PAPA FRANCESCO COL BAGAGLIO A MANO

Sono tante le immagini che hanno colpito nello storico viaggio di Papa Francesco in Brasile. Oggi tutti i media mostrano quelle della messa conclusiva sulla spiaggia di Copacabana con oltre tre milioni di fedeli. Per non parlare della preghiera flash mob, con prelati e vescovi che ballano e cantano guidati dal rapper brasiliano.
Ma forse la più emblematica è quella della partenza: Francesco immortalato mentre sale in aereo portandosi il bagaglio a mano come l’ultimo turista di un volo low cost.
Il Papa ha fatto della semplicità il suo emblema. Niente appartamenti vaticani, mangia alla mensa assieme agli altri parlando con chi capita. Certo. La Chiesa aveva bisogno di questo bagno di umiltà. Purchè non si arrivi a confondere la semplicità con la banalità. Forse, il Vicario di Cristo in terra, un segretario che gli porti la borsa può permetterselo senza dare scandalo…
E le nostre magnifiche chiese – piene di storia, di opere d’arte e di sfarzo – cosa ne facciamo? Chiudiamo San Pietro, la Basilica del Santo, San Zeno, perchè sono troppo ricche, e andiamo a pregare in un capannone di periferia per essere e mostrarci più francescani?
Credo che una certa “sacralità”, l’abito, il linguaggio, la forma non guastino nemmeno nel mondo laico. A partire dalla politica dove oggi tutti si fingono francescani.
Laura Boldini non mangia al ristorante di Montecitorio ma alla mensa dei dipendenti. Può starci. Ma, quando si preoccupa di darne notizia all’Ansa e ai media, la domanda sorge spontanea: presidentessa ma ci sei o ci fai? Perchè la sobrietà di certi politici è da tempo una finzione a beneficio dei gonzi. C’era l’onorevole Peppone, il deputato del Pci, che partiva da Roma in prima classe salvo passare in terza all’ultima stazione prima del suo paese per farsi vedere popolare dai suoi elettori. C’erano i capi della Dc sempre molto attenti a girare il territorio in vecchie Fiat che non inducessero il sospetto di arricchimenti illeciti. Puro teatro.
Oggi i parlamentari tra di loro si chiamano “cittadino” o “eletto” al massimo “deputato”. Hanno cancellato quel “onorevole” di cui andavano così fieri in passato. Sono forse più onorevoli oggi che hanno rinunciato alla qualifica? Hanno recuperato credito agli occhi dei cittadini o stanno perdendo quello residuo?
Da giovane giornalista qualche volta andavo a Roma e sentivo un’emozione per la maestosità del luogo: entravo a Montecitorio come nel tempio della nostra democrazia. Oggi per come vestono, parlano, si atteggiano i nostri rappresentanti potrebbero anche loro tenere le sedute in un capannone dismesso alla periferia di Roma.
I nostri fraticelli della politica: tutti in bicicletta, tutti morigerati, tutti con lo scontrino.
Non che la semplicità guasti, anzi ce n’è bisogno. Ma evitando gli eccessi perché altrimenti diventa banale e falsa.

SANT’AGOSTINO E I PRODOTTI CINESI

Dai giocattoli per bambini ai “giocattoli” per adulti. L’ultimo sequestro di prodotti cinesi ha offerto questa novità: marchingegni hard per giochi erotici.
A Padova c’è l’Ingross della mercanzia prodotta in Cine che da qui viene distribuita in tutto il Veneto. Gli interventi, i sequestri, della Guardia di finanza sono all’ordine del giorno. I finanzieri fanno il loro dovere perchè – secondo la normativa vigente nel nostro Paese – sono prodotti fuori legge, contraffatti e pericolosi per la salute.
Tuttavia è inevitabile pensare a Sant’Agostino che si illudeva di svuotare il mare con il secchiello. Possono i sequestri stroncare un mercato di queste dimensioni? Mercato che prospera sulla concorrenza di prezzi molto più bassi. Difficile crederlo. Anzitutto, se sequestro deve essere, dovrebbe avvenire non dentro il territorio nazionale ma al confine: dormono forse le autorità portuali dove ogni giorno sbarcano centinaia di container provenienti dalla Cina? Dormono o sono indotti a dormire?…
Ma il secchiello non basta né per le merci né per gli uomini. Anche l’America ha rinunciato a illudersi di fermare la clandestinità con i rimpatri: ben che vada ne rimpatri dieci e ne arrivano altri mille. (Il che non toglie che il clandestino che delinque vada perseguito con il massimo rigore). Non si cava il ragno dal buco, non si svuota il mare col secchiello.
Sia per le merci che per gli uomini servono misure strutturali che vadano oltre la pura repressione. Parlando di merci ci vuole un diverso accordo internazionale con la Cina; ragionevole, basato sulla reciprocità, e che non si illuda di impedire la libera circolazione.
La giustificazione di certe nostre misure protezioniste fa francamente ridere: ci vuol tutta per credere che il giocattolo cinese faccia venire il cancro al bambino che dovesse metterlo in bocca…
Abbiamo calcolato il pericolo delle ritorsioni? Di una Cina che decida di chiudere il suo enorme mercato ai nostri prodotti? Quando il nostro Paese può sopravvivere e tornare a crescere solo rilanciando l’export.
Una problematica globale che non stiamo affrontando. E intanto continuiamo a mettere il secchiello in mano ai Sant’Agostino in divisa come se potessero risolvere loro la questione.

