CON GLI STRANIERI VIVA LA FIOM!

 

Nel fronte liberale e liberista, tra noi sostenitori di Marchionne e detrattori di Emma (Camusso) Marcegaglia, si apre una clamorosa contraddizione quando, nel mercato del lavoro, entrano in ballo gli stranieri.

Prescindendo da loro non abbiamo dubbi: basta contratti nazionali, sostituiamoli con quelli aziendali, la retribuzione va contrattata e definita in rapporto alla produttività; per reggere la concorrenza internazionale bisogna tornare ad essere concorrenziali, non possiamo mantenere piccoli o grandi privilegi improduttivi chiamandoli “diritti acquisiti”; anche l’orario di lavoro va rimodellato in funzione degli odinativi, e via dicendo.

Tutto giusto, tutti d’accordo, noi liberali. Ma, quando si parla di lavoratori stranieri, il fronte si spacca: una parte cospicua, invece che ribadire il viva Marchionne, si mette gridare viva la Fiom. Invoca cioè regole molto rigide e controlli ferrei per tutelare i lavoratori italiani dalla concorrenza degli stranieri.

Esempio lampante quello di Libero che, fin dalla testata si presenta come quotidiano liberale, ma che non lo è affatto nei confronti dei tanti stranieri per bene che sono nel nostro Paese per lavorare. (Non stiamo parlando, sia chiaro, dei delinquenti che sono tutt’altra questione).

Proprio oggi Libero, con un articolo di Gilberto Oneto, critica duramente la deregolamentazione che gli stranieri hanno introdotto nel mercato del lavoro, accettando di farsi pagare di meno, di essere molto flessibili sull’orario e sulla tipologia contrattuale. Per tutto questo vengono accusati di fare “concorrenza sleale”. Ma è, in sostanza, la stessa concorrenza che gli operai della Crysler fanno a quelli della Fiat! (col risultato di incrementare le vendite del 27%). Il loro modo di lavorare non è l’incarnazione del modello Marchionne?

Oso dire che i lavoratori stranieri sono una benedezione. Anzitutto per la semplice ragione che ci ricordano come, per campare, bisogna lavorare. Danno la sveglia ai loro colleghi italiani, nel senso che ci mostrano come eravamo e quanto lavoravamo nel recente passato. Sono la forza d’urto che forse (forse) riuscirà a spezzare il nostro mercato paralizzato dalla difesa degli interessi corportivi e quindi ormai privo dell’indispensabile mobilità sociale.

Purtroppo è solo a livello di manovalanza che vengono pagati meno. Speriamo che arrivino frotte di dentisti stranieri, che finalmente non servirà più andare in Slovenia per curarsi una carie senza contrarre il mutuo. Speriamo che arrivino legioni di ingegnieri, di giornalisti, di farmacisti e geometri, che finalmente mandino al macero gli ordini professionali e torniano a farci pagare tutto ad un prezzo equo.

Altro che demonizzarli: i lavoratori stranieri sono il sale della terra italiana. Almeno fino a quando non si iscriveranno tutti alla Fiom…che a quel punto saranno diventati italiani anche senza la cittadinanza…



SERGIO SALUTA EMMA E SE NE VA

 

 

Sergio Marchionne saluta Emma (Camusso) Marcegaglia e se ne va: porta la Fiat via da Confindustria. Un po’ come se i metalmeccanici della Fiom se ne andassero via dalla Cgil, ci si domanderebbe cos’è rimasto del sindacato rosso. Così oggi ci si domanda cosa resta di Confindustria: se va via il colosso Fiat, ha senso che ci restino quelle piccole e medie aziende venete che già ti domandavi cosa ci stavano a fare…(forse per esibire l’associazione a Confindustria sul biglietto da visita, come fosse il titolo di commendatore?…).

