CALCIO, MORTI E PSICODRAMMI

 

Nel nostro Paese tutto ciò che riguarda il calcio, e che avviene attorno al calcio, ci fa perdere immediatamente il senso della misura: diventa psicodramma, reazione isterica utile solo a compiere qualche passo nel delirio.

La conferma arriva anche dal tragico incidente costato la vita all’ultras del Parma Matteo Bagnaresi: partita sospesa, aperture dei telegionali della domenica sera, titoli a tutta pagina sui quotidiani del lunedì. “Calcio sotto choc”, “Non si può perdere così una giovane vita”, ci manca solo che prendiamo sul serio anche la cabala convincendoci che non è un caso la morte capitata nella stessa giornata di campionato in cui, all’andata, perse la vita Gabriele Sandri!…Cosa centra tutto questo? Siamo appunto al delirio.

Quante giovani vite vengono perse dopo una notte in discoteca o perchè travolte da un autista ubriaco? Eppure qui non scatta lo psicodramma, scatta solo se c’entra il calcio. L’Uefa, organismo internazionale non coinvolto nell’isteria nazionale, ha osservato che la vera follia è aver sospeso l’incontro Juve-Parma per un “incidente stradale” capitato a 50 chilometri dalla stadio. Il che ovviamente nulla c’entra con la prevenzione contro la violenza che va fatta dentro e fuori gli stadi. Si vaneggia sulle trasferte da vietare, dimenticando che il “colpevole” era l’autista del pulman di tifosi juventini diretti al loro stadio. Vogliamo forse vietare ai tifosi gialloblù o a quelli biancoscudati di prendere l’auto o l’autobus per andare a vedere la loro squadra in casa?

Ma la cosa forse più irritante è la retorica vuota ed inutile: tutti a riempirsi la bocca con la giovani vite da difendersi, quando queste reazioni isteriche servono solo a mettere a rischio altre vite sia giovani che meno giovani. Se si vuole difendere davvero le vite, cominciamo a dare alle notizie il peso che hanno invece di montare i casi e infiammare gli animi.

 

ALLAM E L’ISLAM COSA NE DITE?

 


La Pasqua 2008 è passata alla storia come quella della conversione in mondovisione di Magdi Allam al cristianesimo, con il battesimo impartito dal Papa in persona.

Subito dopo Allam ha ribadito la sue critiche durissime al fondamentalismo islamico, arrivando a sostenere che quella religione ha insita la violenza. Solo la religione islamica è così? O anche in altre religioni la violenza e l’intolleranza sono come un fiume carsico che – nel fluire del tempo – ogni tanto scompare, lasciando spazio alla tolleranza e al dialogo, e ogni tanto riaffiora?

Siete d’accordo con l’analisi che propone di il vicedirettore del Corriere? E, altra questione più pragmatica: posto che il pericolo del terrorismo islamico è qualcosa di molto concreto, posto che molti islamici presenti anche nel nostro Paese hanno una concezione dei diritti e delle libertà personali che per noi è inacettabile; posto tutto questo, come se ne esce? Ci vuole una contrapposizione sempre più forte e decisa, come mi sembra auspichi Allam, o può servire di più il dialogo e un’integrazione che punti a laicizzarli (come avvenuto per noi cattolici) cioè ad avere un rapporto molto meno pervasivo con i dettami della religione? Favorendo lo sviluppo economico e civile dei Paesi islamici non si prosciuga anche il mare che alimenta il terrorismo?

Altra questione ancora: come giudicate il comportamento di Papa Benedetto XVI° che prima battezza di persona e in mondovisione Magdi Allam, e subito dopo si dissocia da lui facendo dire al portavoce vaticano che la Chiesa non necessariamente condivide le idee dei suoi convertiti…Se Papa Benedetto non condivideva non faceva meglio a far battezzare Allam dal portavoce vaticano padre Lombardi?…

Non entro nella scelta di fede di Magdi Allam, che è questione sua personale. Ma sui molti risvolti più propriamente politici di questa vicenda mi sembra interessante discutere e confrontarci. Aspetto i vostri pareri

 

PRODI LIBERISTA, BERLUSCA STATALISTA

 

 

 

 

Sembra lo scambio delle coppie, è lo scambio dei ruoli. E gli scambisti sono Prodi e Berlusconi. Il primo da ex presidente dell’Iri (industrie di Stato) si è fatto liberista, cioè ha deciso che bisogna mettere Alitalia sul mercato per non sprecare più denaro pubblico. Berlusca, il liberista per antonomasia, l’imprenditore incarnatosi in politica, è andato ad occupare il posto lasciato libero da Romano: vuole il prestito ponte dal governo, cerca la cordata per mantenere l’italianità della compagnia di bandiera. S’è fatto statalista e incassa il plauso del sindacato e di Bertinotti.

