CARNE DA CANNONE

Il nulla. Anzi no, meno del nulla. E come si può commentare il nulla? Il rischio è di legittimarlo.

Lo legittimano le dichiarazioni di giovedì del direttore sportivo Fusco, che riascoltate adesso appaiono ancora più surreali e marziane. Lo legittima la nuova verbosità incazzosa di Pecchia, che venerdì mi è parso sminuire la sensibilità della piazza asserendo che lui ha vissuto luoghi “dove la pressione non si sentiva, ma si toccava”, quasi che i “rumors” veronesi in confronto siano una bagatella. Ho pensato alla bellissima Gubbio: Don Matteo alias Terence Hill era così rompiballe? Poi ho capito che l’allenatore si riferiva alla sua (brillante) carriera da calciatore e da vice allenatore. Ruoli che però nulla c’entrano con l’attuale. Un po’ come sommare le pere con le mele, insomma.

La verità è che Fusco e Pecchia sono in difficoltà e anziché cercare collaborazione e comprensione si arrampicano affannosamente sugli specchi, individuando nemici che non esistono, imputando a noi giornalisti frasi che non abbiamo mai detto o scritto (“il siamo già in B” di cui ci addita Fusco), rifugiandosi in alibi consumati e vuoti. E irritandosi (il ds), pur senza nominarli, con i nostri grandi ex calciatori, “rei” di aver detto (Elkjaer al Corriere di Verona) la cosa più drammaticamente banale e vera: che avanti di questo passo si retrocede.

Ecco questo mi dispiace. Fusco e Pecchia, al di là della loro indubbia professionalità e volontà, si erano presentati ed erano stati presentati come mosche bianche in questo calcio. Ma adesso, nel momento di massima crisi tecnica, pure loro emigrano nella densamente popolata “città degli alibi”, dove si sbaglia poco o nulla ed è sempre colpa degli altri: del “clima negativo”, dei giornalisti, dell’ambiente, del “disfattismo” (altra orribile, abusata e insensata parola ricorsa nei giorni scorsi).

E’ vero, Setti ha messo a disposizione pochi soldi e ne ho già ampiamente parlato. Ma quei pochi, se la squadra è questa, sono stati spesi male. Il resto lo fa un allenatore i cui limiti (la fase difensiva, la lettura della partita e la gestione del gruppo) si erano già manifestati l’anno scorso, e uno spogliatoio colpito in pochi mesi dai casi Toni, Cassano e Pazzini, tutti e tre gestiti malissimo dalla società. 

Ci vuole equilibrio” è stato detto, altra inflazionata tiritera, seconda solo al “su le mani” dei vocalist notturni. Ma qui l’unico equilibrio che manca è quello del Verona in campo. Siamo carne da cannone.

P.S. Caro Setti, è vero “siamo stati in Lega Pro”. Più di sei anni (non sei mesi) fa. Ma anche campioni d’Italia, squadra europea (quando il brand Verona s’internazionalizzava sul serio e senza sbandierarlo) e più volte finalisti di Coppa Italia. Se giochiamo agli estremi, magari per giustificare l’attuale momento e un mercato low cost nonostante gli introiti di questi anni, giochiamoci fino in fondo. Lei peraltro la società l’ha rilevata dopo una semifinale di play off di B e con giocatori da A come Jorginho, Hallfredsson, Maietta, Rafael e il Gomez di allora. O ricordiamo tutto, o non ricordiamo nulla.

QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI

In “quel pomeriggio di un giorno da cani” a salvarci è l’ironia, benedetta perché è puro sollievo. Su whatsapp gira un meme ispirato alla celebre battuta di Giacomo Poretti di Aldo, Giovanni e Giacomo in ‘Tre uomini e una gamba’: “E allora quest’anno fai la serie A?” “Sì ma niente di serio”. Risata beffarda con retrogusto amaro, ma pur sempre risata è. Salvifica.

