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STORIE DA SCOMMESSOPOLI

Piange il telefono, cantava Modugno. Solo il suo, pare. Quello di decine di giocatori di serie A e B bolliva da anni di proposte e affari indecenti. Partite truccate, a sentire tre procure della Repubblica e due (ex) calciatori pentiti (forse adesso tre con Gianello). Piangono in compenso gli indagati di tutta la vicenda. Che lamentano la “gogna” mediatica, non si sa a quale titolo, dacché sono personaggi pubblici e si tratta di notizie già pubbliche, ricordo, agli atti giudiziari (quindi nessuna fuga di notizie). Ma non si difendono nel merito.

Il più “piangini” di tutti è un allenatore di bianconero strisciato, da poco scudettato, che lamenta di aver ricevuto l’avviso di garanzia (che è appunto un atto a garanzia dell’indagato, mica una pistola puntata) senza essere stato ascoltato dai pm (come se i magistrati fossero obbligati a farlo), mostrando un’ignoranza giuridica mica da scherzo. Ma questo signore un tempo stempiato e ora dal ciuffo rigoglioso, un po’ lo capisco. S’impegna allo spasimo per accampare scuse tirate per i capelli (capelli, sì insomma ci siamo capiti) e poi arriva il suo presidente, dal cognome importante, ma dall’intelligenza meno importante, che per difenderlo, in un attimo lo sotterra,asserendo grave: “Il ruolo del nostro allenatore è marginale in tutta questa vicenda”. “Marginale”, avete capito bene. E’ come se uno vi beccasse a rubare e vi difendesse dicendo: “Ma ha rubato solo un po’”. Geniale, direi. Questo pover’uomo non fa tempo a ripigliarsi dal cosiddetto “fuoco amico”, che accorre in suo soccorso il radiato Luciano Moggi, il quale dichiara restando serio: “Per Conte garantisco io”. Una mazzata!

Poi c’è il portiere e capitano della nazionale, che in conferenza stampa, senza che nessun dirigente federale fermi in tempo il noto giurista, attacca confusamente la magistratura. Un tizio più importante di lui, non tanto alto, asfaltato in testa, con tanti “danè”, l’ha fatto per anni e chissà che anche Buffon non possa ambire a diventare premier. La stoffa c’è.

Tralasciando il giocatore simbolo del Chievo, che lacrima a nove colonne nell’intervista in ginocchio pubblicata dal quotidiano locale. Intervista senza una domanda vera, un concentrato di piaggeria e compiacenza. Salvo poi, il medesimo, rifiutare tracotante le interviste dagli altri media, che forse qualche semplice e legittima domanda volevano farla.

E i calciatori arrestati? In silenzio per mesi, chi per omertà, o connivenza, chi magari anche solo per paura, adesso tutti smaniosi di parlare coi magistrati. Già, la cantilena più in voga di questa tarda primavera è dei loro avvocati: “Il mio assistito non vede l’ora di chiarire la sua posizione con gli inquirenti”. Shakira ha materiale per il prossimo tormentone estivo.

E poi c’è il popolo. Che reagisce accalorato in base alle evenienze e alle convenienze di tifoso. Sarebbe divertente se non fosse in realtà tristissimo. Il tifoso si sveglia alla mattina ipergarantista perché vede indagato un suo beniamino, ma al pomeriggio ha improvvisamente un attacco di accalorato giustizialismo se legge che di mezzo c’è il giocatore della squadra odiata. Salvo poi, alla sera, trovarsi al bar e gattopardoscamente riuscire a essere, in base all’interlocutore, per cinque minuti un novello Torquemada, e per altri cinque un raffinato cultore dello stato di diritto. Una cosa da mal di testa, il rischio svenimento c’è.

Eppure è una cosa molto italiana. Una penna raffinata ed emarginata come Oliviero Beha lo sostiene da anni nei suoi libri: il vero scandalo in questo Paese è che siamo tutti molto tifosi e molto poco cittadini.

 

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