LA KYENGE E I BECCHINI DELLA LEGA

La stupidità, la capacita di farsi del male, che dimostrano certi dirigenti della Lega davvero non conosce limiti.
Si illudeva chi pensava archiviata una stagione con il pensionamento del vecchio leader Umberto Bossi (che almeno aveva l’attenuante della malattia). I suoi epigoni, anche se schierati con Maroni, si dimostrano eredi più che degni.
Parlo di Roberto Calderoli che non trova di meglio che paragonare il ministro Kyenge ad un orango. Poi, cercando di scusarsi, insiste: dicendo che lui è amico degli animali, che il suo non è un giudizio politico ma estetico. E quindi ribadisce la somiglianza somatica…
Qui in Veneto Daniele Stival pensa di essere spiritoso e dice che è offensivo per gli oranghi il paragone con il ministro congolese… Discorsi degni di un ubriaco la sera al bar. Non certo di persone che hanno la pretesa di far politica, che siedono nelle istituzioni l’uno da vicepresidente del Senato, l’altro da assessore regionale.
Giustamente il presidente Napolitano di sdegna e parla di “imbarbarimento della vita civile”. E’ inaudito il tono, le offese razziste, la volgarità. Ma più ancora mi lascia allibito la stupidità politica: questi, Calderoli e Stival, sono gli autentici becchini della Lega Nord; stanno seppellendo i resti del loro partito.
Anche in questa occasione a dimostrare buon senso, e senso politico, è il sindaco di Verona, nonchè segretario veneto della Lega, Flavio Tosi. Il quale da un lato ha subito condannato Calderoli dicendo che “l’offesa personale non va usata né nella vita né nel confronto politico”. Ma soprattutto arriva al nocciolo della questione osservando che così facendo “ha spostato il tema su cose che sono offensive e di nessuna utilità, quando il problema dell’immigrazione è un problema vero di cui bisogna parlare”.
Questo è il nocciolo dell’autolesionismo di certi leghisti: c’è un tema caldo, sentito da tantissimi cittadini, affrontato male per l’incapacità di governarlo – quello dell’immigrazione appunto – e, se sai far politica, puoi usarlo anche in termini di consenso. Mentre, se sei un ubriaco capace solo di vomitare insulti, fai semplicemente il gioco della Kyenge che, qualunque tesi possa sostenere o progetto ventilare, non può più essere oggetto di eventuali critiche perchè i Calderoli e gli Stival le hanno confezionato lo schermo di una solidarietà unanime. Paragonandola ad un orango le hanno regalato l’immunità. Autentiche aquile.
Se vogliamo non sono aquile nemmeno gli avversari politici di Calderoli e Stival che ora invocano le loro dimissioni. E perchè mai farli dimettere? Meglio lasciarli a completare l’opera di becchini della Lega Nord…