In “quel pomeriggio di un giorno da cani” uscendo dallo stadio in auto mi attraversano la strada un giovane padre con il figlio. Mi fermo. Osservo. Il bambino tiene in mano e mostra orgoglioso, nonostante tutto, la sua bandiera del Verona. Ma il viso è triste, lo sguardo mortificato, gli occhi lo specchio pallido di una delusione. Lui non sa nulla di bilanci e società lussemburghesi, per lui il paracadute è solo un favoloso miraggio che vola e scende dal cielo, e l’unico centro sportivo che desidera è il campetto dove scalcia e sogna con gli amichetti. Ripenso a me bambino, quando uscivo dallo stadio con mio papà e vivevo il calcio con purezza e irrazionalità, senza sovrastrutture, bagaglio forzato di un adulto, in particolare giornalista. Rifletto su cosa possa provare quel bimbo. Il Verona è sentimento, ma pare che a qualcuno là in alto, nella stanza dei bottoni di via Belgio, tra i suoi prolungati e inopportuni silenzi, le sue rare parole e i suoi visibili atteggiamenti, questo non interessi. Non c’è empatia tra Setti e il Verona. Non c’è comunicazione. Non c’è chiarezza. Non è forma e tanto meno retorica, è sostanza. Un distacco emotivo di cui risente pesantemente tutto l’ambiente.

In “quel pomeriggio di un giorno da cani” ci vorrebbero pure contenti. “Non vendiamo sogni” hanno detto. In effetti l’Europa (Setti nel 2013) e il modello Borussia Dortmund erano boutade gratis. In attesa del centro sportivo, promesso cinque anni fa.

In “quel pomeriggio di un giorno da cani” potremmo però cambiare prospettiva. Viene alimentato il solito cliché del “nessuno vuole comprare il Verona” (si è sempre detto, ma ricordo che il Verona un presidente e una proprietà li ha sempre avuti), ma nessuno che si domandi: Setti vuole vendere?

VERONA SOTTO TIRO, MA SERVE CHIAREZZA

Questione Volpi. Al netto delle indagini, siano esse sportive (sul Verona) o penali (su Volpi), che faranno il loro corso, al di là delle notizie degli organi di stampa che puntualmente si rincorrono, la sensazione è che manchi chiarezza. Maurizio Setti, a parole, la trasparenza come valore l’ha invocata sovente, tuttavia nei fatti pare non esserci.

Setti non si è mai soffermato sulla Falco Investments SA, per la Guardia di Finanza società anonima lussemburghese che detiene interamente la proprietà del Verona. E non è mai stata fatta piena luce sulla complessa catena di controllo del Verona. Inoltre Setti e i suoi dirigenti (Fusco di recente e oggi il direttore operativo Barresi al Corriere di Verona) pongono l’accento (legittimamente) sui costi di gestione, eppure mi domando perché non si rimarchino con la stessa enfasi i ricavi. Inoltre lo stesso Barresi giustifica l’attuale politica di austerity parlando di errori nelle gestioni economiche-finanziarie precedenti. Mi sembra un modo sbrigativo di derubricare la faccenda e giustificare un (non) mercato a costo quasi zero, con tanto di solito appello alla piazza al sacrificio.  Infine vorrei ricordare a coloro che dicono (correttamente) che con Setti abbiamo fatto quattro campionati di serie A in sei stagioni sotto la sua presidenza, che Setti ha promesso il consolidamento in A e il centro sportivo, obiettivi a distanza di cinque anni non ancora raggiunti. E lascio perdere le sue vecchie dichiarazioni (nel 2013) su un futuro in Europa e sul modello Borussia Dortmund. L’ho detto in passato e lo ribadisco: il presidente del Verona deve essere giudicato su quelle due promesse.

