TROPPI AVVOCATI, TANTI AVVOLTOI

“Troppi avvocati!” è il titolo del libro manifesto dei giovani avvocati mobilitati per chiedere che anche nelle facoltà di Giurisprudenza, come già avviene in quelle di Medicina, vanga introdotto il numero chiuso. Abbiamo infatti una pletora infinita di avvocati (250 mila) che, essendo appunto troppi, non possono lavorare tutti e magari vengono indotti a comportamenti un po’ da avvoltoi: si aggrappano ad ogni contenzioso, inducono il cliente ad aprire un procedimento, si sforzano di farlo durare il più possibile contribuendo così ai tempi eterni della Giustizia italiana.
Solo a Roma di avvocati ne abbiamo come in tutta la Francia. E le università ne sfornano di nuovi a getto continuo.
Si potrebbe pensare che il libro manifesto sia uscito ora, in questi anni. Errore. “Troppi avvocati!” lo ha scritto un autentico padre nobile della nostra costituzione, Piero Calamandrei, lo ha scritto nel 1921 per i Quaderni della Voce di Prezzolini. Praticamente un secolo fa.
Nell’Italia del 1921, quando l’università era assolutamente d’elite, la percentuale di laureati irrisoria e le donne laureate quasi inesistenti, già allora gli avvocati erano troppi. Figuriamoci nell’Italia del 2014.
Oggi è diventata realtà la vecchia barzelletta del padre avvocato che, al figlio lui pure avvocato, tra i vari regali di nozze gli passa anche una causa. Dopo un mese il figlio, raggiante, gli annuncia di averla definita. E il padre gli risponde: stupido, io con quella causa ci campavo da vent’anni!
Mi spiegano che l’ultimo obiettivo delle agenzie matrimoniali è farti trovare subito l’anima gemella. Perderebbero il cliente. Invece incontro dopo incontro, anno dopo anno, cercano di non fartela incrociare mai: tutelando così la durata del “matrimonio” col cliente…
Vuoi vedere che gli avvocati di Berlusconi sono così critici con i magistrati perchè, con il Cavaliere, sono impegnati a portarlo a giudizio in tempi rapidi (rispetto alla media)? Si dimenticano le toghe che questi poveri legali tengono famiglia e quindi necessitano di andare, pian piano, parcella dopo parcella, fino all’ultimo grado di giudizio…
Non solo l’accelerazione dell’iter processuale, ma anche il tentativo di circoscrivere le liti temerarie oppure quelli che tendono ad arginare le frodi nei sinistri, vengono visti dalla categoria degli avvocati come un’attentato occupazionale: perchè tutte le occasioni di contenzioso servono a farli campare.
Troppi avvocati producono, appunto, anche tanti avvoltoi. Manca il buon senso di arginare il loro numero che Piero Calamandrei invocava già nel 1921.

FORCONI NERAZZURRI INSEGNANO

I forconi nerazzurri hanno dimostrato di essere molto più efficaci degli altri, dei forconi veri e propri: loro l’obiettivo l’hanno raggiunto, gli altri no.
Motivo della protesta dei forconi nerazzurri era lo scambio Vucinic-Guarin. Una follia evidente non solo per tutti i tifosi dell’Inter ma anche per chiunque segua il mercato dei calciatori: non ha infatti alcun senso scambiare alla pari un vecchio pirata dal rendimento altalenante e in precarie condizioni fisiche con un giovane talento integro e in ascesa. Per giunta senza un conguaglio significativo, utile a sistemare il bilancio; per giunta facendo una regalo all’avversario, mettendo cioè la Juve in condizione di incassare decine di milioni con la cessione di Pogba.
Ma, al di là del merito, colpisce l’efficacia della piazza calcistica confrontata all’inefficacia della piazza politica. Dove pure il merito c’è, cioè i sacrosanti motivi per protestare contro tasse, burocrazia, latitanza del governo Letta.
Evidentemente i forconi nerazzurri sono organizzati sul serio, avevano chiari obiettivo e responsabili: impedire lo scambio e cacciar via le “mele marce”, cioè il ds Marco Branca e il dg Marco Fassone (ex juventino, quindi sospetto di collusione col nemico).
Gli altri forconi invece vogliono tutto e ce l’hanno con tutti (cioè con nessuno). Vogliono rovesciare il Paese come un calzino, abbattere il palazzo. Non dicono via il ministro Giovannini o Saccomani o Letta. Perdono tempo ad organizzare proteste folcloristiche anche sotto la villa di Giancarlo Galan che oggi non ha alcun potere sulle scelte del governo nazionale. Vanno a Roma chi a Palazzo Chigi a manifestare, chi in Piazza S. Pietro a farsi benedire dal Papa…
Se i forconi nerazzurri avessero detto “tutti a casa, abbattiamo la sede della società, facciamo la rivoluzione!” non avrebbero concluso nulla.
Nel calcio si riesce ad esercitare una sorta di democrazia diretta. Anche perchè il vertice della società calcistica coglie gli umori della piazza, perfino se è a Giacarta. Mentre il vertice politico sta rinchiuso a Roma che sembra più distante di Giacarta dal Paese reale e dai suoi problemi.
Non dico che sia un bene, anzi può essere sconcertante. Ma prendiamo atto che il calcio (un optional, un passatempo, rispetto alla crisi economica e politica) suscita più passione, induce ad azioni più mirate ed efficaci.
Fatto sta che i forconi nerazzurri hanno concluso e vinto. Mentre i forconi restano velleitari, destinati all’evanescenza.

