Le discoteche, tutte le discoteche, non solo il Cocoricò di Rimini,
sono diventate piste, non da ballo, ma da sballo. Ne chiudi una, come successo appunto a Rimini dopo l’ennesimo giovane morto. Le chiudi tutte? Semplicemente lo spaccio di droga si sposta altrove.
Dove? Nelle scuole, fuori e anche dentro tantissime scuole. Che facciamo? Chiudiamo anche le scuole per prevenire lo sballo che può diventare mortale?
Mauro Maria Marino, senatore del Pd , ha raccontato a Repubblica che, mentre faceva jogging nel suo quartiere a Torino, in sole tre vie ha contato ben 35 pusher! Lo stesso conteggio, conteggio simile a quello che potremmo fare nelle vie e nelle piazze delle nostre città. L’arresto di spacciatori a Verona, a Padova e Vicenza è ormai ridotto a poche righe sui quotidiani. Tanto quotidiano e diffuso da non fare più notizia. Come non fa notizia il loro pronto rilascio.
Che facciamo? Chiudiamo anche tutte le città, oltre alle discoteche e alle scuole? Mettiamo ragazzi e ragazze (e persone di tutte le età) in clausura?
Le soluzioni (o le toppe) possibili sono due.
Una molto complicata: convincere i tanti giovani che rischiano lo sballo o il coma etilico a non assumere droghe e non bere smodatamente.
Si tratta di rimuovere motivazioni profonde che li spingono a questa fuga dalla realtà. Dare loro alternative. Entrano in gioco l’educazione, le famiglie, la capacità di persuadere i giovani ad apprezzare la vita, a trovare stimoli migliori della droga. Vaste programme, come diceva De Gaulle ironizzando sui progetti pretenziosi e utopistici…
Resta l’alternativa. Non certo liberalizzare le droghe, che più libere di così è impossibile; ma, come hanno sempre spiegato i radicali, regolare l’uso delle droghe. Come? Facendole diventare un monopolio statale.
Che sia lo Stato a vendere droga, tutte le droghe non solo le cosiddette leggere, eliminando così i traffici criminali e garantendo miscele che – quantomeno – non siano letali per chi le assume.
Capisco che scandalizzi l’idea che lo Stato diventi spacciatore di droga. Ricordiamoci però che lo Stato è già spacciatore di alcol e fumo, che provocano molti più morti della droga.
In ogni caso mi sembra l’unica soluzione in grado – non certo di eliminare il problema – ma di limitare danni. Chiudere il Cocoricò per quattro mesi, sicuramente serve a nulla.
ZAIA, IL VENETO E LA SICILIA
L’8 Luglio scorso un tornado di violenza inaudita ha investito la Riviera del Brenta. Questo il bilancio: un morto, una novantina di feriti, 450 sfollati; 150 tra case, scuole e ville storiche danneggiate; 200 auto distrutte, 50 tra negozi e aziende devastati.
Calcolo dei danni: attorno ai 100 milioni.
Succede che il governo Renzi, dopo una telefonata del premier al sindaco di Dolo e una visita tardiva del ministro Del Rio, stanzia 2 milioni in tutto.
“Una vergognosa elemosina” la definisce il presidente Luca Zaia, che paragona la cifra ai 500 milioni stanziati dal governo per coprire l’ennesima voragine nel bilancio della Sicilia di Crocetta.
500 milioni in tre trance, una per stabilizzare i precari della Regione Sicilia (sacrosanto: ha così pochi dipendenti…)
A questo punto Zaia annuncia: se il governo non scuce il dovuto, dovrò recuperare io i fondi per la ricostruzione con una tassa di scopo, con un’accise di 5 centesimi sulla benzina.
Nella straordinaria capacità di stravolgere la realtà, alcuni media accusano Zaia di aver mentito: di mettere la tassa quando aveva promesso di non prelevare un soldo dalle tasche dei veneti. Quando invece va accusato il governo Renzi di non dare al Veneto ciò che gli è dovuto.
