CHE SPETTACOLO!

Oggi ciascun tifoso del Padova ha visto esattamente la partita che voleva vedere.

I più scettici, quelli che, dopo il pari interno contro la Triestina, già iniziavano a riempirsi la bocca con la prima crisi stagionale e la difficoltà a trovare la via del gol contro le squadre che si chiudono, sono stati serviti con un poker di reti (che potevano essere pure di più!) e con un approccio alla gara stratosferico da parte dei biancoscudati. Parliamoci chiaro: la partita di oggi non era facile. E non lo è stata neppure dopo lo 0-3 e lo 0-4. E’ stato il Padova bravo a farla sembrare facile, con la sua mentalità vincente, grazie all’aggressività a tutto campo manifestata dal primo minuto e alla grande capacità di far girare palla ordinatamente fino a trovare il varco giusto.

I più ottimisti o semplicemente quelli che non si lasciano condizionare dal singolo risultato ma mantengono una lucidità di massima con la quale capiscono che il rendimento fin qui è stato eccellente e che qualche partita può anche andare mezza storta hanno vissuto un pomeriggio bellissimo, applaudendo a piene mani la squadra per l’autentico spettacolo mandato in scena oggi a Castelfranco. Consapevoli che non si è fatto ancora niente, ma contenti per aver visto i loro beniamini non lasciarsi condizionare nemmeno un po’ dall’1-1 di domenica scorsa e correre liberi sul campo del comunale senza pesi e condizionamenti di sorta.

Due note di merito: la prima al capitano, Marco Cunico, che nel giorno del compleanno di uno dei più grandi numeri dieci del calcio italiano, Alessandro Del Piero (che ha fatto 40 anni tondi) ha esaltato il numero che porta sulle spalle dall’inizio del campionato con una prestazione di sostanza e la prima doppietta con la maglia del Padova. La seconda a Gustavo Ferretti che, avrà pure fatto una “cagata”, come ha sottolineato lui stesso testuale in intervista, ma ha deliziato la vista dei tifosi padovani e di tutto il campionato di serie D con un gol che definire da cineteca è riduttivo. Purtroppo l’istinto che lo porta a fare cose straordinarie in qualunque momento della gara, ogni tanto gli rema contro e gli fa fare qualche cavolata. Ma dopo quel che abbiamo visto oggi, forse gli si può perdonare l’eccesso di zelo…

RIALZARE LA TESTA, SUBITO

Doveva succedere prima o poi che arrivasse un pareggio. Come ha detto Parlato a fine gara: “Meglio un pareggio che una sconfitta”. Giusto. E adesso?

Adesso, a mio giudizio, viene il difficile. Perché finché si vince, si portano a casa i 3 punti e si rimane in vetta alla classifica da soli l’entusiasmo e i risultati ti aiutano a tenere sotto il tappeto gli eventuali piccoli difetti da limare. Un po’ come si fa con la polvere quando non si ha voglia di spazzarla via e la si nasconde appunto sotto il persiano. Ora che sulla ruota biancoscudata è uscita per la prima volta la X bisognerà essere bravi più di quanto lo si è stati fino ad adesso.

Perché bisognerà rialzare la testa, subito, fin dalla prossima trasferta in casa del Giorgione (la prima di due consecutive peraltro!) e dimostrare di non aver minimamente accusato il colpo. Perché bisognerà imparare dall’errore commesso oggi subito dopo il gol di Aperi: era più che umano tirare un sospiro, lasciarsi andare alla gioia e pensare di avercela fatta, dopo tanto sforzo profuso, visto che oltretutto era il 38′ del secondo tempo, ma la Triestina ha insegnato una volta di più che anche l’ultima in classifica può estrarre dal cilindro mezza palla gol in 9o minuti e pareggiare dopo che per tutto il resto della gara non ha nemmeno mai provato a pensare di tirare in porta. Bisognerà da un lato cercare di analizzare con serenità le sbavature, dall’altro pensare che, in fin dei conti, non è successo niente di così grave. Un pareggio ci può stare. E, come ha detto l’ad Roberto Bonetto a fine gara, avremmo tutti messo la firma quest’estate per ritrovarci, alla nona giornata, primi in classifica insieme alla corazzata Altovicentino.

