3 PUNTI, 2 ESPULSIONI, 1 INFORTUNIO

Partiamo dalla notizia positiva. Il Padova è tornato a vincere e si è ripreso la vetta della classifica approfittando del passo falso dell’Altovicentino, sconfitto per la prima volta in campionato dall’Arzichiampo esattamente sette giorni dopo la prima sconfitta stagionale dei biancoscudati a Sacile. Tutto ciò a dimostrazione del fatto che non esistono squadre imbattibili o infallibili e capita a chiunque, ogni tanto, di perdere una partita. Meglio davvero, d’ora in avanti, pensare solo a se stessi senza inutili patemi e senza buttare eccessivamente l’occhio su quel che avviene in casa d’altri.

Fatta questa premessa e fatto il doveroso applauso a capitan Cunico per la terza doppietta stagionale, c’è qualche nota dolente (niente drammi per carità, sono tutte situazioni risolvibili, c’è tempo e modo  per fare tutto!).

La prima: le due espulsioni nel finale. Evitabilissime. E’ comprensibilissimo che, dopo la prima battuta d’arresto della scorsa settimana, ci sia l’ansia di non riuscire a portare a casa il risultato. Specie se l’avversario accorcia le distanze e ti fa tornare in mente che stavi vincendo anche con Triestina e Clodiense e in entrambe le occasioni non sei riuscito ad andare oltre il pareggio. Ma una squadra come il Padova, che è avanti 2-0 in casa davanti a 5.000 tifosi festanti, deve assolutamente mettere in cassaforte la gara senza perdersi in un finale nervoso e da brividi sulla schiena. Si tratta di un passo avanti in direzione di una maturazione che ci deve essere e in tempi ragionevolmente brevi. Anche perché non si possono regalare due/tre giocatori ogni volta agli avversari.

La seconda: la ricaduta di Gustavo Ferretti. Per la seconda volta in due settimane “El Rulo” è sceso in campo nella formazione titolare ed è stato costretto a lasciare dopo pochi minuti per il risvegliarsi del dolore al flessore. I latini dicevano: “Tertium non datur”. Meglio tenerlo fuori un po’ di più e farlo guarire completamente. Normale che lui soffra a stare fuori e scalpiti per rientrare mettendoci l’anima, ma non è più il caso di correre rischi. Anche perché lo scotto da pagare, in caso di ulteriore tentativo di recuperarlo prima dei tempi fisiologici di guarigione, potrebbe essere quello di vedergli saltare la sfida contro l’Altovicentino del 4 gennaio. Sia mai!

 

LA SCONFITTA PIU’ IMMERITATA

“Il Padova non meritava di perdere”. “Regalare Cunico, Ferretti e Nichele tutti e tre insieme nella partita contro la quarta forza del campionato è davvero troppo”.

Brandelli di verità in un piovoso pomeriggio iniziato malissimo (il nostro approccio allo stadio XXV aprile non è stato il massimo, per fortuna poi tutto si è risolto per il meglio) e finito peggio (con la sconfitta del Padova).

Prima o poi doveva succedere di perdere una partita. E’ successo in una gara in cui il portiere avversario ha fatto almeno 3 miracoli (più almeno altre 3 parate difficili) e il nostro ha parato un rigore. Pazienza. Come dicevo la settimana scorsa è ancora tanto lunga da qui alla fine. E c’è pure il mercato, che apre i battenti domani e andrà avanti fino a metà dicembre.

Credo che di qualche rinforzo questa squadra abbia bisogno. Non dimentichiamoci che è stata costruita in una settimana con 20 giorni di ritardo rispetto a tutte le altre e anche che è al suo primo campionato di serie D, con una società nuova di zecca. Qualche correzione in corsa ci sta e anzi bisogna continuare ad applaudire questa proprietà che, insieme allo staff tecnico, ha sbagliato veramente il minimo che potesse sbagliare.

