QUANDO GLI AGNELLI DIVENTANO LUPI

Se avete a portata di mano un medicinale anti-vomito prendetelo prima di leggere questo pensiero di Andrea Agnelli. Dice il presidente della Juventus: “Ho grande rispetto per quello che sta facendo l’Atalanta, ma senza storia internazionale e con una grande prestazione sportiva ha avuto accesso diretto alla massima competizione europea per club. È giusto o no?”.

Agnelli non è uno stupido. Sa benissimo di essere impopolare quando attacca la favola dell’Atalanta che rappresenta quello che il Verona ha rappresentato negli anni ’80. Cioè la provinciale che riesce a scalfire con capacità, professionalità e anche per una buone dose di fortuna il potere e la forza delle grandissime. Ma lo fa perché vuole creare un dibattito e iniziare a speronare quello che in Italia è un diritto inalienabile nel calcio e nello sport: la meritocrazia. Agnelli e il sistema di potere che rappresenta, vuole scalfire questo codice morale. Non più il merito, ma il blasone, la tradizione, le coppe vinte, il censo. Io so’ io e voi non siete un cazzo, direbbe il marchese del Grillo. Le grandi sempre più grandi e le piccole relegate al ruolo di comprimarie, senza più nemmeno l’illusione di poter qualche volta partecipare al banchetto.

Si parla ovviamente di soldi, di stramaledetti diritti televisivi, una torta sempre più imponente che ha stravolto il calcio fino a questo “mostro” che abbiamo sotto gli occhi. Sembra ieri quando Gianni Brera (avrete sicuramente letto il bellissimo articolo su quel Juventus-Verona a porte chiuse) diede dei ladri agli juventini usando come metafora una fantastica barzelletta. Scrisse il maestro, morto purtroppo in un incidente a Codogno, oggi paese noto per essere focolaio del coronavirus: “Sono considerazioni fatte senza cedere al sentimento, che deve ancora questo registrare, secondo nota barzelletta anti-juventina. L’arbitro si fa presso la panchina dalla quale il bravissimo Trap va gridando ai suoi: “Ritmo, ritmo!”, e l’arbitro perplesso: “Non eravamo d’accordo per una 132?”.

Allora vinceva il Verona, ma non contro Wurtz, l’arbitro della vergognosa gara al Comunale, oggi la piccola meravigliosa Atalanta di Gasperini, maestro di Ivan Juric che a sua volta sta compiendo un immenso capolavoro nel campionato italiano con il nostro Hellas. E quindi, come rappresentanti della sana provincia italiana, di una società che ha vinto l’unico scudetto al di fuor delle loro mura, oggi dobbiamo essere a maggiore ragione scandalizzati da questo modo di pensare che ha il solo scopo di creare una superlega miliardaria fatta non di merito ma dal sangue blu.

Ebbene, vado di provocazione: se la facciano questa superlega, escano dal campionato e ci lascino il nostro calcio pane e salame. Senza di loro, siamo sicuri, ci divertiremo molto di più.

LA CHIAREZZA DI JURIC

Non c’è nessun motivo per cui Setti incassando “cento” non ne reinvesta “ottanta” per il Verona. Perchè non dovrebbe essere così? Perchè il presidente non dovrebbe sposare l’idea di Juric? Non vedo quale sia il problema. Seguendo il filo logico e la narrazione dello stesso Setti di questi ultimi anni, lui con l’Hellas non vuole guadagnarci e non vuole neanche rimetterci. Bene. Grazie al lavoro di Juric sarà esattamente così. In più Setti avrà anche la possibilità di accantonare “venti”, soldi che serviranno a dotare il club di infrastrutture importanti quali sede (a breve l’inaugurazione) e soprattutto il centro sportivo (il d.o. Barresi ha annunciato per la trentesima volta novità a brevissimo, speriamo sia la volta buona…).

Setti è stato bravo e fortunato con Juric. Per certi versi dovrebbe costruirgli un monumento. Non solo sta portando il Verona alla salvezza, ma ha anche creato preziose plusvalenze che renderanno il Verona, parole ancora di Juric “potente economicamente”. Setti ora non deve buttare via questa fortuna. Juric non mi sembra uno incontentabile. Gli basta la chiarezza. La stessa che la società ha avuto in questa stagione in cui, come da parole dello stesso mister, “non c’erano neanche i soldi per un ritiro anticipato nè per un aereo”. Ci sarebbe da chiedersi perchè, visto la valanga di denaro che il Verona ha comunque incassato in questi anni, ma facciamo finta di niente. E’ il futuro che ci interessa e Juric è chiaramente il timbro di garanzia sull’operato di Setti. Le bugie, come ci ha insegnato il recente passato, hanno le gambe cortissime. E con Juric, queste gambe, ci pare di poter dire, nemmeno esistono.