Il paradosso estremo è che la Fiat non sta più in Confindustria ora che è giudata da un imprenditore vero, che vuole stare sul mercato solo con le sue forze, mentre ci stava prima mentre era guidata da ricattatori che scambiavano la tutela dei posti di lavoro con gli aiuti pubblici. Dal che si deduce che Confindustria si addice agli imprenditori finti, ai lobbisti, ai Diego della Valle che dicono basta alla casta dei politici, mentre continuano a sedere nei consigli di amministrazione delle banche e dei giornali (vogliamo dire basta anche al conflitto di interessi tra produzione di scarpe, finanza ed editoria?).

Confindustria e Cgil, Emma e Susanna, sono più che mai sulla stessa barca: se una finisce fuoribordo, la barca si rovescia e casca in acqua pure l’altra. Con la differenza che mentre possiamo ancora considerare i lavoratori soggetti deboli, e quindi bisognosi della tutela sindacale (fin quando non faranno una denuncia per violazione della legge Mancino…), non si capisce cosa serva un sindacato a degli imprenditori degni di questo nome: ad elaborare le strategie aziendali? Ad individuare i nuovi mercati? A capire quando è il momento di investire per innovare i processi produttivi?

Bastasse un funzionario di Confindustria a indottrinarci, diventeremmo tutti imprenditori di successo. Ma non ne ho visto uno dei tanti grandi imprenditori veneti ammirati nei decenni – da Apollinare Veronesi a Teo Sanson, da Giovanni Rana a Luigino Rossi – che sia arrivarto dove sono arrivati grazie alle strategie di politica industriale elaborate da Confindustria dopo la concertazione con i sindacati e con il governo.

Veronesi a suo tempo costruì il più grande mangimificio d’Europa, non ostante la politica abbia impiegato trent’anni a realizzare solo un decente collegamento stradale col suo stabilimento. A me la politica poteva garantire anche un’autostrada ad otto corsie ma non sarei mai diventato Apollinare Veronesi. Perchè ci vuole anzitutto la genialità, la caratura, dell’imprenditore.

Dopo serve anche il resto: i servizi che, a costi competitivi, dovrebbero grantire le associzioni di categoria senza diventare carozzoni assistiti; gli interventi della politica per aiutare, non per intralciare, chi sa creare lavoro e ricchezza. Da questo punto di vista la prima cosa che Confindustria dovrebbe chiedere a qualsiasi governo è: pagateli pure, ma lasciateli a casa gli eserciti di burocrati che avete assunto, che non facciano danni con norme, regolamenti, disposizioni utili solo ad intralciare chi produce…

Confindustria e le associazioni di categoria hanno invece (nella migliore delle ipotesi) l’ambizione di trasformare in purosangue anche i brocchi. Pensano cioè che una volta concordato col sindacato e ottenuto adeguati interventi governativi, una volta messo a punto le condizioni teoriche per la produzione, tutti gli imprenditori avranno successo, come tutti gli artigini o tutti i commercianti.

Non capicono che è la stessa logica del voto di gruppo o dell’esame politico che, nel Sessantotto, pretendeva di promuovere tutti gli studenti. Ma, quando si passa dalle teoria alla realtà, ci sono gli studenti bocciati come gli imprenditori che – per diversi motivi – non sanno tenere il passo con i tempi.

E il passo oggi non lo tieni con gli aiuti o gli aiutini, ma con la ricetta Marchionne, cioè con i contratti aziendali proposti dall’imprenditore e accettati dai lavoratori. Tenendo presente che devi anzitutto essere competitivo, devi vendere il prodotto per pagare gli stipendi. Altrimenti tutti i “diritti acquisiti” fanno la fine che stanno facendo in Grecia.


SILVIO, BERSANI E L’AYATOLLAH

 

 

Dunque c’è questo Berlusconi così esuberante, nei suoi comportamenti licenziosi, che bisogna “purificare l’aria” come dice Bagnasco, cioè mandarlo a casa. Ma non siamo in Iran, e quindi non può provvedere alla bisogna l’ayatollah che siede al vertice della Cei. Può al massimo aiutare. Così come da una mano Emma Camusso Marcegaglia, oppure i pm di Napoli che quanto a licenziosità giuridica hanno pochi rivali.

