Sergio Marchionne saluta Emma (Camusso) Marcegaglia e se ne va: porta la Fiat via da Confindustria. Un po’ come se i metalmeccanici della Fiom se ne andassero via dalla Cgil, ci si domanderebbe cos’è rimasto del sindacato rosso. Così oggi ci si domanda cosa resta di Confindustria: se va via il colosso Fiat, ha senso che ci restino quelle piccole e medie aziende venete che già ti domandavi cosa ci stavano a fare…(forse per esibire l’associazione a Confindustria sul biglietto da visita, come fosse il titolo di commendatore?…).
Il paradosso estremo è che la Fiat non sta più in Confindustria ora che è giudata da un imprenditore vero, che vuole stare sul mercato solo con le sue forze, mentre ci stava prima mentre era guidata da ricattatori che scambiavano la tutela dei posti di lavoro con gli aiuti pubblici. Dal che si deduce che Confindustria si addice agli imprenditori finti, ai lobbisti, ai Diego della Valle che dicono basta alla casta dei politici, mentre continuano a sedere nei consigli di amministrazione delle banche e dei giornali (vogliamo dire basta anche al conflitto di interessi tra produzione di scarpe, finanza ed editoria?).
Confindustria e Cgil, Emma e Susanna, sono più che mai sulla stessa barca: se una finisce fuoribordo, la barca si rovescia e casca in acqua pure l’altra. Con la differenza che mentre possiamo ancora considerare i lavoratori soggetti deboli, e quindi bisognosi della tutela sindacale (fin quando non faranno una denuncia per violazione della legge Mancino…), non si capisce cosa serva un sindacato a degli imprenditori degni di questo nome: ad elaborare le strategie aziendali? Ad individuare i nuovi mercati? A capire quando è il momento di investire per innovare i processi produttivi?
Bastasse un funzionario di Confindustria a indottrinarci, diventeremmo tutti imprenditori di successo. Ma non ne ho visto uno dei tanti grandi imprenditori veneti ammirati nei decenni – da Apollinare Veronesi a Teo Sanson, da Giovanni Rana a Luigino Rossi – che sia arrivarto dove sono arrivati grazie alle strategie di politica industriale elaborate da Confindustria dopo la concertazione con i sindacati e con il governo.
Veronesi a suo tempo costruì il più grande mangimificio d’Europa, non ostante la politica abbia impiegato trent’anni a realizzare solo un decente collegamento stradale col suo stabilimento. A me la politica poteva garantire anche un’autostrada ad otto corsie ma non sarei mai diventato Apollinare Veronesi. Perchè ci vuole anzitutto la genialità, la caratura, dell’imprenditore.
Dopo serve anche il resto: i servizi che, a costi competitivi, dovrebbero grantire le associzioni di categoria senza diventare carozzoni assistiti; gli interventi della politica per aiutare, non per intralciare, chi sa creare lavoro e ricchezza. Da questo punto di vista la prima cosa che Confindustria dovrebbe chiedere a qualsiasi governo è: pagateli pure, ma lasciateli a casa gli eserciti di burocrati che avete assunto, che non facciano danni con norme, regolamenti, disposizioni utili solo ad intralciare chi produce…
Confindustria e le associazioni di categoria hanno invece (nella migliore delle ipotesi) l’ambizione di trasformare in purosangue anche i brocchi. Pensano cioè che una volta concordato col sindacato e ottenuto adeguati interventi governativi, una volta messo a punto le condizioni teoriche per la produzione, tutti gli imprenditori avranno successo, come tutti gli artigini o tutti i commercianti.
Non capicono che è la stessa logica del voto di gruppo o dell’esame politico che, nel Sessantotto, pretendeva di promuovere tutti gli studenti. Ma, quando si passa dalle teoria alla realtà, ci sono gli studenti bocciati come gli imprenditori che – per diversi motivi – non sanno tenere il passo con i tempi.
E il passo oggi non lo tieni con gli aiuti o gli aiutini, ma con la ricetta Marchionne, cioè con i contratti aziendali proposti dall’imprenditore e accettati dai lavoratori. Tenendo presente che devi anzitutto essere competitivo, devi vendere il prodotto per pagare gli stipendi. Altrimenti tutti i “diritti acquisiti” fanno la fine che stanno facendo in Grecia.