Aspettiamo fiduciosi le mosse del presidente.

NELLA STORIA

Abbiamo esaurito voci e aggettivi. Che altro c’è da aggiungere? Sembra un sogno, invece è tutto vero. Un anno fa eravamo qui a toccare il punto più basso del nostro entusiasmo per colpa di una squadra squinternata e di un allenatore nel pallone ed oggi battiamo la Juve. Come si fa a non dire grazie a Juric e alla sua meravigliosa squadra? Come si fa a non volere bene a questi ragazzi che ci hanno fatto vivere una serata del genere? Stasera vi siete conquistati un pezzetto di gloria di questa incredibile società capace vincere uno scudetto, di fallire, di finire in C1, di rischiare la C2, di essere di nuovo sul punto di fallire e poi di rinascere e di fare cose incredibili, di toccare vette pazzesche.

Il Verona è la nostra vita, i nostri affetti, la nostra passione. Per questo va trattato bene, per questo va rispettato. Per questo chi lo onora ricorderà sempre Verona nella sua vita come una città calorosa e accogliente, qualcosa che ti entra nella pelle e non te la togli più. Juric sta onorando Verona come i grandi allenatori del passato hanno fatto. Come Bagnoli, Prandelli, Mandorlini, Ficcadenti, Perotti e a questi aggiungo Alfredo Aglietti e prima di lui Davide Pellegrini, due che hanno lasciato tracce profonde nella nostra storia pur in brevi apparizioni.

Il generale Ivan Juric a capo di una squadra pazzesca, costruita a costo zero, ha messo la sua firma su questo campionato di serie A. Il Verona è la squadra rivelazione, la squadra che gioca il calcio più bello, ed è ancora e sempre la fatal Verona. Lui è l’uomo della rinascita, lui è l’uomo del futuro. Lui sarà la certificazione che segnerà anche il domani di Setti e la sua riabilitazione a Verona dopo lo schifo diffuso a piene mani negli ultimi due anni. La permanenza in gialloblù di Juric, inutile girarci attorno,  significherà che il presidente ha veramente in cantiere qualcosa di importante e a lungo termine per questa società. Juric sarà la garanzia sulle intenzioni di Setti.

Se invece Juric se ne andrà vuol dire che il progetto non era ritenuto valido e per noi vorrà dire rischiare ancora sofferenza e patimenti. Io credo che il presidente stavolta farà di tutto per non disfare questo giocattolo che si è trovato tra le mani. Spero di non sbagliarmi.

 

I CONTI SENZA L’OSTE

E tutti a dire e a scrivere di una Lazio lanciatissima verso lo scudetto, di una Lazio che dopo aver giocato la partita con il Verona sarebbe volata al secondo posto, come se fosse stata una mera formalità conquistare i tre punti con i gialloblù. I classici conti senza l’oste. L’oste sarebbe Ivan Juric che all’Olimpico ha costruito un altro capolavoro e che ha presentato il conto a Simone Inzaghi e alla sua bellissima Lazio. Un conto che poteva essere salatissimo per i Lotito boys se Borini avesse incrociato di più il suo tiro a conclusione dell’ennesima ripartenza chirurgica.

La verità è che il Verona non finisce più di stupire. Questa squadra sembra infinita. Mai un calo, mai un momento in cui possa dare l’impressione di non esserci con le gambe e con la testa. A fare una rapida carrellata delle gare giocate fino ad oggi credo che abbiamo concesso e sbagliato solo il primo tempo con il Torino. Quarantacinque minuti ampiamente riabilitati da quella ripresa con remuntada che è poi diventata uno dei ricordi più dolci della stagione. Questa forza mentale, che deriva dal grande lavoro in campo da parte del nostro allenatore, è frutto dell’alchimia che si è creata nello spogliatoio. Insomma, abbiamo un gruppo. Un grande gruppo. E quando succede, è come assistere allo spettacolo di un tramonto, è come vedere la nascita di un bambino.