Ma a mandare a casa Berluconi deve (dovrebbe) provvedere, per definizione democrtica, l’opposizione. Che invece è tanto rachitica almeno quanto il premier è esuberante ( più nel governo della “patonza” che del paese).

Bersani non è così sciocco da non sapere che continuare a ripetere “Berlusconi a casa, Berlusconi a casa!” è solo un ritornello stantio ed inconcludente. Per mandarcelo sul serio bisognerebbe costruire una concreta alternativa politica. Della serie: siamo pronti a votare Maroni premier. Che lui (e i gruppi parlamentari leghisti che controlla) magari ci stà perchè otterrebbe il doppio risultato di madare a casa sia Silvio che l’Umberto…

Ma il povero Bersani mai riuscirà a mettere d’accordo quell’armata Brancaleone che va da Vendola fino a Casini. (Il quale Casini ha una certa difficoltà a dire che bisogna liberarsi del Berlusca,licenzioso in privato, con l’aiuto del Nichi che le foto mostrano mentre si faceva slenguazzare l’orecchio in pubblico durante il gay pride a Bari…) E così proprio l’opposizione, col suo rachitismo, è la migliore garanzia di sopravvivenza del premier esuberante.

Qualcosa resta da dire sull’ayatollah Bagnasco. Anzitutto che, per cominciare a purificar lui l’aria, avrebbe dovuto rifiutare, da un premier così licenzioso e nel pieno di una crisi economica così acuta, la conferma dell’esenzione dall’ici per gli edifici religiosi ad uso commerciale…

C’è poi da chiedersi se non debba imparare la lezione di umiltà e autocritica da Papa Ratzinger che, nelle stesse ore in Germania, lungi dal puntare il dito pensava a cospargersi il capo di cenere dicendo: capisco quei fedeli che lasciano la Chiesa cattolica di fronte allo scandalo dei preti pedofili.

Ho il massimo rispetto per una Chiesa che, nella sua storia millenaria, ha conosciuto inferno e redenzione. Ciò che è successo ora nelle serate di Arcore è cosa da educande in confronto a quanto accadeva nei palazzi vaticani durante il Rinascimento. Al punto che – come ha ricordato sempre Ratzinger – arrivò la Riforma di Lutero che spinse la Chiesa a risorgere con la Controriforma.

Tuttavia, prima della Controriforma, non potevano esserci né resurrezione e nemmeno prediche. E questo mi pare che valga anche oggi: perchè di preti, vescovi, cardinali, Legionari, pedofili ce ne sono schiere compatte da mandare a casa. Se i “comportamenti licenziosi” sono un peccato, le pratiche pedofile sono certamente anche un reato oltre che un peccato.

Quindi prima si fa pulizia a casa propria, e solo dopo si riacquista la credibilità per chiedere di purificare l’aria a Palazzo Chigi.

 

BERLUSCONI E L’ARMA SEGRETA

 

Giuliano Ferrara da amico di Berlusconi, come ama definirsi per chiarezza, scrive nel fondo domenicale sul Giornale che comunque sia il Cavaliere è stato “incastrato”.

Questo è il punto, questo il problema politico. Si può ripetere all’infinito, come hanno fatto tutti i massimi dirigenti del Pdl riuniti a Cortina, che è una vergogna, che è scandalosa la violazione della privacy, che è vittima del circuito mediatico giudiziario. Ma il dato politico resta: ingiustamente o giustamente, fatto sta che Berlusconi è incastrato; si riesce a disincastrarlo, cioè a fargli recuperare credibilità e – soprattutto – slancio per un’efficace azione di governo?

Lo stesso Ferrara l’ha definita la “missione impossibile” di Berlusconi…

Sempre a Cortina un dirigente veneto del Pdl, che viene dal Msi, è stata forse ancor più efficace, commentando nell’anonimato: “Siamo nel ridotto della Valtellina a sperare che i nazisti abbiano inventato l’arma segreta capace di farci vincere la guerra…ma, come sappiamo, l’arma segreta non esisteva allora e non esiste oggi”

E’ pressochè impossibile che arrivi la V2 a salvare Berlusconi per una serie di motivi. C’è anzitutto lo sputtanamento da intercettazioni rese pubbliche che, per quanto vergognoso è, appunto, ormai pubblico. Forse c’è anche qualcosa di più.

