Premesso che non ne indovino una, ho l’impressione che il governo Letta sia destinato a durare abbastanza. Diciamo due-tre anni, fin verso il 2016.
Non inducano in errore i cani che abbaiano, che ringhiano, ma sanno benissimo di non potersi mordere. Sto parlando di Pd e Pdl (Lista Civica è già destinata all’estinzione, proprio come la Lista Dini) che lanciano proclami bellicosi a beneficio del proprio elettorato, consapevoli però di non poter iniziare le ostilità che sarebbero esiziali per entrambi.
Dei due il Pd è il più in crisi. Deve ridarsi un’identità prima di sottoporsi al giudizio degli elettori. Il Pdl sta un po’ meglio, è in recupero e Berlusconi potrebbe essere tentato di tornare al voto. Potrebbe, se Enrico Letta non avesse a disposizione la carta a 5 Stelle, cioè un nutrito gruppo di parlamentari grillini pronti a sostenere il suo governo (e perfino un ipotetico governo Berlusconi!) pur di non tornarsene a casa.
Lo slogan (vincente) di Grillo è stato “tutti a casa!”. La prassi, operante, dei suoi parlamentari è “tutti a Roma!”. Cioè tutti aggrappati alla poltrone (e alla retribuzione) di deputato o senatore. Sono infatti consapevoli di aver pescato il jolly della vita, l’occasione, irripetibile, di avere stipendio e privilegi. Irripetibile perchè non c’è ne uno che possa sentirsi certo della riconferma in Parlamento. Quindi finchè la barca va lasciala andare…
Se c’era un dubbio su spirito di servizio e disinteresse economico dei grillini, è svanito dopo che hanno risposto con una pernacchia (a maggioranza) alla richiesta di Grillo di restituire i soldi della diaria…
Non saranno certo loro ad affondare la barca del governo Letta, che significherebbe ritorno alle urne e fine della propria festa. Anzi sono pronti a sostituirsi ai parlamentari pidiellini se Berlusconi dovesse ordinare lo stop alla fiducia.
E’ tutto da vedere cosa in concreto riuscirà a combinare questo esecutivo; ma che duri abbastanza mi sembra logico pensarlo proprio grazie alla carta a 5 Stelle che il premier sa di avere in tasc
CINQUE NAUFRAGHI SUL COLLE
Nei giorni convulsi, terminate – felicemente – con la rielezione al Colle di Napolitano, sono stati in tanti a fare naufragio. Ad andare a sbattere, vuoi per supponenza o per insipienza politica. Ne ricordo cinque tra i più curiosi e\o clamorosi.
Alessandra Moretti, vicesindaco Pd di Vicenza, fino a pochi mesi fa sconosciuta fuori dalla sua città. Bersani la fa diventare il suo portavoce alle primarie, un personaggio nazionale. Perchè? Perchè oltre ad essere giovane (come il competitor Renzi) e anche donna. Un a tout ulteriore! Ma alla prima occasione, Alessandra l’ingrata pugnala il suo creatore: dichiara cioè che lei si astiene, che non vota Marini perchè “la base vuole scelte diverse”. La base. Intende i milioni di elettori del Pd? Più probabile che abbia scambiato per base i trecento che manifestano davanti a Montecitorio o i trenta che twittano con lei…
A conferma che i figli non devono mai fare la professione del padre, Fabrizio Barca, neo iscritto al Pd da una settimana, ha già pronto il programma per guidare il partito nel dopo Bersani. Di Enrico Berlinguer si diceva che si iscrisse fin da giovane alla direzione nazionale del partito. Barca, alla mezza età, voleva andare dritto alla segreteria nazionale! Non c’è limite alla presunzione e all’autostima degli intellettuali.