LA CONTRORIFORMA FEDERALISTA

Tra le riforme che Renzi e Berlusconi hanno concordato c’è, ci sarebbe (vedranno mai la luce?) anche quella del TitoloV; che in realtà è una controriforma: la controriforma del federalismo.
Riformando il Titolo V si diede infatti più potere alle regioni e agli enti locali, con risultati disastrosi: veto sulle grandi opere e sulle politiche energetiche, esercitato in nome dell’egoismo localista, a scapito dell’interesse nazionale. Ulteriore esplosione della spesa pubblica.
Ad esempio quell’introduzione dei costi standard in sanità che tutti invocano (siringa pagato uguale in Veneto come in Sicilia) può avvenire solo se hai un unico centro acquisti nazionale che fissi il prezzo. Mentre, finchè esiste l’autonomia di spesa sanitaria delle varie regioni, avrai sempre i vari burocrati che gestiscono loro il singolo appalto per averne i noti benefici personali…
Da noi, purtroppo, il federalismo attivato ha prodotto solo risultati negativi. Un modello può essere valido in teoria, ma poi va verificato sulle abitudini e la cultura politica di un popolo.
“Pago, vedo, voto”, è la parola d’ordine del federalismo da cui deriva l’idea che è proficuo avvicinare il centro di spesa ai cittadini. Ma questo funziona solo se hai cittadini occhiuti, che vigilano come cani da guardia sugli amministratori locali, pretendendo una spesa pubblica contenuta e verificandone puntualmente gli effetti.
Noi invece chiediamo solo servizi, contributi a pioggia e più assunzioni possibili nel pubblico. Non siamo né abituati né interessati ad esercitare controlli; bensì a vendere, a farci comprare, il nostro voto. E i politici locali si sono adeguati (o, se volete, così ci hanno “educati”)
Il governo centrale subisce le pressioni ad elargire da parte delle grandi lobby: confindustria, sindacati, corporazioni varie. Così era e continua ad essere. Ma a questo si è aggiunta, a livello locale, la pressioni delle mini lobby: pro loco, comitato della sagra della tagliatella, associazionismo vario, enti di formazione professionale (cosiddetti). Tutti a tirare la giacca al sindaco o al presidente di regione ( o agli assessori).
E così allo sperpero della spesa pubblica centrale, si è aggiunto – col federalismo – lo sperpero della spesa pubblica locale.
Speriamo che dalla controriforma federalista venga contenuta almeno la seconda.