D’altro canto la mia sensazione è che Setti e il Verona da qualche tempo siano sotto il tiro politico del Palazzo e di conseguenza del circuito mediatico-giudiziario. Setti è al Verona da cinque anni, perché solo oggi emergono le inchieste? Perché dopo quattro anni di quasi nulla, se non voci e qualche articolo senza riferimenti specifici, solo nell’ultimo si sono scomodati tre grandi quotidiani italiani a fare le pulci alla proprietà (Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport), o ai nostri bilanci (Sole 24 Ore)?

Non vorrei che Setti e il Verona fossero in un momento di debolezza politica e vittime di giochi di potere più grandi. Il calcio italiano è un rassemblement di interessi economici, finanziari e politici che convivono tra di loro. E le coperture politiche in determinate circostanze possono essere anche più determinanti dei soldi. Nel frattempo mi auguro che Setti possa venire presto a parlare in conferenza stampa e non si limiti ai comunicati stampa. L’ambiente ha bisogno di serenità.

IL GRANDE FREDDO

Il grande freddo. Lawrence Kasdan insegna. La mia sensazione, parlando con le persone e interagendo in pubblico e privato sui social, è che allo stato attuale ci sia un solco tra la dirigenza del Verona e i suoi tifosi. La comunicazione è poca, e quella poca è fatta male (non mi riferisco all’ufficio stampa).

Prendete il caso Pazzini. Pecchia e Fusco spiegano la sua esclusione con il Napoli adducendo fumosi motivi tattici; Pecchia motiva la sua seconda esclusione di Crotone parlando di uno stato di forma non al top. “A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” amava dire Andreotti, che aveva tanti difetti e un pregio: era intelligente come pochi. Ora è chiaro che il cattivo pensiero di molti è andato al mercato e a una possibile volontà di cessione del Pazzo, ancora beneficiario di tre anni del ricco quinquennale che gli fece firmare Setti nel 2015. Ma così fosse, perché non preparasi il terreno per tempo? Perché, in linea generale e in via ufficiale, senza entrare nel caso specifico, spiegare la linea finanziaria del club? Perché, nel caso specifico e in via ufficiosa, non mettere in giro la voce su Pazzini già da luglio in modo da abituare la piazza all’idea? Invece tutto (e per tutto intendo anche solo il sospetto) è emerso improvvisamente. Una freddura che i tifosi non meritavano. Così, comunque vada, sarà un insuccesso. Che Pazzini vada o rimanga il cerino resterà a metà tra la società e l’allenatore aziendalista. E resterà la traccia di un pasticcio. Ovvio, tutto poi gira intorno ai risultati e se si vince ogni cosa cadrà nel dimenticatoio. Ma perché complicarsi la vita in una stagione che si annuncia già difficile di suo?

Ma Pazzini è solo la cartina di tornasole di un problema diffuso. Troppe quest’estate le situazioni mal gestite nel metodo. Su tutte, comunque la si pensi, l’addio polemico di Toni (si è fatto davvero di tutto per evitare quella conferenza stampa?) e il caso Cassano (era necessario che Fusco si esponesse in quella conferenza stampa mettendo di fatto il timbro della società sulle dichiarazioni di un calciatore inaffidabile e ipermediatico?).

Mi direte “ma tu scrivi con il senno di poi”. Chi è dirigente (dal presidente in giù) deve pensare con il senno di prima.

SURVIVAL

Siamo piccoli. Fusco lo aveva anticipato in tempi non sospetti, a maggio, con il Verona fresco di promozione. “In A il nostro modello sarà il Crotone di quest’anno”. Dunque una salvezza, se è il caso, da raggiungere all’ultima giornata e, perché no?, all’ultimo minuto.

Una dichiarazione che per molti sfiorò il grottesco, se non il ridicolo, eppure rivelatrice: il Verona – pur avendo una storia calcistica differente dal club calabrese, autore l’anno scorso di una mirabile impresa – nel quadro attuale è per mezzi economici una società dell’ultimissima fascia in serie A. Una fascia non media (come nel biennio 2013-15) e neppure medio-bassa, ma bassa.

