COLPA NOSTRA, NON DELL’EURO

Quanto a crescita economica siamo la maglia nera in Europa: l’unico, tra i 27 Paesi Ue, ad avere avuto nell’ultimo anno una crescita del pil inferiore all’1%: Solo lo 0,9%, e già ci è andata bene perché le previsioni erano ferme allo 0,7%…
Il confronto con la crescita degli altri Paesi ci dimostra che il tanto vituperato euro, da molti indicato come la causa principale dei mali economici italiani, non c’entra una beata minchia. Due esempi tra i tanti: la Svezia non ha l’euro ed è cresciuta del 2,4%, la Spagna ce l’ha e registra una crescita pressoché uguale 2,3%. La Gran Bretagna ha la sterlina, crescita dell’1,5%. L’Irlanda ha l’euro, crescita impetuosa: 3,4%
Scrive il Fatto: ”Per debito e crescita siamo il malato d’Europa”. Abbiamo cioè il debito più alto e la crescita più bassa. Se esiste una logica dovrebbe risultare evidente che è inutile, anzi dannoso, chiedere di sforare i vincoli europei: la realtà italiana dimostra infatti che più spesa pubblica non genera più crescita ma il contrario, più decrescita. Perché ammazza l’economia reale (Es: se mi assumono come usciere chiudo la bottega artigiana)
Ci mancano le riforme strutturali che rilancino l’economia, la produzione, con un taglio drastico di tasse e burocrazia.
Mancano per un semplice motivo: le riforme vere ed efficaci sono impopolari; nell’immediato implicano sacrifici, tagli a privilegi e tutele. Solo così arrivano poi i risultati.
Ma tutti i nostri governi (destra e sinistra pari son) hanno lo sguardo corto, volto cioè al tornaconto clientelare e/o elettorale. E quindi le riforme incisive massimo le abbiamo sentite enunciare, mai viste attuare.
Che sia colpa nostra o colpa dell’euro?

MALATI, MA SOLO A ORE…

Il presidente dell’ Inps Tito Boeri chiede che vengano equiparate le ore giornaliere di controllo per i dipendenti pubblici e privati in malattia: 7 ore per tutti.
Grazie alla sua iniziativa si scoperchia il pentolone dei controlli farlocchi. Toh: siamo pieni di malati a ore – dalle 9 alle 13, dalle 16 alle 18 – liberi e sani nel resto del giorno.
Pare evidente che, se uno è davvero malato, lo è h24. E che i controlli devono essere fatti a sorpresa in qualunque momento, non nell’orario prestabilito. Invece fin dal tardo pomeriggio liberi tutti di andare al cinema, in discoteca al pub con gli amici…
Ci stupiamo, grazie a questi controlli farlocchi, di avere il doppio di assenteismo della Germania? Una normativa a misura di furbetti: andate e moltiplicatevi!
Dice nulla che, nelle assenze per malattia di un giorno il 31% avvenga il lunedì, (ci sarà la sbornia domenicale da smaltire) e che oltre la metà delle assenze siano entro i tre giorni?
Dopo di che traspare anche un vergognoso razzismo in certe statistiche. Ma come si fa a certificare che, a fronte di una media italiana di 17,7 giorni di assenza pro capite per malattia, i giorni nel nostro Veneto sono 15,5 e in Calabria invece più del doppio: 34,6 giorni!..
Nei vari Paesi europei le giornate di assenza per malattia vengono pagate o in toto dallo Stato o col contributo delle aziende. Negli Stati Uniti invece – sia con Trump che con Obama che con un qualunque altro presidente – nessuno paga mai le assenze per malattia. Risultato: la media pro capite è di 4,9 giorni all’anno.
Se ne deduce un dato inconfutabile. Pagare i giorni di malattia è un autentico attentato alla salute dei cittadini: più ti pagano, più ti ammali! Peggio dell’inquinamento…