CONDANNATI ALL’ACCOGLIENZA

Piaccia o meno è del tutto inutile discutere di revisione della Bossi-Fini, piuttosto che di abrogazione del reato di clandestinità. Vogliamo forse rivedere una legge che – di fatto – non è mai stata operativa, se non per numeri di clandestini residuali rispetto agli arrivi? Vogliamo abrogare un reato mai applicato (se non per numeri residuali…)?
Piaccia o meno siamo condannati all’accoglienza. Punto. Cos’altro abbiamo fatto da vent’anni ed oltre, qualunque fosse il governo e/o il proclama? Solo accogliere, accogliere, accogliere. E nel modo più incivile: cioè senza risorse né adeguate politiche di inserimento degli immigrati.
Condannati a pagare i costi. Anche loro, anche gli stranieri: perchè prescindendo dalle opportunità del mercato del lavoro, senza politiche e risorse adeguate, significa condannare a delinquere per sopravvivere quelli stessi che vorrebbero un impiego. Condannati anzitutto noi a subire un degrado di giorno in giorno più intollerabile.
E intanto Papa Francesco predica l’accoglienza. Predica senza spiegare dove trovare le risorse per un accoglienza cristiana (e non meramente speculativa, ad opera di coop cristiane o meno) Predica da irresponsabile, come ogni capo religioso (che non lo sia di repubblica islamica) perchè può sempre dire di non avere responsabilità di governo, ma solo di indirizzo morale. Lui. I nostri politici no.
Loro – Renzi, Letta, Alfano, Boldrini – non possono predicare l’accoglienza senza fare i conti della spesa. Perchè sarebbe come promettere un reddito di cittadinanza da 5 mila euro il mese a tutti i cittadini, trascurando un particolare secondario: l’indicazione di dove trovare le risorse necessarie.
Le risorse? Semplice trovarle: tagliamo le pensioni d’oro, gli stipendi di politici e burocrati, lotta dura e senza paura agli evasori fiscali. Progetti magnifici e progressivi e che mai hanno visto la luce… Ma intanto i sindaci fanno i conti con la realtà: quattro soldi da destinare agli immigrati li trovano solo sottraendoli ai nostri poveri.
Anche loro come noi tutti: condannati all’accoglienza.
P.S. Sì, e vero: non siamo riusciti a riformare in modo concreto le politiche per l’immigrazione. In compenso ci siamo riusciti al meglio con la giustizia, la sanità, la scuola, la pubblica amministrazione, il mercato del lavoro, la Costituzione…

POPOLACCIO PEGGIO DELLA CASTA

Il popolaccio della rete ha dimostrato di essere peggio della famigerata casta politica. Lo ha fatto con la valanga di insulti scaricati contro il povero Bersani alla notizia che era stato colpito da ictus. Insulti, come racconta sul Corriere Aldo Cazzullo, nemmeno simulati dietro il nickname ma firmati con tanto di nome, cognome e fotografia da chi li ha inviati. Osservazioni del tipo: ”Anche mio nonno è stato in ospedale, ma non se n’è fregato nessuno”
Ennesima dimostrazione che la rete è diventata (anche) la fogna, lo sfogatoio delle pulsioni peggiori che albergano in ciascuno di noi. Il ricettacolo della violenza verbale che, con grande soddisfazione, oggi può essere “pubblicata”.
Nessuno della casta si è permesso un comportamento così incivile: il Giornale ha titolato “Oggi Forza Bersani”. Lo stesso Beppe Grillo, che da sempre lo dava per morto politicamente, gli ha mandato gli auguri: “Ti aspettiamo, non fare scherzi”.
Non esiste civiltà senza inibizione. Cioè senza la volontà e la capacità di controllare le proprie pulsioni: l’odio, l’aggressività, la violenza. La rete è servita (anche) ad abbattere definitivamente questa barriera, a trascinarci nella nuova barbarie.
C’è anche un’ipotesi più ottimistica. Che si rifà all’idea di catarsi di Aristotele. Il quale era convinto che il teatro (oggi la televisione) non istigasse all’odio e alla violenza, ma servisse invece a “purificare”: eri cioè appagato vedendo rappresentare uccisioni e drammi della gelosia, ed evitavi così di diventarne protagonista nella vita reale.
Speriamo dunque che la rete serva almeno a sfogare la violenza verbale, evitando così il ricorso alla violenza fisica. Un po’ come negli Anni di Piombo si diceva che era preferibile lo scontro tra tifoserie allo stadio, piuttosto della P38 impugnata in strada…Speriamo.
Ma intanto prendiamo atto che il popolaccio di internet è peggio della casta contro cui spara a zero.

