SETTI, OPERE E OMISSIONI

Piange il telefono, perché lei non verrà”. Maurizio Setti canta Modugno. Lei in realtà è un lui, Gabriele Volpi, ma la storia assume contorni tragicomici che neanche ai tempi di “C’eravamo tanto amati” di Barbareschi. Setti dipinge Volpi come una femme fatale. Setti sedotto e abbandonato. Storia triste. Inconsolabile patimento. Roba da far impallidire gli sceneggiatori di Beautiful e i loro Ridge e Brooke: “Quello tradito sono io. Provo tanta amarezza” lamenta a L’Arena il presidente del Verona, in un’intervista che già dal titolo svela (“Io, Volpi e l’Hellas. Adesso vi racconto tutta la verità”. Adesso. E prima cosa ci ha raccontato?).

Setti racconta di un Volpi prima amico: “Vacanze con le famiglie, gite in barca, viaggi e cene… Mi chiamava quattro o cinque volte al giorno per un consiglio, per un confronto, per scambiarci un saluto”. Già, proprio una brava persona, salutava sempre. Ma poi Volpi, neanche fosse a sua insaputa un novello Dr Jekyll e Mr Hide, agli occhi di Setti si è trasformato. Irriconoscibile, anzi impalpabile, di più invisibile: “Volpi non s’è fatto più sentire, non ha più risposto. Né alle telefonate, né ai messaggi. Non l’ho più sentito. All’anno nuovo, inizio 2016, ho cominciato a chiamarlo, a mandare messaggi. Niente di niente. Per settimane, per mesi. Finché mi hanno risposto i suoi legali che mi hanno diffidato di parlare con Gabriele Volpi, avrei dovuto parlare solo con loro”. C’è chi ama (“chi mi conosce bene sa cosa vuol dire per me l’amicizia” sottolinea Setti) e chi forse si sente un po’ infastidito da tanta attenzione. Punti di vista.

Ma guai se qualche cattivone di giornalista volesse fare dell’ironia. Ho letto con una certa malinconia l’intervista nel pensare che il fu Ranzani, quello che voleva internazionalizzare il brand e sprovincializzarci, oggi pranza con dei tramezzini, beve acqua minerale, “rigorosamente naturale” of course, in compagnia di un “mezzo sigaro spento che attende di essere fumato”. Mezzo, manco uno intero. 

Tralasciando gli omissis sul contenzioso in corso al Tribunale di Genova. Dice a L’Arena Setti: “HV7, la società che all’epoca controllava l’Hellas, aveva emesso, ricorrendo a uno strumento di finanziamento tipico delle società per azioni, un prestito obbligazionario di dieci milioni di euro. Volpi mi aveva dato la disponibilità per sottoscrivere una parte del prestito attraverso la società San Rocco Immobiliare (…), la San Rocco Immobiliare ha sottoscritto cinque milioni del prestito. Scadenza del prestito obbligazionario al portatore il 30 giugno 2019 (…). Qualche mese fa gli amministratori della San Rocco – e non Volpi direttamente – mi hanno chiesto di pagare immediatamente gli interessi del prestito e in un secondo momento mi hanno intimato, senza presentare i titoli obbligazionari, di restituirlo prima della scadenza pattuita. Ma la San Rocco era stata messa in liquidazione e il prestito scadeva solo al 30 giugno 2019. Noi ci siamo doverosamente rifiutati di pagare. A quel punto la San Rocco Immobiliare ha promosso una causa avanti il Tribunale di Genova, che va avanti. Ci siamo difesi convinti di aver ragione”.

Auspicando che Setti abbia ragione, riguardo questo prestito è giusto anche ricordare – come scrive Alessio Corazza sul Corriere di Verona di sabato – che “il prestito emesso da HV7 scade nel giugno 2019, ma la San Rocco ne chiede adesso il rimborso immediato sostenendo che non sono stati pagati gli interessi pattuiti”; e che “a partire dal 31 gennaio 2017 gli obbligazionisti avrebbero potuto chiedere di convertire l’importo rimanente da rimborsare in azioni ordinarie della stessa società di Setti. Se avesse esercitato l’opzione, “San Rocco” (e quindi indirettamente Volpi) sarebbe diventato socio della HV7. E tuttavia in quel momento Hv7 non aveva più alcun rapporto diretto con il club gialloblu perché, nell’agosto 2016, ne ha ceduto tutte le quote alla Falco Investments Sa”.