E sulla falsariga delle dichiarazioni del suo direttore sportivo il Verona si è mosso: un mercato minimalista, povero, a costo quasi a zero (anche se i contratti di Romulo e Pazzini pesano sulle casse del club), da completarsi con le offerte last minute e alimentato da una mediocre speranza: trovare tre squadre più scarse da mettersi alle spalle. Sopravvivere, questa è la parola d’ordine.

C’è, dunque, una malinconica coerenza in tutto questo. Una malinconica coerenza che parte da Maurizio Setti (domanda che pongo da anni in beata solitudine: il Verona in questo calcio business dai grandi introiti non meriterebbe una società economicamente più strutturata? Senza pensare ai mecenati, agli arabi o ai cinesi, guardiamo agli altri club medio-piccoli). Una malinconica coerenza che ci conduce alla squadra e al suo allenatore, arrivato in serie A dopo un solo anno di B tra alti e bassi, un anno in cui è sembrato involversi più che evolversi, e una promozione acciuffata per i capelli. Un Pecchia “sfanculato” in diretta tv dal suo capitano e contento (“La reazione di Pazzini? Mi fa piacere”). Un Pecchia che, in questo rabberciato Verona, ieri sera è riuscito in un sol colpo a rinunciare non solo  al centravanti simbolo della promozione, ma anche al suo miglior mediano (Zuculini) e al suo giocatore più forte (Bessa, fuori ruolo).

Una malinconica coerenza che passa per il mercato. Una sola vera intuizione (Verde), due arrivi di rilievo (Caceres ed Heurtaux), tre ottime conferme (Ferrari, Bruno Zuculini e Bessa) e una scommessa accattivante (Cerci). Non male, ma troppo poco per una neopromossa non futuribile, cioè costruita un anno fa solo per l’immediato, la promozione. Il resto (dunque il molto) è un grande e grosso punto di domanda. Leggo che arriveranno un esterno d’attacco e un vice Pazzini. Ma a parte che di esterni ne occorrono due (Fares lo aspettiamo in eterno?), il nuovo centravanti sarà davvero un vice Pazzini, o sarà Pazzini a diventare il vice del “vice Pazzini”? Domanda lecita dopo la “scelta tecnica” di ieri. E ancora: abbiamo un portiere all’altezza? Il Nicolas di ieri è il Nicolas di sempre, ottime parate e sbandate clamorose. Malinconicamente coerente anche lui. Il rapporto qualità/prezzo (leggi ingaggio) di Romulo, pure lui il solito Romulo, è sostenibile? Infine, in difesa, passi per il grintoso Caracciolo, è lecito pensare che Cherubin, Brosco e l’ahimè incompiuto Bianchetti non siano neanche lontanamente all’altezza dei titolari?

Siamo poveri, ci hanno detto. Aspettiamoci dunque saldi al mercato e sofferenza in campionato. E poi, chissà, forse alla fine è davvero tutto relativo, vedi mai che tre più scarse dietro le mettiamo. Ma è fare calcio questo? E’ giusto ridursi in partenza a giocare a un mortificante ciapa no? Siamo questi e va accettato, o il Verona meriterebbe anche solo un gradino in più? E’ il momentaneo dazio che ‘Setti II’ paga a ‘Setti I’ (quello dei primi tre anni) e resistendo il futuro sarà più radioso, o tireremo a campare in eterno? Ecco, è una questione di prospettiva: esiste un vero progetto di consolidamento? Deve essere Setti, e non Fusco, nella tradizionale conferenza stampa post-mercato a rispondere a queste domande.

ORA SETTI E FUSCO FACCIANO QUADRATO

Sono un po’ preoccupato. Non vorrei che le mattane di Cassano creassero un precedente. La società ha mostrato qualche cedimento.

