SPIAGGE ISLAMICHE A JESOLO

Spiagge islamiche a Jesolo

Dalla più grande spiaggia del Veneto, quella di Jesolo, arriva un esempio limite di auto-islamizzazione. I gestori degli arenili avevano infatti deciso di non assumere più bagnini donne. Sapete perchè? Per non turbare i vù cumprà maomettani!
E’ dovuto intervenire il presidente della Regione Luca Zaia – onore al merito (una tantum) – per imporre loro la revoca del divieto di assunzione delle donne.
Ci sono anche alcuni aspetti ridicoli: questi venditori ambulanti sono talmente turbati dalla presenza femminile che infestano letteralmente ogni nostra spiaggia…Non si capisce perchè dovrebbero essere turbati dalle bagnine in costume e non da tutte le altre bagnanti in bikini se non il topless. I gestori siano coerenti: impongano il burkini a tutte le donne che scelgono la spiaggia di Jesolo!
Ci sono poi le questioni serie. Prima: siamo di fronte a venditori abusivi, che fanno concorrenza sleale ai negozianti in regola. Invece di impegnarci a contrastarli ci preoccupiamo di agevolarli: che possano lavorare in nero senza turbamenti religioso-sessuali.
Poi il problema non si pone solo sulla spiaggia. E nei negozi, in bar e ristoranti dove magari lavora una commessa un po’ formosa e adeguatamente scollata cosa facciamo? Imponiamo il burka d’ordinanza sempre per non turbare gli integralisti islamici? E possiamo permettere che le vigilesse piuttosto che le poliziotte girino per le strade senza avere nemmeno un velo in testa? Ma arriviamo al dunque: possiamo lasciare che le donne lavorino o devono stare tutte a casa come piace a certi maomettani?
Questa – per dirla chiaramente e in veneto – è l’integrazione praticata mettendoci “a cuo busòn”. Posizione scomoda, indotta dalla fragilità della nostra identità culturale-valoriale.
Fossimo convinti che la libertà della donna, il suo diritto di lavorare e vestirsi come vuole e frequentare chi vuole, è un valore irrinunciabile della nostra civiltà occidentale, ne fossimo convinti potremmo anche accettare che certe donne islamiche girino velate e sottomesse. Sperando che col tempo e col confronto capiscano che la condizione di serva dell’uomo non è il massimo né della vita né della realizzazione femminile.
Ma ci vuole una forte identità dei propri valori e della propria civiltà. Cosa che hanno tedeschi e svizzeri, i quali per questo sono capaci di integrare (quasi tutti) gli stranieri e renderli perciò una risorsa.
Noi invece, come dimostrano i gestori degli arenili di Jesolo, abbiamo una identità inesistente: destinati a farci colonizzare, pronti a trasformare le nostre spiagge in spiagge islamiche.

UN SINDACO PER L’ITALIA

Il dibattito sul presidenzialismo (semi presidenzialismo con doppio turno alla francese) di cui si è tornato a parlare ieri, festa della Repubblica, dovrebbe partire dalla concreta esperienza dei comuni dove l’elezione diretta dei sindaci l’ha di fatto già introdotto.
Anche nei comuni prima vigeva il parlamentarismo: tutto il potere ai consigli comunali che potevano sfiduciare il sindaco e mandarlo a casa senza perdere le loro poltroncine. Poi il potere è passato ai sindaci che scelgono gli assessori e possono loro mandare a casa il consiglio comunale e andare a nuove elezioni. Mi pare indubbio che il governo delle nostre città sia migliorato: si decide, si procede e gli elettori giudicano l’operato dei primi cittadini.
Tra i consensi che oggi, anche da una parte della sinistra, arrivano alla riforma il più significativo è quello di Romano Prodi che la definisce “l’unica via di salvezza” per il nostro Paese: ha sperimentato infatti anche lui (come Berlusconi) l’impotenza attuale di qualunque premier, di qualsiasi colore politico. In questo senso i due governi di Prodi e Berlusconi sono stati identici: impossibilitati a varare qualunque provvedimento, qualunque riforma incisiva in qualsiasi direzione andasse.
Impossibilitati perchè bloccati da un Parlamento (anzi: da due parlamenti) che rappresenta, non l’interesse generale, ma quello particolare delle singole caste o corporazioni che dir si voglia: dalla più piccole, come i tassisti, fino all’ultracasta dei magistrati.
La preoccupazione di partiti e parlamentari è infatti stata sempre una sola: il consenso. Per cui, facendo un esempio con medici, non ci si preoccupa di ottenere la massima efficienza nel servizio sanitario nazionale (a beneficio della collettività), ma di non perdere i loro voti. E così si consentono autentici abomini come l’intra moenia: la libera professione privata esercitata dentro (e a scapito) della sanità pubblica.
Le corporazioni hanno demolito il Paese inteso come cura dell’interesse generale. Basterà il sindaco d’Italia per scalfire i loro privilegi? Difficile essere ottimisti. C’è chi sostiene che un presidente investito di potere dal voto diretto non basta, che ci vorrebbe un dittatore…Dimenticando magari che fu proprio un dittatore, Mussolini, a varare quel ministero delle corporazioni che non rinunciò mai a guidare in prima persona…
Difficile essere ottimisti, ma difficile anche non essere d’accordo con Prodi: è l’estrema speranza, l’unica via di salvezza per il Paese.