Perché Hv7 ha ceduto le quote alla Falco pochi mesi prima che la San Rocco potesse esercitare l’opzione? Perché Setti il 12 dicembre nel comunicato stampa ufficiale negava (correttamente) contenziosi diretti tra lui e Volpi o Volpi e l’Hellas, ma non ha menzionato (salvo poi ammetterlo qualche giorno dopo al Corriere di Verona, ma solo perché sollecitato da un giornalista) il contenzioso di Genova tra la San Rocco e l’Hv7? Soprattutto perché Setti ha costituito una società lussemburghese, fatto non chiarito nell’intervista a L’Arena? Perché Setti in tutti questi anni ha sempre negato qualsiasi rapporto finanziario, anche indiretto, suo e-o della sue società con Volpi e-o le sue società, limitandosi a parlare di amicizia, salvo poi ammettere che un prestito obbligazionario di una società riconducibile a Volpi verso la controllante dell’Hellas Verona c’è stato?

Domande che mi piacerebbe porre a Setti. Senza pregiudizio e anzi con rispetto. In nome della credibilità e della trasparenza. 

TRA CORSA SALVEZZA E LE AMBIGUITÀ DI SETTI

Gira che ti rigira si torna sempre lì. Ai personalismi. Alle isterie di cui essi sono portatori. E alle dicotomie: “O con me o contro di me”. Al giubilo se si vince, o ai de profundis se si perde. Pecchia dopo la vittoria con il Milan a Radio Anch’io dichiara: “L’ambiente non ci ha aiutato”. Non ricordo contestazioni a Peschiera, o una stampa particolarmente ostile. Perché creare contrapposizioni? 

Nel mezzo si perde di vista la sostanza, che non muta neppure dopo il KO rifilato al Milan. Il Verona è una squadra costruita male e che a gennaio, se vuole avere concrete chances di salvezza e non affidarle alla roulette russa, deve essere rinforzata. Pecchia è un ‘allenatore scommessa’ che, imberbe, da un anno e mezzo si sta costruendo, come ammette a suo modo lui stesso (“siamo giovani e in crescita”, sembra parli di sé dato che l’età media della squadra non è tra le più basse del torneo). Setti è un presidente che, analizzando determinati fatti, non brilla per trasparenza e che potrebbe certamente impegnarsi di più anche sul fronte della credibilità.

VERONA MAL COSTRUITO. La squadra abbonda di mezze punte (Bessa, Valoti, Verde, Cerci) ed è senza un vero centravanti (Pazzini è sul mercato e quest’anno non è mai rientrato nei piani di Pecchia, Kean è una seconda punta). Pecchia, seppur tardivamente e spinto dall’emergenza, da Reggio Emilia propone brillantemente un 4-4-2 di mezze punte che si esalta negli spazi e in contropiede. Questo assetto è vantaggioso in trasferta o quando, come con il Milan, il Verona non deve fare la partita. Ma non può essere la soluzione del rebus, specie in prospettiva di un girone di ritorno con 4 scontri diretti in casa (Crotone, Cagliari, Sassuolo, Spal). A gennaio è indispensabile un attaccante di razza.

Manca poi un terzino sinistro che sappia innanzitutto difendere. Dobbiamo salvarci, non rappresentare un new deal di filosofia offensivista applicata al calcio, sebbene Fusco/Pecchia, per cultura calcistica, mirerebbero a questo. La campagna estiva – budget risicato a parte – e le scelte tecniche di questa prima parte di campionato rispecchiano questa loro presunzione pallonara. Pecchia fin dal ritiro era partito con l’idea di schierare terzini molto offensivi, a destra addirittura un’ala (Romulo) e a sinistra Souprayen, dignitoso negli affondi, da tregenda nei ripiegamenti, o Fares, ala pure lui. Gradualmente (ma anche in questo caso tardivamente) l’allenatore si è ravveduto, prima togliendo dai quattro Romulo, poi con il Milan arrivando a schierare a sinistra un terzino “marcatore”, Caceres, che ha giocato quasi a uomo su Suso. Cambia il calcio e gli allenatori da Sacchi in poi continuano a passare per demiurghi, ma un principio breriano è sempre valido: se sei più scarso prima devi pensare a non prenderle.

LE SPERANZE DEL GIRONE DI RITORNO. Si gioca per due risultati anche a Udine. Sarà un test impegnativo contro un avversario in salute. Prima di Cagliari tratteggiavo come linea di galleggiamento quota 16 al giro di boa. Ma chiudere l’andata a 14 (con la Juve vada come vada) non sarebbe esiziale. La quota salvezza è a 35-36 punti e il girone di ritorno (storicamente foriero di maggiori soddisfazioni per le pericolanti) non pare indigeribile. Quattro scontri diretti su cinque sono al Bentegodi (solo il Genoa è fuori, Benevento fa storia sé), mentre Benevento, Chievo, Bologna e Udinese potremmo incrociarle già meno motivate. Sarà determinante “grattare” qualche punto a chi è in corsa per l’Europa, vedi Fiorentina, Sampdoria e soprattutto Atalanta e Torino che verranno a Verona. La differenza, credo, sarà tutta lì.