Due fughe di notizie in 6 giorni. La prima martedì scorso alla Gazzetta dello Sport, con la dirigenza ignara e spiazzata; la seconda ieri a Gianluca Di Marzio. Una discutibile conferenza stampa (ancora martedì scorso), che annunciando una retromarcia ha in sostanza avallato quella che giornalisticamente era una mera, per quanto pesante, indiscrezione.  Una reazione (e torniamo a ieri) – ancora, nonostante tutto! – comprensiva di Setti (“Cassano non ce la fa di testa, peccato perché professionalmente non gli si può dire nulla”), convinto del ritiro del giocatore nel momento delle dichiarazioni all’Ansa. Neanche il tempo di dichiarare che il presidente è rimasto con il cerino in mano dopo il tweet vergognoso di Cassano sul profilo della moglie (“lascio il Verona che non mi stimola, non il calcio”). A seguire la nuova reazione di Setti, finalmente cazzuto come si deve, che ha ammansito Cassano confezionandone infine (ne siamo certi?) l’ennesima giravolta (“lascio il Verona e mi ritiro”).

I calciatori generalmente sono primedonne, vere e proprie aziende con entourage pachidermici. Chi  ha dato le notizie alla Gazzetta e a Di Marzio? Escludendo ovviamente il Verona, che ci ha solo rimesso, la logica conduce a persone vicine a Cassano.  Non è che al primo momento di difficoltà (personale o di squadra) qualcun’altro potrebbe sentirsi legittimato a farsi i cazzi suoi? Contiamo ovviamente sulla professionalità dei nostri calciatori, sul ruolo riconosciuto di Fusco nello spogliatoio (molti giocatori sono umanamente legati al ds) e sul mestiere di Setti, che ha tanti difetti ma è sufficientemente “sgamato” e non è uno sprovveduto.

La speranza, insomma, è che si tratti di un incidente di percorso isolato e legato al fascino della sfida e alla presenza di un talento “incontrollabile” come Cassano, che a mio avviso peraltro è stato manovrato (come Balotelli è da sempre pilotato).  Ma Setti e Fusco è bene che riuniscano la squadra, diano spiegazioni, fissino nuove regole più severe e facciano quadrato. Così operando, la debolezza di una circostanza muterebbe in forza nei prossimi mesi.  Ne va della stagione del Verona.

P.S. “Tu in quest’aula vedi parlamentari, leader, presidenti e correnti, ma non vedi ciò che conta più di tutto: il partito delle mogli”.
Giulio Andreotti tanti anni fa a un allora giovane parlamentare di nome Giulio Tremonti.

P.P.S. Ma per entourage di Cassano non intendo tanto o solo la moglie…

IL PENULTIMATUM

Cassano ci ha ripensato di nuovo. Resta. E noi stiamo impazzendo come dei poveri cretini 

Un tira e molla degno di Ridge e Brooke. Sarà una stagione lunga, molto lunga.

Ti amo. Ti odio. ma in realtà ti amo. Ti prendo e ti lascio. Ma poi ti riprendo. Uno psicodramma.

“Ho avuto un momento di debolezza”. Non che noi, Antonio, ci sentiamo tanto bene. Antonio fa caldo (cit.).

“Ti volevano fregare”. “Li hai fregati tutti tu”. (autocit.).

Deve avere letto il mio pezzo di ieri:

[E’ sempre stato tutto molto divertente: loro ti tiravano per la giacchetta della morale e delle convenzioni e sul più bello che si spalleggiavano del loro nulla per essere riusciti a convertirti… tu quella giacchetta te la toglievi del tutto e tornavi a scandalizzare, irriverente e incontrollabile”. E ancora: “Ezio Vendrame, oggi poeta e scrittore, negli anni ’70 calciatore sontuoso, ribelle e anticonformista come Meroni e Zigoni, nel suo libro “Se mi mandi in tribuna godo” racconta che in una puntata della ‘Domenica Sportiva’ di Gianni Minà in cui era ospite, Aldo Agroppi, opinionista della trasmissione, gli disse: “Io con i tuoi piedi e tu con la mia testa, ecco il fuoriclasse assoluto”. Vendrame, anziché incassare quello che voleva essere un elogio, rispose irriverente davanti a milioni di italiani: “Ti regalo volentieri i miei piedi, ma la mia testa non la cambio con nessuno, tanto meno con te”].