PIU’ ASTENSIONE C’E’ MEGLIO E’

Dovevano ancora chiudersi le urne amministrative e tutti già si stracciavano le vesti per la scarsa partecipazione al voto. “Ha vinto l’astensionismo” questo il titolo – funereo – del Corriere di Martedì.
Intanto ricordiamoci che il fenomeno non è né nuovo per noi né estraneo alle grandi democrazie. Anzi diremmo che è fisiologico a tutte le democrazie mature.
Negli Stati Uniti c’è voluto l’entusiasmo del primo Obama per riportare alle urne il 60% di americani, che abitualmente eleggevano il loro presidente con una partecipazione attorno al 50%. Domenica, in Germania, nello Schleswing-Holstein hanno votato il 46,7% degli aventi diritto. E nessuno ha pensato di celebrare i funerali della partecipazione democratica…
Quindi da noi gli elettori delle ultime amministrative (62,4%) sono ancora un esercito. Senza aggiungere che si è sempre votato molto meno che alle politiche e che, alle regionali del 2010, quando i partiti erano allo spolvero e la Lega si apprestava a diventare il primo in Veneto, la partecipazione fu del 63,6%. Un punticino in più di adesso per elezioni che chiamarono tutto il Paese alle urne.
Rovescio il ragionamento. La partecipazione, purtroppo, da noi è ancora troppo alta!
Perchè esiste una torma di barucca (e lo constatiamo anche con certe telefonate che arrivano a Telenuovo) che gridano, che inveiscono, che sono incapaci di qualunque distinzione per cui, ad esempio, secondo loro i politici sono tutti ladri e tutti incapaci.
Mi pare che più ne perdiamo di questi elettori meglio è: perchè ne guadagna la qualità della partecipazione democratica.
E’ impensabile tornare ad un voto elitario. Così come sono improponibili dei test d’accesso all’esercizio dei diritti politici. Test che pure un senso l’avrebbero: prima di consentire l’ingresso ai seggi si dimostri almeno di sapere cos’è il parlamento, che poteri ha, che poteri ha il governo. (Nozioni ignote a gran parte, non degli elettori, ma dei parlamentari grillini…)
Ma una scrematura preventiva – giustamente – è impedita dalla democrazia che deve garantire a tutti il diritto di voto. Però se questa scrematura avviene per via naturale, cioè con l’aumento dell’astensionismo, non vedo proprio che motivo ci sia per stracciarsi le vesti. C’è invece da rallegrarsi perchè, appunto, a scapito della quantità ne guadagna la qualità della partecipazione democratica: vota chi almeno qualcosa capisce ed un giudizio ponderato è, forse, in grado di esprimerlo.