A proposito di presunzione, niente male nemmeno la fresca senatrice Pd Laura Puppato che sabato dichiara: “voto e faccio votare Stefano Rodotà!” Che lo voti, ci sta tutto. Ma per farlo votare bisogna averci le truppe e non risulta che l’ex sindaco di Montebelluna sia diventato un capo corrente con stuoli di grandi elettori al seguito…
Ineffabile Gherardo Colombo, emblema di Mani Pulite oggi in pensione, che Bersani aveva avuto la bontà di indicare per il consiglio di amministrazione Rai (i magistrati, si sa, sono grandi comunicatori…). Sdegnato per la mancata elezione di Rodotà, afferma: prendo la tessera del Pd per poterla stracciare il giorno dopo! Ma, se Colombo è così sdegnato per la scelta dei democratici, ha un modo molto più incisivo per dimostrarlo: si dimetta da quella Rai dove il Pd l’ha insediato. Guai al mondo! A poltrona e emolumento il moralista con le mani pulite non rinuncia. Più comodo che alzare il culo è usare le mani per stracciare la tessera…
Chiudiamo con Grillo. Sapesse far politica, come sa fare comizi, poteva sbancare dicendo ai suoi di votare per Prodi: avrebbe vinto lui la corsa per il Quirinale e tenuto il Pd sotto scacco. Invece non ha trovato di meglio che gridare al golpe di fronte all’elezione di Napolitano. Solita storia: se vince il mio candidato è il trionfo della democrazia e del cambiamento, se vince quello che non mi va bene è un golpe di restaurazione.
Capisce di averla detta grossa e teme di scatenare la violenza, non solo verbale. E così il golpe diventa un “golpino istituzionale”. Ma quando aizzi la bestia e arduo, poi, mettergli la museruola…In ogni caso si è schiantato sul Colle anche lui: Grillo è il primo degli sconfitti.
AL COLLE RODOTA’, L’INDIPENDENTE
La prima votazione per il Colle è andata da cani per il povero Franco Marini, finito nel tritacarne del suo partito. E’ andata bene invece per Stefano Rodotà, che ha raccolto più voti del previsto: non solo quelli del 5 Stelle e di Sel, che apertamente lo sostenevano, ma anche una trentina in più di franchi tiratori democratici.
C’è un particolare, un po’ trascurato, nella biografia di Rodotà che ci aiuta a comprendere meglio la sua personalità. Tutti sanno che è un giurista insigne, che insegna alla sapienza, che è stato il primo presidente dell’Autorità per la privacy.
Però forse gli stessi grillini, che gli hanno dato la terza preferenza (dopo Gabanelli e Strada), ignorano un dato che oggi rischia di essere infamante o quasi. Stefano Rodotà è stato anche in Parlamento, e non per una sola legislatura, ma per ben 15 anni: dal 1979 al 1994. E c’è entrato – siamo al dettaglio rivelatore – “eletto nelle liste del Pci come indipendente di sinistra”.
Questa degli “indipendenti” (di sinistra o meno) è una anomalia tutta italiana, inventata per vellicare certi nostri intellettuali da salotto.
L’indipendenza, quella vera, è infatti sancita dal famoso articolo della Costituzione che fissa il “senza vincolo di mandato” per ogni membro del Parlamento; proprio perchè debba rispondere solo ai suoi elettori e alla sua coscienza e non essere un burattino dei partiti. Ma, allora, se sei già indipendente nei fatti, che senso ha metterlo anche sul biglietto da visita precisando che ti fai eleggere da un partito però come “indipendente”?
Serve a mascherare la realtà opposta. Il Pci infatti esigeva una rigida disciplina (solo la Dc allora aveva franchi tiratori) e, se non la rispettavi, non ti eleggeva più la volta successiva. Quindi eri ligio, ben poco indipendente, salvo nel biglietto da visita da “indipendente di sinistra”.
Aggiungiamoci la puzza sotto il naso degli intellettuali inebriati di autostima. Il cittadino normale poteva aderire anima e corpo ad un partito. Ma loro no, loro erano troppo superiori, potevano sì offrire la propria robusta personalita (in cambio di stipendio e vitalizio), pero solo da “indipendenti”…
Ribadisco che questa ridicola qualifica esiste(va) solo in Italia. In qualsiasi altro partito europeo, di sinistra o di destra, o aderisci o non aderisci. E, se pretendi di farlo da “indipendente” (con posto garantito in Parlamento), semplicemente ti mandano a scopare il mare.