Gambe in spalla e avanti sempre per la strada intrapresa lo scorso 2 agosto. Che sarebbe stata dura e da lottare ogni domenica fino alla fine lo sapevamo anche prima di incappare nel primo mezzo passo falso di stagione.

 

AVANTI SCUDATI!

C’è stato da soffrire. Ben più del solito. E come ha detto Nichele a fine gara: “Bisogna che perdiamo questo vizio. Le partite vanno chiuse quando ce n’è l’occasione, se no non sempre riesci a portarle a casa”. Giusto: se Petkovic non ci metteva due pezze paurose nella ripresa l’ArziChiampo avrebbe pareggiato e il Padova si ritroverebbe a dover condividere il primato con l’AltoVicentino che, a quanto pare, non perde un colpo e vince facile ovunque da diverse domeniche. Per fortuna, con i “se” e con i “ma” non si fa la storia, il Padova ha vinto e il primo posto è ancora in solitaria.

Mi ritrovo però anche oggi a dirvi, nonostante qualche brivido di troppo lungo la schiena, quanto questa squadra mi riempia il cuore il gioia. Mi faccia divertire. Mi faccia provare orgoglio nel tifarla. Anche stavolta infatti tutti hanno dato l’anima in campo, i giovani soprattutto (penso a Busetto e Mazzocco che hanno confezionato insieme il gol partita, ma anche a Pittarello che è entrato nella ripresa, a De Grassi, allo stesso Petkovic che ha vigilato tra i pali quando c’è stato da vigilare), ma anche i senatori, nonostante più di qualcuno non sia nelle migliori condizioni. Nessuno tira indietro la gamba e tutti tirano la carretta ben oltre le possibilità, gettando il famoso cuore oltre l’ostacolo.

Certo, visto il roboante successo dell’AltoVicentino, si è capito una volta di più che se non si dovrà vincerle tutte poco ci mancherà da qui alla fine per conquistare la promozione in Lega Pro (ricordo ancora una volta che solo la prima passa di categoria, le altre fanno i playoff solo per un’eventuale graduatoria di ripescaggio!). Ma intanto un’altra vittoria è stata messa in saccoccia, meglio pensare ad un partita alla volta.

A piccoli passi, avanti Scudati!

 

IL DIVERTIMENTO E’ ASSICURATO

Mi capita molto spesso, in telecronaca, di scherzare e cercare di vedere la partita di pallone che sto commentando anche con un pizzico di ironia. La situazione in cui mi riesce perfino troppo facile farlo è quando faccio i paragoni con l’anno scorso e con la sofferenza che abbiamo patito ad andare a vedere le partite dell’ultimo Padova in B, specie nella seconda parte del campionato, quando si faceva sempre più chiaro, limpido e incontrovertibile il concetto che non ce l’avremmo fatta a mantenere la categoria così a fatica raggiunta e saremmo miseramente retrocessi. La frase che ripeto più spesso è questa: “L’anno scorso i giocatori in campo avrebbero dovuto dare dei soldi ai tifosi per andare a vederli, non avrebbero dovuto essere i tifosi a pagare il biglietto o a sottoscrivere l’abbonamento. Perché in campo molti di loro facevano letteralmente ‘cavare el core’ e vederli giocare era da star male, altro che da divertirsi”.

Ecco quest’anno sta succedendo l’esatto contrario. Ad andare a vedere il Padova ci si diverte. E così deve essere quando si tolgono dei soldi alla vita quotidiana (specialmente di questi tempi!) e si paga un biglietto per assistere ad uno spettacolo. Che sia un concerto, una rappresentazione teatrale o una partita di calcio, non cambia nulla. Finalmente il pubblico di fede biancoscudata può lasciare lo stadio con il sorriso sulle labbra e l’orgoglio di tifare Padova e non con il fegato ingrossato e la rabbia di sentire che mezza Italia (calcistica) ti prende per i fondelli.

