LA LOGGIA VERA, LA P-EUROPA

 

 

E’ arrivata, è scesa in campo a dettar legge nel nostro Paese, la Loggia vera. Potremmo chiamarla la P-Europa. E, essendo quella vera, nessuno lo denuncia. Anzi: nessuno fiata.

Niente di nuovo, è la storia che si ripete. Per decenni in Italia c’è stato un potere totalmente eversivo rispetto alle istituzioni e alle regole democratiche, di fronte al quale tutti si inginocchiavano; un potere tanto forte che non si osò neppure ipotizzare reati a suo carico; un potere eversivo con un nome preciso: Gianni Agnelli. Ma nessuno lo chiamava col suo vero nome. Anzi, per distrarre l’attenzione, fu inventato un falso scopo: Licio Gelli e la P2

Come se il Gran Maestro di Arezzo avesse mai avuto un millesimo del potere del Gran Maestro di Villar Perosa. Abbia promulgato leggi speciali ed istruito processi contro il superRotary della P2 (i cui affiliati erano ancora più fatui, cioè più illusi di contare qualcosa, di coloro che tutt’ora perdono le loro serate nei vari rotary…). Ed intanto l’Avvocato depredava indisturbato l’Italia a beneficio suo (anzitutto!) e della Fiat.

Così adesso. Raffica di denunce processuali e mediatiche contro la P3, la P4, la P5, queste che sono cricche da sagra di paese, al confronto della loggia vera, dalla P-Europa, che vuole mettere le mani sui gioielli della famiglia Italia – Enel, Eni, Finmeccanica – sulle nostre banche ricche e ben patrimonializzate, prive di titoli tossici, non infognate in prestici greci…Ma, al cospetto della loggia vera, il silenzio è totale o quasi. Proprio come con Agnelli, ci si limita a baciare devotamente la pantofola europea.

L’ex rettore dell’università di Padova, uomo stimato e considerato nonchè affamato di politica, per i meriti propri non è riuscito a diventare nemmeno…Scilipoti, cioè deputato nel partitino di Di Pietro! Ora d’accordo che la Bocconi conta più del Bo’, ma a chi la raccontiamo che il presidente della Bocconi sta diventando capo del governo della terza potenza economica d’Europa per meriti propri, per chiara fama?

Il primo merito di Mario Monti è tale e quale quello di Lucas Papademos, non a caso nuovo capo designato del governo greco: sono entrambi “Europa-servants”. Sono al totale servizio di quella Europa che l’uno, Papademos, ha già servito come vicepresidente dell Bce, l’altro, Monti, come commissario europeo. Insomma sono uomini della P-Europa che di loro si fida.

Vogliamo credere che Monti l’abbia scelto Napolitano? Che sia l’inquilino del Colle a comandare in Italia? Resta da spiegare come mai in tutti i decenni in cui è stato dirigente nazional del Pci (con Amendola, Pajetta, Longo, Ingrao) contava poco e non comandava per nulla. Sarà molto migliorato con l’età…

C’è un ultimo parallelo inquietante con la Grecia. Anche l’ex premier Papandreou voleva appellarsi alla sovranità popolare, voleva che fossero i cittadini greci a decidere con un referendum. La P-Europa l’ha vietato. Proprio come in Italia dove il fermo proposito di Berlusconi di andare ad elezioni anticipate si è dissolto nello spazio di un mattino, cioè nello spazio dell’ennesimo tsunami speculativo che ci ha investito ieri.

Chissà mai chi l’avrà orchestrato questo tsunami…Fatto sta che la sovranità popolare viene espropriata dai due “Europa-servants” che stanno per guidare Grecia ed Italia. Per risanare i due Paesi o per consegnarli definitivamente nelle mani degli speculatori (magari spiegando che, per salvarsi, non si possono che svendere i gioielli di famiglia…)?

Temo che la soluzione finale sia la seconda. Ma, anche fosse la prima, anche fosse il risanamento, bisogna concludere che ci si può arrivare solo mettendoci nelle mani di un Gran Maestro, cioè archiviando la sovranità del popolo italiano.

 

VIA SILVIO TORNANO I BISATTI

 

In attesa che Berlusconi getti la spugna, tra qualche ora o qualche giorno, la prospettiva, non proprio entusiasmente, è che tornino a tempo pieno i bisatti; che il Paese ripiombi in mano ai soliti Gattopardi.