ANZIANI AGLI ARRESTI DOMICILIARI

Anziani agli arresti domiciliari. Ce ne sono sempre di più. Non che siano i magistrati a metterceli. Sono loro che si autoconfinano in casa, che scelgono di non uscire più: perchè hanno paura, perchè sono stati aggrediti e rapinati da una delle tante bande di predoni che agiscono, indisturbati, nelle nostre città.
L’ultimo caso la sera di Capodanno a Padova (ma accade e può accadere ovunque). Una donna di 75 anni esce per andare a festeggiare con gli amici nella sala della sua parrocchia. Ma alla fermata del tram, alle sette e mezza di sera, viene aggredita, picchiata e rapinata da due giovani di colore che le rubano la borsetta con 100 euro, il telefonino, i documenti.
Passa la sera di Capodanno al pronto soccorso e poi dichiara: non uscirò più da casa mia. Si mette agli arresti domiciliari. Lancia un appello al nuovo questore, il quale non può che rispondere rassicurandola, dicendo che sarà fatto il possibile per arrestare i colpevoli e ridare un po’ di tranquillità a lei e ai tanti altri anziani terrorizzati.
Già. Ma con quali strumenti? Ce n’era uno relativamente efficace: prendere i predoni clandestini e mandarli nei Cie. Una qualche deterrenza l’aveva: il timore di essere rimpatriati, mesi di detenzione garantiti. Adesso, dopo i fatti di Lampedusa, i Cie vengono smantellati. Facevano più paura di un processo, con gli imputati nell’attesa quasi sempre a piede libero. Cioè uccel di bosco…
E qui c’è l’altro grosso problema, la mancanza di collaborazione tra forze dell’ordine e magistratura. Anzi: il conflitto che sempre più spesso traspare. Emblematico il caso della dottoressa Verrina, del tribunale di sorveglianza di Genova, quella del permesso premio al seria killer trasformatosi in evasione (e per fortuna che i francesi l’hanno catturato). Lei stessa ad un poliziotto, un investigatore molto considerato, Francesco Gratteri, nega l’affidamento ai servizi sociali e stabilisce che deve scontare agli arresti la condanna per le violenze alla caserma Diaz.
Domanda: usiamo il pugno di ferro con i tutori dell’ordine (che magari possono aver sbagliato) e il guanto di velluto con i delinquenti acclarati? E il potere politico cosa fa, dorme o pensa che esistano solo i problemi – certo drammatici – della crisi economica?
Tra le tante lettere strazianti arrivate al Quirinale, e lette in tivvù da Napolitano, nemmeno una che accennasse agli anziani che si autoconfinano ai domiciliari?
Con la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico siamo allo sbando completo. L’unica soluzione sembra quella dell’anziana di Padova: sprangarsi in casa e rinunciare e vivere nelle nostre città infestate dai predoni. Predoni stranieri al 99%. Che ci risparmino almeno la balla della “par condicio” coi delinquenti nostrani…

ALBERO DI NATALE IN CATENE

Come siamo messi in questo Natale 2013 lo dice un immagine precisa: l’albero di Natale in catene.
Le associazioni benefiche che raccolgono fondi, ne mettono alcuni sparsi nelle città con accanto la cassettina per le offerte. Alberelli spogli, con qualche fiocco e nemmeno i gingilli. Ma li rubano lo stesso. Rubano perfino questi (oltre alle offerte). E così siamo ridotti a dover mettere la catena che leghi l’alberello al pilastro del portico, sperando che i predoni lo risparmino.
I nostri doveri di cittadini, in primis quello di pagare le tasse, non possono andare disgiunti dai doveri dello Stato: in primis difenderci dai predoni. Secondo utilizzare al meglio i soldi che versiamo: con una battaglia a sprechi e sperperi che sia pari almeno a quella contro l’evasione fiscale.
Battaglia questa che va indirizzata anzitutto sulle prede grosse, cioè le società di capitale. Invece vediamo fin troppo accanimento contro settori in piena crisi, come la ristorazione, con l’Agenzia delle entrate che va a controllare il numero dei tovaglioli mandati in lavanderia sostenendo che ad ogni tovagliolo corrisponde un coperto. Senza tener conto di quelli che usa il cameriere per servire o per pulire i tavoli…
Piccolo esempio di sperperi non più tollerabili: le barricate per impedire la privatizzazione dei trasporti pubblici. A Genova e non solo. Anche qui da noi si ostacola la fusione fra trasporto cittadino e provinciale, che comporta risparmi e migliore qualità. La ostacolano i dipendenti del trasporto cittadino, che hanno il contratto da pubblico impiego, e temono di essere equiparati ai trasporti provinciali già privatizzati.
la crisi c’è per tutti, e non consente più il mantenimento di privilegi e benefit per chi lavora nel pubblico (tipo l’orario degli autisti che viene conteggiato da quando partono da casa e non da quando salgono al volante dell’autobus).
Sicurezza, battaglia a sperperi e sprechi: uno Stato che finalmente faccia il suo dovere. Questo l’augurio, anzi l’impegno per Natale, che dovrebbero assumere Letta e Napolitano.
Invece blaterano di una ripresa che vedono solo loro. E noi intanto ridotti a mettere la catena all’alberello, e magari anche al presepe. Che non rubino pure quello.