Ma, dicendo che c’è bisogno di rinforzi, non voglio togliere niente a nessuno dei ragazzi che fino ad oggi, poco o tanto, è stato chiamato a scendere in campo. Oggi Mattin mi ha impressionato positivamente, per le qualità ma anche per la personalità con cui nel primo tempo ha dispensato palloni entrando nel vivo del gioco. Tiboni si è sacrificato tanto, con le famose sportellate, perdendo in brillantezza a causa della forma fisica che non poteva essere al top dopo due settimane di stop per una lesione muscolare. Petrilli, nell’ultimo periodo mai utilizzato, ha dato vivacità alla manovra fin dal primo momento in cui ha messo piede in campo. Pittarello deve crescere ancora tanto ma ha dato a sua volta tutto quello che aveva.

A me basta questo per guardare avanti con positività. E per sperare che, a fine campionato, la classifica sia diversa rispetto a quella di questa sera.

E’ ANCORA LUNGA

Gli avversari cominciano a conoscere bene le caratteristiche del Padova e a preparare le partite in maniera praticamente maniacale. Così ha fatto oggi Andrea Pagan, allenatore della Clodiense, portando a casa un punto prezioso e meritato dallo stadio Euganeo.

Si è persa un’occasione d’oro stasera per mettere un po’ di distanza tra i biancoscudati e l’Altovicentino che a sua volta aveva pareggiato a Fontanafredda domenica. E oltre al fatto che non si è proprio vista una bella partita (aldilà dei due gol, bellissimi entrambi, di Nichele e Mazzetto) c’è che domenica a Sacile mister Parlato dovrà fare a meno di Nichele e Cunico, squalificati, e con ogni probabilità anche di Ferretti che stasera è dovuto uscire al 33′ del primo tempo per una contrattura muscolare. Assenze pesanti che costringeranno l’allenatore a cambiare in maniera significativa l’assetto fin qui proposto.

Fatta la doverosa premessa, però, non è il caso di drammatizzare. Ha detto bene Ferretti a fine gara: “Le avessimo anche vinte tutte fino a qui, sarebbe ancora talmente lunga da non poterci certo rilassare”. Ha ragione. Fino al 10 maggio del 2015 è ancora lunghissima. Ci saranno vittorie, speriamo tante, sconfitte, speriamo il meno possibile, pareggi. Partite belle e partite brutte. Picchi verso l’alto e picchi verso il basso. L’importante è non perdere mai la bussola della lucidità e la voglia di correggere, settimana dopo settimana, i vari difetti che ci sono e vanno limati.

Semplice, no?

UN’ALTRA LEZIONE DI SERIE D

Il campionato di serie D lo stiamo imparando a conoscere un po’ alla volta, domenica dopo domenica. Arrivati alla giornata numero 11, possiamo dire che di cose ne abbiamo imparate e capite. Oggi la sfida dello stadio “Briamasco” di Trento ci ha impartito l’ennesima lezione da tenere in considerazione per il prosieguo della stagione. Lezione molto semplice ma efficace: mai dare per morto un avversario, nemmeno se ha tanti punti meno di te in classifica e ad un certo punto vinci la partita prima 1-0 e poi 2-1 e addirittura 3-1. E soprattutto: mai complicarti la vita da solo quando le cose si mettono in discesa, rimettendole così in salita.

Oggi contro il Dro, squadra tra le migliori che ho visto fino a questo momento, aver segnato dopo appena 5′ doveva essere la pialla che spianava la strada verso il sicuro successo. Invece i biancoscudati se la sono resa davvero difficile la partita, soffrendo oltremodo nel primo tempo e dovendo attendere il pareggio della squadra trentina prima di mettere in campo la reazione che ci si attendeva. Alla fine è andata bene e i tre punti sono arrivati con pieno merito, ma non si può e non si deve concedere così tanto spazio di manovra all’avversario perché prima o poi ti punisce.

Fatta questa doverosa premessa, se oggi il Padova ha vinto è perché ha messo in campo qualcosa in più rispetto al Dro. La seconda doppietta consecutiva di Cunico (schierato al centro dell’attacco nonostante centravanti non lo sia proprio), il secondo gol stagionale di Sentinelli, l’ingresso in campo da subito positivo di Pittarello, la gara di grande sacrificio di Segato e tanti altri aspetti positivi della giornata stanno lì a dirci che se il Padova continua ad essere primo è perché sta facendo bene. Quindi deve solo continuare a limare e a correggere gli errori come ha fatto fino ad ora. I risultati verranno come naturale e logica conseguenza di questo impegno e lavoro quotidiani. Senza eccessive preoccupazioni e senza troppi mugugni, please…

CHE SPETTACOLO!