Se parliamo di tattica elettorale il Cavaliere come al solito ha fatto goal: nel senso che ha rimesso al centro della scena quel governo Prodi con i suoi ministri puntualmente litigiosi che Veltroni tanto si era impegnato a far dimenticare…

Ma se parliamo di risultati elettorali rimango più perplesso: non mi sembra infatti che i veneti fossero disperati all’idea che la compagnia di bandiera passasse dal tricolore italiano a quello francese; a loro, come a tutti, interessa volare a costi accettabili e possibilmente senza che ti rubino i bagagli. Chiunque lo garantisca è ben accetto.

Direi che il comune sentire della nostra regione lo ha interpretato meglio il governatore Giancarlo Galan: ben venga Air France e grazie che si accolla il baraccone mangia soldi di Alitalia. Gli stessi leghisti veneti fanno fatica a convincersi e spiegare che vale la pena di fare qualunque cosa per salvare il baraccone. Un po’ diverso per i leghisti lombardi che, da partito territoriale, sono tenuti a difendere quantomeno Malpensa…

Ma il Berlusconi statalista crea problemi ai suoi alleati del Nord produttivo e liberista. Così come il Prodi liberista va in conflitto con gli alleati storici della sinistra politica e sociale. Lo scambismo non paga. O sbaglio?

QUALI STRADE PER LA PATRIA VENETA

L’indipendenza del Veneto. Tema caro ai frequentatori di questo blog. Proviamo a capire se è solo un sogno o un obiettivo percorribile e raggiungibile: ci sono delle strade, e quali, per ricostituire la “Patria Veneta” cara a Gino, a Michele e agli altri venetisti?

La premessa che fa Gino è incontestabile: “la grandezza di uno Stato non dipende dall’estensione geografica ma dal grado di civiltà”. Il grado di civiltà però non basta a garantire né la sopravvivenza ne la ricostituzione di uno Stato: ci vuole la forza economica, politica, culturale e mediatica in senso lato, anche militare.

Nella fattispecie lasciamo pur perdere la forza militare, cioè quel ricorso alle armi che Gino, Michele e, qualunque persona assennata, esclude in partenza. Ma se la “Patria Veneta” di cui parliamo è la Serenissima, non possiamo dimenticare che è durata nei secoli grazie alla potenza economico-mercantile, fulcro del peso e della potenza politica della Repubblica di Venezia.

Venendo all’oggi, temo che senza forza politica, senza peso economico e mediatico, non si vada da nessuna parte: al massimo si arriva ad asserragliarsi sul campanile di San Marco… Un gesto simbolico, che ebbe vasta eco, che colpì l’immaginario venetista, ma che non mi pare abbia fatto compiere alcun passo concreto sulla strada dell’indipendenza del Veneto.

Sempre Gino indica la via del referendum, sul modello della Scozia dove “un partito indipendentista come lo Snp ha proclamato di volerlo indire”. Gino stesso ha perfettamente ragione quando aggiunge che comunque verrebbe bocciato a causa del peso economico-mediatico del potere dominante che ha fatto “credere ai veneti di essere italiani”. Va però aggiunto che nel nostro Veneto nemmeno esiste un partito indipendentista che abbia proclamato di volerlo indire questo benedetto referendum. Oppure forse esisterà anche il partito indipendentista veneto, ma è così insignificante che nemmeno se ne conosce l’esistenza…Come dire che senza peso politico nemmeno si comincia ad andare da una qualsiasi parte.

Mi domando dunque se i venetisti non debbano riconsiderare l’ipotesi di muoversi di conserva con la Lega Nord: che sarà anche un po’ infida, in quanto troppo lombarda, ma che oggi sembra la forza politica più in grado di innescare un processo di federalismo e di autonomia che cominci a ridare un po’ di respiro anche alla “Patria Veneta”

O ci sono strade più rapide e dirette per arrivare al traguardo?