SETTI E L’ONESTA’ INTELLETTUALE. Lunedì scorso Fiorani, consulente per gli affari italiani di Volpi, alla cena di Natale dello Spezia ha rivelato: “Abbiamo un contenzioso con il Verona”. Per “un investimento che il signor Volpi ha ritenuto di fare pur senza avere alcuna partecipazione in quella società o alcun ruolo decisionale. Speriamo la cosa si risolva nell’arco di qualche settimana in accordo con i tempi della giustizia civile”. A stretto giro la smentita del Verona con un comunicato ufficiale: “Non esiste alcun contenzioso in corso tra Gabriele Volpi (o società a lui riconducibili) e l’Hellas Verona FC. Gabriele Volpi (o società a lui riconducibili) non ha mai fatto investimenti o finanziamenti a vantaggio dell’Hellas Verona FC. Non esiste alcun contenzioso in corso tra Gabriele Volpi e Maurizio Setti”.

Un comunicato tecnicamente ineccepibile, ma nella sostanza furbetto nella sua incompletezza e proprio per questo non proprio esemplare sotto il profilo dell’onestà intellettuale. Sabato sul Corriere di Verona il collega Alessio Corazza ha fatto luce sulla vicenda: c’è effettivamente un contenzioso al tribunale di Genova, non tra Volpi e l’Hellas o tra Volpi e Setti (e in questo il comunicato del club è formalmente corretto), ma tra due società riconducibili a Volpi e Setti: la San Rocco Immobiliare spa, società attualmente revocata, ma della galassia di Volpi, che nell’ottobre 2015 ha sottoscritto cinque milioni di euro di un prestito obbligazionario da dieci milioni complessivi emesso dalla HV7 spa, e appunto la HV7 spa, società di cui Setti è amministratore unico e all’epoca controllante diretta dell’Hellas Verona. “Setti – scrive il Corriere – conferma l’esistenza di questo contenzioso specifico” e “sostiene al contrario di aver mantenuto tutti gli impegni”. Chi ha ragione o chi torto lo stabiliranno i giudici, ma perché ammettere l’esistenza di un contenzioso solo sul Corriere di sabato, sollecitato da un giornalista, e non di propria sponte nel comunicato ufficiale di lunedì?

Corazza poi ricorda che nell’agosto 2016 Hv7 “ha ceduto tutte le sue quote alla Falco Investments Sa, società di diritto lussemburghese”. La stessa Falco di cui ha parlato Gianni Dragoni sul Sole 24 Ore il 6 marzo 2016 e Mario Gerevini il 12 ottobre 2015 sul Corriere della Sera. Ripongo a Setti una domanda che gli feci su questo blog a suo tempo: perché affidarsi a una società lussemburghese?

Setti poi ha smentito quanto il Corriere di Verona ha appreso da fonti vicine a Fiorani su “un’altra società chiamata Lonestar registrata a Panama” che “si ritiene creditrice nei confronti della stessa Falco Investments per una cifra complessiva di circa 11,3 milioni di euro”. E ha smentito “anche l’esistenza di un altro contenzioso, aperto in Lussemburgo, per il rimborso di una parte di quel presunto credito”.

Sarebbe auspicabile che Setti, in nome del principio di trasparenza, convocasse una conferenza stampa per affrontare con completezza questi nodi che contribuiscono ad alimentare il clima di ambiguità. Magari dopo l’Epifania approfittando della breve sosta del campionato.

IL MONOLITE SETTI-FUSCO-PECCHIA

Se non fosse dannatamente drammatico sarebbe tutto irresistibilmente comico. D’altronde tra commedia e tragedia il confine è spesso labile. I grandi drammaturghi insegnano.

Senti Pecchia in sala stampa e non sai se ridere o piangere. Lui, nel frattempo, filosofeggia: “Si è fatta rimontare anche la Samp, capita”. Mai una disamina tecnica o tattica, una mezza autocritica, un confronto serrato e onesto. Solo slogan, peraltro stanchi e stantii. “Siamo in crescita”. Carisma assente. Personalità debole. La squadra, per la quarta volta rimontata, ne risente.

Eppure il tecnico un alibi ce l’ha, gigantesco e definitivo, e glielo offre ogni giorno Setti, che non lo esonera, ma nemmeno lo mette in discussione. Delle due l’una: o salvarsi è importante ma non fondamentale (se succede meglio, male che vada c’è il paracadute), o l’allenatore è intoccabile perché Setti ritiene la squadra scarsa. Delle due nessuna, perché forse c’è una terza via, meno calcistica e più aziendale: Setti ha bisogno di “mister risparmio” Fusco e Fusco ha bisogno di Pecchia. Per questo, mentre si continua a perdere, nulla si muove. Cortocircuito tecnico, ma Setti ha sempre detto che “prima viene l’azienda Verona”.

