Un giorno scopro che si sono venduti anche le conferenze stampa pre partita. Sì, avete capito bene cari lettori. Quelle interviste del pre-gara in cui sono ammesse “massimo due domande” le gestisce Infront. A Verona e in altri posti. In pratica si sono venduti un prodotto fatto con le domande dei giornalisti. Non so quanti colleghi lo sappiano e se ne sono informati l’Ordine e le associazioni di categoria. Ma è così. E’ una delle tante sconfitte di cui ormai mi sono abituato. Viviamo un tempo in cui scriviamo ogni settimana di una cosa che non vediamo e che non conosciamo. E’ giusto che anche voi lo sappiate.
Le formazioni pre gara sono una cialtronata, una specie di oroscopo senza neanche sapere come sono messi gli astri. Non vediamo gli allenamenti, non siamo informati sugli infortunati, i convocati arrivano a poche ore dalla partita. Scopriamo poco prima dell’inizio della gara se ci sono sorprese, novità. Con la mia redazione stiamo pensando di togliere questo toto-formazione perché francamente ci pare di prendervi in giro. Non è un problema del Verona è un trend generale che dura da tempo e che la pandemia ha solo peggiorato, dando almeno la giustificazione agli assurdi allenamenti a porte chiuse. I giornali si sono piegati a questo assurdo andazzo nel nome della pigrizia, del quieto vivere, del basso profilo.
Il problema non siamo noi giornalisti. Siete voi tifosi. Ormai relegati solo alla voce clienti, senza più un minimo di rapporto con la squadra, legati solo ai social dove abbondano cuoricini e frasi di circostanza, spesso banali citazioni da film tipo il Gladiatore. Oppure offese da ultras da tastiera, schermaglie tra bambinetti infoiati.
Le società sembrano ormai imprese editoriali con fotografi, giornalisti, media manager e paccottiglia del genere. Producono un’informazione aziendale, priva di massa critica, di obiettività. Che il pubblico ormai percepisce, tanto da snobbare le interviste plastificate e pilotate, le non domande, le frasi fatte avvertendo anche inconsapevolmente, il baco della disinformazione. Una banale domanda onesta in una conferenza stampa ormai fa lo stesso boato dell’esplosione avvenuta a Beirut.
Abbiamo perso, siamo stati sconfitti, su questo non c’è dubbio, perché nessuno ha più voglia di lottare. Ma anche loro, questi miopi dirigenti del calcio italiano, senza una strategia a lungo termine, senza visione, stanno perdendo. Non si tratta di tornare agli anni ’80 (quando al Bentegodi esaurito voleva dire avere 50 mila spettatori) ma avere un’idea di dove si vuole andare.
Il calcio italiano sta perdendo appeal, sta perdendo interesse, sta perdendo pubblico. E loro suonano l’orchestrina, felici di aver ceduto i diritti ad una piattaforma che prende in giro i propri clienti con servizi scadenti e complicazioni indecenti. Chiedono soldi allo stato per girarli a esosi procuratori che ormai comandano le società spesso da paradisi off-shore dove non pagano le tasse. Non si accorgono che l’iceberg si avvicina e li farà affondare.