Sarà anche serie D, ma arrivata alla settima giornata ribadisco un altro concetto che mi porto dietro dalla prima: provo molte più emozioni con questa squadra, con questi giocatori, con questo allenatore e con questa dirigenza rispetto a quelle che ho provato nell’ultimo infausto anno di serie B anche quando magari si è vinto in qualche modo qualche partita. Certo arriverà anche il giorno in cui si perderà e bisognerà fare i conti con la sconfitta, con la necessità di rialzarsi in piedi, con l’obbligo di tirare fuori ancora qualcosa in più.

Siamo pronti a tutto. Tutti. Pur di vedere sempre più vivida, chiara e vicina la luce che finalmente è spuntata in fondo al tunnel.

P.S.: per favore, non perdiamo tempo e soprattutto energie positive a constatare che qualcuno dei giocatori che l’anno scorso qui non ha reso secondo le aspettative ora segna a ripetizione e ha ritrovato sè stesso in un’altra piazza. Onestamente non mi arrovellerei il cervello per cercare di capire se è stata più colpa loro che qui non hanno dato quello che dovevano o più colpa di Padova e della società di allora che non li ha messi nella condizione di esprimersi al meglio. Forse è stato un po’ questo e un po’ quello, ma pensarci ora, che siamo ripartiti da zero con una nuovissima dirigenza, non ha alcun senso. E poi  l’invidia detrattiva non porta da nessuna parte. Auguriamo ai “campioni ritrovati” un grande “in bocca al lupo” e pensiamo solo a tenerci stretti con tutto l’affetto possibile i ragazzi che quest’anno finalmente ci hanno restituito l’amore per il calcio!

CIAO FURIO, PER ASPERA AD ASTRA

“Scolta Marty, i dise che so matto mi. Mi me par che sia tutto il resto del mondo che no capisse…”. Quanto mi facevi sorridere quando, con l’inconfondibile e immancabile inflessione triestina, ti chiedevi se tutto quello che facevi e in cui credevi aveva un senso.

Sì, è vero. Tu eri quello che guidava contromano lungo l’autostrada della vita ma pensava che ad andare nella direzione sbagliata fossero tutti gli altri.

Avevi ragione tu.

Era la tua la direzione giusta.

Tu vedevi sfumature che nessun altro vedeva. Coglievi sentimenti che nemmeno chi provava sapeva di avere nel cuore. Raccontavi le storie, quelle importanti. Perfino dei calciatori, di cui si dice di tutto e di più tutti i giorni e spesso non son nemmeno cose positive, riuscivi a trovare un lato umanissimo che sarebbe piaciuto anche a chi di calcio non si interessava. Ricordo l’intervista a Vlaovic dopo l’intervento alla testa: le tue domande in grassetto, le sue risposte esattamente come te le aveva date, con i congiuntivi sbagliati e le parole messe insieme alla rinfusa, che rendevano perfettamente l’idea di un ragazzo che aveva passato un bruttissimo momento ma che stava ricominciando a sorridere alla vita. Rileggo spesso quella a Bedin, dopo che esibì la maglia “I believe in Jesus” e la sua profonda religiosità. Ripenso all’intervista al fuorigioco. “Scusi, signor fuorigioco…”. Esilarante, arguta, solo uno come te poteva pensare di intervistare una cosa che tutti sanno cos’è (ad esclusione delle donne) ma nessuno capisce a cosa serve.

Cavalcavi il battito del cuore di tutti. E poi scrivevi che era un piacere immenso leggerti. Perché tu prima che saper scrivere sapevi leggere. Fondamentale. Non si può scrivere se non si sa leggere. Se non si sa vedere la vita. Se non si ha la sensibilità giusta per andare dentro le cose. Dentro le persone.

“Marty non possiamo volere così male ai nostri lettori” mi dicesti una volta al telefono dopo aver letto un pezzo che ti avevo inviato. Avevi ragione. Nemmeno mia mamma che mi vuole tanto bene sarebbe andata oltre la terza riga di quell’articolo tanto era noioso e scritto male. Eri severo ma non perdevi mai la calma e se ho imparato qualcosa di questo mestiere lo devo anche a te.

