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I CALCIATORI? CONTA SOLO IL VERONA

I petroldollari arabi hanno sedotto Marquinho, così sul web leggo commenti poco simpatici nei confronti del centrocampista brasiliano. Eppure mi chiedo, quanti altri al suo posto avrebbero fatto diversamente? Qualcuno ha paragonato il “mercenarismo” dell’ex romanista alla fedeltà di Maietta, tuttavia il confronto non regge. Il buon Mimmo (che va ringraziato per quanto ci ha dato in questi quattro anni e che rimane una persona genuina al di là delle polemiche di questi giorni ) un’offerta del genere non l’ha ricevuta e ad oggi – in attesa di trovare una buona sistemazione per i suoi desiderata – la migliore soluzione per lui è rispettare il contratto che lo lega a Via Belgio. Giusto così, com’è giusta la scelta di Marquinho.

Attenzione, scrivo con l’inchiostro del disincanto, non con quello del mondo che vorrei, perché stiamo parlando di professionisti, sempre e comunque, anche nei casi più insospettabili. Professionista, non bandiera, fu Del Piero quando decise di rimanere alla Juventus in B, forte di un contratto plurimilionario che altrove non avrebbe trovato (era reduce da due anni da panchinaro); al di là di tutta la retorica che si fece all’epoca. Professionista è stato Hallfredsson a gennaio, quando prima del rinnovo contrattuale si è guardato intorno tirando un po’ la corda. Professionista è Iturbe, che attende con la pazienza di chi sa che – comunque vada – andrà a guadagnare di più su palcoscenici agonisticamente più importanti. Professionista è Romulo e lo è il suo procuratore che cerca di sfruttare il più possibile il valore di mercato attuale del suo assistito. Professionista è Prandelli, che nonostante le promesse e un tatuaggio lasciò Verona per un contratto col Venezia (non con la Juve, il Milan o l’Inter) e adesso si dimette da ct triplicando il suo ingaggio al Galatasaray. Professionista è Sogliano, che prima o poi al Milan andrà (ma intanto teniamocelo stretto!), e professionista è Mandorlini, il cui il legame con la città è vero, ma che se lo chiamasse una grande o un danaroso club straniero probabilmente faticherebbe a rifiutare. E professionisti sono, pur in situazioni di mercato opposte, sia Marquinho, che ha diritto a firmare con gli arabi, che Maietta, che a 32 anni ha piena ragione di voler aspettare una chiamata dalla A.

Perché ricordo questo banalissimo concetto? Perché credo serva a farci riflettere, intendo noi giornalisti e una parte dei tifosi. A volte non dovremmo cedere alle tentazioni omologanti, ma invece ispirarci al motto della curva sud “cambieranno i giocatori, il presidente e l’allenator, ma il Verona resterà per sempre nel mio cuor”. Oggi più che mai. Quindi basta isterie (buone o cattive) mediatiche su questo o quel giocatore, piuttosto concentriamoci sul patrimonio identitario (storia, maglia, simboli, colori, senso di appartenenza) che rappresenta il Verona Hellas. Gli onanismi da calciomercato, gli psicodrammi collettivi per l’addio del campione di turno, le ipertrofie all’americana del numero di maglia da ritirare, i cori per tizio, caio o sempronio lasciamoli ad altre città, ad altre squadre e ad altri tifosi. Perché, come declama un altro coro, l’unico campione è l’Hellas Verona. Il resto è avanspettacolo.

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