Lo ha scritto, con molta chiarezza ed incisività, Piero Ostellino sul Corriere: “ex democristiani, missini, socialisti; quel che si dice anguilloni dei fondali della Prima Repubblica. Non si spiegherebbe perchè si auspichi il recupero di Pier Ferdinando Casini, altro bisatto ex democristiano”.

Ostellino spiega che Berslusconi non ha più futuro né credibilità, e se ne deve andare, non – come molti hanno sostenuto – per “le sue frequentazioni serali”, ma perchè non ha potuto o voluto realizzare quelle riforme che lui stesso aveva annunciato. E, a riprova della mancanza di volontà, ricorda che i pochi autentici liberali del suo entourage li ha sostituiti, appunto, con i bisatti della Prima Repubblica: Letta e Scajola, Sacconi e Tremonti, Gasparri e La Russa.

Non che le anguille, che già sguazzavano nel fondo limaccioso della Prima Repubblica, manchino nemmeno a sinistra: Veltroni dichiara di non essere mai stato comunista ma…se l’è scordato solo lui; Bersani e D’Alema non mentono, però sempre bisatti restano; perfino il rottamatore Matteo Renzi è un giovane democristiano (ex popolare) prontamente riciclato; Vendola un già rifondatore comunista folgorato sulla via di ecologia e libertà…(solo Di Pietro sbirro era e sbirro resta).

Tutto bene, tutto lecito per carità. Non fosse per un piccolo problema che ricorda Ostellino, e assieme a lui chiunque non chiuda gli occhi di fronte alla realtà: per risanare i conti e rilanciare la crescita l’Europa, con la famosa lettera Draghi-Trichet, ci chiede – anzi: ci ordina – soluzioni neoliberali: ridurre la spesa pubblica e la pressione fiscale, rimuovere quei lacci e laccioli che “mortificano le forze vive della società civile”.

E qui sta in punto. Se queste misure non ha saputo o voluto adottarle il liberale fedifrago Silvio Berlusconi, possiamo credere che le adotteranno al suo posto quei bisatti della Prima Repubblica che mai nemmeno hanno finto di dirsi tali?

Quindi cosa minaccia di succedere nel dopo Silvio (un dopo, sia chiaro, ormai tanto inevitabile quanto sacrosanto)? Un bel governo istituzionale, o del Presidente, o di salvezza nazionale, che metta assieme quanti più Gattopardi possibili uniti nella lotta per rimmettere comunque le proprie mani sui resti del Paese all’insegna del loro eterno slogan: far finta che tutto cambi, perchè tutto possa così rimanere uguale.


L’AUTO-MACELLERIA SOCIALE

 Se vogliamo chiamare “macelleria sociale” la norma che riguarda la (purtroppo solo parziale) liberalizzazione dei licenziamenti, come fa il sindacato teso a drammatizzare, abbiamo almeno il pudore di aggiungre che è una “macellera sociale” europea, ossia imposta al nostro Paese dai patner europei.

Non è infatti che la Bce, la Merkel e Sarkozy, si siano limitati a pretendere il risanamento dei conti, lasciandoci liberi di decidere come arrivarci. Non è che – ad esempio – possiamo continuare a spendere e assumere pubblici dipendenti, purchè aumentiamo le tasse e, magari con una bella patrimoniale all’anno, arriviamo appunto al pareggio. Non è così.

L’Europa ha fatto come Tremonti con i sindaci. Il quale non si è limitato a ridurre loro i trasferimenti, lasciandoli liberi di decidere dove e come risistemare i bilanci, ma ha precisato: va tagliata la cultura di tot, va tagliata la comuniczione di tot altro, e così via. Allo stesso modo la Ue ha imposto all’Italia, come alla Grecia, di tagliare la spesa pubblica, di ridurre i dipendenti pubblici, di innalzare l’età della pensione e, appunto, di liberalizzare il mercato del lavoro; cioè di superare quel residuo novecentesco che è lo Statuto dei lavoratori, col suo articolo 18 che impedisce i licenziamenti e che – questo è il punto che i sindacati fingono di ignorare – non esiste in nessun altro Paese occidentale moderno.

Oggi le esigenza della crescita e dello sviluppo impongono una svolta epocale, per certi versi simile al passaggio dalla schiavitù al lavoro salariato. Ed il posto fisso di lavoro ha più di un’assonanza con lo schiavismo: allora il rapporto a vita lo imponeva il padrone al lavoratore, oggi vorrebbe imporlo il sindacato all’imprenditore. Per il soggetto interessato – ieri lo schiavo, oggi il dipendente – è comunque una fregatura perchè limita la libertà e le potenzialità di crescita economica.