TORNA IL VENTO DELLA SECESSIONE

 


Torna a spirare il vento della secessione e non per bocca di Umberto Bossi; ma attraverso le parole di un imprenditore prestato (con successo) alla politica, Riccardo Illy, presidente del Friuli Venezia Giulia che governo con una giunta di centrosinistra. Illy che, intervistato da Stella sul Corriere della sera, si domanda “Per quanto ancora il Nord potrà resistere alla tentazione secessionista?”.

Il governatore del Friuli definisce la politica “autistica” rispetto alle esigenze del nostro territorio, una politica che “ha tradito una parte del nostro Paese”. “Così perdiamo il Nord” è il titolo dell’ultimo saggio scritto per Mondadori da Riccardo Illy.

L’approccio è rovesciato. Non si parla più di un Nordest egoista e poco solidale, che pensa solo a far soldi e non si cura del resto del Paese. Si sottolinea invece il tradimento perpetuato contro i cittadini delle nostre regioni, il loro lavoro, l’impegno la serietà. Accentuato dal confronto con i Paesi europei nostri confinanti dove invece esigenze ed attese di modernizzazione trovano risposte da parte della classe politica.

Il vento della secessione spira anche attraverso Ilvo Diamanti, editorialista de La Repubblica, responsabile dell’istituto demoscopico che realizza ogni settimana un’indagine per Il Gazzettino. L’ultima di queste indagini rileva come sia “raddoppiata l’ostilità verso il Sud”: nelle nostre regioni un cittadino su due considera “il Mezzogiono un peso per lo sviluppo del Paese” e aggiunge “nel 1997, quando la Lega invocava l’indipendenza della Padania, puntava l’indice contro il Sud il 26%.

Oggi invece è il 51% a farlo. E molti sono anche elettori del centrosinistra.

Ritornando ad Illy pone una questione cruciale: i cittadini del Nordest non sono spinti alla secessione da un desiderio irrazionale o dal loro egoismo, ma è la mancanza di risposte adeguate da parte della politica ad alimentare il vento della secessione. Si può non essere d’accordo?

CE LA FARA’ GALAN A STOPPARE TOSI?

 

 



Berlusconi lo ha annunciato senza nemmeno informare prima il diretto interessato: Galan sarà il capolista al Senato in Veneto per il Partito della libertà. Ma perchè il Cavaliere costringe il governatore a recitare un film già visto nemmeno due anni fa?

Anche alle ultime politiche Galan aveva fatto il capolista, era stato eletto e poi si era dimesso da Palazzo Madama per restare al vertice del Veneto. Adesso si replica: stessa trama e stesso esito finale. Come mai?

Spiegano che la candidatura di Galan sarebbe funzionale sul fronte interno al centrodestra: cioè servirebbe a frenare i consensi verso una Lega Nord che tutti i sondaggi danno in forte crescita. Il timore di Forza Italia è che si ripeta in tutto il Veneto quanto accaduto l’anno scorso a Verona, dove l’effetto Tosi ha ridotto i forzisti azzurri ai minimi termini…

Ma ce la farà Galan a stoppare Tosi? Vi pare possibile che l’elettore di centrodestra, fin qui orientato a dare il proprio voto alla Lega, abbia un ripensamento adesso che il presidente del Veneto si è candidato come capolista del Pdl al Senato? Sono davvero curioso di sentire una raffica di pareri.

Intanto la cosa certa è che Galan, costretto da Berlusconi a reinterpretare lo stesso film, rischia davvero e rischia direttamente mettendo in gioco (forse per la prima volta) il suo personale appeal elettorale: se riuscirà a stoppare Tosi e la Lega potrà certamente dire “il Veneto sono io” e non sarà vanaglorioso il progetto di varare un “Forza Veneto” o un “Popolo della Libertà del Veneto”. Ma, se la Lega dovesse avere ugualmente una forte crescita di consensi, a Galan non basterà spiegare che…senza lui capolista al Senato sarebbe cresciuta ancora di più…

UN FERDINANDO PER GLI IMMIGRATI

 


Per governare efficacemente l’immigrazione ci vorrebbe un Ferdinando, servirebbe la legge di Ferdinando. Altro che Bossi-Fini o Turco-Napolitano o Amato-Ferrero (che, per fortuna, non ha visto la luce). Riscopriamo la legge che Ferdinando I di Borbone (udite! udite!) ha varato nel 1817 per stabilire quali stranieri potevano stabilirsi nel suo Regno delle Due Sicilie ed ottenere la cittadinanza.