Le telefonate vanno prese con le molle e richiedono mille riscontri prima di diventare prove. Ma, se fosse vero e dimostrato, che il Cavaliere ha promesso alla Arcuri la conduzione di Sanremo per portarsela a letto, non sarebbe più una questione privata. Un conto è infatti prometterle la direzione del Tg4 al posto di Fede, che il Tg4 è cosa sua, di Berlusconi; mentre Sanremo e la Rai sono cosa nostra. Si tratterebbe cioè di un incarico ben remunerato in un’azienda pubblica. Della serie, per capirci, Gianfranco Fini che fece ottenere produzioni in Rai alla mamma dell’amata Elisabetta Tulliani…

C’è poi un’altra questione, ancora più pregnante, che rende assai ardua la fabbricazione dell’arma segreta vincente. Sono i programmi, i programmi di governo, che Pdl (e Lega) hanno completamente disatteso: nessun taglio delle tasse, anzi l’esatto contrario; le “città più sicure” sono rimaste sui manifesti della campagna elettorale; la riforma della pubblica amministrazione è ferma al display con le tre faccine; il contrasto all’immigrazione è naufragato con la guerra a Gheddafi; e via elencando.

Credo che a fronte di una incisiva e palpabile azione di governo, gli elettori – almeno quelli di centrodestra – avrebbero perdonato a Berlusconi una, cento, mille escort. Mentre, rimasti a bocca asciutta sulle aspettative che li avevano indotti a votare, sono diventati bacchettoni pure loro e non perdonano nemmeno lo sguardo ad una scollatura…

L’arma segreta si è infranta sulle parole pronunciate a Cortina da Galan, riguardo all’esecutivo di cui fa parte: “In teoria – ha detto – doveva essere un governo liberale, in pratica è stato governo socialista”.

IL “FRITOLOMANE” VA CURATO O INGABBIATO?

 A bocce ferme e col senno di poi, bisogna dire che aveva ragione Veronica Lario in quella famosa lettera a Repubblica (che diede avvio a tutto l’ambaradan) dove sosteneva che Berlusconi è malato. Malato di fritola: è il suo pensiero fisso, l’ossessione, da quando si sveglia a quando tramonta la luna.

Come il cocainomane, per procurarsi la materia prima, si circonda di personaggi ambigui e rischia di finire sotto ricatto, così capita anche al “fritolomane”. Così è capitato anche al “transomane” Piero Marrazzo. E non c’è dubbio che l’ex presidente del Lazio abbia subito un reato, sia stato vittima di carabinieri corrotti ed altri loschi personaggi.

Dovrebbe essere altrettanto chiaro che anche il fritolomane Silvio Berlusconi è vittima di chi aprofitta della sua malattia. Ma vittima sul serio, non vittima per finta come hanno escogitato gli astuti pm partenopei al solo scopo di trovare l’espediente (testimone reticente) per ingabbiarlo…

Capisco (non condivido, ma capisco) che si ritenga inabile a svolgere una funzione di governo chi è ossessionato dalla fritola, dai trans o dalla coca. Ma che c’entrano i processi e il carcere? Qualcuno ha forse pensato che andavano ingabbiati Marrazzo o Gianni Agnelli o John Kennedy (uno che, per la fritola, perdeva di vista perfino la valigetta coi codici per l’attacco nucleare…) ?

La sinistra e i progressisti in particolare hanno sempre sostenuto che i malati vanno curati; che è una bestialità propria dell’incultura di destra mettere il tossico in galera invece che mandarlo a disintossicarsi in comunità. Eppure queste toghe così illuminate nemmeno per un attimo contemplano l’ipotesi che l’erotomane Silvio possa e debba curarsi, come hanno fatto – ad esempio – il deputato americano Anthony Weiner o la stella del golf Tiger Woods. Non se ne parla: lui, il fritolomane, va messo ai ceppi e basta.