Quante trasferte insieme, Furio! Dopo aver scritto nelle condizioni più improbabili due pagine di giornale, condividevamo la fatica della giornata trovando puntualmente il ristorante giusto. Perché, mi dicevi sempre, “La partita si può sbagliare, il ristorante no!”. E allora via con il tagliere di affettati misti di Prato, con la bistecca alla fiorentina di Lucca, la pasta allo scoglio di Pisa, l’antipasto tipico dell’osteria di Pistoia. E via con quel simpatico cameriere di Cesena che, quando alzasti il piatto per cercare di aiutarlo a sparecchiare, ti rispose simpaticamente indispettito: “Io sono pagato 12 milioni al mese (c’erano ancora le lire, ndr), lasci giù quella forchetta che mi arrangio io”. I personaggi più strani e più autentici, in giro per gli stadi d’Italia, li abbiamo beccati noi: forse perché eravamo “strani” a nostra volta nel nostro modo di prendere la vita per le corna, e li attiravamo come le calamite.

Ti ricordi quella volta che, a Pavia, invece che appoggiarci alla redazione del giornale locale, ci siamo fatti convincere da un giornalista free lance ad andare a scrivere nel garage di casa sua, adibito a mini ufficio? Lui continuava a dire: “E’ qui vicino, sono due passi a piedi” ma non arrivavamo mai. Ad un certo punto, dopo chilometri e chilometri con borse, computer e tutto il resto tra vicoli, discese e salite, non ce l’hai fatta più, l’hai fermato e con quel poco fiato che ti era rimasto non gliele hai mandate a dire, ovviamente alla tua maniera, senza essere minimamente sgarbato: “Scusa, non è per dire. Ma è un’ora che camminiamo e io inizio a sentire i limiti della preparazione estiva che evidentemente non ho svolto come dovevo”. Lui è scoppiato a ridere e come per magia siamo arrivati (te lo dico adesso: secondo me si è intrufolato nel primo garage che ha trovato aperto, mica era casa sua quella!).

Ci siamo fatti su e giù l’Appennino negli anni in cui il Padova era in serie C ed era nel girone con le toscane. E ogni volta che, lungo l’autostrada, vedevi un falco appollaiato sul guard rail mi dicevi sempre: “Io sono come un falco. Mi piace starmene a contemplare la natura tutto solo, anche per ore. Secondo me nell’aldilà la vita è così. Ti fai i cazzi tuoi e stai da Dio, poi ogni tanto incontri qualcuno, che ovviamente non è un rompiballe, e lo saluti. Ci scambi due parole. E poi torni nel tuo stato contemplativo”.

Mi hai insegnato a ridere dei miei gravi problemi. A vedere tutto con ironia. Sei stato un compagno di viaggio fantastico. Quando Gigi Carrai ha deciso che dovevo iniziare a seguire il Padova mi ha messo te di fianco. Sapeva che mi avresti coltivato a dovere. Che avresti tirato fuori il meglio di me. Mi dicevi sempre: “Marty le notizie ci sono. Devi fare ogni giorno almeno 10 telefonate. Chiama tutti. Il magazziniere. La moglie del presidente. L’ultimo dei panchinari. Di sicuro, una notizia viene fuori”. Mi consigliavi: “Leggiti ogni giorno i pezzi di sport dei quotidiani nazionali, si impara sempre molto da chi è più bravo di noi”. Io, invece, prima di sfogliare la Gazzetta, leggevo te. Perché eri il più bravo di tutti. E quando hai capito che questo mestiere stava prendendo una brutta piega, hai deciso che avresti scritto un pezzo ogni tanto, solo quando la notizia valeva la tua penna il tuo ingegno e il tuo modo di raccontarla.

Dovevo venirti a trovare mercoledì a casa. Purtroppo ci vedremo proprio mercoledì. Purtroppo nell’unico posto e nell’unico modo in cui non avrei voluto vederti. Grazie Furio. Rivedrai tante delle persone di cui hai scritto lassù. Tra tutte salutami Lello Scagnellato l’unico che, esattamente come te, non sono riuscita a salutare come volevo.

Ciao Furio, fai buon viaggio.

P.S.: scusa se questo ricordo non riesce ad essere bello come quello che avresti scritto tu per me. Porta pazienza. Spero che mia mamma e tutti gli altri riescano ad andare oltre la terza riga: significherebbe che ho reso almeno in parte l’idea di chi sei stato e continuerai ad essere dentro di me.