Oggi ciascun tifoso del Padova ha visto esattamente la partita che voleva vedere.

I più scettici, quelli che, dopo il pari interno contro la Triestina, già iniziavano a riempirsi la bocca con la prima crisi stagionale e la difficoltà a trovare la via del gol contro le squadre che si chiudono, sono stati serviti con un poker di reti (che potevano essere pure di più!) e con un approccio alla gara stratosferico da parte dei biancoscudati. Parliamoci chiaro: la partita di oggi non era facile. E non lo è stata neppure dopo lo 0-3 e lo 0-4. E’ stato il Padova bravo a farla sembrare facile, con la sua mentalità vincente, grazie all’aggressività a tutto campo manifestata dal primo minuto e alla grande capacità di far girare palla ordinatamente fino a trovare il varco giusto.

I più ottimisti o semplicemente quelli che non si lasciano condizionare dal singolo risultato ma mantengono una lucidità di massima con la quale capiscono che il rendimento fin qui è stato eccellente e che qualche partita può anche andare mezza storta hanno vissuto un pomeriggio bellissimo, applaudendo a piene mani la squadra per l’autentico spettacolo mandato in scena oggi a Castelfranco. Consapevoli che non si è fatto ancora niente, ma contenti per aver visto i loro beniamini non lasciarsi condizionare nemmeno un po’ dall’1-1 di domenica scorsa e correre liberi sul campo del comunale senza pesi e condizionamenti di sorta.

Due note di merito: la prima al capitano, Marco Cunico, che nel giorno del compleanno di uno dei più grandi numeri dieci del calcio italiano, Alessandro Del Piero (che ha fatto 40 anni tondi) ha esaltato il numero che porta sulle spalle dall’inizio del campionato con una prestazione di sostanza e la prima doppietta con la maglia del Padova. La seconda a Gustavo Ferretti che, avrà pure fatto una “cagata”, come ha sottolineato lui stesso testuale in intervista, ma ha deliziato la vista dei tifosi padovani e di tutto il campionato di serie D con un gol che definire da cineteca è riduttivo. Purtroppo l’istinto che lo porta a fare cose straordinarie in qualunque momento della gara, ogni tanto gli rema contro e gli fa fare qualche cavolata. Ma dopo quel che abbiamo visto oggi, forse gli si può perdonare l’eccesso di zelo…

RIALZARE LA TESTA, SUBITO

Doveva succedere prima o poi che arrivasse un pareggio. Come ha detto Parlato a fine gara: “Meglio un pareggio che una sconfitta”. Giusto. E adesso?

Adesso, a mio giudizio, viene il difficile. Perché finché si vince, si portano a casa i 3 punti e si rimane in vetta alla classifica da soli l’entusiasmo e i risultati ti aiutano a tenere sotto il tappeto gli eventuali piccoli difetti da limare. Un po’ come si fa con la polvere quando non si ha voglia di spazzarla via e la si nasconde appunto sotto il persiano. Ora che sulla ruota biancoscudata è uscita per la prima volta la X bisognerà essere bravi più di quanto lo si è stati fino ad adesso.

Perché bisognerà rialzare la testa, subito, fin dalla prossima trasferta in casa del Giorgione (la prima di due consecutive peraltro!) e dimostrare di non aver minimamente accusato il colpo. Perché bisognerà imparare dall’errore commesso oggi subito dopo il gol di Aperi: era più che umano tirare un sospiro, lasciarsi andare alla gioia e pensare di avercela fatta, dopo tanto sforzo profuso, visto che oltretutto era il 38′ del secondo tempo, ma la Triestina ha insegnato una volta di più che anche l’ultima in classifica può estrarre dal cilindro mezza palla gol in 9o minuti e pareggiare dopo che per tutto il resto della gara non ha nemmeno mai provato a pensare di tirare in porta. Bisognerà da un lato cercare di analizzare con serenità le sbavature, dall’altro pensare che, in fin dei conti, non è successo niente di così grave. Un pareggio ci può stare. E, come ha detto l’ad Roberto Bonetto a fine gara, avremmo tutti messo la firma quest’estate per ritrovarci, alla nona giornata, primi in classifica insieme alla corazzata Altovicentino.

