Paolo Zanetti non è il migliore del mondo, ma è il migliore dei mondi possibili (per il Verona). Nel mazzo di carte che aveva in mano Sogliano, dato il budget, era la scelta più sensata, più di Donati o Inzaghi: perché già esperto, ma ancora tra i rampanti; perché di forte temperamento – come si conviene storicamente alla piazza di Verona – ma non egotico; perché allenatore tout court e non sbiadito di luce riflessa del passato di ex campione; perché tecnico dalla marcata identità tattica, ma non talebano – vedi la capacità di variare schieramento dalla trequarti in su, dove serve adattarsi ai calciatori di talento. Inoltre, Zanetti ha dimostrato che, se supportato dalla società e da calciatori di qualità, raggiunge gli obiettivi prefissati. Ecco, sebbene nel calcio moderno lo si dimentichi e si conceda eccessiva vanagloria agli allenatori, poi sono i calciatori che fanno la differenza e determinano fortune e sfortune. Baroni si è salvato – e bravo Baroni! – ma nel girone di ritorno disponeva del miglior Serdar (a lungo nel giro della nazionale tedesca), Noslin (ne sentiremo parlare a lungo), Suslov e l’azzurro Folorunsho, più una serie di altri ottimi giocatori di categoria e-o nel giro delle loro nazionali.
Una mia perplessità, poiché sono per il calcio essenziale, veloce, verticale, piuttosto può riguardare la cosiddetta e controversa “costruzione dal basso”, di cui Zanetti si fa portatore. È un’idea tattica che se da un lato permette di far salire gli avversari in modo da colpirli poi sulla trequarti, dall’altro necessità di interpreti, ergo difensori, bravi nel palleggio. Sembra però che Zanetti non la applichi in modo totale e comunque si serve di un centrocampista che si abbassa sulla linea dei difensori. Questo è un tema che sarà interessante approfondire anche nella conferenza stampa di presentazione del tecnico di Valdagno.
Ci sono gli scettici su Zanetti (ed è comprensibile), ma vorrei aprire una breve riflessione-digressione: noi a volte pensiamo che Verona sia il centro del mondo, in realtà siamo sì un club di serie A, ma economicamente non di fascia media (vedi Torino o Monza), ma piccola. Tradotto: non possiamo ambire a nomi di richiamo, ma arrivare agli emergenti o a chi ha sete di rilancio.
Bottagisio. Setti dopo 12 anni di presidenza è riuscito finalmente a mantenere la promessa: il Verona ora ha un centro sportivo di proprietà. Sarà la casa delle giovanili e questo dara anche un’identità e un’allure al club, che si dota di qualcosa che rimarrà anche nel futuro. Ma soprattutto quella di Setti è un’operazione immobiliare che rafforza il valore economico e patrimoniale della società. Un passepartout con le banche e un asset da esibire ai potenziali compratori. L’occasione attesa da anni si è manifestata con un’asta fallimentare, come un’asta ha permesso a Setti di comprare la sede di via Olanda. Setti, va detto, è uomo che sa fiutare gli affari. Ma rilancio l’idea di Vighini: sarebbe affascinante in futuro ridare Veronello all’Hellas, intesa la prima squadra. E programmare all’antistadio occasionali sedute di allenamento o le partitelle in famiglia, per concedersi di tanto in tanto alla città. Modernità e identità possono andare in simbiosi.