BALOTELLI RAZZISMO O STRONZISMO

Capisco i tifosi viola che ieri sera, dopo la rocambolesca vittoria del Milan sul Siena, hanno accolto i giocatori rossoneri alla stazione di Firenze al grido “ladri! ladri!”. Li capisco perchè al Siena è stato negato un rigore evidente, mentre quello concesso al Milan era più che altro una simulazione di Balotelli.
Il quale ha pensato bene di affrontarli ed è stato subissato di fischi e insulti. E così SuperMario è divenato ancor più il simbolo della lotta al razzismo. Fiona May ha definito i tifosi viola “animali razzisti”, tutti sono schierati (e sdagnati) dalla sua parte.
Tranne Zeman. L’unico che ha osato andare contro corrente e spiegare che non c’entra il colore della pelle bensì centrano i comportamenti. Ed ha fatto l’esempio di Totti, bianco come la neve, ma fischiatissimo in tutti gli stadi italiani per i suoi comportamenti e toni da romanaccio.
Mourino, quando lo allenava all’Inter, diceva che Balotelli ha sì è no un neurone…Cioè che si comporta da stronzo tanto in campo quanto fuori dal campo e per questo i tifosi lo mettono nel mirino. Stessa cosa si potrebbe dire di Cassano, lui pure bianco candido, ma tanto stronzo nei suoi comportamenti da essere fischiatissimo.
Prova contraria: il Milan ha avuto fior di campioni di colore – da Gullit a Seedorf a Thiago Silva – gente seria sul campo e fuori, e mai nessun tifoso avversario li ha accolti con grida e motteggi preventivi.
Ma la cosa vergognosa é tirare in ballo il razzismo per gli ululati contro Balotelli o Boateng. Il razzismo è una cosa infinitamente più drammatica e seria, come hanno dimostrao le stragi di Hitler e Stalin. Cosa la celebriamo a fare la Giornata della Memoria se poi mettiamo un SuperMario a livello di Anna Frank?
Oggi il razzismo sono i cristiani, massacrati in tutto il mondo solo perchè cristiani. Sono gli stessi mussulmani che gli induisti Thamil, in India e a Cylon, massacrano solo perchè mussulmani.
Di questi drammi atroci, autentici ed efferati, quasi non si parla. In compenso l’Onu ha il buon tempo di invitare Boateng come emblema e oratore della lotta al razzismo! (Che l’intervento glielo abbia scritto Melissa Satta?).
Raramente ho assistito ad una pagliacciata, ad una vergogna del genere: il Diario di Anna Frank è dimenticato, in compenso furoreggiano Balotelli e Boateng.

PICCONARE LA LEGGE BASAGLIA

La prima reazione della Lega, di fronte al picconatore assassino di Milano, è stata una raccolta di firme contro lo Jus soli. Cosa c’entri la cittadinanza – data a uno straniero a 18 a 8 anni o appena nato – con un pazzo criminale libero di colpire lo sa solo Dio (e il furore ideologico leghista).
Se mai c’è da raccogliere firme contro la Basaglia. C’è da picconare questa legge che nel 1978 portò alla chiusura dei manicomi e che oggi, per ricaduta, ha portato ad eliminare anche gli ospedali psichiatrici giudiziari (quelli che un tempo si chiamavano manicomi criminali).
La prevenzione psichiatrica è materia quanto mai ardua. Come dimostrano ampiamente gli Stati Uniti dove ormai quotidianamente troviamo pazzi che sparano e uccidono. Pazzi di qualunque età, sesso e colore della pelle. Cittadini americano o immigrati clandestini.
Nessun Paese civile e di buon senso ha però mai pensato di abolire i manicomi o ospedali psichiatrici che dir si voglia: cioè quei luoghi di custodia che impediscano al pazzo acclarato di far del male a se e agli altri. Solo noi lo abbiamo fatto, buttando via il bambino con l’acqua sporca: c’erano manicomi con trattamento da lager? C’erano eccome. Quindi andavano “bonificati”, cioè andavano imposti e controllati trattamenti civili per i ricoverati. Invece abbiamo chiuso tutto, mandando in circolazione prima i pazzi e adesso anche i pazzi criminali.
La legge Basaglia parte da un presupposto terrificante nel suo dogmatismo ideologico: la malattia mentale non esiste, esiste solo un pregiudizio della cultura borghese nei confronti del “diverso”. Il quale deve invece diventare “uguale”, cioè va inserito nella società!
Malattia mentale abolita per legge. Tanto valeva abolire per legge anche le malattie fisiche che avremmo risolto il dramma dei tumori…
Nel caso di Mada Kabobo c’entra poi anche un’altra legge. Quella che consente ad un ghanese di arrivare in Italia e chiedere asilo politico. Di avere diritto a continuare a chiederlo anche dopo che ha devastato il centro accoglienza (e passato per questo sei mesi in carcere). Che, di fronte alla prima richiesta respinta, gli consente di presentare ricorso e nel frattempo girare liberamente per il territorio italiano in attesa della risposta definitiva.
Ma questa legge non l’hanno fatta i ghanesi né altri stranieri. L’ha fatta il legislatore italiano. L’hanno fatta – o non l’hanno comunque modificata – i governi a partecipazione leghista.

CHI NASCE IN ITALIA E’…LAUREATO!