DA DON CAMILLO ALLA MOGHERINI

Federica Mogherini, ministro degli esteri Ue, dichiara al Corriere: “L’Europa è come una meravigliosa sedicenne che si guarda alla specchio e si vede brutta. La nostra salute fisica è perfetta, ma siamo labili di nervi, una vera crisi d’identità”
La nostra salute in effetti è perfetta: facciamo palestra e dieta, andiamo dall’estetista, la vita media si allunga. Ma è la crisi d’identità, cioè la mancanza di una qualunque fede in valori condivisi, che ci rende di fatto vecchi, al di là dell’apparenza da sedicenni.
Giovani lo siamo stati. Penso a don Camillo, a quei mirabili film che, riproposti da tutte le reti, Telenuovo compresa, continuano a registrare ottimi ascolti (specie tra noi anziani, primi utenti della tv). E’ la nostalgia per l’identità che avevamo, per la fede condivisa che non c’è più.
Poteva essere la fede religiosa, come per il popolo di don Camillo, o quella laica per il partito, per il comunismo, come per il popolo di Peppone. Ma era fede e dava identità.
Vivevi secondo i dettami della Chiesa o dedicavi le energie al partito, alle sue battaglie. Nessuno che pensasse alle vacanze, al tempo libero, a farsi i fatti propri. Era la fede in un ideale.
Oggi la parola d’ordine è: la vita è mia e ne faccio ciò che voglio io, cioè cerco di trarne il massimo piacere. Non la dedico certo né alla fede né al partito né ad un qualunque ideale condiviso.
Da questo punto di vista il crollo del tesseramento, a quello che era il Pci, va di pari passo alla desertificazione delle chiese. All’affollamento di beauty center, palestre, pub, luoghi di villeggiatura.
La differenza è tutta qui: avere o no una qualunque fede. Come la giudichiamo è secondario: poteva essere surreale l’aldiqua della rivoluzione proletaria, come magari lo è l’aldilà dei seguaci di Allah. Ma molti di loro, i mussulmani, ci credono fermamente.
E questo, appunto, fa la differenza: tra noi e loro non c’è scontro di civiltà, perché non esiste scontro tra un falange compatta nel credo e un popolo disperso nella ricerca del piacere individuale.
Tornando alla Mogherini, il nodo è la crisi di identità. Che rende l’Italia, come un po’ tutta l’Europa, una vecchia che, non credendo più a nulla, è destinata a prossima sepoltura.

LA CORTE HA SANCITO L’INSTABILITA’

Per capire quanto sia sciagurata la legge elettorale, che la Consulta ha sfornato dopo mesi di pensose valutazioni, serve un parallelo con la scuola e con un concetto che tutti – almeno in teoria – condividono.
Perché l’insegnamento possa svolgersi serve la continuità didattica: non puoi passare da un supplente, a un insegnate di ruolo che dopo sei mesi o un anno va in congedo o chiede il trasferimento, ad un altro supplente ad un nuovo insegnate. Deve esserci, appunto, la continuità didattica per tutti gli anni delle elementari, delle medie, delle superiori. Il tutto, non per conseguire risultati strepitosi, ma un minimo di insegnamento.
Se questo vale per la scuola, varrà a maggior ragione per un Paese? Paese che deve affrontare emergenze e problemi senza precedenti: crisi economica, disoccupazione, sicurezza, immigrazione, un Unione Europea che vacilla, un mondo che sta cambiando radicalmente. Avrà o no bisogno di un governo stabile? Di qualunque colore esso sia.
Lo capisce ogni persona di buon senso. Non l’hanno capito i parrucconi della Consulta sancendo di fatto il ritorno al proporzionale, cioè alla Prima Repubblica, cioè all’instabilità garantita. (Durante i 47 anni e 153 giorni della Prima Repubblica, dal 1946 al 1994, si susseguirono 51 governi con una durata media di 11 mesi e 9 giorni)
Nei fatti è così perché, abolito il ballottaggio, è stato lasciato un premio di maggioranza del tutto teorico al 40% dei voti, soglia di fatto irraggiungibile per qualunque partito. (I più accreditati, 5 Stelle e Pd, vengono dati più o meno al 30%). Quindi non potrà che esserci un governo di coalizione, in balia della perenne guerriglia scatenata da un partitino della coalizione stessa o da una corrente del partito perno della coalizione. Proprio come accadeva nella Prima Repubblica.
Non serve ricordare che anche in Germania si vota col proporzionale. Là i governi sono quasi sempre durati l’intera legislatura, perché ben diverso è il senso di responsabilità, privilegiando il bene comune del proprio Paese. E non il calcolo di bottega abituale nelle nostre singole forze politiche.
Va detto che la Consulta ha dato al nostro Paese ciò che il nostro Paese vuole: l’instabilità a garanzia che le vere grandi riforme vengano solo annunciate a mai attuate…