In conclusione non c’è dubbio che Stefano Rodotà, con questa sua storia così austera, e così indipendente, sia l’uomo giusto per garantire tutti dall’alto del Colle.
LA CORSA DEI GAMBERI AL COLLE
Potremmo definire quella per il Quirinale la “corsa dei gamberi”: tutti i candidati – terrorizzato dal detto “chi entra Papa in conclave esce cardinale” – fanno infatti a gara a tirarsi indietro. La Cancellieri spiega che no, che lei al massimo ambisce a fare il presidente di condominio; il professor Prodi afferma che la politica non fa più per lui, lui ormai pensa solo allo studio; Franco Marini si schernisce; Giuliano Amato si è imposto un silenzio da frate trappista.
Non ce ne uno che osi candidarsi a viso aperto, che senta il dovere di spiegare ai cittadini con quale programma, con quali obiettivi, ambisce a scalare il Colle. Perchè d’accordo che non c’è l’elezione diretta del presidente (e sarebbe ciò che il buon senso suggerisce), d’accordo che lo scelgono i cosiddetti Grandi Elettori,
ma un minimo di trasparenza sarà pur dovuta. Oppure la più alta carica dello Stato può essere decisa con il più torbido e oscuro rituale da loggia massonica?
Che nemmeno questo paragone è appropriato: perchè i “fratelli muratori” tra loro si parlano, in loggia c’è una sorta di assemblearismo. Qui invece tutto si svolge con conciliaboli ristretti, a due, a tre al massimo, quasi si trattasse di individuare l’amante che ti mette le corna con la moglie…
Nulla ci dimostra quanto sia Basso l’Impero in cui siamo precipitati come il rituale per la scelta del successore di Napolitano cui stiamo assistendo in questi giorni.
Non fossero trasparenti come il nero di seppia (con Casaleggio che interviene ad orientare il voto on line) ci sarebbe da applaudire a quelle Quirinarie che hanno incoronato Milena Gabanelli: non dico 5, ma almeno 1 Stella di democrazia c’è se cerchi (o fingi?) di coinvolgere i cittadini nella decisione su chi debba presiedere la Repubblica.
Come dicevo, per un ruolo così delicato e cruciale ci vorrebbe l’elezione diretta. Ci vorrebbe un autorevolezza fondata sul consenso popolare, e non solo sui sondaggi di gradimento. Il solo presidente con un mandato incontestabile è colui che lo riceve dagli elettori. Ma il buon senso è ormai uno sconosciuto.
Ultima considerazione passando dalla “corsa dei gamberi” alla “guerra dei miserabili”: la corsa al Colle ha evidenziato le spaccature verticali che ci sono nel Pd, un’autentica guerra di tutti contro tutti (e non solo contro Renzi).
Come possa un partito ridotto così, che ha raccolto il 30% dei consensi, ambire a guidare da solo, con un governo di minoranza, il nostro Paese, è solo l’ultima, tragica, farsa italiana della serie…
UN VINITALY DA LADY DI FERRO
Non sono solo i giornali locali a celebrare il Vinitaly come esempio di un mondo produttivo che sfida e batte la pesantissima crisi economica. Lo fa anche Dario Di Vico sul Corriere osservando che “piccoli e medi industriali sfidano la recessione in campo aperto, esportano il 50% del prodotto e pensano addirittura di conquistare i mercati emergenti” come quello cinese
“Dimostrano alla fine – prosegue Di Vico – un modo di fare politica industriale dal basso”. Dal basso, non all’alto cioè senza l’intervento dello Stato. Direi grazie alla mancanza di intervento dello Stato. Dato che l’Istituto del commercio estero è defunto e le Camere di commercio sono carrozzoni che, per vie più o meno traverse, distribuiscono fondi per mantenere gli apparati delle associazioni di categoria invece che destinarli alla promozione.