Avrei una modesta proposta aggiuntiva a quella del ministro Kyenge sullo jus soli (che condivido totalmente). Proposta valida solo per i figli degli italiani (che gli stranieri sono persone serie): chi nasce in Italia ha, per ciò stesso, il diritto ad essere laureato! Anzi: lo è già fin dal primo vagito!
Proposta nata dopo aver letto su Repubblica della rivolta di studenti, famiglie e Cobas degli insegnanti contro i test Invalsi. Per chi non lo sapesse sono i test che vengono fatti in tutte le scuole europee per verificare i livelli di apprendimento; e puntualmente certificano che i risultati della scuola italiana sono disastrosi, da ultimi posti.
Secondo il Cobas sarebbero “una vergognosa scheda sugli alunni”. Insomma, se vuoi accertare capacità e competenza, stai schedando, violi la privacy. Quindi sospendiamo per coerenza qualunque competizione sportiva tra i ragazzi: perchè – sia una gara di ciclismo, di atletica o di scherma – c’è chi arriva primo, chi sesto e chi ultimo. Quindi stiamo schedando questi poveri giovani sportivi. Li traumatizziamo e, per non farlo, l’unica è stabilire che sono arrivati tutti primi.
Ma il merito, la selezione, che nessuno si sogna di discutere nello sport, viene invece contestata nella scuola. Contestata dagli stessi genitori, che sono spesso i primi colpevoli di un figlio cialtrone che cazzeggia invece di impegnarsi nello studio. Ma guai assumersi le proprie responsabilità. Tutta colpa dell’Invalsi che scheda e mortifica!
Marco Rossi Doria, maestro di strada nonchè sottosegretario alla Pubblica Istruzione, osa ricordare che “in tutto il mondo si valutano professori e alunni”. Coi docenti da noi non se parla, e adesso vorremmo vietare anche la valutazione degli alunni. Senza renderci conto che significa azzerare la funzione della scuola stessa.
Enrico Letta ha minacciato di dimettersi se dovessero esserci tagli all’Istruzione. Ma se l’Istruzione è questa – senza valutazione, senza merito, senza selezione – tanto vale abolirla che non serve a nulla.
La soluzione è pronta: laurea garantita per diritto a tutti i neonati italiani. Per gli stranieri no. Loro sono persone serie e sanno che il titolo di studio, come il lavoro, devi meritarteli e conquistarteli. Sanno che c’è chi arriva primo, chi sesto e chi ultimo. Non è l’Ovra, è la vita.

CARTA A 5 STELLE PER LETTA

Premesso che non ne indovino una, ho l’impressione che il governo Letta sia destinato a durare abbastanza. Diciamo due-tre anni, fin verso il 2016.
Non inducano in errore i cani che abbaiano, che ringhiano, ma sanno benissimo di non potersi mordere. Sto parlando di Pd e Pdl (Lista Civica è già destinata all’estinzione, proprio come la Lista Dini) che lanciano proclami bellicosi a beneficio del proprio elettorato, consapevoli però di non poter iniziare le ostilità che sarebbero esiziali per entrambi.
Dei due il Pd è il più in crisi. Deve ridarsi un’identità prima di sottoporsi al giudizio degli elettori. Il Pdl sta un po’ meglio, è in recupero e Berlusconi potrebbe essere tentato di tornare al voto. Potrebbe, se Enrico Letta non avesse a disposizione la carta a 5 Stelle, cioè un nutrito gruppo di parlamentari grillini pronti a sostenere il suo governo (e perfino un ipotetico governo Berlusconi!) pur di non tornarsene a casa.
Lo slogan (vincente) di Grillo è stato “tutti a casa!”. La prassi, operante, dei suoi parlamentari è “tutti a Roma!”. Cioè tutti aggrappati alla poltrone (e alla retribuzione) di deputato o senatore. Sono infatti consapevoli di aver pescato il jolly della vita, l’occasione, irripetibile, di avere stipendio e privilegi. Irripetibile perchè non c’è ne uno che possa sentirsi certo della riconferma in Parlamento. Quindi finchè la barca va lasciala andare…
Se c’era un dubbio su spirito di servizio e disinteresse economico dei grillini, è svanito dopo che hanno risposto con una pernacchia (a maggioranza) alla richiesta di Grillo di restituire i soldi della diaria…
Non saranno certo loro ad affondare la barca del governo Letta, che significherebbe ritorno alle urne e fine della propria festa. Anzi sono pronti a sostituirsi ai parlamentari pidiellini se Berlusconi dovesse ordinare lo stop alla fiducia.
E’ tutto da vedere cosa in concreto riuscirà a combinare questo esecutivo; ma che duri abbastanza mi sembra logico pensarlo proprio grazie alla carta a 5 Stelle che il premier sa di avere in tasc