IN 74 PER ESPELLERNE 29

Dalla prima pagina di Repubblica di oggi, 18 Gennaio: “Il piano di volo è da Roma Fiumicino a Hammamet, con scalo a Lampedusa e Palermo. L’aereo è un charter della Bulgarian Air affittato dal Viminale. I tunisini da espellere sono ventinove e settantaquattro gli “accompagnatori” tra agenti, funzionari, medici, infermieri, garanti dei detenuti. Una spesa stimata in 115 mila euro. Così il 19 maggio scorso sono stati riportati ad Hammamet 29 migranti irregolari”.
Così funzionano le cose nel nostro Paese. Con questi costi, con questo strepitoso dispendio di personale (74 a 29) lautamente retribuito grazie all’esigenza dei rimpatri. A conferma che non sono solo le coop a guadagnarci coi migranti. Ma, appunto, anche agenti, funzionari, medici, infermieri, garanti dei detenuti (che ci sarà da “garantire” loro durante un paio d’ore di volo?)
Un Paese serio ed efficiente, che non colga qualunque occasione per speculare, li mette sul volo diretto Roma-Hammamet e paga 29 biglietti. Punto.
Con queste modalità e questi costi c’è da augurarsi che i rimpatri di massa non avvengano mai, perché comporterebbero un ulteriore sostanzioso aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini contribuenti.
Non solo. Immaginiamo che mai venga attuato il piano Minniti che vuole imporre i lavori socialmente utili a tutti i richiedenti asilo. Quali sarebbero i costi? Quanto il personale mobilitato e pagato per attuarlo? Chi e come e in quanti andrà a prendere ogni giorno casa per casa le decine di migliaia di migranti che godono della tanto decantata “accoglienza diffusa”? Cosa succederà ai primi (scontati) infortuni sul lavoro?
Meglio lasciar perdere…

GLI SPIONI E LA SCIE CHIMICHE

Nessuno stupore che qualcuno sia indotto a credere alle scie chimiche, quanto oggi tutti – ma proprio tutti i quotidiani – vogliono indurci a credere che siamo investiti da un complotto senza precedenti. Un grande complotto orchestrato dai fratelli spie che mettono a rischio la sicurezza dello Stato! Che spiano i potenti!
Se parliamo di Draghi, di Saccomanni, dello stesso Monti, ci sta: spiavano per orchestrare grandi speculazioni finanziarie. Ma poi scopriamo che sono state violate anche le mail, la posta elettronica, di Michela Brambilla: quale sconvolgente segreto volevano carpirle? Forse la marca di crocchette più adatta a Dudù…Cosa aveva di così interessante da nascondere l’ex radicale ed ex portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone? E dei pensionati della politica come La Russa, Cicchitto e Fassino?
Il Corriere titola “l’archivio segreto delle spie”. Più che segreto è sterminato: intrusioni su ben 18 mila utenze!
Basta questa cifra a comprendere che siamo di fronte a un’ossessione, ad un passatempo compulsivo dei due fratellini Occhionero che, benestanti e senza una minchia da fare, passavano il loro tempo a spiare chiunque (quando non andavano a correre maratone in giro per il mondo). Così come altri passano le giornate ad esplorare i siti porno, o a postare qualunque sciocchezza in rete.
Ci verranno a raccontare che dietro c’è Putin? Che sono stati gli hacker russi ad istruirli per orchestrare un grande complotto? Possibile, in un Paese che per anni ha raccontato che Junior Valerio Borghese con i forestali preparava un golpe, non contro i cinghiali, ma contro le istituzioni repubblicane…
E poi il fratellino ingegnere è pure massone! Apriti cielo: il complotto è certo! Ignorando il fatto che nelle tante logge e loggette presenti nelle nostre città i massoni non vanno a complottare, ma semplicemente a fare affarucci: a scambiarsi clienti, il medico col commercialista, l’avvocato con l’ingegnere…
Affarucci che magari facevano anche i fratelli Occhionero. Ma non complotti che mettono a rischio la sicurezza dello Stato.
La sicurezza dello Stato, e di tutti noi cittadini, è compromessa dall’immigrazione di massa incontrollata, dalle infiltrazioni dei terroristi, dallo scontro con la solida e compatta “civiltà” islamica di fronte alla quale siamo balbettanti e dispersi.
I fratellini spie? Solo un bel diversivo per non parlare (non dico affrontare) dei problemi veri e drammatici.