MARCHIONNE: DI DIRITTI SI MUORE

E’ evidente che la Fiat, non sta per lasciare, ma ha già lasciato l’Italia. Il core business, Chrysler in testa, è ormai altrove. D’altronde questo – al di là di un po’ di comprensibile melina – era l’obiettivo di Sergio Marchionne: dal suo primo giorno di lavoro al Lingotto non ha fatto altro che progettare e costruire la fuga dalla casa automobilistica degli Agnelli dal nostro Paese.
I motivi sono vari: i tribunali, la Fiom, l’assistenzialismo, le tasse e la burocrazia. Tutto però è riconducibIle ad un dato culturale che lo stesso amministratore delegato Fiat ha così riassunto: “Diritto al posto fisso, diritto al salario garantito, al lavoro sotto casa, a urlare e a sfilare, a pretendere. Se continuamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo”.
Lui di morire non ha intenzione e per questo se ne va. Perchè ha capito tutto. Ha fatto la sintesi di quanto qui non funzione sotto il profilo lavorativo, e non solo.
Diritti, diritti, diritti: alla casa, al lavoro, alla salute, alla pensione. Questa è la parola d’ordine. E poi ci meravigliamo che gli immigrati continuino a rivendicarli anche loro. Come se noi italiani dessimo un esempio diverso. Come se la nostra parola d’ordine fosse il dovere: dovere di cercarmi un lavoro, dovere di guadagnarmi lo stipendio, dovere di osservare le leggi, dovere di provvedere a me stesso e alla mia famiglia invece di pretendere la pappa fatta dallo Stato…
Uno Stato con risvolti etici a corrente alternata: che tuona (a parole) contro l’evasione fiscale e tollera (anzi pianifica) l’evasione dal lavoro, cioè lo stipendio intascato a prescindere da qualunque verifica di produttività.
Tralasciando le considerazioni economiche e sociali, dovremmo almeno tener presente il dato soggettivo e individuale: tutti questi diritti producono il diritto ad una vita inutile, piatta, mortificante e noiosa. Che solo questo assicurano alla fine il posto fisso, il salario garantito, l’automatismo nella carriera.
Nessuno stimolo a migliorarsi, a progredire, nessuna soddisfazione nel raggiungere mete successive. Una vita che vale ben poco la pena di vivere quando l’unica tensione deriva dal guardare l’orario che scorre in attesa di passare a cazzeggiare dal posto di lavoro, al piano bar, agli hobby, al villaggio vacanze.
E la responsabilità prima non è del singolo, dall’imboscato in comune, in redazione o in azienda. Lui è solo la vittima. La responsabilità è di un modello diseducativo nefando: continuando a vivere di soli diritti, di diritti si muore.

FACCETTA NERA, FACCETTA BIANCA

Le faccette nere finiranno con farci “neri” noi, faccette bianche.
Se avevo un dubbio me l’ha tolto la faccetta nera con cui ho parlato questa mattina. Lo chiamo così perchè alla domanda sul suo Paese d’origine mi ha risposto “vengo dall’Abissinia”.
E’ un uomo che lavora per la ditta che raccoglie i rifiuti nel mio comune. Lo incrocio da anni, qualche volta abbiamo bevuto un café, ma non avevamo mai discusso con calma prima di oggi.
Lui comincia a dirmi che questo nostro Paese è un disastro; che non sappiamo nemmeno usare la democrazia, che siamo incapaci di darci un governo dato che abbiamo diviso i voti in tre parti uguali. Assurdo. Poi aggiunge che ha deciso di andarsene via dall’Italia.
Credevo pensasse a qualche altro Paese Europeo: la Svizzera, la Germania, l’Inghilterra. “No – mi precisa – io torno in Africa”.
Vedendomi stupito, mi spiega che la sua prima scelta è l’Angola, il Paese africano che nell’ultimo anno ha avuto la crescita più alta del pil, oltre il 14%, con materie prime importanti come il petrolio e dove c’è l’esplosione dei consumi e degli scambi commerciali (gli angolani sono colonizzatori di ritorno: oggi stanno comprandosi mezzo Portogallo!).
Aggiunge che non è niente male nemmeno la sua Etiopia: pil +13%; un presidente, morto l’altr’anno, che ha investito molto nell’istruzione. E – spiega – “quando la scuola funziona, i giovani non hanno più motivo per andarsene. Oggi abbiamo aziende ad alta tecnologia che producono anche le componenti per gli iPad”.
Parentesi: cosa significa investire nell’istruzione? Assume insegnanti a cazzo, perchè sono poveri precari, cioè scambiarla per un’agenzia per l’impiego? O selezionare nel modo più rigoroso un ceto di docenti, preparati e ben pagati, che avrà il compito di formare, non solo la classe dirigente, ma tutta la struttura lavorativa portante di un Paese che voglia avere un futuro: ingegneri, tecnici, medici, avvocati, operai specializzati, etc. etc. Noi abbiamo seguito la prima strada, l’Etiopia la seconda.
Chiusa parentesi e torniamo alla faccetta nera. Un uomo, partito dalla miseria, che ha già trovato un lavoro stabile qui da noi, ma che ambisce a migliorarsi e fa un ragionamento molto interessante: inutile puntare su Paesi maturi come Svizzera e Germania, dove magari trovi stipendi e servizi migliori di quelli italiani, ma sono comunque già assestati, c’è scarsa mobilità sociale; l’opportunità per un autentico salto di qualità lo offrono i Paesi emergenti, quelli che stanno conoscendo uno sviluppo esplosivo: Angola o Cina o Etiopia, appunto.
Due domande. La prima: quanti sono da noi i dipendenti, pubblici e non, che avendo già un lavoro stabile decidono di fare reset e ricominciare da capo, ragionando sui Paesi dove più sta crescendo il pil?
Quanti sono i nostri figli che, dopo essere emigrati in un Paese ed essersi inseriti, sono pronti ad emigrare nuovamente per rimettersi in gioco ripartendo da zero?
Rispondete alle due domande e avrete la dimostrazione matematica che le faccette nere non possono che farci “neri” noi, faccette bianche.
Ultima postilla: l’ho chiamato un uomo, avrà 30 anni, è un uomo. I nostri li chiamiamo ragazzi, anche a 40 anni, perchè restano ragazzi. Ragazzi a vita; ma troppo spesso impreparati ad affrontarla, la vita.