Pensava di essersi conquistata la medaglia al merito Ilda Bocassini con la trovata del processo immediato, una sorta di Norimberga dell’Olgettina..Ma i napoletani, si sa, sono più scaltri dei meneghini e l’hanno escogitata perfida: facciamo finta di credere che il Berlusca sia stato vittima di un’estorsione, lo interroghiamo come persona informata dei fatti (e quindi senza l’assistenza di avvocati), gli diamo una bella torchiatina e se tanto tanto non ci risponde a tutto, zac: lo arrestiamo come testimone reticente. E, a quel punto, tiè alla Ilda e la medaglia al merito se l’appuntano sul petto Lepore e Woodcock.

Sarebbe auspicabile un post scriptum di Veronica dove aggiunga che, oltre ai malati di fritola, ci sono anche i forsennati della pseudo giustizia. Infoiati tali e quali.

PRIMA LO SCIOPERO POI L’AUTOCASTRAZIONE

 

 

Amici e “compagni” del blog, avete voglia di darmi la vostra opinione sullo sciopero generale di oggi, di spiegare a cosa serve?

La mia personale opinione e che, terminato lo sciopero e tanto per restare in tema, protremmo procedere a tagliarci le palle. Diciamo che è solo l’ultima spiaggia – se vogliamo anche comprensibile, però non giustificabile – di una Cgil che, se non sciopera, non si capisce perchè non si chiami Cisl o Uil…

Ma di fronte alla crisi, al crollo delle borse, ad un’Italia sempre più simile alla Grecia, lo sciopero sta a metà tra la follia e l’autolesionismo. E’ inutile girarci intorno o prendersela con una speculazione internazionale che è solo il sintomo: che mette cioè nel mirino i Paesi deboli appunto perchè sono deboli.

Ma lo sono per le scelte o le non scelte dei loro governanti, non per colpa della speculazione. Ed il nostro è un Paese debole perchè spende molto più di quanto possa permettersi rispetto a quanto produce. Spende, scialacqua, con uno stato socio-assistenziale dove gli sperperi sono la strada maestra. Produce poco per vari motivi: imprenditori che, invece che innovare investendo nelle loro aziende, si sono dedicati alle speculazioni finanziarie; assenza totale dei controlli di produttività; divieto assoluto di rimodellare gli organici a seconda delle esigenze e del merito, cioè divieto di licenziare.

In questo contesto lo sciopero generale non fa certo paura alle imprese, perchè blocca la produzione di ordinativi che non ci sono; mentre dovrebbe far paura ai lavoratori che – non essendo calciatori – la giornata di retribuzione la perdono sul serio.

Tutto si gioca sul rapporto tra produzione (nostra, mirata sull’export), spese e consumi (specie di importazione). La lotta all’evasione fiscale è fondamentale, ma solo sotto il profilo della giustizia sia tra persone che tra territori (al Sud l’evasione dell’iva raggiunge il 90%…), mentre non sposta di nulla i termini fondamentali della questione: nel senso che se un Paese spende – in welfare e in import – più di quanto produce, fallisce in ogni caso.

Ultima considerazione su cui vi invito ad esprimervi. Non dico che l’immagine sia tutto ma, nella moderna comunicazione, conta sempre di più. Bene: un Matteo Renzi ha le phisique du role di un moderno politico di sinistra, mentre la Susanna Camusso sembra uscita dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo; è una sindacalista da secolo scorso (agli inizi), sembra la nipote di Nilde Iotti o di Tina Anselmi.

Personaggi, appunto, da Quarto Stato. E mi domando se non lo sia anche Bersani che oggi scende in piazza a braccetto della Susanna. La cinghia di trasmissione ha invertito la marcia: ora è la Cgil che trascina il Pd.

TUTTI PAZZI PER IL RAMADAN

 Tutti pazzi per il Ramadan: Napolitano manda messaggi augurali, la vicesindaca di Milano va alla cerimonia di chiusura con tanto di velo in testa; Alemanno a Roma, non si mette il velo, ma corre in moschea anche lui. Altrettanto fa il vescovo di Verona togliendosi, come prescritto, scarpe e calzini.