Partiamo dall’inizio. Fusco non è solo un ds, ma un manager ad ampio raggio, con compiti anche amministrativi. A Bologna ha tagliato di 12 milioni il monte ingaggi, ceduto giocatori per una cifra simile e speso quasi zero. A Verona Setti, dopo le spese pazze di Gardini-Bigon (il quinquennale milionario a Pazzini, l’esborso record per Viviani), da un anno e mezzo gli chiede la stessa cosa. E Fusco sta eseguendo diligentemente. L’anno scorso, pur con affanno, se l’è cavata anche sul piano tecnico grazie al redivivo Pazzini (lo stesso del quinquennale) e a tre abili operazioni: Bruno Zuculini, Ferrari e soprattutto Bessa. Obiettivi (taglio costi e promozione) raggiunti. 

Quest’anno in A le difficoltà sono cresciute e Fusco, che in ambito amministrativo ha mantenuto la rotta, sul piano tecnico è parso spaesato. Un mercato deficitario: con poco budget, è vero (ma Fusco è a Verona proprio per questo), ma anche con tanta confusione. Dalla querelle Cassano al pasticcio Pazzini, (una tentata cessione che rientrava nel ridimensionamento dei costi), dal tentativo ingenuo per Bony alle priorità sbagliate (Kean). Fusco ha perso tempo, consegnando a Pecchia una squadra incompleta e malassortita.

Già Fusco e Pecchia. Un rapporto indistruttibile. Fusco non esonererà mai Pecchia, che è una sua “pedina”, cioè il perfetto archetipo di allenatore per il suo modo di lavorare. Mi spiego: Fusco è un dirigente “totalizzante”, che vive il campo e la quotidianità, non vuole primedonne attorno e costruisce il “suo” spogliatoio plasmando un gruppo ristretto e fiduciario a sua immagine e somiglianza (“per me la squadra è uno stato d’animo che si costruisce nel tempo su un asse tecnico e caratteriale” e troppi giocatori rischiano “di ubriacare l’allenatore”, dichiarava il 15 giugno 2015 alle pagine bolognesi di Repubblica). La figura minimalista di Pecchia è complementare al potere decisionale di Fusco.

Dunque Setti ha bisogno di Fusco, per risparmiare. Fusco ha bisogno di Pecchia, perché lo impone la sua leadership. Perciò nulla si muoverà da qui alla fine del campionato.

IL PAESE DEL SOTTOSOPRA

La vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana”. La massima di John Keats, poeta britannico, è eterna. Il Verona ne imbrocca una (a Reggio)? Giubilo, esaltazione, cantori in orazione. Il Verona affonda? 10 sconfitte in 15 partite, appena due vittorie (di cui una con il disastrato Benevento, hai voglia!), 30 gol subiti, peggior difesa del torneo dopo il solito Benevento, appena 12 fatti? Pare non sia colpa di nessuno.

Non lo è di Setti, figurarsi. Il presidente, non pervenuto ai mass media, non parla e se parlasse probabilmente ci ricorderebbe dei suoi “quattro campionati di A” e delle “due promozioni” in 6 anni, magari omettendo che i contributi tv di cui la sua presidenza ha goduto non li ha avuti nessuno dei suoi predecessori. E poi immagino che aggiungerebbe che “abbiamo l’antistadio”. Argomentazione determinante. Mentre il centravanti, si sa, è un dettaglio. E giocare in partenza per la peggiore mediocrità (il quartultimo posto), quando si parlava di consolidamento, pare sia un toccasana per cui dobbiamo infinitamente ringraziare.

Non lo è di Fusco, che siccome è un’ottima persona (e lo è davvero) si fatica a criticare. E’ pure comprensibile con tutti i maramaldi che abbiamo avuto in passato. E da un punto di vista amministrativo (dunque della managerialità e della direzione generale) sta lavorando egregiamente sul fronte economico, cioè rispettando la linea di Setti. Ma come ds non può passare sotto silenzio un mercato largamente deficitario, i casi Cassano e Pazzini che gli sono scivolati colpevolmente dalle mani e la presunzione tecnica di certe operazioni. Di Kean disse: “Era la nostra prima scelta, lo volevo fin da giugno, peccato sia arrivato solo alla fine”. Pensate se ci fosse toccata la seconda scelta. Sia chiaro, Kean poi esplode domenica a Ferrara e noi passiamo per scemi (accetteremmo volentieri, per il nostro Verona questo e altro), ma è evidente che sia stato azzardato (eufemismo) puntare a scatola chiusa – ripeto come “prima scelta” – su un 2000 che dopo 15 partite appare acerbo e sopravvalutato. Manca una punta, ha ragione Vighini, che puntualmente ricorda “altroché rosa all’altezza”. A discolpa di Fusco un budget risicato, certo, mai dimenticarlo, ma le condizioni della società lui le ha accettate di buon grado e ha difeso (non richiesto, dunque con convinzione) pubblicamente Setti più volte. E dove non arrivano i soldi possono arrivare i contatti, le relazioni, la diplomazia con gli altri club. Ci sono?