IL SOFFITTO BASSO SOFFOCA I TALENTI

Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi, nel suo ultimo editoriale parla di “una nuova emigrazione che è perfino gioiosa”. Gioiosa nel senso che non è indotta dalla miseria, che non nasce dalla costrizione e dal dolore come avveniva fino agli anni Cinquanta del secolo scorso.
Oggi – spiega Magnaschi – gli italiani che vanno a lavorare all’estero sono giovani e meno giovani, non i disoccupati, ma le persone preparate, spesso poliglotte, che hanno già un lavoro in settori molto innovativi e che “scelgono di emigare perchè credono di trovare all’estero migliori possibilità di realizzazione professionale e personale”.
Fa l’esempio di una società che opera nel cosiddetto quaternario a Milano, la città più internazionale d’Italia, dove su 60 dipendenti negli ultimi mesi due sono emigrati negli Stati Uniti, uno ad Hong Kong e uno in Australia.
Pensano di trovare maggiori soddisfazioni professionali in quei Paesi dove ognuno è sindacalista di se stesso, cioè tratta la propria retribuzione in base alla competenza che offre, sapendo di essere precario a vita, cioè di avere contratti della durata media di 18 mesi che verranno rinnovati o meno in base ai risultati.
Uno di questi emigranti gioiosi spiega che va via perchè l’Italia è una nazione “ con il soffitto basso”, che tende a soffocarti; e va all’estero perchè vuole invece respirare a pieni polmoni (stessa sensazione che provo anch’io, da semplice padre-turista, quando vado a trovare mia figlia che vive e lavora a Londra: atterro e mi si aprono i polmoni).
Una nazione col soffitto basso. Sintesi perfetta del nostro Paese soffocato dalle tasse, dalla burocrazia, dai regolamenti, dalle caste dove mai entri per merito ma solo per parentela famigliare e/o politica. Appiattito dai contratti nazionali di lavoro che umiliano il talento.
Tasse che non sono tanto l’Irpef, ma l’iva su tutti gli acquisti, le bollette dove le imposte pesano quanto i consumi, il pieno di carburante, la previdenza, col risultato finale di uno Stato che “incamera il 70% della tua busta paga”, scrive Magnaschi.
Un Paese dove è vietato tutto ciò che non è esplicitamente consentito. E non viceversa come negli Usa, in Inghilterra, in Australia dove tutto è consentito tranne l’esplicitamente vietato.
Quelli della mia età, che hanno un avvenire dietro le spalle, un po’ respirano consolandosi con la buona qualità della vita delle nostre città, della provincia veneta. Ma chi ha talento, chi ha una vita davanti, non può che sentirsi soffocare dal soffitto italiano che si abbassa sempre di più. Per loro fortuna il mondo globalizzato offre l’emigrazione gioiosa.