Gli imprenditori del vino fanno tutto da soli, con l’inventiva con l’impegno e la passione: sono l’incarnazione delle politiche liberali di Margaret Thatcher. L’esaltazione delle capacità individuali che tanto più sono stimolate quanto meno ricevono aiutini pubblici. “I privati – diceva la Lady di Ferro – hanno diritto di vivere le loro vite e condurre i propri affari senza che lo Stato ci metta becco”.
Per fortuna il vino non è considerato un “settore strategico”. Così lo Stato non ci mette becco (anche se la burocrazia non molla l’osso) e così prospera.
Potremmo poi aggiungere che il vino, gli imprenditori di questo settore hanno realizzato la vera unità d’Italia. Perchè se un tempo trovavi prodotti di alta qualità solo in Veneto (Verona e Treviso) in Friuli, in Piemonte e in Toscana, oggi non c’è regione italiana – dalla Sicilia alla Puglia alle Marche al Trentino Alto Adige – che non li garantisca.
Il vino come altri settori dell’agroalimentare (penso all’olio) confermano inoltre l’assunto: dove non c’è l’aiuto pubblico trovi la qualità e il profitto; dove c’è proliferano invece, i sottoprodotti, il deficit e le truffe.
In chiusura un pensiero della Lady di Ferro che solo lei poteva permettersi di esprimere con tanta chiara brutalità: “Pensare a quanto lavorava mio padre, sempre senza sosta, mi riempiva di disprezzo non solo per gli operai che scioperavano inutilmente, ma anche per gli impiegati e i manager statali che si alzavano, spensierati, dalla scrivania alle cinque”.
Di certo gli imprenditori del Vinitaly non lavorano come gli impiegati e i manager statali. Senza aggiungere che quelli italiani mica sono inglesi e dunque dalla scrivania si alzano, spensierati, alle due del pomeriggio…
PROVINCE ABOLITE COME LE FESTIVITA’
Fatti, non parole. Crocetta e i 5 Stelle in Sicilia ce l’hanno dimostrato abolendo di colpo le province sicule! (con le lodi di tutti i media) Peccato che le cose non stiano proprio così…
La presidente della Provincia di Padova, Barbara Degani, che fa parte dell’organismo nazionale (Unione province) che segue la questione, mi spiegava infatti che in Sicilia hanno solo cambiato il nome: al posto delle nove province ci sono infatti ora nove comprensori con gli stessi dipendenti, gli stessi apparati, le stesse funzioni e, dunque, gli stessi costi. Non bastasse Crocetta e i suoi, avendo “abolito” le provincie, hanno dato il via a tre città metropolitane: Palermo, Catania e Trapani.
Ricordo che quando si parlava di varare la città metropolitana di Venezia era scontato che avrebbe sostituito la provincia di Venezia. In Sicilia invece si sono aggiunte, quindi ad esempio Palermo, oltre al comprensorio, ha la città metropolitana. Risultato: in Sicilia al posto di nove vecchi enti “aboliti” adesso ne abbiamo dodici. Nove comprensori più tre città metropolitane.
Ma non illudiamoci però che il problema sia solo siculo. Magari. Sicilia=Italia.
Parlavo ieri con un vecchio amico medico. Lo cerco spesso al telefono: una volta lo trovo a Lione, un altra a San Pietroburgo, a volte anche in ospedale…E così gli ho chiesto quante ferie hanno per contratto i medici del servizio sanitario nazionale. Lui mi ha fatto il conto spiegandomi che, per molti medici, la settimana lavorativa viene considerata di cinque giorni e quindi trenta giorni di ferie non sono un mese ma (30=5×6) sei settimane, cioè un mese e mezzo. Alla fine del conteggio precisava poi che vanno aggiunti anche “i cinque giorni di ferie per le festività soppresse” (sic!)