La nostra regione, come noto, vanta un grande residuo fiscale: 20 miliardi in più le tasse che versa a Roma rispetto a ciò che riceve. Una “donazione” che si giustifica in nome della solidarietà dovuta alle regioni più povere. Ma, quando è il Veneto colpito da una calamità, non c’è alcuna solidarietà di ritorno: il conto dobbiamo pagarcelo noi.
Anzi non c’è nemmeno informazione: dato che tutti e tre i telegiornali della Rai hanno ignorato il tornado che ha colpito la Riviera del Brenta – come ha osservato il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti – mentre se ci fosse stata una mareggiata ad Ostia servizi a raffica…
La colpa è anche nostra, di noi veneti, che accettiamo di farci trattare come la Cenerentola d’Italia. Ma l’indignazione e la protesta di Luca Zaia sono sacrosante.
Quanto alla tassa di scopo, per forza che è indispensabile se il governo Renzi non stanzia fondi adeguati. Perchè per riparare i danni ci vogliono tanti soldi. Cioè soldi pubblici raccolti con le tasse. Di certo non sono sufficienti quelle decine di comitati che, prontamente, si sono messi a raccogliere offerte per la Riviera. Alla fine raccoglieranno briciole; di fronte alle calamità non bastano certo una o dieci San Vincenzo…
GASSMANN: ARMIAMOCI E PARTITE
La sporcizia e il degrado di Roma serve a farsi belli, a conquistare notorietà. E’ servito ad Alessandro Gassmann (figlio del Gassmann vero, il grande Vittorio…) per lanciare l’hashtag :”Armiamoci di scopa e ripuliamo tutto noi!”
Noi chi? Lui no di certo. Perchè al momento Alessandro G. è in Uruguay a girare il film, e non ha detto mollo tutto e domani sarà a Roma con la scopa in mano. Lui se ne resta là, e la scopa dovrebbero impugnarla i cittadini romani.
Stile identico al famoso “armiamoci e partite” dei gerarchi fascisti: a morire in guerra ci andarono i poveri soldati, mentre i gerarchi rimasero a casa al sicuro…
Ovviamente i fighetti dello spettacolo, della cultura e della politica sono tutti entusiasti dell’appello di Alessandro Gassmann. I cittadini, con la testa sulle spalle, si domandano invece perchè mai dovrebbero pulire loro Roma quando pagano fior di tasse e c’è l’Ama, la municipale super dotata di uomini e mezzi…
Anche ammesso, non finisce qui. Perchè i romani dovrebbero armarsi anche di volante e guidare loro i mezzi di trasporto pubblico; dovrebbero andare a fare il check-in a Fiumicino; improvvisarsi custodi al Colosseo e guardiani a Pompei…
E via di seguito: siccome la giustizia è lenta, passiamo alla “giustizia fai da te”, e la sicurezza la garantiscano i cittadini con le ronde…
Il senso civico deve (dovrebbe) recuperarlo anzitutto chi è pagato per svolgere un certo servizio pubblico. Ad esempio il personale dell’Atac, l’azienda romana dei trasporti, che registra ogni giorno il 38% di assenze per “malattia”. Quando l’assenza tra il personale dei trasporti pubblici di Londra è al 3%.
E’ o no questo il nocciolo del problema? Avere il record europeo di scioperi nei servizi pubblici: 2084 scioperi lo scorso anno; all’80% proclamati il lunedì o il venerdì per garantirsi il week end lungo.
Vanno denunciate le responsabilità del governo nazionale e di quelli locali (di Roma, della Sicilia…) che tollerano e alimentano l’inefficienza, il degrado di un Paese allo sbando; un Italia sempre più da Terzo Mondo. O pensiamo di usare, come una foglietta di fico, l’appello al senso civico dei cittadini?