ARRIVANO I TURCHI DELL’E-COMMERCE

Quanto sia anacronistica la battaglia della Regione Veneto per ridurre le aperture festive dei negozi (simile all’illusione che si torni a parlare il dialetto) lo dimostrano i dati sull’esplosione dell’e-commerce, del commercio elettronico che vende 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno.
Dati forniti dal quotidiano La Stampa. Amazzon è passata dal giorno record del 2014 con 450 mila ordini, al record 2015 con 650 mila, al 25 novembre scorso, giorno record dell’anno in corso, con un milione e cento mila ordini! Oggi l’e-commerce nel nostro Paese vale già 20 miliardi di euro.
Intanto, non solo la Regione ma anche le associazioni di categoria, stanno a discutere di orari, festività, contrasto di centri commerciali e grande distribuzione, tutela dei negozi tradizionali.
Inevitabili che ricordino i celebri dotti bizzantini, impegnati a discutere di sesso degli angeli, quando i turchi del sultano Maometto II erano sotto le mura di Costantinopoli.
Non si tratta di negare che si stava meglio col negozio di prossimità, che il nostro stile di vita si imbarbarisce (che bello quando parlavamo dialetto!). Lo rileva anche la Stampa che scrive “la vita stessa delle persone sarà sconvolta: come già fanno molti giapponesi, resteremo sempre in casa davanti la computer, a lavorare, ordinare quello che ci serve, guardare i film su Netflix, e incontrare gli amici su Facebook”.
Ma è il mondo che cambia. Probabilmente anche a Costantinopoli si stava meglio a discutere di sesso degli angeli. Però sotto le mura c’erano i turchi e la conquistarono. Proprio come sta facendo l’e-commerce…

IL MIGRANTE ENTRA NELL’URNA

Ieri Angela Markel, nel presentare al congresso della sua Cdu, la candidatura al quarto mandato da cancelliera, ha parlato anzitutto e quasi esclusivamente di immigrazione. Non solo da limitare ma da abbinare ad una rigida integrazione alla cultura tedesca di usi e costumi (religiosi) islamici. Simboleggiati dal velo che – ha detto – “va vietato dove possibile”
Lei, che era il fulcro dell’Europa umanitaria e accogliente, ha fatto un totale dietrofront; a conferma che l’immigrato entra nell’urna, cioè che il governo dell’immigrazione è cruciale per vincere o perdere le elezioni.
Nelle nostre urne c’è già entrato domenica scorsa: pochi dubbi che la valanga dei no sia stata un no anche e anzitutto alle politiche migratorie fin qui attuate dal governo Renzi.
Pochi dubbi che sarà il tema cruciale quando la Consulta avrà deciso quando e come riportare il nostro Paese ad elezioni anticipate.
E qui è interessante pensare alla posizione dei principali concorrenti: molto netta, molto respingente, quella della Lega. Che però si chiama Lega Nord… e resta da vedere quanti voti potrà prendere al Centro e al Sud.
Molto netta, molto accogliente, cattolico-boy scout-accogliente, quella propugnata dal Pd. Da tutto il Pd, compresa la minoranza bersaniana.
Ambigua quella di Forza Italia. Berlusconi di immigrazione non parla. Qualunque forzista, tranne lui, ne parli è ininfluente.
Particolarmente interessante la posizione del concorrente che oggi sembra nettamente favorito: il Movimento 5 Stelle. Fin’ora Beppe Grillo sull’immigrazione ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte, anche perchè raccoglie consensi elettorali trasversali ai partiti tradizionali.
Ma da qui al voto politico, col migrante nell’urna, anche lui dovrà dire in modo chiaro ai cittadini se è accogliente o respingente.