Se vogliamo anche lo schiavismo prevedeva una sorta di welfare, nel senso che il padrone doveva comunque provvedere ad alloggiare e nutrire lo schiavo anche quand’era ammalato o quando invecchiava; anche quand’era improduttivo. Tant’è che Gillo Pontecorvo, in un celebre film degli anni Sessanta “Queimada”, sosteneva che erano stati i padroni a scegliere di passare dalla schiavitù al lavoro salariato che trovavano più conveniente…

In realtà per il lavoratore l’abolizione della schiavitù significò opportunità prima impensabili; e altrettanto avviene (avverrà) oggi quando e se usciamo dalla logica micragnosa del posto fisso a vita. Certo: dobbiamo essere noi la prima tutela per noi stessi. Non ci tutela più lo Stato né il welfare né il sindacato. La garanzia ci deriva dalla nostra professionalità, dalla competenza e dalla voglia di lavorare.

Conosco una brava ragazza (non tantissime, ma ce ne sono diverse) che fa l’università a pieni voti e con gli esami in regola, e che si mantiene pure facendo la cameriera. Lo fa talmente bene che i bar e le pizzerie se la contendono, al punto che è lei a decidere per quante sere la settimana lavora e per quante ore. E i datori di lavoro accettano. E’ appunto lei che si tutela.

Fosse uno di quei camerieri svagati che portano un piatto alla volta con due mani, dovrebbe invocare lo Statuto dei lavoratori e iscriversi al sindacato. E nemmeno basterebbe ad evitare di perdere il posto…

Nessun datore ha mai licenziato un dipendente serio e capace, a meno che l’azienda non andasse in crisi. Nel qual caso il dipendente (serio e capace) ha sempre trovato un’occupazione alternativa in tempi accettabili.

E’ inutile, anzi è vergognoso, agitare la “macelleria sociale” illudendosi di conservare le tutele di un passato che è, appunto, passato. Oggi o sai essere un soggetto del nuovo mercato globale; oppure sei un servo, non della gleba ma del sindacato, che si automacella.

 

 

 

IL SERVIZIO PUBBLICO DI SANTORO

 Alla fine si chiama “Servizio pubblico” la nuova trasmissione di Michele Santoro (che Telenuovo trasmetterà a partire da Giovedì 3 Novembre). Il primo titolo “Comizi d’amore” era solo provvisorio, quello definitivo è certamente molto più santoriano.

Il sottinteso dal Michele, conduttore televisivo principe, è infatti evidente: io faccio l’informazione televisiva più completa e stimolante quindi io, anche se non la faccio in Rai, sono il vero servizio pubblico.

Breve inciso: non c’è dubbio che non basta fare un’informazione completa (o, se volete, equilibrata). Perchè, se non è anche stimolante, ti addormenti e quindi è come se l’informazione non ci fosse.

Lasciamo stare – dipende dalla valutazione di ognuno – se le trasmissioni di Santoro siano o meno l’incarnazione dell’informazione televisiva completa, equilibrata e stimolante. Qui interessa sottolineare che lui pone una precisa questione di principio: pubblico significa, deve significare, qualità.

C’è un principio etico che è difficile non condividere. Proprio perchè pubblico, proprio perchè è pagato con i soldi dei cittadini non può non avere qualità. Anzi: deve avere una qualità superiore al privato. (comprese le trasmissioni di Santoro per le quali lui chiede ai cittadini un libero contributo di 10 euro).

E questo principio vale, deve valere, per un qualsiasi servizio, per un qualsiasi prodotto. Chi garantisce la migliore qualità, quello sta erogando un servizio, oppure realizzando un prodotto, che merita fregiarsi del titolo di “pubblico”.

Quindi se una scuola privata insegna una certa materia, o un’insieme di materie, meglio di una cosiddetta scuola pubblica, è lei la vera scuola pubblica ancorchè privata.

Lo stesso dicasi per la sanità dove il rapporto costo-qualità della prestazione, fin’ora sistematicamente ignorato, diventerà sempre più decisivo ed ineludibile.

Potremmo concludere sostenendo che Santoro è un nemico dichiarato della pubblica amministrazione, nel senso che la costringe a confrontarsi in un mercato purtroppo ipotetico (nel senso che, in assenza della sfida di altri Michele, opera quasi sempre in regime monopolistico) per vereficare nei fatti se effettivamente sappia amministrare e, soprattutto, se sia degna di chiamarsi “pubblica”.