BORSA E STATO PEGGIO DELLE SLOT

Allarme ludopatia. I poveri, in particolare, che diventano ancora più poveri giocando con le slot, videolottery, bingo e via dicendo.
Già nell’Ottocento Francesco Crispi (se non ricordo male) definì la lotteria “la tassa per gli asini”. Nel senso che la perdita – globalmente – era matematica. Da allora si sono moltiplicati in modo esponenziale sia le lotterie che “gli asini”, cioè i giocatori.
Un fenomeno certo preoccupante. Anche se non so quanto siano attendibili cifre che parlano addirittura di 80 miliardi l’anno spesi in gioco d’azzardo. 1.586 euro a testa nel 2011.
Fenomeno difficilissimo da controllare, perchè giochi non solo al bar ma anche in rete. Su siti stranieri che sfuggono a qualunque regolamentazione.
Ci sono i ludopatici propriamente detti che spendono ogni giorno centinaia di euro. Ma c’è anche la signora che esce a far la spesa e si concede il piccolo brivido di un gratta e vinci. Mica tutti sono malati, dipendenti patologici dal gioco.
Ci sono anche altri dati meno evidenziati e sorprendenti. Come la relativa onestà delle slot che, sempre globalmente, restituiscono il 75% delle cifre giocate (il 10% va ai gestori, il 15% in tasse allo Stato).
Non mi pare che lo Stato sia altrettanto onesto. Vi sembra che con sprechi, sperperi e carrozzoni della pubblica amministrazione, restituisca ai cittadini che pagano le tasse il 75% in termini di quantità e qualità dei servizi erogati? Direi proprio di no.
Quanto agli asini lo sono molto di più quelli che hanno giocato (quorum ego) e giocano in borsa. Ai tempi del primo governo Prodi, liretta ancora vigente, ci fu il boom, la bolla che diede a moltissimi l’illusione di essere diventati esperti di borsa. Tutti certi di conoscere e comprare il titolo che avrebbe fatto guadagnare il 10% in una settimana, raddoppiare il risparmio investito in pochi mesi. Tutti finiti tosati a zero. Magari Piazza Affari avesse restituito il 75%…
Qui la danza la mena un gruppo ristrettissimo di “crupiè” della finanza internazionale. Capaci di far perdere a Mediaset l’11% in un solo giorno nel Novembre del 2012 (per indurre Berlusconi a dimettersi). Capaci di tosare perfino quel caprone di Silvio. Figurarsi noi povere pecorelle smarrite.
Quindi lotta dura e senza paura alla ludopatia. Ma tenendo presente che le slot sono più oneste dello Stato, e che chi gioca in borsa è molto più asino, molto più imbecille, di chi lo fa al bar.