Il cattolico tradizionalista Camillo Langone, sul Foglio, è caustico e li infila tutti con la citazione di uno scritto di Ratzinger: “Nella lingua dei profeti il culto degli dei stranieri viene definito come prostituzione”.

Non sono un esperto di Scritture e mi limito ad un’osservazione più banale: vanno di moda le energie alternative e anche le religioni alternative. Qualche decennio fa era molto snob intressarsi di buddismo o induismo, adesso è scoccata l’ora del Ramadan. E chich parlarne e partecipare quantomeno alla cerimonia di chiusura: fa tanto Agelina Jolie a Lampedusa; ci si sente George Clooney che sul palo del Lido “processa” anche lui la casta corrotta dei politici (in attesa di trovare la sostituta della Canalis)…Della serie: così fan tutti

Potrei capire Maria Grazia Guida, la vicesindaca che viene dal mondo cattolico: minimo però mi aspetto che partecipi – sempre col velo in testa – anche ai riti della Quaresima ( o partecipare a questi è troppo retrò, è fuori moda?). Ed immagino che il vescovo di Verona si aspetti di vedere l’imam che venga ad inginocchiarsi in Duomo la prossima Pasqua. Auguri per l’attesa

Ma che ci sta a fare questo improvviso innamoramento per le religioni (altrui) nel laico Giorgio Napolitano? La destra sociale è sempre stata pagana, niciana, stile Casa Pound, e guardava con disprezzo alle fedi monoteistiche del Libro: a cosa è dovuta la repentina conversione di Alemanno?

Se non è la moda, se non è snobismo, non sarà mica un calcolo politico questo dei nostri politici? Possibile che siano tanto fessi da credere che gli elettori islmici li voteranno perchè loro si sono mostrati sensibili alla ricorrenza del Ramadan?

Che sia la sindrome di Arlecchino? Mi spiego: per promuovere la convivenza tra persone di fedi diverse un giorno devo andare in chiesa, il giorno dopo in moschea, quell’altro in sinagoga e l’altro ancora alla Casa del Regno dei testimoni di Geova. Come dire che, per far convivere i cittadini di destra con quelli di sinistra e di centro, oggi devo far vedere che “onoro” Berlusconi, domani Bersani e dopodomani pure Casini…

Se non è Arlecchino sono comunque pagliacciate.

Personalmente trovo che la notizia buona sia quella speculare: al crescente interesse dei nostri politici per il Ramadan corrisponde il crescente disinteresse degli islamici. Tra qualche anno avremo il problema, qui in Italia, del riutilizzo delle moschee dismesse. Perchè il fondamentalismo penetra nei Paesi poveri, come la Bosnia, dove la gente vive ancora a polenta e sardelòn…

Qui da noi, per fortuna, penetra il consumismo, penetrano i supermercati. Alla vicesindaca di Milano bisogna spiegare che di donne velate ne vedi sempre di più all’Esselunga o all’Aliper e sempre meno in moschea…Speriamo bene.

A LORO IL PETROLIO, A NOI I BARCONI

 A loro il petrolio, a noi i barconi.

Sbaragliata l’ultima difesa dei lealisti e messo in fuga il bieco dittatore con i suoi famigliari ( almeno quelli sopravvissuti ai bombardamenti “umanitari” della Nato), abbiamo dunque “vinto” la guerra di Libia. E’ tempo di bilanci, e per noi il risultato è quello che dicevo: ci siamo garantiti profughi e barconi per mesi ed anni a venire. Francia e Inghilterra invece avranno il petrolio, quei contratti privilegiati per le forniture che prima avevamo noi. A ciascuno il suo.

Una guerra dall’esito tanto stupido, rispetto al nostro interesse nazionale, è difficile ricordarla. Viene in mente Mussolini che voleva spezzare le reni alla Gracia o che pregava Hitler di partecipare all’operazione “Barbarossa”…Non che Berlusconi e Napolitano abbiano pregato anche loro Sarkozy…Diciamo che la fragilità dell’Italietta li ha costretti ad assecondare i desiderata dei potenti alleati franco-anglo-statunitensi. Ma il risultato per il nostro Paese è farsesco.