Non lo è di Pecchia, ci mancherebbe. “La squadra è questa” ci dicono. Vero. Perciò è vietato disquisire della sua fase difensiva, già deficitaria in serie B, come più volte qui ricordato. Ieri siamo riusciti a prendere gol (era fuorigioco certo, non serve che lo rammenti, lo hanno giustamente già scritto in molti) in sei (noi) contro tre (loro) in area. Disposizione a caso, marcature a farfalle. Aggiungo: giocare bene (ieri il Verona non demeritava) e perdere è tecnicamente un’aggravante, non un alibi. Il Genoa ha fatto poco o nulla? Vero, ma questo è pure peggio. Perché significa che con noi basta davvero poco. Che diceva quella pubblicità? Ti piace vincere facile?

La vittoria ha moltissimi padri ma la sconfitta è orfana”. No caro il mio poeta Keats. Hai ragione, eppure sbagli. Qua pare sia colpa degli arbitri, anzi del Var (che però ci ha favorito a Torino). E dei tifosi, che incredibilmente protestano (con grande maturità e civiltà, come è nel loro diritto e rafforzando con la civiltà le loro ragioni), anziché gioire e godere del penultimo posto. Tifosi che hanno il gravissimo torto di pagare. 

Del resto, caro il mio Keats, il grande Giorgio Bocca caustico e graffiante lo diceva: la logica è invertita nel paese del sottosopra.

PAZZINI, PROBLEMA O RISORSA? (PER PECCHIA)

Ci giriamo intorno, o lo diciamo? La accettate una provocazione? Forse irriverente, probabilmente indicibile (anche per chi scrive): il Verona ha vinto (e per una volta, l’unica, sostanzialmente convinto) senza Pazzini. Casualità? Forse, chissà. Ma ieri sera pensavo a questo. L’impressione  è che il Verona abbia imbrogliato e imbrigliato lo scapestrato Sassuolo di Bucchi (bravo, bravissimo a Perugia, in difficoltà quest’anno) proprio non dando riferimenti davanti con l’attacco atipico Cerci, Valoti e Verde. Che come d’incanto pare aver liberato il gioco del Verona.

Questo non significa che l’esperimento possa funzionare con altre squadre. Questo non mi toglie da una convinzione: Pazzini rimane il miglior giocatore del Verona sotto porta. Infortuni e acciacchi a parte, come rinunciarci a cuor leggero?

Eppure il Verona di Pazzini è prigioniero di un paradosso. Il Verona di Pazzini non riesce a servire…Pazzini. Che quest’anno non ha mai avuto grandi occasioni da rete. Kean solo a Bergamo ne ha avute più del Pazzo in tutto il campionato. E le ha sbagliate. Pazzini probabilmente avrebbe fatto gol. Ma Pazzini davanti al portiere non ci arriva. Come la mettiamo? Pecchia è capace di valorizzare Pazzini? Se sì meglio, se no allora forse è opportuno cambiare strada. Se si è incapaci di arrivare a un nobile compromesso (leggi soluzione) tattico, morire per morire meglio morire con le proprie idee. E Pecchia ora è conscio di rischiare il posto. Non è un dettaglio.

Dunque che farà? Confermerà il modello Reggio, probabilmente contro tutto e tutti, o si rifugerà in un meno nobile compromesso (leggi limbo, una non-soluzione)? Tradotto: Pecchia considererà Pazzini un problema o una risorsa? 

IL RANZANI CHE NON C’È PIÙ

C’era una volta Ranzani. Ricordate? Maurizio Setti si presentava così, un po’ ganassa e un po’ smargiasso. Sembrava l’immaginario imprenditore inventato da Dj Angelo, a cui una volta – nei corridoi Rai, ospite a ‘Quelli che il Calcio’ – chiesi scusa per avergli “scippato” il personaggio. Il suo Ranzani era il titolare di un mobilificio di Cantù. Il mio un imprenditore di Carpi, che nel 2012 raccontava storie calcistiche bellissime. Ma poco cambia quando l’intrapresa di provincia insegue sogni di gloria o di yuppismo, sulla falsariga dei film anni ’80 dei sottovalutatissimi (dagli snob) fratelli Vanzina, tra un Ezio Greggio e un Mauro Di Francesco in versione rampante.