Devo averlo ispirato, Cassano. Dite: “Lui ti dà argomenti”. Mi sa che sono io a darli a lui.

Antonio è tornato. Come i bis delle star ai concerti.

L’ultima parola di Cassano è come l’ultima birra della sera. Non è mai l’ultima.

Love.

P.S. Il club esce ammaccato dalla vicenda. Prima l’entourage di Cassano dà la notizia alla Gazzetta (senza che nessuno della società sapesse nulla), poi Cassano chiede di indire una conferenza stampa. Alla conferenza stampa non si smentisce nulla, ma si fa retromarcia. Il cerino è rimasto in mano alla dirigenza del Verona. Do atto però a Fusco di averci messo la faccia.

 

L’ULTIMA CASSANATA

Caro Antonio,

ti hanno voluto fregare. Volevano normalizzarti. Tra una cassanata e l’altra loro ci provavano: “Ora si è messo a posto” dicevano. Quante volte l’hai sentita questa frase? Ma li hai fregati tutti tu: sei rimasto quello che hai sempre voluto essere. Bello o brutto, puro o stronzo, sensibile o forse solo egoista, eccessivamente generoso, ma anche irrimediabilmente egocentrico…comunque tu.

E’ sempre stato tutto molto divertente: loro ti tiravano per la giacchetta della morale e delle convenzioni e sul più bello che si spalleggiavano del loro nulla per essere riusciti a convertirti… tu quella giacchetta te la toglievi del tutto e tornavi a scandalizzare, irriverente e incontrollabile.

Nel loro cieco e ottuso moralismo ti hanno pure chiesto se “ti sei pentito”, perché loro che misurano tutto in grandeur, gloria e trofei pensano che hai sprecato un’occasione per il tuo talento. Ma tu sai che l’occasione l’hanno persa loro e non solo di tacere, ma di vivere senza sovrastrutture, compromessi, finzioni sociali o istituzionali. Una risata li seppellirà, anzi li ha già seppelliti.

Il fatto è che tu hai sempre e solo voluto disegnare calcio a modo tuo e che non ti rompessero i coglioni. Lo hai fatto. Non aveva senso farlo alla Roma, al Real Madrid, all’Inter o al Milan come dicevano loro; meglio farlo alla Samp o al Parma come dicevi tu.

Loro non si rendono conto che tu non avevi alternative. Sì, una volta ci hai provato a fare il bravo scolaretto (europei 2008), forse per vedere l’effetto che fa. Ma ingabbiato nella disciplina che ti eri auto-imposto ti eri smarrito e appiattito anche in campo, perfettino, senza sbavature, ma anche avulso, impalpabile, modesto. Non eri tu, tu sei nato per altro: per il genio e la follia, per l’incanto e il tormento, la magia e il ripudio, il sogno e lo scandalo. Prendere o lasciare. Pacchetto completo.

Ezio Vendrame, oggi poeta e scrittore, negli anni ’70 calciatore sontuoso, ribelle e anticonformista come Meroni e Zigoni, nel suo libro “Se mi mandi in tribuna godo” racconta che in una puntata della ‘Domenica Sportiva’ di Gianni Minà in cui era ospite, Aldo Agroppi, opinionista della trasmissione, gli disse: “Io con i tuoi piedi e tu con la mia testa, ecco il fuoriclasse assoluto”. Vendrame, anziché incassare quello che voleva essere un elogio, rispose irriverente davanti a milioni di italiani: “Ti regalo volentieri i miei piedi, ma la mia testa non la cambio con nessuno, tanto meno con te”.