Quando ad Alessandro Gassmann ha annunciato che tornerà dall’Uruguay a settembre che farà la sua parte: tutti a controllare per quante ore al giorno e per quanti giorni di seguito sarà con la ramazza in mano a ripulire la Capitale…
IL CALCIO, LA RELIGIONE ANTI ISIS
Il calcio è l’unica religione autenticamente universale, praticata cioè con entusiasmo dal Sud America di Papa Francesco agli States, all’Europa, all’Africa, al mondo arabo fino all’Estremo Oriente.
Le grandi religioni monoteiste non lo sono altrettanto, nel senso che hanno confini geografici limitati.
Potrebbe quindi essere il calcio un’alternativa ad altre religioni, più fanatiche e più pericolose. Speriamo.
In questo senso è interessante l’iniziativa del prefetto di Verona che ha deciso di costruire un campo di calcio per i circa 400 migranti riuniti nel complesso di Costagrande ad Avesa sopra la città: speriamo che giochino a calcio, invece che giocare all’Isis…
La vicenda di Costagrande è emblematica: gli ospitati hanno inscenato una protesta perchè ci sarebbero gli scorpioni e i serpenti che minacciano la loro incolumità!?
Già: qualche scorpioncino, del tutto innocuo, c’è l’ho anch’io nella casa sui colli dove abito da una vita; e fuori c’è anche qualche biscia, lei pure innocua. Protesterò col cartello al collo chiedendo allo Stato di garantirmi la sicurezza…
Il prefetto di Verona è persona spiritosa, perchè ai migranti che, oltre al bus navetta per andare su e giù in città, chiedevano anche altri servizi ha risposto: non siamo tour operator!
Ma veniamo alla questioni serie: da sinistra chi non è accogliente a prescindere viene definito razzista; a Padova i sindacati hanno rispolverato anche l’epiteto di fascista.
Preoccupati no? Quello è vietato esserlo. E si che i segnali inquietanti si moltiplicano di giorno in giorno: A Costagrande sono stati espulsi 8 nigeriani violenti che avevano fomentato la rivolta.
Espulsi vuol dire che gli metti un foglio di via in mano e vanno dove vogliono, senza alcun controllo.
Giovani che partono dall’Italia e vanno ad arruolarsi all’Isis. L’ultima una marocchina padovana.
Solo oggi a Brescia la polizia ha arrestato due terroristi islamici che stavano preparando un attentato ad una base militare.
Mentre l’inchiesta del Corriere spiega come arrivano nel nostro Paese le armi di Boko Haram e Isis: smontate e spedite a pezzi che in questo modo vengono classificate come “parti metalliche”. Rimontate e pronte ad essere usate qui.
Preoccuparci? Ma scherziamo è roba da fascisti! Pericoli non ce ne sono, l’importante è accogliere tutti senza pregiudizi! L’unico pericolo sono le reazioni razziste!…
Speriamo che basti dargli un campo di calcio, come ha fatto il prefetto di Verona.
Siamo ridotti a sperare che giochino a calcio e rinuncino a giocare all’Isis.
Speriamo che si limitino alle proteste violente, tipo curva della Lazio. Perchè l’alternativa è che comincino ad ammazzarci.
Ad ammazzarci come ce lo meritiamo: sporchi razzisti e fascisti che non siamo altro!…
PROFUGHI A ERACLEA, ORSI IN VAL DI NON
Ad Eraclea mare, la “perla verde” del Veneto, la stagione turistica è stata distrutta da 250 profughi. In Val di Non sono bastati una trentina di orsi.
Ho passato il fine settimana in questa splendida vallata del Trentino, adatta a quelli della mia età, alle famiglie, perchè non ci sono le scalate delle Dolomiti ma le amene passeggiate nei boschi con dislivello modesto, praticabili anche col passeggino.