Gambe in spalla e avanti sempre per la strada intrapresa lo scorso 2 agosto. Che sarebbe stata dura e da lottare ogni domenica fino alla fine lo sapevamo anche prima di incappare nel primo mezzo passo falso di stagione.

 

AVANTI SCUDATI!

C’è stato da soffrire. Ben più del solito. E come ha detto Nichele a fine gara: “Bisogna che perdiamo questo vizio. Le partite vanno chiuse quando ce n’è l’occasione, se no non sempre riesci a portarle a casa”. Giusto: se Petkovic non ci metteva due pezze paurose nella ripresa l’ArziChiampo avrebbe pareggiato e il Padova si ritroverebbe a dover condividere il primato con l’AltoVicentino che, a quanto pare, non perde un colpo e vince facile ovunque da diverse domeniche. Per fortuna, con i “se” e con i “ma” non si fa la storia, il Padova ha vinto e il primo posto è ancora in solitaria.

Mi ritrovo però anche oggi a dirvi, nonostante qualche brivido di troppo lungo la schiena, quanto questa squadra mi riempia il cuore il gioia. Mi faccia divertire. Mi faccia provare orgoglio nel tifarla. Anche stavolta infatti tutti hanno dato l’anima in campo, i giovani soprattutto (penso a Busetto e Mazzocco che hanno confezionato insieme il gol partita, ma anche a Pittarello che è entrato nella ripresa, a De Grassi, allo stesso Petkovic che ha vigilato tra i pali quando c’è stato da vigilare), ma anche i senatori, nonostante più di qualcuno non sia nelle migliori condizioni. Nessuno tira indietro la gamba e tutti tirano la carretta ben oltre le possibilità, gettando il famoso cuore oltre l’ostacolo.

Certo, visto il roboante successo dell’AltoVicentino, si è capito una volta di più che se non si dovrà vincerle tutte poco ci mancherà da qui alla fine per conquistare la promozione in Lega Pro (ricordo ancora una volta che solo la prima passa di categoria, le altre fanno i playoff solo per un’eventuale graduatoria di ripescaggio!). Ma intanto un’altra vittoria è stata messa in saccoccia, meglio pensare ad un partita alla volta.

A piccoli passi, avanti Scudati!

 

IL DIVERTIMENTO E’ ASSICURATO

Mi capita molto spesso, in telecronaca, di scherzare e cercare di vedere la partita di pallone che sto commentando anche con un pizzico di ironia. La situazione in cui mi riesce perfino troppo facile farlo è quando faccio i paragoni con l’anno scorso e con la sofferenza che abbiamo patito ad andare a vedere le partite dell’ultimo Padova in B, specie nella seconda parte del campionato, quando si faceva sempre più chiaro, limpido e incontrovertibile il concetto che non ce l’avremmo fatta a mantenere la categoria così a fatica raggiunta e saremmo miseramente retrocessi. La frase che ripeto più spesso è questa: “L’anno scorso i giocatori in campo avrebbero dovuto dare dei soldi ai tifosi per andare a vederli, non avrebbero dovuto essere i tifosi a pagare il biglietto o a sottoscrivere l’abbonamento. Perché in campo molti di loro facevano letteralmente ‘cavare el core’ e vederli giocare era da star male, altro che da divertirsi”.

Ecco quest’anno sta succedendo l’esatto contrario. Ad andare a vedere il Padova ci si diverte. E così deve essere quando si tolgono dei soldi alla vita quotidiana (specialmente di questi tempi!) e si paga un biglietto per assistere ad uno spettacolo. Che sia un concerto, una rappresentazione teatrale o una partita di calcio, non cambia nulla. Finalmente il pubblico di fede biancoscudata può lasciare lo stadio con il sorriso sulle labbra e l’orgoglio di tifare Padova e non con il fegato ingrossato e la rabbia di sentire che mezza Italia (calcistica) ti prende per i fondelli.