Il Verona deve seguire il modello Borussia Dortmund” proclamò il Nostro, solenne quasi come Kennedy nella Rudolph Wilde Platz dell’allora Berlino Ovest. E siccome, un po’ come nei film, i buoni sono sempre da un parte sola, il Nostro con aria pedagogica insegnava alla plebe anche le buone maniere: “Vorrei che il Verona vincesse la Coppa Disciplina”.

Ma la mia preferita rimane sempre l’evergreen: “Verona deve sprovincializzarci, internazionalizziamo il brand”. Un cavallo di battaglia da fine concerto, una canzone da cantare a memoria tra accendini al cielo e lacrime di commozione.

Già perché Ranzani indicava la strada e noi, ignobili e ottusi provinciali, guai a non dargli corda. Guai se non capivamo, o non immaginavamo che Carpi era una Nuova York e lui un nuovo Elio Fiorucci sulla sua personalissima ’59esima strada’, via Belgio. Guai se criticavamo le magliette Nike senza intravederci, manco per sbaglio, un’opera di Andy Warhol.

Eppure ho nostalgia di quei tempi. In fin dei conti il nostro Ranzani mi era simpatico. Era un po’ l’italiano che è in noi. E poi spendeva. E poi vinceva. Con i colori dimenticati e la storia stravolta, con gli opliti nei promo abbonamenti e gli studenti greci da Marzullo che nulla c’entravano, ma vinceva. Con il marchio Hellas erroneamente prevaricante sul marchio Verona, ma vinceva.

Oggi mentre il Ranzani originale è tornato in auge negli spot, il nostro si è smarrito, non si trova più. Da Marzullo alla Sciarelli. Al suo posto semplicemente un silente Setti Maurizio, che non parla, non investe e non vince più. E il consolidamento in serie A e il centro sportivo dopo cinque anni e mezzo sono (ancora) lettera morta. Promesse non mantenute. Perché non cominciare a pensare di vendere la società? 

CASINO DISORGANIZZATO

Eugenio Fascetti era l’esegeta del “casino organizzato”. Così lui chiamava il suo modulo, con irriverente genio, per descrivere l’essenza del calcio: lotta, talento, arte individuale in un contesto tattico che non mortificasse tutto questo. Il contrario del sacchismo, in voga in quegli anni, dove il collettivismo di stampo fordista prevarica il talento. Fascetti a Verona si trovò pure a lavorare in un contesto societario di “casino” e basta, in un limbo dantesco, in mezzo al guado del fallimento di Chiampan e l’avvento dei Mazzi.

Il nostro ex Giampiero Ventura ha probabilmente interpretato al contrario la lezione di Fascetti. “Organizzato casino” potremmo definire la sua nazionale, cioè tanti moduli, tanta tattica, ma zero gioco collettivo. Per non parlare di Enzo Cannavale-Carlo Tavecchio, da Piedone l’Africano a “pedate nel sedere”, perché quelle meriterebbe, metaforicamente s’intende. Ma viene quasi da dar ragione a Marco Travaglio: “Tavecchio è una super-pippa, ma non si è autonominato, è espressione di un sistema politico”. Quello di un calcio che non è più calcio e non è nemmeno economia (ergo sano modo di fare business). E’ spesso finanza e non sempre della più trasparente. Inchieste giornalistiche (quelle di Gianfranco Turano sull’Espresso, o il lavoro dell’amico Pippo Russo) e giudiziarie lo attestano. Nella fattispecie un “casino fin troppo bene organizzato”.

Poi c’è il Verona. Ho letto di tutto in questi giorni. Un articolo che invitava i lettori a ringraziare Setti perché “andate a farvi un giro a Modena e a Treviso”, peraltro club che non c’entrano nulla con il nostro blasone e la nostra storia – perché allora non farsi un giro anche a Bergamo, dove Percassi fa lo stadio, o qui a Verona, dove il Chievo da anni si è consolidato e ha costruito il nuovo Bottagisio? Ho letto pure articoli su vertici istituzionali tra Sboarina e Setti per un centro sportivo prossimo al via. Ovviamente nessun vertice istituzionale finora, ma solo qualche incontro informale e interlocutorio di conoscenza. Un atto dovuto. Ho letto infine di questo Gallazzi, che dice di non cercare pubblicità ma poi si fa intervistare e ammette che la voce sul suo interesse per il Verona l’ha messa in giro forse un suo collaboratore. Ma non cerca pubblicità, come no.