Chiudo con uno dei mille esempi possibili. Se posso comprare vasi di terracotta tramite internet da una qualuque azienda toscana, questa è un’azienda pubblica (sempre nell’accezione santoriana). Mentre se devo andare di persona in Comune per la carta d’identità o mia figlia deve fare la coda alla segreteria della sua facoltà per registrare un esame, è la prova che comuni ed università sono fatte della stessa pasta…della Rai: aziende “private”, che più borboniche, inefficienti ed arretrate di così non si può.

 

GLI INDIGNADOS, I NOSTRI FIGLI

 

Gli indignados, a ben guardare, sono i nostri figli; figli cioè di vizii e furbizie che vangono da lontano: come i famosi aerei del Duce. In ogni città dove si recava in visita veniva accolto da pattuglie aeree rombanti, sembrava che avessimo la più grande flotta al mondo di caccia e bombardieri: invece erano sempre gli stessi veivoli che seguivano Mussolini in giro per l’Italia

Così gli indignados sono sempre gli stessi, solo che cambia il nome: una volta li chiamiano No tav, un’altra Black bloc, un’altra ancora anarchici insurrezionalisti oppure no globa o antagonisti. Sono sempre gli stessi, qualche migliaia in tutto. Non serve disporre nemmeno una intercettazione perchè la Digos già li conosce uno ad uno, e siamo di fronte alla flagranza di reato (documentata da riprese di ogni genere)

Eppure non vengono perseguiti con determinazione. Come mai, di fronte all’evidenza del tentato omicidio dei carbinieri che si trovavano all’interno del blindato dato alle fiamme, non partamo con questo preciso capo d’accusa? Perchè ci limitiamo a parlare di “resistenza pluriaggravata”, “possesso di armi improprie, “devastazioni”; e solo forse, dico forse, si ipotizzano reati più pesanti?

I magistrati sono solo una delle rotelle del meccanismo. Quei magistrati che partecipano della cultura dell’antistato alla pari di tanti politici, giornalisti, intellettuali ed esponenti della cosiddetta società civile. Una cultura che viene da lontano, dagli anni in cui si cominciò a parlare di servizi deviati, di stragi di Stato, di strategia della tensione.

Se sei convinto che le stragi e gli attentati li abbiano organizzati i servizi deviati, su ordine della Dc che governava il Paese, come fai poi ad accusare i terroristi? Finisci col pensare che hanno fatto bene, che era giustificato anche il rapimento di Aldo Moro. Minimo, per coerenza con questa convinzione, vai a firmare i famosi manifesti “né con lo Stato né con le Br”…

Anche oggi, all’indomani del sabato violento di Roma, c’è chi pensa e dice che i violenti si sapeva chi sono, che era semplice bloccarli, che si poteva prevenire gli incidenti ma non si è voluto farlo. Tradotto: Berlusconi, in accordo con Maroni, ha architettato la nuova strategia della tensione, mettendo a busta paga gli indignados, per recuperare i voti dei moderati!

Finchè si ragione così, finchè è diffusa la cultura dell’antistato e del complotto, si perdono di vista perfino distinzioni elementari. Ad esempio che la polizia ha tutto il diritto di essere violenta perchè i tutori dell’ordine, contrariamente agli indignados, esercitano la violenza in nome dello Stato a difesa dei cittadini. Noi invece abbiamo messo tutto e tutti nello stesso calderone. La polizia è diventata “fascista” cioè imbelle, e dovrebbe star li buona a farsi bruciare viva dentro ai blindati…(significativo che anche oggi il sito di Repubblica mostri, indignato, un poliziotto che lancerebbe un cubetto di porfido. Lo capiamo o no che i poliziotti possono lanciarne anche mille, mentre i No tav nemmeno uno?)

la cultura dell’antistato è talmente diffusa che un personaggio emblema del sistema e della casta, al punto di essere dentro a Mediobanca e al Corriere della sera, può recitare impunemente la parte dell’antisistema e lanciare il proclama “politici ora basta”. E noi – ecco la cosa veramente grave – invece di sommergere di pernacchie Della Valle, stiamo anche a prenderlo sul serio!

Quindi, tornando al punto, non processiamo e non condanniamo gli indignados per un motivo molto semplice: sono i nostri figli, figli della cultura cialtronesca di gran parte della cosiddetta “classe dirigente” italiana.