Confesso che me l’ero dimenticato. Ma diversi anni fa ci siamo accorti che, tra feste religiose e laiche, l’Italietta ne aveva più di tutti con grave danno per la produttività. E così, molto responsabilmente, ne abbiamo soppresse una manciata, a partire da quelle festività infrasettimanali che consentivano di fare ponte simulando raffreddori o improrogabili impegni familiari…
Ma, esattamente come le province sicule, le festività soppresse sono riemerse come ferie aggiunte a norma di contratto. Con eguale meccanismo: i cinque giorni di ferie (vedi sopra) equivalgono a una settimana. E, quindi, invece che non lavorare cinque giorni non si lavora per sette!
Concludo con la telefonata che ha fatto ieri, a Prima Serata, Mirko da Verona. Diceva di essersi convinto che non ha più senso agitare l’orgoglio nazionale e quindi respingere le ingerenze tedesche-Ue sulla nostra politica economica. “Mi sono ridotto – diceva – a sperare per il nostro bene che…ci invadano!”
Se ha ragione lui (e temo l’abbia), il problema si sposta: non si tratta più di riuscire a dare un governo al nostro Paese ma di sperare che ci invadano, che ci governino gli altri, che i tedeschi ci costringano a diventare persone serie e non pagliacci che fingono di abolire le province o le festività.
P.S. Dato per scontato che sono uno pseudo giornalista, un paraculo e per giunta un venduto a Berlusconi, gradirei – una tantum – qualche commento nel merito. Danke.
QUELLE TROIE A CORRENTE ALTERNATA
Il presidente siculo Crocetta ha dimissionato in tronco da assessore Franco Battiato per aver detto che “il Parlamento è pieno di troie disposte a tutto”. Può starci.
Coerentemente Napolitano avrebbe dovuto rifiutarsi di ricevere al Colle un Beppe Grillo che, per restare all’ultima, ha dato dei “puttanieri” a Bersani e Berlusconi.
Direi che ha ragione Massimo Cacciari quando osserva che il degrado del linguaggio politico è solo lo specchio (verbale) del degrado dell’intero sistema politico ormai palesemente incapace di svolgere la sua funzione di governo del Paese.
La Costituzione sancisce un principio che condivido totalmente: ogni parlamentare deve essere “senza vincolo di mandato”. Cioè deve rispondere solo ai propri elettori (i padri costituenti non immaginavano certo un Parlamento di nominati) per restare un soggetto pensante e responsabile, evitando di ridursi a burattino dei vari partiti.
Ma questo principio non è, di fatto, condiviso dalla larga maggioranza dei cittadini che considerano chi cambia casacca un traditore, una troia, un venduto.
Vale però la pena di osservare che l’epiteto viene distribuito a corrente alternata: la troia cioè è solo il parlamentare che va a schierarsi con chi detesto.
Esempio tipico. Il popolo della sinistra considera Scilipoti, che lascia l’Idv e va a sostenere Berlusconi, una troia, un venduto. Fini invece che ha fatto la stessa cosa, lasciando il centodestra per passare all’opposizione, veniva considerato come una padre responsabile della Repubblica. Per il popolo di centrodestra vale l’inverso: Fini è il traditore, Scilipoti la persone responsabile.
Esempio recentissimo. Chi è per il governo Bersani considera molto responsabili quei senatori grillini che dovessero concedergli la fiducia. Chi è contro li tratta da troie.
Ma non dimentichiamo che anche noi cittadini elettori o siamo senza vincolo di mandato o siamo troie nella mobilità elettorale. Che giudizio diamo di chi, dopo aver votato per anni Pd o Lega o Pdl, oggi ha scelto le 5 Stelle?
Anche noi siamo più venali che ideali. Nel senso che diamo il voto pensando a chi garantirà meglio i nostri privilegi, a chi ci restituirà l’Imu, a chi ci assicura il reddito di cittadinanza. Puro mercato delle vacche.
Quindi delle due l’una: o è lecito cambiare idea (anche per motivi personali e venali) sia in Parlamento che nell’urna, oppure le troie non mancano tanto alle Camere quanto tra noi cittadini elettori.
LA PATRIMONIALE SULLA CASA C’E’ GIA’
Tutti concordano che il nuovo governo, se arriverà e quando arriverà e chiunque lo sosterrà, dovrà fare tre-quattro cose indispensabili: tagliare i costi della politica, riformare le istituzioni, cambiare la legge elettorale e pensare all’economia.