In Val di Non tutti – giornali locali, albergatori, residenti – parlano delle disdette, della fuga dei turisti preoccupati per gli orsi. Una trentina e nemmeno tutti pericolosi. Pericolose sono le orse che, per proteggere i loro cuccioli, possono aggredirti e dilaniarti. (Un caso è già successo).
E così quest’anno c’è il crollo di presenze turistiche in Val di Non. Che siano razzisti, che siano “orsofobi” quelli che hanno deciso di disertare la vallata trentina? O semplicemente persone prudenti che, per non correre rischi inutili, le vacanze vanno a farle altrove?…
I 250 africani dislocati ad Eraclea li abbiamo visti: tutti giovani aitanti, in piena salute, pronti anche ad ubriacarsi e a scatenare una rissa tra africani francofoni e anglofoni. Dobbiamo credere che siano tutti profughi stremati dalla guerra in cerca di salvezza? E, se temiamo che in mezzo ci siano anche fior di delinquenti, significa che siamo razzisti? Questa è la tesi degli accoglienti sempre e comunque, e a spese altrui.
In Val di Non c’è uno splendido, antico sanutuario che val la pena di visitare: San Romedio. Leggenda vuole che l’eremita fondatore fosse accompagnato da un orso e così, a San Romedio, l’orso c’è ancora oggi in una vasta area boschiva ben recintata. I pellegrini lo guardano, lo fotografano, e nessuno ha paura. Non c’è crollo di visitatori al santuario.
Gli orsi andrebbero vigilati, controllati, resi inoffensivi. Come i lupi che stanno devastando la Lessinia. L’alternativa è abbatterli, perchè prima viene la sicurezza dei cittadini.
Fine del paragone. Nessuno, ovviamente, dice che i migranti vanno abbattuti. Ma controllati sì. Accolti coi guanti e però trattenuti in campi o caserme rigidamente vigilati finchè non si distinguono i profughi veri dai semplici clandestini dagli autentici delinquenti.
Uno Stato che non sa difenderci né dai lupi né dagli orsi e nemmeno dai delinquenti, nasconde la sua incapacità accusando i cittadini di non essere accoglienti né coi lupi né con gli orsi e nemmeno con i delinquenti.
La cosa più vergognosa e tirare in ballo il razzismo. Ultimo esempio. Quando negli anni Ottanta i governi di allora ebbero la brillante idea di mandare al confino in Veneto mafiosi conclamati, ci fu un diffuso allarme sociale. Eravamo razzisti che rifiutavano i siciliani in genere, o cittadini preoccupati perchè ci mandavano in casa dei delinquenti?…
FARE I SOCIALISTI COI SOLDI ALTRUI
Mi pare che la definizione perfetta l’abbia data Tino Oldani su Italia Oggi: i greci vogliono fare i socialisti con i soldi degli altri.
Cioè con i soldi degli altri Paesi europei, compreso il nostro, che dovrebbero continuare a finanziare a debito le assunzioni nel pubblico impiego, i prepensionamenti; un welfare insostenibile con le tasse da loro riscosse.
Siamo al solito esempio terra terra: il tenore di vita di una famiglia deve dipendere dal reddito che la stessa si procura o dai prestiti degli amici?
Oggi il default della Grecia sarebbe sicuramente un problema anche per i Paesi che le hanno prestato decine di miliardi; miliardi che non tornerebbero più al creditore.
Ma anche qui delle due l’una: ad un amico ho prestato 50 mila euro, lui mi spiega che non può restituirmeli, ma che magari ci riuscirà se gliene presto altri 50 mila…sono così fesso da aprire ancora i cordoni della borsa o mi rassegno alla pur pesante perdita della prima elargizione?
La Grecia, ricordano i cantori di Tsipras, va salvata perchè è la patria della democrazia. Si ma, storicamente, è anche la patria della demagogia. E lo conferma la “tragica” frase di questa notte del premier greco: “Volete prendervi anche la mia giacca?”.