L’APARTHEID DELLE PENSIONI

 Faccio fatica a dimenticare due dati pubblicati dal Corriere a margine dell’ipotesi di un prelievo dell’1% dalle babypensioni. Oggi, a sedici anni dallo stop (deciso dal governo Dini) l’Inps sborsa ancora ogni anni 9,5 miliardi di euro per i baby pensionati. Donne che, fin dai primi Anni Settanta, sono andate in pensione con 15 anni sei mesi e un giorno, uomini con 19 anni sei mesi e un giorno. E da allora, avendo versato contributi irrisori, continuano ad incassare l’assegno.

Secondo dato: dei 9,5 miliardi ben 7,4 vanno ad ex pubblici dipendenti che sono dunque all’80% i fruitori delle baby pensioni. Quindi, nel sistema pensionistico italiano fu introdotta a suo tempo, e vige tutt’ora (finchè morte non sopraggiunga) una sorta di apartheid: ci sono i bianchi, cioè gli statali, che fruiscono dell’assegno prima; e ci sono i negri, gli extracomunitari, cioè il resto degli italiani, che – essendo negri – dovevano lavorare minimo dieci anni più dei bianchi.

Ci fosse stato un cane tra i progressisti, tra i sindacalisti, tra gli estensori dello Statuto dei Lavoratori, tra i custodi della Costituzione, a denunciare questa vergognosa discriminzione tra lavoratori. Nemmeno uno, tutti silenti e d’accordo. Tutti razzisti.

Ne parlavamo a Rosso & Nero e un ospite mi fa notare che, sì, nella Prima Repubblica c’era questo vergognoso privilegio per gli statali ma, in compenso, con i lavoratori autonomi, si chiudevano tutti e due gli occhi: liberi cioè di evadere a manetta. Un altro ospite aggiunge che però i dipendenti privati di Marghera, erano ben felici di finire in cassa integrazione perchè così – senza alcun controllo – si mettevano a fare il secondo lavoro in nero…

Insomma non è che gli statali fossero gli unici privilegiati: ognuno aveva il suo benefit, godeva della sua piccola apartheid. Ed è così che negli anni di formò e si è ingessatqa l’Italia-India: dove c’è sì la casta dei politici, ma anche quella dei giornalisti, dei magistrati, dei pubblici dipendenti, dei farmacisti e via di corporativismo in corporativismo.

La cosa, se vogliamo, divertente è che i beneficiati sono ingrati. Le baby pensioni agli statali vennero infatti garantite dai governi democristiani, con l’appoggio in prima fila della Cisl; il risultato è quello noto: i pubblici dipendenti votavano a larga maggioraza Pci (tutt’ora votano in prevalenza a sinistra) e non disdegnavano le iscrizioni alla Cgil…

Questo riflesso, a mordere la mano che ti aiuta, mariterebbe uno studio di psicologia sociale. Il beneficiato ha un sussulto di dignità; vuol dimostrare di essere rimasto libero, che non c’è posto di lavoro al figlio o babypensione a lui in grado di comperare il consenso. Esistesse, al contrario, la gratitudine non ci sarebbe la mobilità elettorale con tutto il clientelismo che i partiti hanno esercitato e disseminatonei decenni.

Ci riflettessero i nostri governanti, così timorosi di perdere il consenso delle corporazioni, così tremebondi anche all’idea di liberalizzare tassisti o periti agrari. E se spuntasse un elettorato trasversale che apprezza il coraggio, la capacità di bastonare invece che di titillare, cioè la dote prima degli statisti veri?…

 

 

CON GLI STRANIERI VIVA LA FIOM!

 

Nel fronte liberale e liberista, tra noi sostenitori di Marchionne e detrattori di Emma (Camusso) Marcegaglia, si apre una clamorosa contraddizione quando, nel mercato del lavoro, entrano in ballo gli stranieri.

Prescindendo da loro non abbiamo dubbi: basta contratti nazionali, sostituiamoli con quelli aziendali, la retribuzione va contrattata e definita in rapporto alla produttività; per reggere la concorrenza internazionale bisogna tornare ad essere concorrenziali, non possiamo mantenere piccoli o grandi privilegi improduttivi chiamandoli “diritti acquisiti”; anche l’orario di lavoro va rimodellato in funzione degli odinativi, e via dicendo.