Non bastasse quest’esito, dobbiamo ancora leggere gli ultimi bagliori di puttanate sui nostro media: della serie “Gheddafi violentava le sue amazzoni” (sic!). Non voglio turbare Silvestro sostenendo che è come dire che Berlusconi deve pagare per trovare donne e fanciulle disponibili…Limitiamoci al paragone tra dittatore libico e dittatore italiano: vi pare che il Duce aveva bisogno di procedere a colpi di stupri o ci ricordiamo le migliaia e migliaia di donne italiane che quotidianamente gli scrivevano offrendosi a lui, che facevano la coda in attesa di concedergli le loro grazie?

E secondo voi, ammesso che gli interessasse farsele, il colonello le amazzoni doveva forzarle?…Bisogna essere bambini, e magari pure deficienti, per credere che Gheddafi o Fidel o Chavez o Mao o un qualunque personaggio al vertice del potere, anche in regimi democratici, abbia bisogno di violentare e stuprare per fare sesso.

Eppure i nostri media sono arrivati a scrivere anche questo, all’interno di quella visione puerile per cui il Male e la Violenza devono essere tutti dalla parte di Gheddafi e dei lealisti, ed il Bene e l’Umanità invece dalla parte dei ribelli.

Alberto Moravia ce lo aveva raccontato più di cinquanta anni fa ne “la Ciociara”: raccontato degli alleati che liberavano sì l’Italia dai nazi-fascisti e, nel frattempo, risalendo la penisola si stupravano qua e là donne italiane (nel film omonimo interpretate da Sofia Loren che vinse l’Oscar).

Per carità: gli alleati erano il Bene, però in guerra violentavano le donne. Nelle guerre, con la loro violenza bestiale e atrocità, conta solo il risultato finale rispetto al proprio interesse nazionale. E per noi la guerra di Libia è stata un disastro. Mentre le violenze e le atrocità sono patrimonio comune dei combattenti, sia dei “buoni” che dei “cattivi”. Ma è vano pretendere che i nostri gloriosi inviati ricordino questa ovvietà.


 

I SEQUESTRI, LA CASTA E I MARINAI

 Altrochè politici, la vera casta siamo noi, noi giornalisti.

Se c’era un dubbio, è svanito di fronte al sequestro dei quattro colleghi ad opera dei fedeli di Gheddafi: titoli, titoloni, editoriali in prima pagina del direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli che invitava a “guardargli negli occhi”. Per verderci riflesso cosa? L’onestà, la purezza, l’innocenza? L’immagine della Madonna di Medjugorje?…

Abbiamo letto perfino i necrologi ante mortem: l’inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi ha scritto infatti sulla collega sequestrata, Elisabetta Rosaspina, un pezzo tanto elegiastico e lacrimevole da risultare un autentico “coccodrillo” (termine con cui noi vecchi giornalisti chiamavamo i pezzi per celebrare la morte dei personaggi celebri che, per precauzione, venivano già scritti ed archiviati quando ancora loro erano in vita).

Sembrava di essere tornati ai tempi del rapimento di Aldo Moro. Con un’aggravante precisa: che nemmeno finchè era in mano alle bierre Moro venne rappresentato come il martire e l’eroe della politica pura, mentre sono bastate poche ore in mano ai lealisti di Gheddafi per santificare i quattro giornalisti e trasformarli in martiri che danno la vita per l’Informazione al servizio del Lettore.

Un’informazione così super partes che tutti gli inviati in Libia continuano a dipingere i lealisti di Gheddafi come il Male, e i ribelli come il Bene. E adesso aspettiamo un nuovo editoriale di De Bortoli che ci spieghi come mai sono stati proprio due rappresentati del Male a liberare gli eroi dell’informazione…

Per carità: ogni professione comporta i suoi rischi, che vanno messi su un piatto della bilancia dove sull’altro ci sono le gratificazioni. Nel caso degli inviati, voli internazionali, grandi alberghi, autisti e altri benefit. Alla fine si valuta il pro e il contro e si sceglie. E non c’è giovane giornalista tra i tanti che conosco che non farebbe carte false per diventare inviato. Mentre nessuno si sogna nemmeno di presentare la domanda per fare il marinaio.