RENZI NON E’ UN FIGLIO ADOTTIVO

Perchè ha stravinto Matteo Renzi? Perchè non è un figlio adottivo, non viene cioè da quella lunga (e certo anche gloriosa) tradizione politica del Pci. Cuperlo invece sì. E per questo è riuscito nell’impresa di farsi battere, qui in Veneto, perfino dall’outsider Pippo Civati; finito comunque a livello nazionale ad un incollatura da lui. Da lui, Cuperlo, che aveva gran parte dell’apparato Pd e, non bastasse, anche della Cgil dalla sua parte.
Già se parliamo di imprese, sono un problema i figli naturali. Come dimostra la seconda generazione di imprenditori veneti: è un caso trovare in loro le stesse capacità del padre. Mediamente le doti non discendono al figlio dai lombi del padre.
Con i figli politici adottivi è ancora peggio. Perchè non vengono valutate le capacità (che in politica sono anzitutto capacità di cogliere il mutamento avvenuto nella società, nel corpo elettorale): devi avere idee molto simili, visione del mondo analoga, stesse frequentazioni, stesso modo o quasi di ragionare, e allora il “padre” politico ti adotta. Col risultato che – generazione dopo generazione – anche se hai trent’anni sei solo una fotocopia via via sempre più sbiadita del vecchio padre politico. Più vecchio ancor di lui.
Dalla adozione-cooptazione non arriva praticamente mai l’innesto di energie, visioni, approcci nuovi. E questo è avvenuto nei nostri partiti (Pd e non solo), nei sindacati, nell’università, in magistratura, nelle varie corporazioni. In tanti, troppi ambiti in cui la qualità è andata scemando.
Perfino negli allevamenti di cani lo sanno da sempre: bisogna innestare sangue nuovo, altrimenti la razza deperisce. Altrimenti fai la fine di quelle case regnati che, sposandosi tra consanguinei, finivano con l’avere figli rachitici.
Oggi Matteo Renzi di certo non è un figlio adottivo di nessuno. Il che non esclude che compia anche lui l’errore di circondarsi, da qui avanti, di figli adottivi.
Il Pci è stato una grande partito. Capace di interpretare la società italiana e raccogliere consensi in strati molto ampi, direi nei più qualificati.
Già. Aveva infatti un segretario più giovane ancora di Renzi: Palmiro Togliatti che divenne segretario del Pci a 34 anni! Morto nel 1964, ha lasciato l’eredità politica a varie generazioni di figli adottivi. E così oggi è morto anche il suo partito.

BIMBI MULTATI E FALSI POVERI

Non so se siamo ingenui o sprovveduti. Più probabilmente falsi: nel senso che mentiamo a noi stessi, rifiutando di guardarci allo specchio.
I bambini, i nostri, li immaginiamo puri, buoni, angelicati. E così li abbiamo messi nella curva dello Juventus Stadium al posto degli ultras squalificati per insulti e aggressioni verbali varie. Risultato: i bimbi bianconeri hanno coperto d’insulti il portiere dell’Udinese tali e quali i loro padri.
Ovvio. Sono, appunto, i nostri figli. Non vengono da Marte, sono il frutto della nostra diseducazione. Basta andare il sabato pomeriggio in un campetto di periferia per vedere come si comportano e come “educano” i genitori esagitati dei piccoli calciatori.
Juventus nuovamente multata. Dobbiamo illuderci che basti per riportare un po’ di bon ton negli stadi?
Pieno di falsi poveri. Tra i genitori che domandano un posto negli asili comunali l’80% (96% al Sud) nega perfino di avere un conto corrente. Si fa di tutto per nascondere il reddito reale e fruire delle agevolazioni pubbliche senza avere i requisiti richiesti. I politici rubano e imbrogliano. E questi genitori (centinaia di migliaia, milioni) cosa fanno?
Adesso il governo Letta ha varato il nuovo Isee ( Indicatore di situazione economica equivalente) per accertare i redditi reali. Quello nuovo, perchè il vecchio è in vigore dal 1999 ad oggi. Si fonda sull’autocertificazione dei redditi. Evidentemente chi l’ha concepito ha guardato allo specchio ed ha visto…dei tedeschi. Come fai altrimenti a dare l’autocertificazione ad un popolo di furbetti e scugnizzi quali siamo? Pura istigazione a delinquere. E ci son voluti 14 anni per accorgersene.
Adesso si cambia tutto: multe, controlli serrati, incrocio dei dati.
Vorrei capire cosa incrociano di fronte alla più alta quota di redditi in nero d’Europa? Vorrei capire cosa possono fare quando lo studente benestante sposta la residenza dalla nonna pensionata e risulta a suo carico, riuscendo così a non pagare le tasse universitarie?
Anche qui, come allo stadio, multe e repressione non bastano. Vengono eluse proprio come il fisco.
Servirebbe una rieducazione di massa al senso civico, all’etica civile. Chi riuscirà in questa impresa disperata? Lo Stato? La scuola? Le famiglie? I partiti e le associazioni varie, sindacati compresi? Forse la Chiesa, nel senso che sull’Italia dei furbetti dovrebbe tornare a scendere lo Spirito Santo.