Tutto giusto, tutti d’accordo, noi liberali. Ma, quando si parla di lavoratori stranieri, il fronte si spacca: una parte cospicua, invece che ribadire il viva Marchionne, si mette gridare viva la Fiom. Invoca cioè regole molto rigide e controlli ferrei per tutelare i lavoratori italiani dalla concorrenza degli stranieri.

Esempio lampante quello di Libero che, fin dalla testata si presenta come quotidiano liberale, ma che non lo è affatto nei confronti dei tanti stranieri per bene che sono nel nostro Paese per lavorare. (Non stiamo parlando, sia chiaro, dei delinquenti che sono tutt’altra questione).

Proprio oggi Libero, con un articolo di Gilberto Oneto, critica duramente la deregolamentazione che gli stranieri hanno introdotto nel mercato del lavoro, accettando di farsi pagare di meno, di essere molto flessibili sull’orario e sulla tipologia contrattuale. Per tutto questo vengono accusati di fare “concorrenza sleale”. Ma è, in sostanza, la stessa concorrenza che gli operai della Crysler fanno a quelli della Fiat! (col risultato di incrementare le vendite del 27%). Il loro modo di lavorare non è l’incarnazione del modello Marchionne?

Oso dire che i lavoratori stranieri sono una benedezione. Anzitutto per la semplice ragione che ci ricordano come, per campare, bisogna lavorare. Danno la sveglia ai loro colleghi italiani, nel senso che ci mostrano come eravamo e quanto lavoravamo nel recente passato. Sono la forza d’urto che forse (forse) riuscirà a spezzare il nostro mercato paralizzato dalla difesa degli interessi corportivi e quindi ormai privo dell’indispensabile mobilità sociale.

Purtroppo è solo a livello di manovalanza che vengono pagati meno. Speriamo che arrivino frotte di dentisti stranieri, che finalmente non servirà più andare in Slovenia per curarsi una carie senza contrarre il mutuo. Speriamo che arrivino legioni di ingegnieri, di giornalisti, di farmacisti e geometri, che finalmente mandino al macero gli ordini professionali e torniano a farci pagare tutto ad un prezzo equo.

Altro che demonizzarli: i lavoratori stranieri sono il sale della terra italiana. Almeno fino a quando non si iscriveranno tutti alla Fiom…che a quel punto saranno diventati italiani anche senza la cittadinanza…



SERGIO SALUTA EMMA E SE NE VA

 

 

Sergio Marchionne saluta Emma (Camusso) Marcegaglia e se ne va: porta la Fiat via da Confindustria. Un po’ come se i metalmeccanici della Fiom se ne andassero via dalla Cgil, ci si domanderebbe cos’è rimasto del sindacato rosso. Così oggi ci si domanda cosa resta di Confindustria: se va via il colosso Fiat, ha senso che ci restino quelle piccole e medie aziende venete che già ti domandavi cosa ci stavano a fare…(forse per esibire l’associazione a Confindustria sul biglietto da visita, come fosse il titolo di commendatore?…).

Il paradosso estremo è che la Fiat non sta più in Confindustria ora che è giudata da un imprenditore vero, che vuole stare sul mercato solo con le sue forze, mentre ci stava prima mentre era guidata da ricattatori che scambiavano la tutela dei posti di lavoro con gli aiuti pubblici. Dal che si deduce che Confindustria si addice agli imprenditori finti, ai lobbisti, ai Diego della Valle che dicono basta alla casta dei politici, mentre continuano a sedere nei consigli di amministrazione delle banche e dei giornali (vogliamo dire basta anche al conflitto di interessi tra produzione di scarpe, finanza ed editoria?).

Confindustria e Cgil, Emma e Susanna, sono più che mai sulla stessa barca: se una finisce fuoribordo, la barca si rovescia e casca in acqua pure l’altra. Con la differenza che mentre possiamo ancora considerare i lavoratori soggetti deboli, e quindi bisognosi della tutela sindacale (fin quando non faranno una denuncia per violazione della legge Mancino…), non si capisce cosa serva un sindacato a degli imprenditori degni di questo nome: ad elaborare le strategie aziendali? Ad individuare i nuovi mercati? A capire quando è il momento di investire per innovare i processi produttivi?

Bastasse un funzionario di Confindustria a indottrinarci, diventeremmo tutti imprenditori di successo. Ma non ne ho visto uno dei tanti grandi imprenditori veneti ammirati nei decenni – da Apollinare Veronesi a Teo Sanson, da Giovanni Rana a Luigino Rossi – che sia arrivarto dove sono arrivati grazie alle strategie di politica industriale elaborate da Confindustria dopo la concertazione con i sindacati e con il governo.