E qui c’è l’altra faccia della medaglia: oggi il Corrire non può nascondere la rabbia dei parenti dei cinque marinai italiani che dall’8 Febbraio scorso sono nelle mani dei pirati somali.

Finge, il Corriere, che siano incazzati con la Farnesina che non si muove, che non fa niente per liberarli. Ma anche la Farnesina muove il culo solo se i media la incalzano; se invece se ne fregano anche il Ministero degli Esteri fa altrettanto.

Quindi è evidente che i parenti dei marinai sono incazzati neri, ma con noi. Con la nostra casta, che diventa silenziosa con chi alla casta stessa ( o a quelle collegate) non appartiene.

 

EURO PEGGIO DELL’UNITA’ D’ITALIA

 

 

Il crollo delle borse, la crisi finanziaria, l’attacco all’euro. Cosa succede? Qual’è l’elemento critico del sistema? E’ tutta colpa di Berlusconi e Tremonti che – Bersani insiste – devono fare un passo indietro? E come mai le borse crollano anche altrove, anche a Parigi e Francoforte?

Il fulcro della debolezza l’ha individuato Luca Ricolfi con un’analogia che, una volta letta, sembra ovvia. Ma nessuno l’aveva formulata prima, quindi, sarà anche ovvia, ma nello stesso tempo è geniale: “L’edificio dell’euro non funziona – ha scritto Ricolfi nel fondo di ieri su La Stampa – per gli stessi motivi per cui non ha funzionato l’unità d’Italia”.

Chiaro ed evidente, dopo che lui te lo spiega osservando: “Quando si impone un mercato e una moneta unica a territori che hanno enormi divari di produttività, di modernizzazione, di cultura civica, solo un processo di convergenza economica e sociale accelerata può evitare la formazione di squilibri drammatici. L’unificazione monetaria, infatti, sopprime l’unico meccanismo di riequilibrio incisivo, ossia la svalutazione della moneta nazionale. Private della possibilità di svalutare, le economie deboli tendono ad importare più di quanto esportino, ad accumulare deficit e debiti pubblici sempre più grandi per potersi permettere un tenore di vita che va al di là di ciò che il Paese effettivamente produce”.

Questo percorso di modernizzazione accelerata è stato compiuto – spiega sempre Ricolfi – solo dalla Germania orientale nell’ambito della riunificazione tedesca. Mentre “le economie deboli del Mediterraneo – Italia, Spagna, Grecia, Portogallo – sono entrate tutte nll’euro, ma ben poco hanno fatto per meritarsi l’apparteneneza all’eurozona. Un processo molto simile a quello che, nell’Italia repubblicana, ha fatto fallire tutti i tentativi di annullare il divario tra Nord e Sud del Paese”.

“Con una differenza importante – prosegue l’editorialista de La Stampa – che non esistendo un mercato dei titoli di Stato delle Regioni, le nostre nove regioni in deficit (Lazio più tutto il Sud) hanno potuto mascherare il loro status di territorio-cicala molto più a lungo di quanto siano riusciti a fare Grecia, Portogallo, Spagna e Italia”.

Mi permetto di lasciavi queste osservazioni di Luca Ricolfi come riflessione a cavallo del Ferragosto, con una sola piccola aggiunta. L’Euro è peggio ancora dell’unità di Italia, perchè nel caso dell’unificazione del nostro Paese esisteva anche un’unità politica, un governo, che ha fallito completamente ma che – almeno in teoria – aveva gli strumenti per riuscire (come la Gemania con l’unificazione tedesca); mentre nel caso dell’euro, dell’unione monetaria europea, quest’unione politica, questo governo, nemmeno esiste. E quindi la follia è stata completa fin dall’inizio.