IL DIALETTO, LA LINGUA DEGLI AFFETTI

Un amico ha dato una definizione che trovo perfetta: il dialetto è la lingua degli affetti. Quindi – dato che gli affetti o ci sono o non puoi insegnarli – non ha senso la pretesa della Regione Veneto di insegnare il dialetto nelle scuola, alle ultime generazioni che non lo parlano più.
D’altronde a scuola non ce lo hanno mai insegnato. Il dialetto lo imparavamo in quelle famiglie, non allargate, ma numerose che oggi non esistono più. Lo parlavano i nonni, i genitori, gli zii. E noi, fin da piccoli, iniziavamo ad usarlo con i fratelli, con i cugini, con tutti gli altri parenti e conoscenti.
La lingua degli affetti. La lingua del filò: i più vecchi ci raccontavano gli aneddoti, le esperienze, i proverbi e i modi dire, il mondo in cui erano nati e vissuti. Dopo di che si andava a scuola ad imparare l’italiano, la lingua della comunicazione con tutti gli altri che veneti non erano e con i quali non avevamo gli stessi legami affettivi.
Oggi ragazzi e ragazzini, spesso figli unici, che vivono in famiglie molto più ristrette, dove uno dei due genitori non è veneto se non addirittura straniero, da chi dovrebbero impararlo e con chi dovrebbero parlarlo il dialetto? Con facebook, con la rete? Comprensibilmente imparano ed usano il linguaggio povero e sincopato dei social network che sono i loro primi interlocutori.
Il dialetto lo parla ancora qualche giovane nei piccoli paesi, dove permane una certa struttura famigliare e sociale. Nelle città quasi più nessuno.
Oggi a scuola ha senso studiare l’inglese, il cinese: le lingue della comunicazione con il presente e con il futuro. Il dialetto serve, servirebbe, a comunicare con il passato: cioè con un Veneto, con un mondo, con una struttura famigliare che oggi – di fatto – sono in estinzione o già non esistono più.
Negli anni Sessanta, scegliendo di ridurre drasticamente l’insegnamento del latino, si diede una definizione che oggi vale per il veneto: il dialetto è una “lingua morta”.
L’evoluzione della società, il cambiamento di usi e costumi, determina l’evoluzione e il cambiamento della lingua. E – piaccia o non piaccia – comunque non puoi riesumare il passato tornando ad insegnare la lingua che si usava un tempo.

BOB DYLAN NON E’ DARIO FO

Nel mondo dei vip, tra scienziati, artisti e letterati da operetta, c’è finalmente una persona seria. Il Grande Bob Dylan che si è rifiutato di andare a Stoccolma a ritirare il premio Nobel.
Lo ha fatto anche irridendo ai membri dell’Accademia svedese: cioè fingendosi onorato per il premio, salvo aggiungere che ha cose più seria da fare che gli impediscono di perdere tempo per recarsi a Stoccolma.
Siamo di fronte ad un autentico anticonformista che fa comprendere al mondo che ridicola paccottaglia sia il tanto celebrato premio Nobel.
E’ inevitabile anche il confronto con un altro premiato. Per tutta la vita ha recitato la parte del rivoluzionario comunista che detesta la società borghese, salvo poi scodinzolare di gioia e corre giulivo a ritirare il premio, e per giunta dalle mani del re di Svezia! Dopo essere stato scelto da quei parrucconi dell’Accademia svedese, incarnazione perfetta dell’alta borghesia europea snob, capitalista e conformista.
Ah, il tanto celebrato e rimpianto Dario Fo. Che lezione postuma e “rivoluzionaria” gli ha dato Bob Dylan…