Ecco Antonio, non so ora se ci regalerai gloria o fallimento, solo il tempo lo dirà. Ma lo sbaglio che faremmo qui a Verona (Setti, Fusco, Pecchia, i tuoi compagni, noi giornalisti e i tifosi) è provare con presunzione ciò che hanno già provato altri: voler cambiare la tua testa. No, finché crediamo in te (e ora ci crediamo, abbiamo il dovere di crederci) dobbiamo accettarla e capirla, proteggerla e coccolarla.

E’ l’unico modo perché la scommessa si tramuti in successo. E a quel punto sì che ci regalerai l’ultima cassanata, un sonoro vaffanculo agli scettici.

L’AUTOGOL DI TONI

Luca Toni e Preben Elkjaer sono la coppia d’attacco dei sogni. Immaginate voi un Verona che li avesse avuti in campo insieme. Abbondandis in abbondandum avrebbe detto Toto, se dobbiamo sognare sogniamo in grande. Ecco io vorrei che di Toni restasse immortalata la fotografia del campione, del goleador, del ‘vicesindaco’, la parte romantica della sua storia. Abbiamo bisogno come il pane e l’aria di bei ricordi, l’antropologia del calcio si fonda buona parte su di essi, non disperdiamoli. 

Il resto sono polemicucce di bottega, specie per un fu campione del mondo per sua stessa ammissione “ambizioso” anche nella carriera da dirigente che si vuole costruire. Se Toni ipoteticamente mi avesse chiesto un consiglio mediatico-comunicativo gli avrei detto di lasciar perdere, di non lasciarsi trasportare dal fuoco fatuo di polemiche fini a se stesse. E non per buonismo, paraculaggine, ipocrisia, ma per una ragione più semplice: Toni non aveva nulla da dire e infatti non ha detto nulla. Mezz’ora di banalità a spiegare in sostanza che lui, al di là del ruolo formale, voleva intervenire nella gestione tecnica (“dare qualche consiglio, dopo 22 di calcio penso che ne avessi diritto”) e che Fusco che della gestione tecnica è, nel bene o nel male, il responsabile gli ha detto “no”, ben più severo dell’uomo Del Monte che invece diceva sì, ed è per questo che ha sbattuto la porta. Una situazione che nel calcio e nella vita è capitata un po’ a tutti, che è normale – ricordate la vecchia storia dei due galli in un pollaio? – ma anche nella fattispecie esclusivamente personale. Perché allora dover sfogare i propri scazzi al mondo? Quale l’interesse pubblico? Se Toni chessò ci avesse dato delle notizie oggettive, legate alla sfera dell’interesse pubblico dell’Hellas, avrebbe avuto tutto il diritto, anzi il dovere, di parlare e noi giornalisti avremmo avuto il diritto, anzi il dovere, di approfondire. E invece la montagna ha partorito il topolino: Toni se ne va perché non può decidere e non può decidere perché decide già Fusco, a cui Setti ha dato le chiavi del Verona.

E’ chiaro che nel gioco della stanza dei bottoni del calcio influisce anche l’area di procuratori a cui ognuno fa riferimento. Toni ha i suoi legami e le sue amicizie, Fusco ne ha altre, Sogliano ne aveva altre ancora e questo vale più o meno per tutti i manager del mondo. Procuratori significa sfere di influenza, correnti politiche, network di business tutte cose per cui anche si può arrivare a litigare, pure legittimamente e comprensibilmente. Ma poi conta il Verona e le capacità che ha un manager di allestire con le risorse a disposizione una squadra competitiva. Sogliano ci riuscì, Gardini e Bigon (con relazioni anche in comune con il mondo di Toni) no, Toni chissà.

Setti, al bivio dopo un anno di convivenza tra ruggini e incomprensioni, ha scelto Fusco e bocciato Toni. Posto che Toni non avrà mai la controprova, positiva o negativa, del suo lavoro, Fusco verrà giudicato per i risultati in rapporto agli obiettivi prefissati e alla forza economica a disposizione. Il resto sono scazzi personali di cui francamente non ci frega nulla. Il resto è un autogol clamoroso di un vecchio bomber che uscito dal campo per una volta ha sbagliato porta.   

