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“DI QUESTA PARTITA NON CE NE FREGA UN C…”

“La verità è sovversiva” scrive Luis Sepulveda. La verità è anche dissacrante e l’unica verità del sabato sera di Verona-Inter è quel coro intonato dai butei della sud sul finire: “Di questa partita non ce ne frega un cazzo”. Un vecchio tormentone, ma ieri sera improvvisato sulle emozionanti note di “I will follow him” e dunque particolarmente riuscito.

Il significato di quelle parole è da sempre chiaro: si tifa innanzitutto… il tifo e la curva, poi il Verona, ma inteso come “istituzione”, maglia, simboli e colori. La partita in sé è un contorno, un pretesto, il grimaldello ideale per questa autocelebrazione settimanale di uno stile unico in Italia. E giocatori e allenatore sono solo delle comparse (da qua il must che non si dedicano loro cori).

Ma ieri – preso atto di come la stagione del Verona stia scivolando verso un grigio anonimato – quelle parole partite dalla curva, ma poi intonate da tutto stadio, assumono forse senza volerlo anche un significato dissacratorio della sfera più prettamente calcistica. Infatti, cosa vogliamo ormai scrivere di partite come Bologna, Parma e Inter? Il Verona ha mollato qualcosa a livello di tensione emotiva e di furore agonistico. Veri obiettivi, almeno per quest’anno, non ce ne sono più, per colpa di una paranoia esclusivamente italiana per cui i piccoli-medi club, di anno in anno, vivono, lottano e vegetano solo per fottuta rotta dei 40 punti. La parola “salvezza” nel resto del mondo pallonaro non è nemmeno contemplata, qua ormai è bagaglio antropologico di ognuno di noi, in perfetta linea con la nostra cultura remissiva, di piccolo cabotaggio, anti-rivoluzionaria e cripto-democristiana che ci ammanta da secoli e ci ammanterà nei secoli e nei secoli (amen).

E allora di cosa scriviamo? Ci mettiamo a fare una disamina tecnica di Verona-Inter? La mia è telegrafica: il nostro punto di riferimento Luca Toni, ieri come a Parma, è apparso un po’ “sulle gambe”. Se lui non è al top l’Hellas ne risente , dal momento che il calcio, nel bene o nel male, lo fanno i calciatori e non i “demiurghi” della panchina, da Mourinho in giù. E Toni quest’anno è stato metà squadra, un po’ come Gilardino nel Bologna di Pioli la scorsa stagione (questo sappiamolo in vista della prossima annata).  Potremmo poi parlare di un Iturbe “spremuto” da un lavoraccio di mesi e mesi a tutto campo e ieri costantemente raddoppiato (altri sbocchi non ne abbiamo?). Nel secondo tempo Mandorlini ha chiesto all’argentino di restare “alto”, il tentativo giustamente era di provare a pareggiare, ma (sarà un caso) poco dopo abbiamo preso il raddoppio (come dire, non abbiamo meccanismi difensivi tali da poterci permettere gli esterni d’attacco “alti”?). La frittata è stata servita da un centrocampo scombiccherato, col compassato (eufemismo) Donati, l’ancor intangibile Marquinho e il debuttante Sala, bravo (lo si vede) ma ora come ora un tantino’ affannoso, e una difesa che non per niente è la stessa della serie B (e il calo dei nostri attaccanti è lì impietosamente ad evidenziarlo).

Ma ogni disamina tecnica è nulla rispetto a quella che è una sensazione. Checché ne dica Moras (abolire le interviste di fine partita, no?), non percepisco più quel “sacro fuoco” nei ragazzotti in maglia gialloblù (o blu-arancio, ma qui entriamo in un’altra sfera a me cara e lasciamo perdere per carità di patria). L’auspicio è che sia solo un periodo storto, mettiamola così. Lo dico anche alla critica veronese: è ora di finirla coi discorsi autoassolutori che “tanto siamo salvi”, “ci siamo divertiti” e balle varie. Rimangono dieci partite da giocare ed è prestino per abbassare le serrande e appendere il cartello “chiuso per ferie”. Obiettivi? Vincere il derby, raggiungere i 55 punti e restare tra le prime otto. Non vedo alternative.

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