UN PICCOLO MIRACOLO

Padova “sei” bellissimo, ha scritto un tifoso su facebook pochi istanti dopo il fischio finale della partita di Fontanafredda. Già. Sei vittorie in sei giornate. E chi se l’aspettava un inizio così prorompente, dirompente e prepotentemente importante?

Nessuno, davvero, men che meno io, son sincera. Quando il 28 luglio abbiamo fatto irruzione con telecamere e taccuini nello studio del notaio Doria in corso del Popolo per riprendere il momento della firma dell’atto costitutivo del nuovo Padova ero certo contenta che in qualche modo si ripartisse, ma ero ancora troppo amareggiata per come era finita la storia del vecchio Padova e non riuscivo a rendermi conto che in quel momento, in quell’ufficio con una tavola ovale che vedeva da un lato Bergamin, Bonetto senior e Bonetto junior con in mano la penna e il foglio protocollo da firmare e dall’altra giornalisti e fotografi, stavo assistendo ad un piccolo miracolo.

L’emozione da sala parto mi ha preso un po’ alla volta. Quando ho visto che la nuova società sceglieva i suoi uomini. De Poli per il ruolo di direttore sportivo, Parlato per quello di allenatore. E via via i giocatori: gente umile, senza grilli per la testa, ragazzi contenti, quando vai a vedere gli allenamenti, che tu sia lì per seguirli e raccontare il loro lavoro. Ragazzi che fuori dal campo salutano, sorridono, che ammettono i propri errori, quando li fanno, e sono pronti a ironizzare quando qualcosa va storto. Ragazzi che vogliono vivere Padova da cittadini normali, scoprendo il carattere dei suoi abitanti ma anche il valore dei suoi gioielli artistici. Davvero, mi sembra di vivere un momento magico: si è creato un rapporto speciale con la squadra. A memoria, l’ultima volta che, almeno personalmente, è successo qualcosa di simile, è stato con il gruppo 2002-2003, quello che ha sfiorato la B ai playoff. Quello dei vari Pellizzaro, Tasso, Centofanti, Bergamo, Antonioli, Colombo.

Bene così. Non si potrà vincere sempre e mi aspetto ovviamente che prima o poi si debba anche imparare a gestire un risultato diverso dalla vittoria, ma finché c’è questo clima, me lo voglio godere fino in fondo. Domenica prossima c’è il primo scontro diretto della stagione contro il Belluno. Arriviamoci nuotando a grandi bracciate in questo mare di entusiasmo. Ci aiuterà a dare il meglio per superare il primo vero scoglio del campionato.

P.S.: purtroppo un petardo fatto esplodere da un tifoso in campo nei minuti finali della gara potrebbe complicare e non poco la settimana impegnativa che abbiamo di fronte (fatta anche della partita di Coppa di mercoledì a Fano). Già l’Euganeo era in diffida, sempre per via di un petardo e di alcune bottigliette lanciate all’indirizzo del guardalinee a Montebelluna. Ora, se il giudice sportivo prendesse ancora provvedimenti, potrebbe scattare la squalifica del campo. Mi auguro proprio di no, perché giocare a Treviso o a Venezia il big match con il Belluno sarebbe davvero da spararsi. Spero in ogni caso che chi, nonostante i ripetuti e decisi inviti dei capi ultras a non lanciare oggetti di nessun tipo e men che meno fumogeni e materiale che scoppia, ha lanciato il petardo in campo la prossima volta se ne stia a casa. O venga caldamente invitato a rimanere a casa nel caso in cui esprima il desiderio di venire a vedere la partita. Di gente che rovina un clima così, francamente, non abbiamo bisogno.

UN CHIARO SEGNALE (DI FORZA)

Anche oggi, per molti aspetti, è stata una giornata indimenticabile. Certo, non ci sono stati tutti i gol di Tamai e quella straordinaria rimonta e ci stavamo tutti rassegnando ad assistere al primo 0-0 della stagione iniziando a guardare il Belluno dal basso. Invece oggi il Padova ha lanciato l’ennesimo segnale di forza, uscendo con l’elmetto in testa dalla situazione probabilmente più difficile in cui si è venuto a trovare dall’inizio del campionato.