Il punto oscuro, ed inquietante nella sua vaghezza, è il quarto. Pensarci come? La via è una sola anche se non esplicitata: con una patrimoniale, o nuove tasse che dir si voglia, dal momento che il debito pubblico ha continuato a crescere anche in questi mesi di “vacanza” governativa. E i conti vanno sistemati. L’Europa (la Merkel) lo impone. E vanno sistemati con i nostri soldi, cioè prendendoli dalle nostre tasche. Come insegna anche Cipro. Per il semplice motivo che l’alternativa sarebbe prenderli dalle tasche dei tedeschi, i quali non si prestano…
Intanto non dimentichiamo che la patrimoniale sulla casa c’è già stata, l’abbiamo già pagata. E non è l’Imu che, per quanto gravosa in se, rappresenta solo un ingranaggio del meccanismo che ha generato la vera patrimoniale: cioè la svalutazione degli immobili, il crollo del valore di quella casa che è da sempre il bene rifugio per antonomasia e che posseggono oltre l’80% degli italiani.
Emblematico il caso di un amico che tre anni fa poteva vendere il suo appartamento per 200 mila euro, glieli avevano offerti e lui ha esitato. Oggi lo stesso appartamento non riesce più a venderlo a 150 mila euro.
Non sola la casa ha perso un quarto del suo valore. Ma il valore è diventato teorico. Un po’ come certi quadri d’autore la cui valutazione da catalogo è x ma, se nessuno te lo compra, la x di fatto equivale a zero…
Quanti di noi pensavano che, se le cose si fossero messe proprio male, avrebbero tirato avanti vendendo la casa? Oggi questa estrema possibilità sta svanendo.
In compenso c’è una certezza di nome Tares, la nuova tariffa rifiuti che scatta a primavera con aumenti spaventosi rispetto all’importo della vecchia Tia.
Insomma il Venerdì Santo, Venerdì di Passione, è garantito. La Pasqua di Resurrezione pare invece che sia rimandata alle Calende Greche.
STRANIERI E MORATORIA DIMENTICATA
La moratoria per i neo comunitari. Noi abbiamo anche dimenticato che esisteva questa possibilità. Altri Paesi l’hanno applicata e per loro è in vigore fino al 1° Gennaio 2014.
Breve riassunto: quando sono entrati nella Ue gli ex Paesi dell’Est si è posto il problema se permettere o meno subito la libera circolazione dei loro cittadini nell’Europa Occidentale. Alcune nazioni che noi definiremo poco solidali (per non dire razziste) hanno detto no: non se ne parla, aspettiamo prima di vedere come si assestano quei Paesi altrimenti rischiamo l’invasione. Noi invece abbiamo detto sì, vengano pure subito, e sappiamo come andata. Ad esempio con i romeni…
Adesso che la scadenza del 2014 si avvicina, questi Paesi “incivili” – Germania, Gran Bretagna, Austria e Olanda – hanno messo le mani avanti e spiegato che, in ogni caso, non potranno garantire il welfare – assistenza sanitaria e servizi sociali vari – agli stranieri comunitari che dovessero arrivare senza aver prima lavorato (e pagato i relativi contributi) in queste quattro nazioni.
Rivendicano inoltre il “diritto ad esplellerli se c’è qualche imbroglio nelle carte”. Anche perchè “troppi abusano di servizi migliori in Paesi più benestanti del loro, troppi fanno i turisti del welfare solo per ottenere ciò che a casa loro non hanno. E ora la crisi economica non permette più di fare troppa beneficenza”
Il virgolettato è dal Corriere che illustra l’iniziativa congiunta di Germania, Gran Bretagna, Austria e Olanda. Paesi, ricordo per inciso, che non sono governati né da Le Pen e nemmeno dai leghisti della prima ora.
Paesi comunque insensibili ai drammi dell’umanità? Paesi egoisti o realisti, cioè attenti alle risorse disponibili? E noi che Paese siamo, molto più solidale o molto più cialtrone?