Sarà anche serie D, ma arrivata alla settima giornata ribadisco un altro concetto che mi porto dietro dalla prima: provo molte più emozioni con questa squadra, con questi giocatori, con questo allenatore e con questa dirigenza rispetto a quelle che ho provato nell’ultimo infausto anno di serie B anche quando magari si è vinto in qualche modo qualche partita. Certo arriverà anche il giorno in cui si perderà e bisognerà fare i conti con la sconfitta, con la necessità di rialzarsi in piedi, con l’obbligo di tirare fuori ancora qualcosa in più.

Siamo pronti a tutto. Tutti. Pur di vedere sempre più vivida, chiara e vicina la luce che finalmente è spuntata in fondo al tunnel.

P.S.: per favore, non perdiamo tempo e soprattutto energie positive a constatare che qualcuno dei giocatori che l’anno scorso qui non ha reso secondo le aspettative ora segna a ripetizione e ha ritrovato sè stesso in un’altra piazza. Onestamente non mi arrovellerei il cervello per cercare di capire se è stata più colpa loro che qui non hanno dato quello che dovevano o più colpa di Padova e della società di allora che non li ha messi nella condizione di esprimersi al meglio. Forse è stato un po’ questo e un po’ quello, ma pensarci ora, che siamo ripartiti da zero con una nuovissima dirigenza, non ha alcun senso. E poi  l’invidia detrattiva non porta da nessuna parte. Auguriamo ai “campioni ritrovati” un grande “in bocca al lupo” e pensiamo solo a tenerci stretti con tutto l’affetto possibile i ragazzi che quest’anno finalmente ci hanno restituito l’amore per il calcio!

CIAO FURIO, PER ASPERA AD ASTRA

“Scolta Marty, i dise che so matto mi. Mi me par che sia tutto il resto del mondo che no capisse…”. Quanto mi facevi sorridere quando, con l’inconfondibile e immancabile inflessione triestina, ti chiedevi se tutto quello che facevi e in cui credevi aveva un senso.

Sì, è vero. Tu eri quello che guidava contromano lungo l’autostrada della vita ma pensava che ad andare nella direzione sbagliata fossero tutti gli altri.

Avevi ragione tu.

Era la tua la direzione giusta.

Tu vedevi sfumature che nessun altro vedeva. Coglievi sentimenti che nemmeno chi provava sapeva di avere nel cuore. Raccontavi le storie, quelle importanti. Perfino dei calciatori, di cui si dice di tutto e di più tutti i giorni e spesso non son nemmeno cose positive, riuscivi a trovare un lato umanissimo che sarebbe piaciuto anche a chi di calcio non si interessava. Ricordo l’intervista a Vlaovic dopo l’intervento alla testa: le tue domande in grassetto, le sue risposte esattamente come te le aveva date, con i congiuntivi sbagliati e le parole messe insieme alla rinfusa, che rendevano perfettamente l’idea di un ragazzo che aveva passato un bruttissimo momento ma che stava ricominciando a sorridere alla vita. Rileggo spesso quella a Bedin, dopo che esibì la maglia “I believe in Jesus” e la sua profonda religiosità. Ripenso all’intervista al fuorigioco. “Scusi, signor fuorigioco…”. Esilarante, arguta, solo uno come te poteva pensare di intervistare una cosa che tutti sanno cos’è (ad esclusione delle donne) ma nessuno capisce a cosa serve.

Cavalcavi il battito del cuore di tutti. E poi scrivevi che era un piacere immenso leggerti. Perché tu prima che saper scrivere sapevi leggere. Fondamentale. Non si può scrivere se non si sa leggere. Se non si sa vedere la vita. Se non si ha la sensibilità giusta per andare dentro le cose. Dentro le persone.

“Marty non possiamo volere così male ai nostri lettori” mi dicesti una volta al telefono dopo aver letto un pezzo che ti avevo inviato. Avevi ragione. Nemmeno mia mamma che mi vuole tanto bene sarebbe andata oltre la terza riga di quell’articolo tanto era noioso e scritto male. Eri severo ma non perdevi mai la calma e se ho imparato qualcosa di questo mestiere lo devo anche a te.