CINQUE NAUFRAGHI SUL COLLE

Nei giorni convulsi, terminate – felicemente – con la rielezione al Colle di Napolitano, sono stati in tanti a fare naufragio. Ad andare a sbattere, vuoi per supponenza o per insipienza politica. Ne ricordo cinque tra i più curiosi e\o clamorosi.
Alessandra Moretti, vicesindaco Pd di Vicenza, fino a pochi mesi fa sconosciuta fuori dalla sua città. Bersani la fa diventare il suo portavoce alle primarie, un personaggio nazionale. Perchè? Perchè oltre ad essere giovane (come il competitor Renzi) e anche donna. Un a tout ulteriore! Ma alla prima occasione, Alessandra l’ingrata pugnala il suo creatore: dichiara cioè che lei si astiene, che non vota Marini perchè “la base vuole scelte diverse”. La base. Intende i milioni di elettori del Pd? Più probabile che abbia scambiato per base i trecento che manifestano davanti a Montecitorio o i trenta che twittano con lei…
A conferma che i figli non devono mai fare la professione del padre, Fabrizio Barca, neo iscritto al Pd da una settimana, ha già pronto il programma per guidare il partito nel dopo Bersani. Di Enrico Berlinguer si diceva che si iscrisse fin da giovane alla direzione nazionale del partito. Barca, alla mezza età, voleva andare dritto alla segreteria nazionale! Non c’è limite alla presunzione e all’autostima degli intellettuali.
A proposito di presunzione, niente male nemmeno la fresca senatrice Pd Laura Puppato che sabato dichiara: “voto e faccio votare Stefano Rodotà!” Che lo voti, ci sta tutto. Ma per farlo votare bisogna averci le truppe e non risulta che l’ex sindaco di Montebelluna sia diventato un capo corrente con stuoli di grandi elettori al seguito…
Ineffabile Gherardo Colombo, emblema di Mani Pulite oggi in pensione, che Bersani aveva avuto la bontà di indicare per il consiglio di amministrazione Rai (i magistrati, si sa, sono grandi comunicatori…). Sdegnato per la mancata elezione di Rodotà, afferma: prendo la tessera del Pd per poterla stracciare il giorno dopo! Ma, se Colombo è così sdegnato per la scelta dei democratici, ha un modo molto più incisivo per dimostrarlo: si dimetta da quella Rai dove il Pd l’ha insediato. Guai al mondo! A poltrona e emolumento il moralista con le mani pulite non rinuncia. Più comodo che alzare il culo è usare le mani per stracciare la tessera…
Chiudiamo con Grillo. Sapesse far politica, come sa fare comizi, poteva sbancare dicendo ai suoi di votare per Prodi: avrebbe vinto lui la corsa per il Quirinale e tenuto il Pd sotto scacco. Invece non ha trovato di meglio che gridare al golpe di fronte all’elezione di Napolitano. Solita storia: se vince il mio candidato è il trionfo della democrazia e del cambiamento, se vince quello che non mi va bene è un golpe di restaurazione.
Capisce di averla detta grossa e teme di scatenare la violenza, non solo verbale. E così il golpe diventa un “golpino istituzionale”. Ma quando aizzi la bestia e arduo, poi, mettergli la museruola…In ogni caso si è schiantato sul Colle anche lui: Grillo è il primo degli sconfitti.

