccome è un’ottima persona (e lo è davvero) si fatica a criticare. E’ pure comprensibile con tutti i maramaldi che abbiamo avuto in passato. E da un punto di vista amministrativo (dunque della managerialità e della direzione generale) sta lavorando egregiamente sul fronte economico, cioè rispettando la linea di Setti. Ma come ds non può passare sotto silenzio un mercato largamente deficitario, i casi Cassano e Pazzini che gli sono scivolati colpevolmente dalle mani e la presunzione tecnica di certe operazioni. Di Kean disse: “Era la nostra prima scelta, lo volevo fin da giugno, peccato sia arrivato solo alla fine”. Pensate se ci fosse toccata la seconda scelta. Sia chiaro, Kean poi esplode domenica a Ferrara e noi passiamo per scemi (accetteremmo volentieri, per il nostro Verona questo e altro), ma è evidente che sia stato azzardato (eufemismo) puntare a scatola chiusa – ripeto come “prima scelta” – su un 2000 che dopo 15 partite appare acerbo e sopravvalutato. Manca una punta, ha ragione Vighini, che puntualmente ricorda “altroché rosa all’altezza”. A discolpa di Fusco un budget risicato, certo, mai dimenticarlo, ma le condizioni della società lui le ha accettate di buon grado e ha difeso (non richiesto, dunque con convinzione) pubblicamente Setti più volte. E dove non arrivano i soldi possono arrivare i contatti, le relazioni, la diplomazia con gli altri club. Ci sono?

Non lo è di Pecchia, ci mancherebbe. “La squadra è questa” ci dicono. Vero. Perciò è vietato disquisire della sua fase difensiva, già deficitaria in serie B, come più volte qui ricordato. Ieri siamo riusciti a prendere gol (era fuorigioco certo, non serve che lo rammenti, lo hanno giustamente già scritto in molti) in sei (noi) contro tre (loro) in area. Disposizione a caso, marcature a farfalle. Aggiungo: giocare bene (ieri il Verona non demeritava) e perdere è tecnicamente un’aggravante, non un alibi. Il Genoa ha fatto poco o nulla? Vero, ma questo è pure peggio. Perché significa che con noi basta davvero poco. Che diceva quella pubblicità? Ti piace vincere facile?

La vittoria ha moltissimi padri ma la sconfitta è orfana”. No caro il mio poeta Keats. Hai ragione, eppure sbagli. Qua pare sia colpa degli arbitri, anzi del Var (che però ci ha favorito a Torino). E dei tifosi, che incredibilmente protestano (con grande maturità e civiltà, come è nel loro diritto e rafforzando con la civiltà le loro ragioni), anziché gioire e godere del penultimo posto. Tifosi che hanno il gravissimo torto di pagare. 

Del resto, caro il mio Keats, il grande Giorgio Bocca caustico e graffiante lo diceva: la logica è invertita nel paese del sottosopra.

PAZZINI, PROBLEMA O RISORSA? (PER PECCHIA)

Ci giriamo intorno, o lo diciamo? La accettate una provocazione? Forse irriverente, probabilmente indicibile (anche per chi scrive): il Verona ha vinto (e per una volta, l’unica, sostanzialmente convinto) senza Pazzini. Casualità? Forse, chissà. Ma ieri sera pensavo a questo. L’impressione  è che il Verona abbia imbrogliato e imbrigliato lo scapestrato Sassuolo di Bucchi (bravo, bravissimo a Perugia, in difficoltà quest’anno) proprio non dando riferimenti davanti con l’attacco atipico Cerci, Valoti e Verde. Che come d’incanto pare aver liberato il gioco del Verona.

Questo non significa che l’esperimento possa funzionare con altre squadre. Questo non mi toglie da una convinzione: Pazzini rimane il miglior giocatore del Verona sotto porta. Infortuni e acciacchi a parte, come rinunciarci a cuor leggero?

Eppure il Verona di Pazzini è prigioniero di un paradosso. Il Verona di Pazzini non riesce a servire…Pazzini. Che quest’anno non ha mai avuto grandi occasioni da rete. Kean solo a Bergamo ne ha avute più del Pazzo in tutto il campionato. E le ha sbagliate. Pazzini probabilmente avrebbe fatto gol. Ma Pazzini davanti al portiere non ci arriva. Come la mettiamo? Pecchia è capace di valorizzare Pazzini? Se sì meglio, se no allora forse è opportuno cambiare strada. Se si è incapaci di arrivare a un nobile compromesso (leggi soluzione) tattico, morire per morire meglio morire con le proprie idee. E Pecchia ora è conscio di rischiare il posto. Non è un dettaglio.

Dunque che farà? Confermerà il modello Reggio, probabilmente contro tutto e tutti, o si rifugerà in un meno nobile compromesso (leggi limbo, una non-soluzione)? Tradotto: Pecchia considererà Pazzini un problema o una risorsa? 