Quante trasferte insieme, Furio! Dopo aver scritto nelle condizioni più improbabili due pagine di giornale, condividevamo la fatica della giornata trovando puntualmente il ristorante giusto. Perché, mi dicevi sempre, “La partita si può sbagliare, il ristorante no!”. E allora via con il tagliere di affettati misti di Prato, con la bistecca alla fiorentina di Lucca, la pasta allo scoglio di Pisa, l’antipasto tipico dell’osteria di Pistoia. E via con quel simpatico cameriere di Cesena che, quando alzasti il piatto per cercare di aiutarlo a sparecchiare, ti rispose simpaticamente indispettito: “Io sono pagato 12 milioni al mese (c’erano ancora le lire, ndr), lasci giù quella forchetta che mi arrangio io”. I personaggi più strani e più autentici, in giro per gli stadi d’Italia, li abbiamo beccati noi: forse perché eravamo “strani” a nostra volta nel nostro modo di prendere la vita per le corna, e li attiravamo come le calamite.

Ti ricordi quella volta che, a Pavia, invece che appoggiarci alla redazione del giornale locale, ci siamo fatti convincere da un giornalista free lance ad andare a scrivere nel garage di casa sua, adibito a mini ufficio? Lui continuava a dire: “E’ qui vicino, sono due passi a piedi” ma non arrivavamo mai. Ad un certo punto, dopo chilometri e chilometri con borse, computer e tutto il resto tra vicoli, discese e salite, non ce l’hai fatta più, l’hai fermato e con quel poco fiato che ti era rimasto non gliele hai mandate a dire, ovviamente alla tua maniera, senza essere minimamente sgarbato: “Scusa, non è per dire. Ma è un’ora che camminiamo e io inizio a sentire i limiti della preparazione estiva che evidentemente non ho svolto come dovevo”. Lui è scoppiato a ridere e come per magia siamo arrivati (te lo dico adesso: secondo me si è intrufolato nel primo garage che ha trovato aperto, mica era casa sua quella!).

Ci siamo fatti su e giù l’Appennino negli anni in cui il Padova era in serie C ed era nel girone con le toscane. E ogni volta che, lungo l’autostrada, vedevi un falco appollaiato sul guard rail mi dicevi sempre: “Io sono come un falco. Mi piace starmene a contemplare la natura tutto solo, anche per ore. Secondo me nell’aldilà la vita è così. Ti fai i cazzi tuoi e stai da Dio, poi ogni tanto incontri qualcuno, che ovviamente non è un rompiballe, e lo saluti. Ci scambi due parole. E poi torni nel tuo stato contemplativo”.

Mi hai insegnato a ridere dei miei gravi problemi. A vedere tutto con ironia. Sei stato un compagno di viaggio fantastico. Quando Gigi Carrai ha deciso che dovevo iniziare a seguire il Padova mi ha messo te di fianco. Sapeva che mi avresti coltivato a dovere. Che avresti tirato fuori il meglio di me. Mi dicevi sempre: “Marty le notizie ci sono. Devi fare ogni giorno almeno 10 telefonate. Chiama tutti. Il magazziniere. La moglie del presidente. L’ultimo dei panchinari. Di sicuro, una notizia viene fuori”. Mi consigliavi: “Leggiti ogni giorno i pezzi di sport dei quotidiani nazionali, si impara sempre molto da chi è più bravo di noi”. Io, invece, prima di sfogliare la Gazzetta, leggevo te. Perché eri il più bravo di tutti. E quando hai capito che questo mestiere stava prendendo una brutta piega, hai deciso che avresti scritto un pezzo ogni tanto, solo quando la notizia valeva la tua penna il tuo ingegno e il tuo modo di raccontarla.

Dovevo venirti a trovare mercoledì a casa. Purtroppo ci vedremo proprio mercoledì. Purtroppo nell’unico posto e nell’unico modo in cui non avrei voluto vederti. Grazie Furio. Rivedrai tante delle persone di cui hai scritto lassù. Tra tutte salutami Lello Scagnellato l’unico che, esattamente come te, non sono riuscita a salutare come volevo.