Direi molto più cialtrone. Perchè se non indichi con precisione dove trovi le risorse per finanziare il welfare vecchio e nuovo (leggi reddito di cittadinanza), se non spieghi con quali risorse stabilizzi precari o rimborsi l’Imu sei solamente un cialtrone.
Per anni abbiamo sentito questo mantra: le risorse si trovano con la lotta all’evasione fiscale! Perfetto: e dove sono queste risorse recuperate? Se per decenni annunci la lotta all’evasione, e non riesci o non vuoi praticarla, e quindi di fatto non recuperi una beata minchia, dovrebbe essere chiaro che al massimo ci finanzi i pasti caldi per anziani.
Prima devi avere in cassa cento, mille miliardi, e solo dopo puoi fare promesse che non siano da cialtrone.
Adesso è arrivato un nuovo mantra: basta tagliare gli stipendi dei parlamentari! Basta abbattere i costi della politica! Sacrosanto. Ma, con le cifre recuperate, cosa ci fai? Forse risolvi i problemi dei disoccupati di Padova o di Verona…
Tornando al welfare da garantire agli stranieri ( e quelli comunitari sono solo una parte…) se oggi, con la crisi economica in atto, può diventare un problema molto serio per i Paesi senza più lo scudo della moratoria. Per noi, per il Paese del prego si accomodi, è già un problema devastante. Come ben sanno i nostri disabili che hanno perso pezzi consistenti di assistenza.
I GRILLINI? NON VOGLIO VEDERLI!
“Non voglio vederlo! – cantava Garcìa Lorca – Di alla luna che venga\ch’io non voglio vedere il sangue\ d’Ignazio sopra l’arena”. Anch’io (nel mio piccolo) avrei sperato in un black out per non vedere i neo parlamentari grillini che si presentavano ieri con i video riportati dai Tg nazionali: come vedere il sangue sopra l’arena del nostro povero Paese.
Uno che diceva “In quanto sommelier, mi occuperò di agricoltura”, un altro “Sono appassionato di mobilità sostenibile e mi piacerebbe arrivare in Parlamento in bicicletta”, un terzo “Mi sono occupato di acqua e mi auguro che riusciremo presto a demolire il nostro ego”, una quarta “Sono artigiana, la mia attenzione andrà al ripensare al made in Italy”.
Non tutti così, per carità, ma tanti. E poi il neo capogruppo al Senato, Vito Crimi, assistente giudiziario alla Corte d’Appello di Brescia, un impiegato del ministero della Giustizia, un ministeriale: notoriamente lavorano tanto da spezzarsi la schiena, sacrosanto che Grillo voglia ridurre anche a loro l’orario settimanale…
Siamo al peggio del peggio, al rovesciamento del falso mito della società civile prestata alla politica. Quel mito si fondava sull’idea che un bravo ingegnere, un ricercatore di fama, un docente della Bocconi fossero preferibili ai politici di professione, più preparati e più onesti di loro. Peccato che queste ottime persone il più delle volte di politica (vedi Monti) non capiscano una beata minchia. Peccato che, come insegnava Benedetto Croce nel 1922, “l’onestà politica non è altro che la capacità politica”.
Ma qui il requisito di base per diventare parlamentari grillini sembra quello di essere insignificanti anche professionalmente: un impiegato, un sommelier, una precaria, uno qualunque.
La scelta di Grillo (e Casaleggio. Ma lui conta sul serio qualcosa?) pare ispirata ad un criterio preciso: più modesti sono, più sono yes man, più si comporteranno da burattini che manovri tirando i fili.
Ma non è detto che il calcolo sia giusto. I membri di una setta infatti sono fanatici, ma non sono degli inetti. A loro modo sono intelligenti. E per questo fanno squadra. Di sicuro sanno dov’è la sede di Scientology…
Per questo non ho perso la speranza. La speranza di tornare ad affacciarmi e vedere sopra l’arena…i grillini alla diaspora. (Ma esisterà ancora un Paese o ci sarà una Grecia?)