Una serie incredibile di coincidenze hanno portato alla fortunata costruzione di questo Verona che sarebbe bello fermare nel tempo e cristallizzare per sempre in quell’abbraccio finale dell’Olimpico, in cui il generale da Spalato esultava consapevole di vedere finalmente in campo la creatura per cui ha tanto studiato e sofferto in precedenza.

Ora è chiarissimo che siamo davanti ad un miracolo sportivo. Che sabato sera potrebbe rivelarsi nella sua enorme bellezza nel tempio del pallone denominato Marcantonio Bentegodi, dalle parti della fatal Verona. Fossimo in Sarri non dormiremmo sonni tranquilli…

CINQUE (BUONI) MOTIVI PER CUI JURIC NON LASCERA’ VERONA

Ci sono cinque buoni motivi per cui Juric non se ne andrà il prossimo campionato e resterà ancora a Verona. Eccoli

1) LA RICONOSCENZA.  Juric ha un debito di riconoscenza nei confronti di Setti. Il presidente lo ha cercato, voluto e imposto anche dopo l’incredibile scalata alla serie A di Aglietti. Una scelta impopolare, allora, ma che poi ha pagato. L’allenatore di Spalato non se ne può scordare a cuor leggero. Non era facile per Setti, che aveva già clamorosamente ciccato le scelte di Pecchia e Grosso, rischiare anche con Juric.

2) CREDITO (QUASI) ILLIMITATO. Dopo un campionato del genere, Juric avrà a Verona un credito quasi illimitato. E’ vero che nel calcio, come dice lo stesso allenatore, tutto è subordinato ai risultati e che senza quelli non c’è credito che possa salvare una panchina, però è anche vero che adesso Juric a Verona può permettersi anche dei passi falsi che altrove lo metterebbero subito sulla graticola.

3) ARRIVANO SOLDI. Il Verona della prossima stagione avrà a disposizione un importante budget da reinvestire sul mercato. Juric potrà scegliere giocatori di qualità e sempre affini al suo gioco per iniziare un importante ciclo. Certo, non c’è una possibilità di spesa infinita, ma rispetto allo zero di questa stagione è già molto.

4) POTERE AL TECNICO. A Verona la parola di Juric sul mercato ha contato e conterà molto. Sarà così anche da altre parti? E’ un altro aspetto che l’allenatore deve tenere in considerazione. Magari con meno soldi ma qui può costruire una squadra che sia perfetta per il suo gioco con giocatori che prima di tutto siano uomini, come quelli che compongono l’attuale gruppo.

5) IL RISCHIO DI BRUCIARSI. E’ già successo a Juric quando ha lasciato il Crotone dopo il miracoloso campionato vinto. Al Genoa, diciamoci la verità Juric ha rischiato la carriera e solo gli attuali risultati veronesi lo hanno riabilitato. Vale la pena andare in una grande o in una presunta tale e fare la fine che altri prima di lui hanno fatto (vedi Giampaolo al Milan quest’anno)?

IVAN IL TERRIBILE

Ivan il terribile ha una faccia che potrebbe stare benissimo dietro uno sportello dell’ufficio del catasto. Un impiegato statale che arriva al lavoro in bicicletta e che è felice di quello che fa. Uno in pace con la vita, che ama le piccole cose, una lettura, un bicchiere di vino, una birra. Ivan il terribile è onesto e sincero. Quando gli chiedono una cosa risponde sempre come se avesse la carta vetrata sulla lingua e un vocabolario di 15 parole a disposizione.

Non sa nemmeno cosa sia la retorica che gli allenatori italiani studiano a Coverciano, non ha sovrastrutture dialettiche, non racconta di pizzi e merletti quando gli basta un sì e un no. Da quando è arrivato a Verona ha scelto di essere verticale come il suo calcio. O bianco o nero. Mai grigio, il colore che non sopporta, perchè il grigio è il colore della poca trasparenza. Così ha accettato di allenare una squadra a budget zero, che sulla carta era già condannata a retrocedere, ancora prima di giocare. Sempre meglio quello della confusione di Genova, dei labirintici percorsi di Preziosi, delle congiure di Palazzo che rubano energie e ti pugnalano alle spalle.