La ricetta di Ferdinando I l’ha riscoperta Magdi Allan che la descrive sul Corriere di oggi, 10 marzo. Vi rimando dunque al sito del Corriere per vedere tutti i dettagli. Qui mi limito a sottolineare il principio che ha guidato il re borbone: viene prima l’interesse del mio Stato e quindi ottengono la cittadinanza quelli stranieri che rendono servigi, che portano talenti ed invenzioni, che pagano le tasse. Cioè quelli immigrati che sono un affare per chi li accoglie.

Passando dal Regno delle Due Sicilie del 1817 alla Repubblica italiana del 2008, mi sembra che sia stato fatto esattamente l’opposto: non solo la rinuncia a selezionare gli ingressi, ma soprattutto abbiamo messo al primo posto non l’interesse del nostro Stato bensì l’interesse e le attese degli stranieri; cioè l’esigenza della solidarietà, dell’accoglienza, dell’inserimento. Abbiamo accettato in maniera acritica la formula “gli immigrati sono una risorsa”, senza andare mai a verificare il rapporto reale costi-benefici. Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vederli.

Il prossimo che assumerà la guida del governo, Berlusconi o Veltroni che sia, cosa farà? Seguirà oppure no la ricetta di Ferdinando I di Borbone? Nell’affrontare il tema, certamente epocale e complesso dell’immigrazione, si chiederà anzitutto cosa convenga al nostro Paese? Oserà sfidare l’accusa di xenofobia e di razzismo o continuerà ad aprire le porte a tutti i diseredati del mondo?

 

LA PELLE DI WAIGO, LE BALLE DI ZILIANI

 

Da un lato c’è il colore della pelle di Papa Waigo, il calciatore senegalese che ha giocato nell’Hellas Verona e adesso è esploso nella Fiorentina di Prandelli; dall’altro lato ci sono le balle di Paolo Ziliani, il giornalista sportivo che stende le pagelle per Controcampo. Domenica Ziliani ha dato un voto alto all’attaccante che aveva segnato il gol della vittoria a Torino contro la Juve e poi si è divertito ad aggiungere che nel Verona veniva fischiato per via della pelle nera e che adesso i tifosi dell’Hellas saranno contenti di essere ultimi in serie C, ma con una squadra tutta di bianchi.

Le reazioni e le bugie smascherate di Ziliani le trovate tutte nel blog di Vighini. Ma il problema non sono tanto le balle, intese come bugie, quanto le balle, intese come attributi, che mancano al Paolo Ziliani il quale è un perfetto esempio di quella viltà diffusa che spinge ad essere arroganti con i deboli e servili con i potenti: capirai che coraggio ci vuole e che rischi corri a ripetere il luogo comune della curva del Verona ( e di Verona tout court) come luogo d’elezione del razzismo.

Non si tratta di sostenere che la curva dell’Hellas sia un luogo di ritrovo di gentiluomini dell’Ottocento. Però non si può nemmeno ignorare che tutte le curve sono così e che la differenza – in peggio – la fa anzitutto la massa critica, cioè l’ampiezza del branco. Ed i branchi più numerosi, ululanti, violenti e volgari li troviamo nelle grandi città: da Napoli a Roma (messa letteralmente a ferro e fuoco non più tardi di qualche mese fa…) da Milano a Torino (dove proprio a Papa Waigo domenica scorsa ne hanno urlate di tutti i colori). Paolo Ziliani lo sa benissimo. E sa anche che non può permettersi di trattare da razzisti i tifosi di grandi società e di città che hanno forte peso politico, perchè rischierebbe di compromettere la sua carriera giornalistica. Mentre per sparare a zero contro questo Verona sull’orlo del baratro ci vuole lo stesso coraggio del “vile che uccide un uomo morto”.

Facendo un paragone politico, è come sparare a zero sempre e solo su Mastella. Il quale non è certo senza peccato nel sottobosco delle spartizioni in Campania. Però non è lui che voleva papparsi la Banca nazionale del lavoro, e non è nemmeno lui ad avere conflitti di interesse ovunque. E non a caso i senza balle alla Ziliani continuano a parlarci di Mastella, mentre quelli con gli attributi (dove sono?) non la smettono mai di martellare Silvio e gli amici di Walter…

 

CUFFARO SI’, MOGGI NO

 


Totò Cuffaro sì, nessun problema a ricandidarlo capolista nella sua Sicilia. Luciano Moggi no, assolutamente no, non solo non è il caso di candidarlo ma è più prudente far finta nemmeno di conoscerlo. Questa la scelta chiara, netta e… grottesca del leader dell’Udc Pierferdi Casini.