Roba da maledire la sosta, rimpiangere il campionato e pure la nostra deprimente classifica. Un “casino disorganizzato” in grande stile. 

SCENA MUTA

Là in fondo all’aula il banco è vuoto. Manca all’appello l’onestà intellettuale: “Forse abbiamo fatto gol troppo presto” ha balbettato il ds Fusco nella sala stampa di Cagliari. In effetti lei è bella e ci sta e questo mi dispiace. Un peccato, davvero.

Là in fondo all’aula la finestra è sigillata e l’aria viziata. Il sigaro di Setti non aiuta. Fumava, il presidente a Cagliari. Fumava anche la nostra rabbia. Ma il presidente è all’altezza, dal punto di vista finanziario e operativo, di una serie A? Dal 2015 no, dicono i risultati. Il consolidamento dopo cinque anni e mezzo non c’è e del centro sportivo non si sente più parlare. Dortmund è molto più lontana, ma anche Crotone non scherza. Non mi sentivo illuso così dai tempi del “milione di posti di lavoro” dell’uomo in cerone e doppiopetto. Ma almeno lui sorrideva e mi metteva buon’umore. Qua son tutti cupi, scuri e tesi, con gli occhiali da sole ma, checché la canti Battiato, senza “carisma e sintomatico mistero”. 

Là in fondo all’aula c’è la nostra classifica. Fusco, a neanche un’ora dalla fine della partita, ha detto che Pecchia non è in discussione. “A prescindere” avrebbe detto il suo conterraneo Totò, l’immenso Totò, che pure mi scuso con un certo imbarazzo di citare in questo desolante contesto. Pecchia si domanda perché non abbiamo ripetuto le ultime prestazioni. Povero Cicci, lo sanno anche i sassi che l’Inter di Spalletti lascia giocare, non aggredisce e sorniona colpisce. Il gatto con il topo. Era chiaro a molti che l’Atalanta nel primo tempo aveva passeggiato per il campo e le era bastato alzare appena il ritmo nella ripresa per infilarti. Chi segue il calcio da qualche lustro sa che, nell’interpretazione, le partite con le dirette concorrenti sono diverse da quelle con le grandi. Un Inter può giocare indolente, al risparmio, lasciarti sfogare e pure sottovalutarti. Tanto sa che, nove su dieci, poi vince. Le belle prestazioni (che non significa essere spettacolari, ma essere quadrati in campo e solidi tatticamente) la misuri con le tue pari, che ti aggrediscono e non ti sottovalutano. Parlare di “passo indietro” del Verona è fuori luogo, perché non c’è mai stato un vero, sostanziale passo avanti.

Non a caso qualche settimana fa scrivevo che per giudicare il Verona bisognava aspettare le squadre…di mezzo, cioè quelle – rispetto a noi – né (troppo) più forti né più scarse (Benevento). Dunque Atalanta, Cagliari, Bologna Sassuolo, Genoa, Spal e Udinese. Con Atalanta e Cagliari l’esito è desolante e non si capisce come si possano fare almeno 10 punti (comunque pochi) da qui alla fine dell’andata per mantenere accesa la fiammella della speranza.

Là in fondo all’aula la finestra rimane sigillata e l’aria viziata, ma il banco non è più vuoto. Vi ha preso posto un ragazzo palesemente impreparato. Che quasi sempre ridicolmente si giustifica per evitare una mesta scena muta.

IN ASSENZA DI CARISMA (PECCHIA, FUSCO E SETTI)

Sarà stata l’ora, mezzanotte inoltrata, sarà che a vederlo, Fabio Pecchia, mi è sembrato un cane bastonato. Così il mio lato marzullesco, fino ad allora inconsapevole, si è manifestato: “Pecchia. perché non è mai sbocciato l’amore tra lei e Verona?”. Sì gliel’ho chiesto, perché la cronaca lo imponeva dopo i cori e lo striscione in curva sud, ma soprattutto perché, gira che ti rigira, è una domanda decisiva.

Mi rendo conto che scomodare Marzullo con il Verona è pericoloso, sai mai che poi arrivi Setti a ricordarci che l’Hellas è stato fondato dagli studenti greci, però che volete, la domanda mi è uscita così…

Devo aver toccato un tasto dolente perché Pecchia non mi ha fatto finire, ha lasciato perdere per un attimo l’abituale compostezza e con un lampo d’anima è uscito dall’archetipo del solito copione professionale, interrompendo quella stanca recita che sono diventate le conferenze stampa degli allenatori italiani. Pecchia, finalmente, si è acceso: “Io sono innamorato di Verona, vivo qui con la mia famiglia, qui le mie figlie vanno a scuola. Da parte mia c’è il totale innamoramento per questa città, ma io devo pensare ai risultati. L’anno scorso ci chiedevano di andare in serie A e siamo andati in serie A, quest’anno ci chiedono di mantenere la categoria e manterremo la categoria”.