MARINA, IL RENZI DI SILVIO

Per quanto siano afflitti e sdegnati, elettori e dirigenti del Pdl non possono non prendere atto della realtà: la fine politica di Silvio Berlusconi è arrivata, non dalle urne, ma per via giudiziaria. Pur sempre di fine si tratta.
La sentenza Ruby sta infatti per essere seguita da una valanga di altri procedimenti dall’esito scontato. Così come sembra scontato che la stessa Cassazione confermerà l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, cioè la morte politica appunto.
(Esito inevitabile anche perchè, come ho avuto occasione di osservare, non esiste oggi un Palmiro Togliatti capace di imporre la pacificazione nazionale attraverso l’amnistia per i nemici politici. Non esiste e basta, non far parte della realtà dell’Italia 2013, inutile pensarci)
Nel giorno del diluvio, del Giudizio Universale Ambrosiano, il popolo di centrodestra può però consolarsi con la nascita dell’erede politico che fin’ora gli era mancato. E’ (sarebbe) Marina Berlusconi che – Bisignani dixit – già nella fatale serata di Lunedì, durante la cena ad Arcore, è (sarebbe) stata incoronata ad erede dall’intera famiglia, allargata alla fidanzata Francesca Pascale.
Un’incoronazione accolta con entusiasmo dalle parlamentari del Pdl che l’hanno subito definita “la nostra Renzi”. Non è la prima volta che viene fatto il suo nome, la novità è che questa volta non c’è stata nessuna smentita. E sembrerebbe la conferma che papà Silvio ha deciso.
Comunque vada, a prescindere dai precedenti dell’altra Marina, la Le Pen, erede anch’essa e con successo dell’estrema destra francese; a prescindere anche dalla regola sempre più confermata, nelle mansioni più svariate – dalla politica, all’impresa, alla cultura – che è la figlia primogenita l’autentica erede del padre; a prescindere da tutto questo, Marina Berlusconi sembra proprio avere tutte le carte in regola: donna, con gli attributi, determinata, preparata, capace di interpretare un ruolo pubblico, nemmeno troppo vamp. Insomma una giovane Lady di Ferro per la destra italiana che fin qui ha visto l’estinzione naturale degli aspiranti delfini, da Casini a Fini e via dicendo.
Una futura competizione per la premiership tra lei e Matteo Renzi rappresenterebbe il rinnovamento totale della nostra politica; una sfida capace di consolidare davvero il bipolarismo.
Vien da pensare che con Matteo e Marina in campo non ne resti (di consensi) per nessun altro, o quasi. Staremo a vedere.