Veronesi a suo tempo costruì il più grande mangimificio d’Europa, non ostante la politica abbia impiegato trent’anni a realizzare solo un decente collegamento stradale col suo stabilimento. A me la politica poteva garantire anche un’autostrada ad otto corsie ma non sarei mai diventato Apollinare Veronesi. Perchè ci vuole anzitutto la genialità, la caratura, dell’imprenditore.

Dopo serve anche il resto: i servizi che, a costi competitivi, dovrebbero grantire le associzioni di categoria senza diventare carozzoni assistiti; gli interventi della politica per aiutare, non per intralciare, chi sa creare lavoro e ricchezza. Da questo punto di vista la prima cosa che Confindustria dovrebbe chiedere a qualsiasi governo è: pagateli pure, ma lasciateli a casa gli eserciti di burocrati che avete assunto, che non facciano danni con norme, regolamenti, disposizioni utili solo ad intralciare chi produce…

Confindustria e le associazioni di categoria hanno invece (nella migliore delle ipotesi) l’ambizione di trasformare in purosangue anche i brocchi. Pensano cioè che una volta concordato col sindacato e ottenuto adeguati interventi governativi, una volta messo a punto le condizioni teoriche per la produzione, tutti gli imprenditori avranno successo, come tutti gli artigini o tutti i commercianti.

Non capicono che è la stessa logica del voto di gruppo o dell’esame politico che, nel Sessantotto, pretendeva di promuovere tutti gli studenti. Ma, quando si passa dalle teoria alla realtà, ci sono gli studenti bocciati come gli imprenditori che – per diversi motivi – non sanno tenere il passo con i tempi.

E il passo oggi non lo tieni con gli aiuti o gli aiutini, ma con la ricetta Marchionne, cioè con i contratti aziendali proposti dall’imprenditore e accettati dai lavoratori. Tenendo presente che devi anzitutto essere competitivo, devi vendere il prodotto per pagare gli stipendi. Altrimenti tutti i “diritti acquisiti” fanno la fine che stanno facendo in Grecia.


SILVIO, BERSANI E L’AYATOLLAH

 

 

Dunque c’è questo Berlusconi così esuberante, nei suoi comportamenti licenziosi, che bisogna “purificare l’aria” come dice Bagnasco, cioè mandarlo a casa. Ma non siamo in Iran, e quindi non può provvedere alla bisogna l’ayatollah che siede al vertice della Cei. Può al massimo aiutare. Così come da una mano Emma Camusso Marcegaglia, oppure i pm di Napoli che quanto a licenziosità giuridica hanno pochi rivali.

Ma a mandare a casa Berluconi deve (dovrebbe) provvedere, per definizione democrtica, l’opposizione. Che invece è tanto rachitica almeno quanto il premier è esuberante ( più nel governo della “patonza” che del paese).

Bersani non è così sciocco da non sapere che continuare a ripetere “Berlusconi a casa, Berlusconi a casa!” è solo un ritornello stantio ed inconcludente. Per mandarcelo sul serio bisognerebbe costruire una concreta alternativa politica. Della serie: siamo pronti a votare Maroni premier. Che lui (e i gruppi parlamentari leghisti che controlla) magari ci stà perchè otterrebbe il doppio risultato di madare a casa sia Silvio che l’Umberto…

Ma il povero Bersani mai riuscirà a mettere d’accordo quell’armata Brancaleone che va da Vendola fino a Casini. (Il quale Casini ha una certa difficoltà a dire che bisogna liberarsi del Berlusca,licenzioso in privato, con l’aiuto del Nichi che le foto mostrano mentre si faceva slenguazzare l’orecchio in pubblico durante il gay pride a Bari…) E così proprio l’opposizione, col suo rachitismo, è la migliore garanzia di sopravvivenza del premier esuberante.

Qualcosa resta da dire sull’ayatollah Bagnasco. Anzitutto che, per cominciare a purificar lui l’aria, avrebbe dovuto rifiutare, da un premier così licenzioso e nel pieno di una crisi economica così acuta, la conferma dell’esenzione dall’ici per gli edifici religiosi ad uso commerciale…

C’è poi da chiedersi se non debba imparare la lezione di umiltà e autocritica da Papa Ratzinger che, nelle stesse ore in Germania, lungi dal puntare il dito pensava a cospargersi il capo di cenere dicendo: capisco quei fedeli che lasciano la Chiesa cattolica di fronte allo scandalo dei preti pedofili.