Juric ha rivoltato il Verona. Attingendo al mercato tra i giocatori che lui stimava di più e che avevano il solo denominatore comune di costare niente ha costruito un gioiello. L’omino del catasto, in realtà ha lo spessore di un grande generale russo, uno di quelli che sa cavare il sangue dai suoi soldati e ribaltare il fronte di guerra anche quando il nemico è cento volte più forte. Tramite il lavoro, la chiarezza, la sapienza del maestro ha valorizzato giocatori che ora hanno un valore enorme per la società.

Juric in questo momento, che piaccia o che non piaccia, è l’Hellas Verona. Un rapporto simbiotico con una piazza che non ama i fronzoli, tantomeno i cazzari. Juric è il miglior argomento che ha Setti per dimostrare di non essere un “buffone” come lo appellavano l’anno scorso i tifosi, appiccicando ovunque quel caustico volantino. Con lui, il presidente di Carpi può aprire un ciclo le cui prospettive non si possono nemmeno immaginare.

Juric non si può perdere. Non adesso. Non dopo queste meravigliose partite. Setti deve completare il capolavoro di averlo scelto convincendolo a rimanere per tanto tempo qui. Il più a lungo possibile.

IL BIVIO DI SETTI

Sarà la storia, come sempre a giudicare la presidenza di Setti. Fino ad oggi la storia ci ha detto che questo presidente ha toccato gli estremi. Ha fatto benissimo e subito dopo ha fatto malissimo. Con lui abbiamo visto grandissimi giocatori, fior di bomber ma abbiamo anche assistito a due pessimi campionati di serie A e uno di B che per tre quarti è stato una ignobile spettacolo e per un quarto è stato esaltante.

Chi è dunque Maurizio Setti? Dovessimo giudicarlo per questo campionato e per la scelta di Juric dovremmo dire che è un genio. Ma purtroppo a gravare sul giudizio ci sono Pecchia e Grosso, i due allenatori scelti in precedenza per roboanti progetti. Per non dimostrare che Juric è stata una scelta casualmente fortunata, quindi, Setti ora dovrà veramente iniziare un ciclo.

Ci sta persino che venda Rrahmani e Amrabat “sottocosto” (per inciso, considero le visite del difensore per il Napoli, il venerdì prima della partita, una totale “schifezza” e mai mi inchinerò a queste perverse logiche di mercato) e il gioiellino Kumbulla, ma poi dovrà dimostrare veramente di voler consolidare un progetto al Verona. Insomma dovrà dimostrarci di non essere il solito mercante di passaggio a Verona, uno che tosa le pecore non appena spunta la lana.

Credo che Setti abbia un’occasione enorme per riconquistare la piazza veronese che l’anno scorso lo additava come “buffone”. Un fiume di denaro sta per arrivare nelle casse del Verona, un fiume di denaro che deve essere reinvestito seriamente nel Verona. Prima attraverso una finalità sportiva che possa alzare l’asticella dei risultati (è così scandaloso pensare di andare in Europa League ogni tanto?) e poi con un progetto più interessante e utile per la società rispetto allo stadio costruito da una società terza in cui il Verona fondamentalmente sarà un'”ospite” a vita: sto parlando di un grande centro sportivo, possibilmente costruito a Verona e non nelle periferie della provincia.

Vorrei veramente non avere preconcetti su questi argomenti e non farmi influenzare da tutta la massa negativa che ho visto in passato. Attendo Setti al varco. E’ la sua grande occasione.

UN SOGNO

Respiri e senti nell’aria quell’odore che hai già sentito. L’odore buono di un momento glorioso. Ripassi nella mente e ti ricordi quando da ragazzo uscivi felice dallo stadio quando giocava il Verona di Bagnoli. Una festa ogni domenica, qualcosa che si viveva con il sorriso, i picnic fuori dal Bentegodi, la gente felice, le trasferte oceaniche. E poi il Verona di Prandelli, che aveva toccato il fondo e poi era risalito, la rimonta con il Parma, il pareggio di San Siro con il Milan, Morfeo e Cammarata. E poi il Verona di Malesani, il derby vinto con la suola di Camoranesi, la corsa sotto la curva Sud. E quello di Ficcadenti, partito di notte e di nascosto per il ritiro e poi vicinissimo alla serie A. E il Verona di Mandorlini, l’incredibile maratona dei play-off di serie C, il ritorno in serie B, Nicola Ferrari e Rafael, la trasferta di Salerno. Poi il Verona di Cacia, quello di Toni e Iturbe, i 54 punti, il pareggio con la Juventus con il gol di Gomez. E ora quello meraviglioso di Juric, un sogno che non finisce mai, ogni dolce domenica a stupire e ad applaudire, proprio quando non te lo saresti mai aspettato dopo gli anni più brutti e più tristi che si possa ricordare. Lo stesso odore nell’aria, la stessa felicità che hai già vissuto e che non sai ancora dove ti potrà portare. Perché un sogno è un sogno e la fantasia può correre oltre alla salvezza. Ma domani è di nuovo lunedì. E si torna a correre, a sudare, a lavorare. Felici, oggi come allora.