IL RANZANI CHE NON C’È PIÙ

C’era una volta Ranzani. Ricordate? Maurizio Setti si presentava così, un po’ ganassa e un po’ smargiasso. Sembrava l’immaginario imprenditore inventato da Dj Angelo, a cui una volta – nei corridoi Rai, ospite a ‘Quelli che il Calcio’ – chiesi scusa per avergli “scippato” il personaggio. Il suo Ranzani era il titolare di un mobilificio di Cantù. Il mio un imprenditore di Carpi, che nel 2012 raccontava storie calcistiche bellissime. Ma poco cambia quando l’intrapresa di provincia insegue sogni di gloria o di yuppismo, sulla falsariga dei film anni ’80 dei sottovalutatissimi (dagli snob) fratelli Vanzina, tra un Ezio Greggio e un Mauro Di Francesco in versione rampante.

Il Verona deve seguire il modello Borussia Dortmund” proclamò il Nostro, solenne quasi come Kennedy nella Rudolph Wilde Platz dell’allora Berlino Ovest. E siccome, un po’ come nei film, i buoni sono sempre da un parte sola, il Nostro con aria pedagogica insegnava alla plebe anche le buone maniere: “Vorrei che il Verona vincesse la Coppa Disciplina”.

Ma la mia preferita rimane sempre l’evergreen: “Verona deve sprovincializzarci, internazionalizziamo il brand”. Un cavallo di battaglia da fine concerto, una canzone da cantare a memoria tra accendini al cielo e lacrime di commozione.

Già perché Ranzani indicava la strada e noi, ignobili e ottusi provinciali, guai a non dargli corda. Guai se non capivamo, o non immaginavamo che Carpi era una Nuova York e lui un nuovo Elio Fiorucci sulla sua personalissima ’59esima strada’, via Belgio. Guai se criticavamo le magliette Nike senza intravederci, manco per sbaglio, un’opera di Andy Warhol.

Eppure ho nostalgia di quei tempi. In fin dei conti il nostro Ranzani mi era simpatico. Era un po’ l’italiano che è in noi. E poi spendeva. E poi vinceva. Con i colori dimenticati e la storia stravolta, con gli opliti nei promo abbonamenti e gli studenti greci da Marzullo che nulla c’entravano, ma vinceva. Con il marchio Hellas erroneamente prevaricante sul marchio Verona, ma vinceva.

Oggi mentre il Ranzani originale è tornato in auge negli spot, il nostro si è smarrito, non si trova più. Da Marzullo alla Sciarelli. Al suo posto semplicemente un silente Setti Maurizio, che non parla, non investe e non vince più. E il consolidamento in serie A e il centro sportivo dopo cinque anni e mezzo sono (ancora) lettera morta. Promesse non mantenute. Perché non cominciare a pensare di vendere la società? 

CASINO DISORGANIZZATO

Eugenio Fascetti era l’esegeta del “casino organizzato”. Così lui chiamava il suo modulo, con irriverente genio, per descrivere l’essenza del calcio: lotta, talento, arte individuale in un contesto tattico che non mortificasse tutto questo. Il contrario del sacchismo, in voga in quegli anni, dove il collettivismo di stampo fordista prevarica il talento. Fascetti a Verona si trovò pure a lavorare in un contesto societario di “casino” e basta, in un limbo dantesco, in mezzo al guado del fallimento di Chiampan e l’avvento dei Mazzi.

Il nostro ex Giampiero Ventura ha probabilmente interpretato al contrario la lezione di Fascetti. “Organizzato casino” potremmo definire la sua nazionale, cioè tanti moduli, tanta tattica, ma zero gioco collettivo. Per non parlare di Enzo Cannavale-Carlo Tavecchio, da Piedone l’Africano a “pedate nel sedere”, perché quelle meriterebbe, metaforicamente s’intende. Ma viene quasi da dar ragione a Marco Travaglio: “Tavecchio è una super-pippa, ma non si è autonominato, è espressione di un sistema politico”. Quello di un calcio che non è più calcio e non è nemmeno economia (ergo sano modo di fare business). E’ spesso finanza e non sempre della più trasparente. Inchieste giornalistiche (quelle di Gianfranco Turano sull’Espresso, o il lavoro dell’amico Pippo Russo) e giudiziarie lo attestano. Nella fattispecie un “casino fin troppo bene organizzato”.

Poi c’è il Verona. Ho letto di tutto in questi giorni. Un articolo che invitava i lettori a ringraziare Setti perché “andate a farvi un giro a Modena e a Treviso”, peraltro club che non c’entrano nulla con il nostro blasone e la nostra storia – perché allora non farsi un giro anche a Bergamo, dove Percassi fa lo stadio, o qui a Verona, dove il Chievo da anni si è consolidato e ha costruito il nuovo Bottagisio? Ho letto pure articoli su vertici istituzionali tra Sboarina e Setti per un centro sportivo prossimo al via. Ovviamente nessun vertice istituzionale finora, ma solo qualche incontro informale e interlocutorio di conoscenza. Un atto dovuto. Ho letto infine di questo Gallazzi, che dice di non cercare pubblicità ma poi si fa intervistare e ammette che la voce sul suo interesse per il Verona l’ha messa in giro forse un suo collaboratore. Ma non cerca pubblicità, come no.

Roba da maledire la sosta, rimpiangere il campionato e pure la nostra deprimente classifica. Un “casino disorganizzato” in grande stile.