L’infortunio di Ferretti (e la conseguente perdita del punto di riferimento lì davanti, aldilà dei 6 gol in 4 partite) e l’espulsione a fine primo tempo di Segato (altro punto di riferimento lì nel mezzo) avrebbero potuto trasformare questa domenica in un autentico disastro. Invece il Padova, che pure ha accusato il colpo e ha fatto fatica a rimettersi in piedi, non ha mollato emotivamente la partita. Buttando il cuore oltre l’ostacolo fino all’ultimo secondo, quando Ilari è riuscito a trovare il varco giusto tra le barricate alzate dal Mezzocorona.

Straordinario Ilari nella ripresa, insieme a Dionisi nell’asse di destra. Bravi dietro Sentinelli e Niccolini. Rapidi e per nulla timorosi sia Aperi che Pittarello, subentrati a partita in corso. Intelligente anche stavolta Parlato nel leggere la gara e nell’effettuare i cambi al momento giusto per sopperire alla mancanza di Ferretti e Segato.

L’applauso più sentito però va anche stavolta al pubblico di Padova. Quasi in 5.000 oggi si sono presentati all’Euganeo, esplodendo quando l’arbitro ha fischiato la fine decretando la quinta vittoria di fila dei biancoscudati. Credo che i giocatori abbiano provato emozioni fortissime e che questa sia davvero una spinta in più che le altre realtà non hanno. Un pubblico da categoria superiore in serie D non si vede mica tutti i giorni. E i ragazzi in campo lo sanno. Per questo danno fondo anche all’ultimo rimasuglio di energia rimasto in fondo al barile per non deluderlo mai.

GIORNATA INDIMENTICABILE

Oggi a Tamai ho vissuto una giornata (calcisticamente parlando!) come non ne vivevo da almeno 3 anni. Per trovare qualcosa che ci assomiglia devo tornare al campionato 2010-2011, alla cavalcata verso la serie A interrotta bruscamente in finale dalla vittoria del Novara. Quel che è venuto negli anni successivi è stato il nulla assoluto: poche partite esaltanti, ancor meno giocatori con un po’ di attaccamento alla maglia. A Bresseo, tranne rare eccezioni, ho visto solo visi abbronzati coperti da occhiali da sole passare salutando a malapena o addirittura fingendo di essere al telefono per non essere costretti a fare neanche quel minimo sforzo in direzione dell’educazione.

Certo, per ritrovare un po’ di sana normalità tra chi veste la nostra amata maglia biancoscudata, un po’ di sacrificio e voglia di lottare in campo e un minimo di rapporto umano abbiamo pagato lo scotto di scendere di due categorie. Ma ben venga la serie D se ci ha permesso di tornare a respirare questo clima. Di tornare a credere in un gruppo che non è solo una squadra di calcio, è una fede.

Non credevo ai miei occhi quando, dopo l’errore dal dischetto di Cunico, non solo i biancoscudati non hanno accusato il colpo ma hanno, se possibile, messo ancora più cattiveria per portare a casa una vittoria voluta davvero a tutti i costi. Una vittoria che ci fa mantenere il primo posto a punteggio pieno e continuare a volare sulle ali di un entusiasmo che non vogliamo più lasciare per strada.

Quel che ho visto dopo il novantesimo, inoltre, mi ha definitivamente riconciliato con tutto quello che, nel pallone, circonda la partita vera e propria e che non sempre fa parlare bene di sè. La cerimonia voluta dalla società Tamai ad inizio gara per ricordare Riccardo Meneghel, suo giocatore di 19 anni morto la scorsa settimana per un incidente stradale, è stata commovente e molto sentita. Ma vedere gli ultras del Padova srotolare lo striscione con scritto “ciao Riccardo” e accogliere i parenti di questo giovane strappato prematuramente alla vita sotto la tribuna a fine gara per far loro coraggio è stato un gesto che difficilmente chi ha visto potrà dimenticare. Da brividi. Da pelle d’oca.

“Non mollate mai” hanno cantato i tifosi del Padova a quelle persone straziate da un dolore insopportabile. Un dolore che per qualche secondo oggi è stato in minima parte alleviato dalla nobiltà della nostra Tribuna Fattori e dalla sua spontanea e sincera esplosione d’affetto.