CAPITANO, MIO CAPITANO

Molta gente stasera si dovrebbe vergognare. Tantissima. Tutti quelli che, ad esempio, pensavano che Pazzini fosse un giocatore finito. E prima di loro, tutti quelli che lo hanno messo in discussione. E quelli che, quinte colonne del pensiero societario, leccaculi in perenne azione, cercavano di disgregarne l’immagine e la professionalità. Ce ne sono tantissimi. Nickname che spuntavano come funghi sui social e sui blog e insultavano chi come noi, sosteneva che era una bestemmia non vedere uno come Pazzini titolare in serie B, additandoci come nemici della società, o addirittura nemici del Verona. Tutti spazzati via da un gol, da una partita, dal sorriso di un giocatore che il Verona non poteva permettersi di tenere fuori, in panchina, trattandolo a volte peggio di un lebbroso.

Per fortuna la verità viene sempre a galla, anche se a volte fa percorsi strani e lunghi e in molti se ne dimenticano. Pazzini è un ragazzo gentile, educato, disponibile, ma prima di tutto un campione. Un campione che il Verona ha pagato molto e poi ha cercato di scaricare perché il suo ingaggio era eccessivo. Bastava dirlo, invece, s’è scelta una strada in cui le buche erano piene di nefandezze e di ipocrisie.

L’unico che ha cercato a suo modo di rimettere chiarezza in questa vicenda è stato Juric. Il primo a spiegare perchè Pazzini non giocava e cosa si aspettasse da lui. E il primo ad ammettere anche il suo errore di non averlo inserito prima (“Forse” ha detto dopo la gara con la Spal “anch’io mi sono sbagliato”). Juric è un uomo vero e il suo splendido Verona è specchio della sua immagine. Non poteva Juric tenere fuori uno come Pazzini, ed infatti, pur tardivamente, il bomber ha rifatto capolino nella partita che non ti aspettavi. Ha segnato, ha corso, ha giocato di fino (tacco sulla linea dell’out). Ha zittito i pidocchiosi lacchè del presidente che stasera avranno un po’ di gustoso sterco da mangiare.

Mentre noi esultiamo per il gol di un campione che ha regalato all’Hellas Verona tre punti e una salvezza sempre più vicina.

 

APPLAUSI, VENDIAMO TUTTI I PEZZI PREGIATI

Che bello amici! Stiamo cedendo tutti i nostri gioiellini. Non appena il buon Juric, lavorando bene e per appena mezza stagione, ha prodotto un buon raccolto, ecco che immediatamente la società è andata (o sta andando all’incasso). In tempi andati (iniziamo ad essere datati…) questo era sufficiente per creare un largo dissenso e un malcontento diffuso. Invece no. Oggi i tempi sono cambiati e quindi non solo si deve assistere alla mietitura ma bisogna pure applaudire. Come Fabri (Fibra). Applausi per tutti. Perché così va il calcio moderno, perché una società come il Verona “non può permettersi”, perché “compralo ti el Verona…”.

L’asticella non solo non si è alzata, ma si è abbassata così tanto “ed è già tanto che siamo in serie A”. Quindi che altro c’è da aggiungere? Applaudiamo ad Amrabat e Rrahmani al Napoli, applaudiamo per Kumbulla all’Inter (o alla Juve) e applaudiamo perché siamo l’unica società che cede i suoi pezzi migliori a gennaio e con la salvezza tutta da giocare.

Cosa ci resta da sperare? In mezzo a questo tripudio la speranza è di finirla con la politica dei prestiti secchi, dell’ascensore su e giù, dei paracaduti. Che questi soldi servano al Verona, a costruire una squadra forte, con giocatori di proprietà (esempio: andate subito ad acquistare Salcedo!), e a dare un centro sportivo all’altezza. Che serve più dello stadio (che tra l’altro non sarebbe neanche di proprietà). Novantadue minuti di applausi.