Ecco, credo che a Pecchia, come a Fusco, sia sempre mancata l’empatia con questa piazza. Certo, in tal senso mica potevano andare a scuola da Setti, che del distacco con Verona ne ha fatto un manifesto. Così Verona, piazza identitaria, si ritrova non solo con un presidente poco passionale, ma anche con ds e allenatore privi di “chimica”. Aggiungo: siamo passati da un estremo all’altro, dagli strabordamenti del Mandorlini “capopopolo”, caudillo tale da saper diventare per alcuni quasi un’entità indipendente dal Verona, un club parallelo da tifare, all’assenza totale di carisma di Pecchia e Fusco (e di Setti).

Pecchia dice di pensare solo ai risultati. Ma anche quelli, in serie A e dopo undici giornate,latitano. Credo che la quota salvezza s’aggiri sui 35-36 punti, tenendo conto di un Benevento già spacciato e di un girone di ritorno in cui le pericolanti storicamente accelerano. Il Verona deve portare a casa almeno 10 punti nelle prossime 8 giornate per chiudere il girone d’andata a 16 e tenere accesa la fiammella della speranza. E se con Juve e (in parte) Milan la faccenda pare proibitiva, saranno le sei partite con Cagliari, Bologna, Sassuolo, Genoa, Spal e Udinese a dare le carte al nostro campionato. E’ lì il nostro futuro: sofferenza o condanna senza appello già a gennaio? 

CAMPEDELLI, PERCASSI E…SETTI. PERCHÈ ACCONTENTARSI?

Una risata ci salverà” dice quel fine umorista di Daniel Pennac. Maurizio Setti non sorride mai. Il Setti “attaccante” un po’ ganassa degli inizi, quello per intenderci del modello Borussia Dortmund e dell’Europa, ha lasciato posto a un uomo da tempo “in difesa”. Ricordo il Setti che più di cinque anni fa pronunciò solennemente le due promesse cardine e imprescindibili del suo mandato: centro sportivo e consolidamento in A. Oggi il centro sportivo ancora non c’è e la serie A, nel migliore dei casi (la salvezza), è un faticosissimo e sofferente affanno da preservare con calciatori e allenatore low cost. Tutto questo nonostante dal 2013 il Verona goda di entrate plurimilionarie e abbia potuto beneficiare di diverse plusvalenze. “In passato sono stati commessi degli errori” ha detto il 5 settembre al Corriere di Verona il direttore operativo Francesco Barresi. Non ci è dato sapere quali.

Verona che in caso di salvezza con la riforma Lotti in fase di definizione potrebbe prendere 40 milioni di euro dalla nuova ripartizione dei diritti tv, in caso di retrocessione altri 25 milioni di paracadute. “Ma nessuno vuole il Verona” afferma il conformista che segue acriticamente i cliché. Io sommessamente ma con il gusto della provocazione sposto il tiro: “Ma Setti vuole vendere?”. Non conosco altri settori merceologici con entrate garantite di questo peso. Conviene vendere? Ma come disse uno più importante di me e di Setti: “Se sbaglio mi corrigerete”.

Torno a scrivere di Setti non a caso dopo Chievo e Atalanta, due club che dimostrano (con modi e stili diversi ma entrambi efficaci) come si fa calcio in provincia. Due club presieduti da due imprenditori della città, perché anche nel calcio globalizzato, delle proprietà cinesi o arabe, dei fondi d’investimento e delle cordate opache (Milan), c’è ancora spazio per gli imprenditori vecchio stampo, quelli inseriti nel territorio, che vivono la città, a cui rendono conto. Campedelli e Percassi non sbandierano centri sportivi, li fanno. Campedelli e Percassi non parlano ogni due per tre di internazionalizzare il brand, ma in Europa il primo c’è stato, il secondo c’è. Campedelli è retrocesso ma è ripartito con autorevolezza. Percassi, come Setti, ha preso la squadra in B e l’ha consolidata, lui sì, in A. Percassi non ha mai cambiato i colori delle maglie e non ricordo un suo direttore generale che in tv abbia detto restando serio: “I colori non sono importanti”.

Lo dico a costo di essere impopolare: Chievo e Atalanta, la prima nella nostra Verona, la seconda nella vicina Bergamo, piaccia o meno sono la coscienza della società che dovremmo essere anche e soprattutto noi, più di loro, per storia, tifoseria e tradizione. Perché accontentarsi di essere meno?