ZAIA, LO IUS SOLI E I GAY

Non tutto il male vien per nuocere. Il folle e brutale invito di Dolores Valandro a stuprare Cecile Kyege deve aver spinto i leghisti cum grano salis a comprendere che o si attua una completa rivoluzione copernicana oppure si sprofonda nel gorgo dei residui bossiani e/o psichiatrici.
Fatto sta che il governatore del Veneto Luca Zaia si è schierato a favore dello ius soli, cioè dalla parte della Kyenge, condividendo il primo punto del programma del neo ministro per l’Integrazione.
Lo ha fatto con un’osservazione tanto semplice quanto efficace dicendo che questi ragazzini, figli di stranieri ma nati qui, “parlano il dialetto anche meglio di me!” Come dire che sono più veneti loro di tanti veneti (magari nati altrove e arrivati qui da adulti).
Capisco Flavio Tosi quando dice che serve altro. Perchè il problema vero resta la capacità di governare il fenomeno epocale dell’immigrazione. E noi, il nostro Paese, incapace di governare nemmeno i tassisti, con gli stranieri ha combinato disastri, rendendoli così più un problema che una risorsa.
Non risolvi certo l’incapacità di governare passando dallo ius sanguinis allo ius soli. Pura fuffa. Così come è solo fuffa l’eterna discussione sulla cittadinanza: non possiamo darla agli stranieri perchè non conoscono la Costituzione! Già, come se gli italiani invece la conoscessero…Non parlano nemmeno italiano! Già, ma ricordavo l’altro giorno a proposito della Rai, che nemmeno il 99% degli italiani parlavano italiano prima che mamma Rai glielo insegnasse…Dovevamo per questo negare loro cittadinanza e diritti politici?…
Dopo di che perchè mai non concedere questa fuffa, questa piccola gratificazione, ai figli degli stranieri nati in Italia? Male di certo non fa. Di certo non saremo invasi da miliardi di stranieri che bramano di figliare cittadini italiani…
Grazie al nostro pessimo gorerno dell’immigrazione, cioè anzitutto per colpa nostra, gli stranieri hanno creato grossi problemi. Ma quando sento certi elettori di centrodestra dire che non c’è lavoro per colpa degli stranieri (non dei nostri figli cresciuti nel bombaso che aspettano arrivi loro su un vassoio d’argento, e rigorosamente da colletti bianchi), quando li sento dire che la sicurezza non esiste per colpa degli stranieri (e non perchè abbiamo cinque polizie del tutto scoordinate, con un questore che se lo sogna di poter dare un ordine ai carabinieri). Quando sento questi discorsi da destra, li trovo speculari a chi da sinistra addita Berlusconi come causa di tutti i mali. Silvio, con quella faccia da straniero…
Non a caso poi Zaia ha aggiunto allo ius soli anche un monito contro l’omofobia invocando rispetto e diritti per i gay.
Anche con loro infatti è un po’ come con gli stranieri (e con Berlusconi), anche loro sarebbero causa prima del degrado morale della famiglia e della società.
Quando il modello di famiglia e società veneto-patriarcale (se così vogliamo chiamarlo) l’abbiamo distrutto noi.
Affermando il diritto alla piena libertà della nostra vita amorosa e sessuale: ho relazioni con chi voglio, l’utero è mio (e la minchia pure) e me li gestisco io, mi accoppio, mi unisco, mi separo, divorzio, e ho diritto di farlo.
Perfetto, sacrosanto.
Salvo poi scandalizzarsi perchè arrivano loro, i gay, e vogliono sposarsi (magari solo per provare pure loro il brivido della separazione, del divorzio, delle liti giudiziarie sull’affidamento dei figli adottivi). No, non è giusto perchè minano la morale! Perchè distruggono la famiglia!
Avessimo almeno il pudore di ammettere che ci abbiamo già pensato noi eterosessuali senza bisogno di aiutini gay. Così come avevamo già devastato il nostro Paese ben prima che arrivassero gli immigrati. (Perfino prima che Berlusconi costruisse Milano Due).

ALTRO CHE STUPRO, A SCUOLA DALLA KYENGE!

Una leghista sconosciuta a tutti (anche a noi giornalisti locali), residuo bossiano di 58 anni, consigliere di quartiere a Padova, legge dell’ultimo stupro compiuto da un africano e posta su Facebook l’invito a stuprare il ministro Cecile Kyenge affinchè sappia anche lei cosa prova una donna vittima di questo reato.
Non sto a discutere quanto sia indecente, razzista, truce, volgare questo invito. Diamo per scontato ogni sdegno possibile, e anche di più.
Dopo di che riflettiamo sulla fonte. Una legista sconosciuta, appunto, che nessuno mai si sarebbe sognato di intervistare. Anche perchè nessuno sapeva che esistesse. Qualunque giornalista voglia un parere della Lega sugli stupri o sulla Kyenge va da Zaia o da Tosi, non certo da Dolores Valandro… Consigliere di quartiere, cioè politicamente il nulla.
Ha senso che questo nulla diventi protagonista dell’ultimo scandalo politico nazionale: siti, telegiornali della sera, prima pagina su Repubblica e il Corriere? A me pare più folle ancora del suo post.
Perchè, oltre al contenuto di una affermazione, è la fonte che ne determina il peso reale. Esempio. Se io dico che la Rai va chiusa come la televisione di stato greca le reazioni sono un’alzata di spalle; massimo del commento “il solito matto di Zwirner”. Lo dicesse il ministro delle telecomunicazioni Flavio Zanonato susciterebbe il finimondo.
Nessuno sarebbe mai andato a domandare un parere a questa Dolores. Ma oggi c’è la rete, cioè la diarrea: qualunque delirio, qualunque bestialità venga in mente a chiunque, mentecatti compresi, lui può vomitarlo in rete e diventa un fatto pubblico. E le esorbitanti reazioni di queste ore rischiano di generare solo la massima soddisfazione possibile per il mentecatto di turno. Cosa starà pensando Dolores Valandro? Finalmente si sono accorti che esisto! Tutta Italia sta parlando di me!
Risultato: coazione a ripetere le più orrende diarree in rete, dato che vengono ampiamente gratificate.
Quanto alla Kyenge, altro che invito a stuprarla. Si dovrebbe andare a scuola, imparare da lei che è un politico a tutto tondo, un ministro vero, non uno appena sbarcato dalla canoa come Josefa Idem…
L’ho capito quando l’ha intervistata il nostro Luigi Primon: risposte pacate, trappole evitate, toni moderati. Perchè il vero politico, specie quando governa, vuole ottenere risultati e non gli interessa dare soddisfazione al giornalista in cerca aizzare polemiche.
Cosa ci dice dello Ius Soli? Provvedimento importante, bisogna arrivarci col consenso e col confronto, con gradualità, una meta da perseguire. Risposta degna della miglior scuola democristiana!
E quando Primon le ha chiesto delle preoccupazioni di Zaia per l’ingresso della Croazia nella Ue, Cecile Kyenge si è limitata a rispondere: “Non commento le opinioni altrui”. Ed erano le opinioni del presidente del Veneto!
Noi invece, come oche, tutti a commentare le opinioni dell’ultima Dolores Valandro. Col solo risultato di renderla protagonista di uno scandalo politico nazionale, di cui potrà compiacersi vita natural durante. Mi domando chi sia più mentecatto: lei o tutti noi?