Ho il massimo rispetto per una Chiesa che, nella sua storia millenaria, ha conosciuto inferno e redenzione. Ciò che è successo ora nelle serate di Arcore è cosa da educande in confronto a quanto accadeva nei palazzi vaticani durante il Rinascimento. Al punto che – come ha ricordato sempre Ratzinger – arrivò la Riforma di Lutero che spinse la Chiesa a risorgere con la Controriforma.

Tuttavia, prima della Controriforma, non potevano esserci né resurrezione e nemmeno prediche. E questo mi pare che valga anche oggi: perchè di preti, vescovi, cardinali, Legionari, pedofili ce ne sono schiere compatte da mandare a casa. Se i “comportamenti licenziosi” sono un peccato, le pratiche pedofile sono certamente anche un reato oltre che un peccato.

Quindi prima si fa pulizia a casa propria, e solo dopo si riacquista la credibilità per chiedere di purificare l’aria a Palazzo Chigi.

 

BERLUSCONI E L’ARMA SEGRETA

 

Giuliano Ferrara da amico di Berlusconi, come ama definirsi per chiarezza, scrive nel fondo domenicale sul Giornale che comunque sia il Cavaliere è stato “incastrato”.

Questo è il punto, questo il problema politico. Si può ripetere all’infinito, come hanno fatto tutti i massimi dirigenti del Pdl riuniti a Cortina, che è una vergogna, che è scandalosa la violazione della privacy, che è vittima del circuito mediatico giudiziario. Ma il dato politico resta: ingiustamente o giustamente, fatto sta che Berlusconi è incastrato; si riesce a disincastrarlo, cioè a fargli recuperare credibilità e – soprattutto – slancio per un’efficace azione di governo?

Lo stesso Ferrara l’ha definita la “missione impossibile” di Berlusconi…

Sempre a Cortina un dirigente veneto del Pdl, che viene dal Msi, è stata forse ancor più efficace, commentando nell’anonimato: “Siamo nel ridotto della Valtellina a sperare che i nazisti abbiano inventato l’arma segreta capace di farci vincere la guerra…ma, come sappiamo, l’arma segreta non esisteva allora e non esiste oggi”

E’ pressochè impossibile che arrivi la V2 a salvare Berlusconi per una serie di motivi. C’è anzitutto lo sputtanamento da intercettazioni rese pubbliche che, per quanto vergognoso è, appunto, ormai pubblico. Forse c’è anche qualcosa di più.

Le telefonate vanno prese con le molle e richiedono mille riscontri prima di diventare prove. Ma, se fosse vero e dimostrato, che il Cavaliere ha promesso alla Arcuri la conduzione di Sanremo per portarsela a letto, non sarebbe più una questione privata. Un conto è infatti prometterle la direzione del Tg4 al posto di Fede, che il Tg4 è cosa sua, di Berlusconi; mentre Sanremo e la Rai sono cosa nostra. Si tratterebbe cioè di un incarico ben remunerato in un’azienda pubblica. Della serie, per capirci, Gianfranco Fini che fece ottenere produzioni in Rai alla mamma dell’amata Elisabetta Tulliani…

C’è poi un’altra questione, ancora più pregnante, che rende assai ardua la fabbricazione dell’arma segreta vincente. Sono i programmi, i programmi di governo, che Pdl (e Lega) hanno completamente disatteso: nessun taglio delle tasse, anzi l’esatto contrario; le “città più sicure” sono rimaste sui manifesti della campagna elettorale; la riforma della pubblica amministrazione è ferma al display con le tre faccine; il contrasto all’immigrazione è naufragato con la guerra a Gheddafi; e via elencando.

Credo che a fronte di una incisiva e palpabile azione di governo, gli elettori – almeno quelli di centrodestra – avrebbero perdonato a Berlusconi una, cento, mille escort. Mentre, rimasti a bocca asciutta sulle aspettative che li avevano indotti a votare, sono diventati bacchettoni pure loro e non perdonano nemmeno lo sguardo ad una scollatura…

L’arma segreta si è infranta sulle parole pronunciate a Cortina da Galan, riguardo all’esecutivo di cui fa parte: “In teoria – ha detto – doveva essere un governo liberale, in pratica è stato governo socialista”.