AL COLLE RODOTA’, L’INDIPENDENTE

La prima votazione per il Colle è andata da cani per il povero Franco Marini, finito nel tritacarne del suo partito. E’ andata bene invece per Stefano Rodotà, che ha raccolto più voti del previsto: non solo quelli del 5 Stelle e di Sel, che apertamente lo sostenevano, ma anche una trentina in più di franchi tiratori democratici.
C’è un particolare, un po’ trascurato, nella biografia di Rodotà che ci aiuta a comprendere meglio la sua personalità. Tutti sanno che è un giurista insigne, che insegna alla sapienza, che è stato il primo presidente dell’Autorità per la privacy.
Però forse gli stessi grillini, che gli hanno dato la terza preferenza (dopo Gabanelli e Strada), ignorano un dato che oggi rischia di essere infamante o quasi. Stefano Rodotà è stato anche in Parlamento, e non per una sola legislatura, ma per ben 15 anni: dal 1979 al 1994. E c’è entrato – siamo al dettaglio rivelatore – “eletto nelle liste del Pci come indipendente di sinistra”.
Questa degli “indipendenti” (di sinistra o meno) è una anomalia tutta italiana, inventata per vellicare certi nostri intellettuali da salotto.
L’indipendenza, quella vera, è infatti sancita dal famoso articolo della Costituzione che fissa il “senza vincolo di mandato” per ogni membro del Parlamento; proprio perchè debba rispondere solo ai suoi elettori e alla sua coscienza e non essere un burattino dei partiti. Ma, allora, se sei già indipendente nei fatti, che senso ha metterlo anche sul biglietto da visita precisando che ti fai eleggere da un partito però come “indipendente”?
Serve a mascherare la realtà opposta. Il Pci infatti esigeva una rigida disciplina (solo la Dc allora aveva franchi tiratori) e, se non la rispettavi, non ti eleggeva più la volta successiva. Quindi eri ligio, ben poco indipendente, salvo nel biglietto da visita da “indipendente di sinistra”.
Aggiungiamoci la puzza sotto il naso degli intellettuali inebriati di autostima. Il cittadino normale poteva aderire anima e corpo ad un partito. Ma loro no, loro erano troppo superiori, potevano sì offrire la propria robusta personalita (in cambio di stipendio e vitalizio), pero solo da “indipendenti”…
Ribadisco che questa ridicola qualifica esiste(va) solo in Italia. In qualsiasi altro partito europeo, di sinistra o di destra, o aderisci o non aderisci. E, se pretendi di farlo da “indipendente” (con posto garantito in Parlamento), semplicemente ti mandano a scopare il mare.
In conclusione non c’è dubbio che Stefano Rodotà, con questa sua storia così austera, e così indipendente, sia l’uomo giusto per garantire tutti dall’alto del Colle.

LA CORSA DEI GAMBERI AL COLLE

Potremmo definire quella per il Quirinale la “corsa dei gamberi”: tutti i candidati – terrorizzato dal detto “chi entra Papa in conclave esce cardinale” – fanno infatti a gara a tirarsi indietro. La Cancellieri spiega che no, che lei al massimo ambisce a fare il presidente di condominio; il professor Prodi afferma che la politica non fa più per lui, lui ormai pensa solo allo studio; Franco Marini si schernisce; Giuliano Amato si è imposto un silenzio da frate trappista.
Non ce ne uno che osi candidarsi a viso aperto, che senta il dovere di spiegare ai cittadini con quale programma, con quali obiettivi, ambisce a scalare il Colle. Perchè d’accordo che non c’è l’elezione diretta del presidente (e sarebbe ciò che il buon senso suggerisce), d’accordo che lo scelgono i cosiddetti Grandi Elettori,
ma un minimo di trasparenza sarà pur dovuta. Oppure la più alta carica dello Stato può essere decisa con il più torbido e oscuro rituale da loggia massonica?
Che nemmeno questo paragone è appropriato: perchè i “fratelli muratori” tra loro si parlano, in loggia c’è una sorta di assemblearismo. Qui invece tutto si svolge con conciliaboli ristretti, a due, a tre al massimo, quasi si trattasse di individuare l’amante che ti mette le corna con la moglie…
Nulla ci dimostra quanto sia Basso l’Impero in cui siamo precipitati come il rituale per la scelta del successore di Napolitano cui stiamo assistendo in questi giorni.
Non fossero trasparenti come il nero di seppia (con Casaleggio che interviene ad orientare il voto on line) ci sarebbe da applaudire a quelle Quirinarie che hanno incoronato Milena Gabanelli: non dico 5, ma almeno 1 Stella di democrazia c’è se cerchi (o fingi?) di coinvolgere i cittadini nella decisione su chi debba presiedere la Repubblica.
Come dicevo, per un ruolo così delicato e cruciale ci vorrebbe l’elezione diretta. Ci vorrebbe un autorevolezza fondata sul consenso popolare, e non solo sui sondaggi di gradimento. Il solo presidente con un mandato incontestabile è colui che lo riceve dagli elettori. Ma il buon senso è ormai uno sconosciuto.
Ultima considerazione passando dalla “corsa dei gamberi” alla “guerra dei miserabili”: la corsa al Colle ha evidenziato le spaccature verticali che ci sono nel Pd, un’autentica guerra di tutti contro tutti (e non solo contro Renzi).
Come possa un partito ridotto così, che ha raccolto il 30% dei consensi, ambire a guidare da solo, con un governo di minoranza, il nostro Paese, è solo l’ultima, tragica, farsa italiana della serie…