Già, povera Grecia, messa in mutande dal liberismo selvaggio, dalla Trioka, dalla finanza mondiale; non dalle scelte demagogiche e irresponsabili dei suoi governanti.
Anche i nostri cantori di Tsipras ripetono che i problemi italiani li ha creati il liberismo selvaggio. Ma sicuro: autisti romani che lavorano 16 ore la settimana, docenti universitari con 240 ore l’anno di presenza in istituto, convenzioni coi medici di base per 15 ore la settimana di ambulatorio, baby pensioni a raffica. Tutti esempi di liberismo selvaggio; non di statalismo che neanche l’Unione Sovietica…
Certo che esiste il liberismo selvaggio. Basta andare negli Emirati, in Qatar, dove – grazie ad un mercato del lavoro libero e senza regole – trovi operai pakistani che lavorano 12 ore al giorno, sette giorni la settimana, per 300 euro il mese! Vi pare questo il caso dell’Italia o della Grecia?
Ma ad un demagogo come Alexis Tripras stiamo togliendo perfino la giacca. Manca solo che pignoriamo al povero Janis Varoufakis il suo super attico con vista sul Partenone…
Non resta che sperare nella serietà e nel rigore della Merkel e dei tedeschi. Che altrimenti il prossimo Paese ad andare a catafascio, dopo la Grecia, sarà il nostro. Che è e resta il secondo della lista.
ANGELA E GLI AUTISTI ROMANI
La categoria è quella degli autoferrotramvieri. Sono gli autisti dei mezzi di trasporto pubblici. Nella fattispecie quelli di autobus e metrò romani.
Dal bordello capitale di Roma non si salvano certo i mezzi pubblici e così l’azienda romana, nell’intento di garantire un servizio un attimo più decente, ha deciso di aumentare l’orario degli autisti: da 700 ore all’anno a 950 ore. Aumento d’orario, ovviamente, pagato con gli straordinari.
Subito è scoppiata la rivolta: sciopero “bianco”, sindacati che denunciano la decisione “unilaterale” dell’azienda, trasporto pubblico romano piombato dal bordello al bordello al cubo.
Uno sguardo alle cifre: immaginando un mese di ferie, 700 ore per undici mesi comportano un impegno di (ben!) 64 ore mensili, cioè 16 ore la settimana per (ben!) 3 ore abbondanti al giorno su cinque giorni lavorativi.
Come dire che gli insegnanti, con le loro famose 18 ore settimanali, sono degli stakanovisti rispetto agli autisti romani.
I quali, nel nuovo orario prospettato, avrebbero superato i docenti: 950 ore, sempre per undici mesi, fanno 86 ore il mese; 21,5 la settimana con 4 ore abbondanti di lavoro al giorno.
Esite di chiedere un impegno del genere oggi a dei poveri lavoratori? Mica siamo al tempo delle miniere, della prima, selvaggia, industrializzazione!
E veniamo alla Merkel. Dato che tutto ciò che non funziona nel nostro Paese è colpa dell’euro, delle ferree regole europee, e della cancelliera tedesca, si vede che sarò stata lei ad imporre un orario di lavoro tanto stressante ed insostenibile, tale da schiavizzare gli autisti romani! Un orario che garantisce una produttività ed un’efficienza nei trasporti pubblici da Capitale delle banane…
Chiaro che la colpa non è sua. E nemmeno dei sindacati. La colpa è tutta di amministratori politici irresponsabili che, pur di garantirsi il consenso ed il voto delle categorie del pubblico impiego, sono disposti a concedere tutto.
Anche il culo. Ovviamente non il loro, ma quello dei cittadini contribuenti che alla fine pagano il conto di costi e inefficienza.
Un Paese, dove gli autisti pubblici lavorano 16 ore la settimana, è un Paese che va a piedi. Un Paese appiedato per colpa propria. Non certo per colpa dell’euro o dell’Europa o di Frau Angela.