IL CALCIOMERCATO È L’OPPIO DEI POPOLI

Maledetto giugno. Sordo silenzio. Tutto si ferma, né campionato, né ritiro, né amichevoli. Apatia, caldo e nulla. Anzi peggio, ascelle ammassate in buchi di piscina, villaggi turistici con animatori rompiballe, il finto entusiasmo dei deejay con i dischi sempre uguali che ci fanno battere le mani come imbecilli, cocktail annacquati, tristissimi acquagym e desolanti corsi di zumba. Ci organizzano pure il tempo libero che dunque non è più… libero. Bisognerebbe imparare dai gatti, diceva Bukowski, nel loro beato ozio si cela la verità. Forse il prete per chiacchierar c’è pure, checché ne dicano Celentano e Paolo Conte, la verità è che manca il pallone, anche fosse un dannatissimo trofeo Birra Moretti agostano, e di qualche diavolo di cosa bisognerà pur parlare. Dove sei Verona? Impaziente nostalgia. E allora vai di valzer, no Strauss non c’entra, la grancassa che suona è quella dei procuratori che creano aste e ingrassano, l’orchestrina ammaestrata e interessata sono i mass media che reggono il microfono e il gioco. E i tifosi inebetiti sognano, vagheggiano, inseguono, discutono, immaginano. Li capisco, tutto pur di scansare il fottutissimo acquagym. E’ il calciomercato, bellezza. E’ il calciomercato, salvezza!

“Arriva Marchetti”. “No Marchetti no troppo caro”. “Ma ecco Calabria, vertice con il Milan”. “No Calabria no, nessun vertice”. “Vuoi mettere Cassano? Ha già firmato”. “No Cassano non serve”. Voci, echi, titoli, dibattiti, articoli su quello che…non c’è, come cantavano gli Afterhours. O un Vasco Rossi d’annata, ricordate? “Fantasie che volano libere, fantasie che a volte fan ridere, fantasie che credono alle favole”.

Personalmente ho un’idiosincrasia per il calcio mercato fin da ragazzino. Quante mance estive buttate nel cesso a comprarmi i giornali per vedere chi acquistava o trattava il Verona; quanto inutili salti all’edicola per trastullarmi con le ipotetiche formazioni. Sogni infranti, illusioni peggio dei flirt estivi scambiati per amore che sarebbero seguiti. Pensavo fosse… Kirsten e invece era un calesse. Sì perché l’ho sognato un’intera e maledettissima estate (1991) Ulf Kirsten, per poi trovarmi Raducioiu. Prova tu a sognare Miriam Leone e ritrovarti la tata di Vianello.  Da allora ho smesso di inseguire inutili treni, anche da giornalista, preferendo la via materialista, dunque la realtà. Meglio capire e far capire come si muove una squadra – nel nostro caso il il Verona o le sue avversarie dirette – nel suo complesso, la filosofia che spinge il club e il direttore sportivo di turno a ingaggiare questo o quel giocatore.

Soprattutto se di soldi ne hai pochi e il tuo traguardo è una salvezza molto di lotta e poco di governo come l’Hellas che sarà (dimentichiamoci i primi due anni di A Setti-Sogliano-Mandorlini, quelle erano squadre costruite con altre risorse). Si cercherà, tra i titolari, di confermare i gioielli Zuculini Jr e Ferrari, di ingaggiare un portiere di categoria, due difensori e due esterni d’attacco che facciano la differenza e gol. Il centrocampo è il reparto più completo, ma le mosse qui dipenderanno dalle conferme di Zuculini Jr appunto e di Romulo, sui cui la società sta facendo una profonda valutazione.

Per il resto non badate a nomi troppo ricchi e altisonanti, non arriveranno. Non inseguite chimere. Il calciomercato è l’oppio dei popoli.