PARCO GIOCHI PER RAGAZZI

Parco giochi per ragazzi e ragazze. A questo è ridotta la larga maggioranza delle nostre scuole.
Ci sono le eccezioni. Ne abbiamo ospitata una a Telenuovo mercoledì scorso: gli studenti che frequentano la scuola dell’Enaip, il più accreditato ente di formazione professionale del Veneto.
Ragazze e ragazzi arrivati con gli abiti da lavoro: tute, divise da cuoco da maitre o da parrucchiera. Perchè all’Enaip si studia la teoria ma c’è anche la pratica nei laboratori. Tutti giovani (15-18 anni) dentro la realtà; tesi cioè verso il lavoro ( che trovano subito in percentuale assai elevata) desiderosi di realizzarsi professionalmente e magari di aprire un’attività in proprio. Pronti ad andare a cercarlo dove c’è, anche all’estero. Lavoro qualificato e ben retribuito: elettrotecnici, gestori di macchine a controllo numerico, meccanici d’auto, etc.
Ma sono, appunto, l’eccezione. La norma – spiega Maurizio Ferrera sul Corriere di oggi – è ben diversa: “Dagli anni Sessanta abbiamo puntato sempre più sull’istruzione generalista, la cosiddetta licealizzazione”. Il parco giochi, appunto, preludio a quello successivo: facoltà come Scienza della comunicazione o Psicologia o Scienze sociali, fatte le quali la prospettiva di lavoro è inesistente.
Ma tante famiglie – evidentemente con risorse residue, non ostante la crisi – non ci badano: è così elegante avere figli al liceo e all’università che pazienza se poi devi continuare a mantenerli…
Il ministro tedesco del lavoro, Ursula Von Der Leyen, è venuta a spiegarci che il nostro principale problema, causa prima della disoccupazione giovanile, è il mancato avviamento al lavoro. E qui dovremmo investire le nostre magre risorse.
Le cifre in parallelo le fornisce sempre Maurizio Ferrera: “Solo il 23% dei nostri studenti frequenta istituti tecnico-professionali, di contro al 64% della Danimarca, al 76% della Germania e addirittura al 90% della Svizzera”
Capito? Il 90% dei ragazzi dell’Eldorado svizzero sono tute blu! I nostri giovani quasi tutti aspiranti colletti bianchi, capaci massimo di scaricarsi un giochino dal computer non certo di gestire una macchina a controllo numerico. In compenso con il più alto tasso di disoccupazione giovanile d’Europa.
Più soldi alla scuola e all’istruzione, chiedono tutti. Giusto, se stiamo parlando dell’Enaip. Inutile se pensiamo al Politecnico di Milano; dove oltre duecento docenti si sono ribellati e rivolti al Tar contro il progetto di svolgere lezioni ed esami in inglese. Una rivolta dettata da un semplice motivo: cattedrattici, di quella che dovrebbe essere un’università scientifica per eccellenza, che l’inglese non lo conoscono e quindi non lo sanno usare con gli studenti. Un Paese serio li caccerebbe a calci in culo. Cominciamo a chiudere gli inutili parchi giochi scolastici.