LA GRECIA E IL POPULISMO
Concordo al cento per cento con quanto dice al Corriere lo scrittore greco Apostolos Doxiadis: “Il governo ha posto al popolo greco una domanda fasulla: siete d’accordo con le misure di austerità che i creditori europei e internazionali voglio imporci? Più o meno è come chiedere a un individuo: vuoi ricevere metà del tuo stipendio? Vuoi trasferirti in una casa più piccola e pagare il doppio di affitto? Vuoi prenderti una brutta malattia? L’uomo della strada, a meno di non essere un masochista, risponderà certamente no”.
L’esito del referendum era dunque scontato. Come sarebbe scontato l’esito di un referendum in materia fiscale – che giustamente la nostra Costituzione esclude – perchè il popolo italiano all’unisono risponderebbe no, le tasse non le voglio! Ma, a quel punto, non esisterebbe più lo Stato…
Nessuno dice sì ai sacrifici, all’austerità. Ma un governo serio ha il dovere di imporla per il bene dei cittadini.
I populisti invece hanno un mantra, una parolina magica da contrapporre all’austerità, che si chiama “flessibilità”. La richiede anche il governo Renzi. Ma, maggiore flessibilità significa una cosa sola: tornare a spendere, a far debito pubblico.
Credo non occorre essere grandi economisti per capire un concetto elementare. Se una famiglia è indebitata fino al collo deve tagliare le spese superflue e impegnarsi ad incrementare gli introiti (lavorando di più) o deve invocare la “flessibilità”, inveire contro la propria banca che non le concede ulteriore credito?
Tsipras, Podemos (Grillo e Salvini), i populisti in genere, inveiscono contro la Troika, contro Bruxelles. Quando dovrebbero assumersi la responsabilità di trasmettere una visione più realista.
Vale anche per Renzi. Dove sono i tagli agli sperperi e agli sprechi della spesa pubblica? Sempre annunciati e mai attuati. Dov’è il merito, il premio, lo stipendio legato alla produttività? Non pervenuti.
Il problema vero è che – a furia di “diritti acquisiti” e privilegi corporativi – siamo diventati un popolo di fancazzisti. Non solo nel pubblico, anche nel privato.
Non è la Troika, non è la Merkel ad imporci una svolta. La impone il mondo globalizzato con la concorrenza di centinaia di milioni di persone che – venendo dalla miseria e volendo migliorare il loro tenore di vita – sono disposte a lavorare e a far sacrifici come abbiamo fatto noi italiani negli anni del dopo guerra. Come ci illudiamo di non dover più fare.
La parrucchiera italiana non risolve i suoi problemi votando Tsipras (né Grillo né Salvini), perché deve comunque misurarsi con la parrucchiera cinese che oggi nelle nostre città lavora il doppio a metà tariffa.
Non si risolve nulla uscendo dall’euro. Bisognerebbe uscire dal mondo…
IL FASCINO POTENTE DELLA JIHAD
Se quello della borghesia, nel celebre film di Luis Bunuel, era un “fascino discreto”, quello dell’Isis e della Jihad è un fascino potente. Una autentica – per quanto folle – ragione di vita che arriva a farti mettere in gioco, a giudicare strumentale, perfino la tua vita. A dire – come Maria Giulia – “non vedo l’ora di morire!”
Ecco perchè la risposta alla domanda, quante sono le Maria Giulia, le donne e gli uomini italiani pronti a partire per la Siria e andare a combattere noi infedeli? La risposta non può che essere: molti, molti più di quanti pensiamo.
E’ infatti l’alternativa totale alla mancanza di fedi (sia religiose che ideologiche) che ormai caratterizza la nostra esistenza quotidiana nella banalità di un Occidente libero e consumista dove i pensieri sono lavorare (possibilmente poco) occupare il tempo libero, la dieta vegana, le spa, la forma fisica: domani faccio jogging e Dudù lo lascio a casa o lo porto sull’argine con me?