Perché di fronte alla morte di un ragazzo di 19 anni il dio pallone è uno solo. E la maglia che indossa è uguale per tutti.

Ciao Mene…

 

 

TANTA SOFFERENZA, MA QUESTI RAGAZZI NON MOLLANO!

La partita tra il Padova e il Mori Santo Stefano ha sancito la fine della mia reclusione in studio e il ritorno nell’unico luogo in cui vedere una partita di calcio ti provoca una vera scossa di adrenalina pura: lo stadio. Appena è partita la sigla della nostra trasmissione “Alè Padova” ho iniziato a tremare dall’emozione, mi ero preparata un’introduzione che ovviamente poi è scivolata via dalla mia mente, ho fatto fatica a trovare le parole per esprimere quel che il cuore in quel momento mi faceva provare. Un grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno tempestato di messaggi per dirmi che mi stavano ascoltando e vedendo e che tutto ciò era bellissimo!

Sognavo un ritorno allo stadio con la vittoria del Padova e i ragazzi mi hanno pienamente accontentato battendo, seppur con sofferenza, il Mori. E’ vero che siamo in D, dunque due categorie sotto lo standard cui eravamo abituati negli ultimi cinque anni (che poi le categorie sarebbero tre se non avessero unificato in una Lega Pro unica C1 e C2) ma è altrettanto vero che a me e ai tifosi bastava davvero poco per tornare a sorridere. Un gruppo di ragazzi che hanno sposato la causa, che sono attaccati veramente alla maglia (e non solo a bla bla bla) e che finalmente non mollano, inseguendo la vittoria fino all’ultimo respiro.

Questo è successo oggi. In altri tempi il pareggio del Mori ci avrebbe ammazzato: nella migliore delle ipotesi avremmo portato a casa un pari soffrendo come cani, nella peggiore (e purtroppo è stata la più frequente nel recente passato) avremmo perso 2-1, forse perfino 3-1.

Sono segnali di un progetto che è ripartito sui giusti binari, con la giusta passione ma anche con l’equilibrio e la forza che servono per fare risultati. Senza schizofrenie e facili proclami. Ma con la convinzione che il lavoro e la dedizione quotidiani possono portare molto lontano.

Oggi più che mai: avanti così Padova!

ENTUSIASMO ALLE STELLE, CHE INIZIO PADOVA!

Me ne sono andata in ferie due settimane fa con la speranza di rientrare e vedere il Padova con qualche punticino in classifica. Certo, in cuor mio, sognavo un inizio roboante, di quelli che spazzano via in un sol colpo tutte le paure, le ansie, l’amarezza e il dolore che abbiamo provato tutti insieme il 15 luglio, quando il vecchio Padova non si è iscritto al campionato di Lega Pro ed è sparito dal calcio professionistico. Ma pensavo che appunto sarebbe stato solo un bel sogno, che il risveglio sarebbe stato “carino” lo stesso ma non come l’avevo immaginato.

Per una volta, invece, la realtà ha perfino superato la fantasia. Perché mi auguravo di vedere 6 punti, o magari 4, in classifica ma non certo con una carica d’artiglieria di tal portata! 3-0 con l’Union Pro all’esordio e 4-1 ieri nella prima trasferta a Montebelluna rappresentano un inizio che neanche in Lega Pro quando si partiva sempre col favore dei pronostici e lo squadrone costruito a suon di milioni di euro!

I padovani sono al settimo cielo e ne hanno tutti i motivi. E’ vero che siamo in serie D, due categorie sotto la B che ci ha accompagnato negli ultimi cinque anni e fuori dal professionismo, ma forse i padovani erano stanchi di prime donne viziate che camminavano per il campo e solo a parole dicevano di tenere alla piazza e rivedere gente con gli attributi e la passione correre per conquistare la vittoria basta ora a riempire il cuore. Ed è, alla fin fine, la cosa più bella che ci potesse capitare.

Come ha detto e scritto più di qualche tifoso: “A Padova siamo tifosi veri. Ci basta vedere in campo l’attaccamento alla maglia per innamorarci”. E’ proprio così: ci siamo innamorati del nuovo Padova!