Ciao Furio, fai buon viaggio.

P.S.: scusa se questo ricordo non riesce ad essere bello come quello che avresti scritto tu per me. Porta pazienza. Spero che mia mamma e tutti gli altri riescano ad andare oltre la terza riga: significherebbe che ho reso almeno in parte l’idea di chi sei stato e continuerai ad essere dentro di me.

UN PICCOLO MIRACOLO

Padova “sei” bellissimo, ha scritto un tifoso su facebook pochi istanti dopo il fischio finale della partita di Fontanafredda. Già. Sei vittorie in sei giornate. E chi se l’aspettava un inizio così prorompente, dirompente e prepotentemente importante?

Nessuno, davvero, men che meno io, son sincera. Quando il 28 luglio abbiamo fatto irruzione con telecamere e taccuini nello studio del notaio Doria in corso del Popolo per riprendere il momento della firma dell’atto costitutivo del nuovo Padova ero certo contenta che in qualche modo si ripartisse, ma ero ancora troppo amareggiata per come era finita la storia del vecchio Padova e non riuscivo a rendermi conto che in quel momento, in quell’ufficio con una tavola ovale che vedeva da un lato Bergamin, Bonetto senior e Bonetto junior con in mano la penna e il foglio protocollo da firmare e dall’altra giornalisti e fotografi, stavo assistendo ad un piccolo miracolo.

L’emozione da sala parto mi ha preso un po’ alla volta. Quando ho visto che la nuova società sceglieva i suoi uomini. De Poli per il ruolo di direttore sportivo, Parlato per quello di allenatore. E via via i giocatori: gente umile, senza grilli per la testa, ragazzi contenti, quando vai a vedere gli allenamenti, che tu sia lì per seguirli e raccontare il loro lavoro. Ragazzi che fuori dal campo salutano, sorridono, che ammettono i propri errori, quando li fanno, e sono pronti a ironizzare quando qualcosa va storto. Ragazzi che vogliono vivere Padova da cittadini normali, scoprendo il carattere dei suoi abitanti ma anche il valore dei suoi gioielli artistici. Davvero, mi sembra di vivere un momento magico: si è creato un rapporto speciale con la squadra. A memoria, l’ultima volta che, almeno personalmente, è successo qualcosa di simile, è stato con il gruppo 2002-2003, quello che ha sfiorato la B ai playoff. Quello dei vari Pellizzaro, Tasso, Centofanti, Bergamo, Antonioli, Colombo.

Bene così. Non si potrà vincere sempre e mi aspetto ovviamente che prima o poi si debba anche imparare a gestire un risultato diverso dalla vittoria, ma finché c’è questo clima, me lo voglio godere fino in fondo. Domenica prossima c’è il primo scontro diretto della stagione contro il Belluno. Arriviamoci nuotando a grandi bracciate in questo mare di entusiasmo. Ci aiuterà a dare il meglio per superare il primo vero scoglio del campionato.

P.S.: purtroppo un petardo fatto esplodere da un tifoso in campo nei minuti finali della gara potrebbe complicare e non poco la settimana impegnativa che abbiamo di fronte (fatta anche della partita di Coppa di mercoledì a Fano). Già l’Euganeo era in diffida, sempre per via di un petardo e di alcune bottigliette lanciate all’indirizzo del guardalinee a Montebelluna. Ora, se il giudice sportivo prendesse ancora provvedimenti, potrebbe scattare la squalifica del campo. Mi auguro proprio di no, perché giocare a Treviso o a Venezia il big match con il Belluno sarebbe davvero da spararsi. Spero in ogni caso che chi, nonostante i ripetuti e decisi inviti dei capi ultras a non lanciare oggetti di nessun tipo e men che meno fumogeni e materiale che scoppia, ha lanciato il petardo in campo la prossima volta se ne stia a casa. O venga caldamente invitato a rimanere a casa nel caso in cui esprima il desiderio di venire a vedere la partita. Di gente che rovina un clima così, francamente, non abbiamo bisogno.