Possono capirlo quelli della mia generazione che una fede, quantomeno politica e per quanto distorta, ce l’avevano ancora: la rivolta, le scuole da occupare, la società dei padri da affossare, il mondo da cambiare. Poi, via via, è rimasto poco o nulla: una manciata di no global, una manifestazione di no tav. Robetta. Roba da chierichetti che aiutano a servir messa, in confronto al fascino del sacerdozio totale all’Isis; della vita da dedicare tutta alla Jihad che riempie ogni tuo pensiero che motiva ogni tua azione. Che ti garantisce una piena ragione per morire.
Come al tempo delle Brigate Rosse non ne trovavi uno di operaio: i terroristi erano tutti borghesi annoiati e stanchi. Così oggi non è la commessa a partire per la Siria, è la borghesuccia Maria Giulia che, stanca di andare all’università, di pensare alla sua bellezza, a piacere agli uomini, inizia con la conversione all’Islam.
Con una differenza drastica rispetto agli Anni di Piombo dove ai terroristi mancava un solido retroterra; massimo c’era qualche trama torbida dei servizi che usavano i burattini rossi e neri.
Oggi invece i terroristi islamici sono solo le punte di lancia di una guerra totale lanciata dai fondamentalisti all’Occidente. Pensare di andarli a pescare, ad arrestare, uno a uno è come illudersi di svuotare il mare col secchiello. Per difenderci sul serio ci vorrebbe una contro guerra militare ed economica ai Paesi che finanziano il Califfato. Cominciando dall’embargo totale all’Arabia e agli emirati del Golfo.
E invece Obama l’embargo ci ha ordinato di farlo a Putin…
NOI, ERGASTOLANI DELL’EURO
La cosa certa è che entrare nell’euro e nella Ue equivale a diventare ergastolani: non puoi più uscirne, se non disteso (nella bara) e a tasche vuote come sta capitando ai greci.
La pretese di Tsipras non possono essere accolte, per rispetto e coerenza con quei Paesi – Spagna, Irlanda, Slovenia, etc. – che hanno ridotto il debito e sistemato i conti al prezzo di duri sacrifici. Un commerciante che ad un cliente vendesse a prezzo pieno, e ad un altro con un forte sconto, meriterebbe la lapidazione. La “bottegaia” Merkel non può farlo. Ed in ogni caso non è indebitandoti ancora di più che puoi garantire una sana e duratura crescita economica al tuo Paese.
Il problema però resta all’ingresso degli inferi europei. Mancava il cartello: “lasciate ogni speranza (di uscirne) o voi che entrate!”.
I fautori della moneta unica – Prodi, Berlusconi, tutti tranne la Lega – ci sottolinearono i vantaggi: non ci sarà più inflazione, i mutui avranno interessi ragionevoli, poniamo solide basi per il futuro…Magari, almeno in parte, avevano e hanno ragione. Dovevano però avvertirci che non si sarebbe comunque più potuto tornare indietro. Dovevano dircelo che saremmo diventati ergastolani dell’euro. E farci scegliere se diventarlo o meno.
Perchè la caratteristica di fondo del nostro Paese (del Veneto in particolare, ma non solo) è e resta una creatività diffusa – e molto, molto borderline – che ha generato la crescita economica. Non siamo tedeschi, non apprezziamo le regole.
Regole, burocrazia, tasse sono oggi la morte dell’economia italiana. Morte cui è impossibile sottrarci.
Non si esce dalla Ue come non si esce dall’Italia unita. L’indipendenza del Veneto rimane un sogno.
Ma almeno l’Italia unita hanno fatto finta di avallarla con i referendum truffa (dove i sì furono più numerosi dei votanti…).
Oggi, non potendo più fare referendum truffa, semplicemente non li hanno fatti: tutti nella Ue senza l’avvallo della sovranità popolare, tutti ergastolani dell’euro.