Sabato Moggi era andato a Roma alla convention dell’Udc. Seduto in prima fila era stato prodigo di applausi e complimenti nei confronti di Casini dichiarando che avrebbe sicuramente votato quel partito. Dopo di che, un po’ sul serio un po’ per scherzo, aveva anche accennato ad una sua candidatura dicendosi certo che almeno 9 milioni di tifosi juventini l’avrebbero votato. Perchè io – aveva aggiunto – rappresento la Juve che vinceva sempre, non come quella di oggi, quella di Cobolli Gigli, che invece perde.

Preoccupatissimo, par di capire, di perdere anche lui, Pierferdi Casini ha subito escluso la candidatura di Moggi. E fin qui niente da obiettare: è lui il leader dell’Udc e, come tutti i leader si sceglie tutti i candidati. Ma la cosa grottesca è stata la presa di distanza di un Casini che ha negato anche di conoscere Moggi, perfino di averci parlato una qualche domenica nella tribuna d’onore di un qualche stadio, che ha voluto precisare di averlo incontrato allora per la prima volta…

Che dire? Che Peirferdi è molto più riservato di Totò “vasa vasa”, cosi soprannominato per l’abitudine di familiarizzare a baciare un po’ tutti, anche certi personaggi ambigui della sua Sicilia…

Tra Totò Cuffaro e Luciano Moggi chi dei due vi sembra il più inquietante, quello dal quale tenersi alla larga per prudenza? Casini, come abbiamo visto, non ha dubbi: Cuffaro sì, Moggi no.

MISSIONI MILITARI A NAPOLI E PALERMO

 

Secondo il Censis, Centro studi investimenti sociali di Giuseppe De Rita, nelle due storiche capitali del nostro Mezzogiono, Napoli e Palermo “quasi la totalità degli abitanti convive con le organizzazioni criminali”. Cosa significa convivere con mafia e camorra? Si può disquisire: significa essere complici e riconoscere la loro autorità, oppure significa subirle ed essere oppressi nella vita e nel lavoro quotidiano. Accettando questa seconda lettura, e quindi escludendo qualunque complicità, è chiaro che la quasi totalità degli abitanti di Napoli e di Palermo devono essere liberati dal giogo della criminalità organizzata; va garantita loro pace e sicurezza.

Esattamente quello che le nostre missioni militari all’estero sono impegnate a garantire a Kabul piuttosto che a Beirut. Ma rendiamoci conto che anche e soprattutto a Napoli e a Palermo vanno mandati i corpi speciali (non certo l’esercito con compiti da netturbino); ci vogliono delle apposite missioni militari per cercare di garantire pace e sicurezza ai cittadini del nostro Mezzogiorno.. Non si può continuare a far finta di credere che bastino le misure ordinarie e la politica degli annunci: sequestrati i beni della camorra! Terminato il maxiprocesso alla mafia con condanne a 150 ergastoli! Arrestato il boss, dei boss, dei boss: il numero 1, il numero 2, il numero 127! Tutti annunci che non riescono più a nascondere la realtà: cioè che le organizzazioni criminali sono sempre più potenti e pervasive.

La commissione antimafia recentemente ha paragonato la ‘ndrangheta ad Al Qeida. E, proprio come nella lotta ai terroristi in Iraq, ci vuole una fase due: o troviamo un nostro Petraeus che, con una strategia radicalmente nuova, cominci a conseguire qualche successo a Napoli e a Palermo, oppure sarà giocoforza ritirarsi dalle due storiche capitali del Mezzogiorno. Rinunciare a quella occupazione iniziata 150 anni con le armi dei garibaldini e dei savoiardi. Restituire il Sud ai suoi legittimi governanti e…mettere fine alle enormi spese di una occupazione che non giova né al Settentrione né al Meridione…

Scherzi a parte, l’unica cosa inaccettabile è far finta di nulla: ignorare che c’è stato il fallimento completo di qualunque politica assistenziale nei confronti del Mezzogiorno, che serve una svolta epocale che va posta al centro dei programmi elettorali. Non si può cioè procedere come Veltroni preoccupato solo di individuare il capolista Pd utile a limitare i danni in Campania, o come Berlusconi impegnato a trovare l’alleato giusto per vincere in Sicilia. Quasi che stessimo parlando di un Veneto o di una Toscana.

Siamo invece di fronte ad una voragine che ha già inghiottito il Sud e che minaccia di fare altrettanto col Nord.