CON LE BANCHE BERLUSCA SBANCA

 

Altro che le televisioni. E’ quando hai in mano le banche, quando hai in mano i danè, che controlli veramente tutto; che puoi fare il bello ed il cattivo tempo. E’ allora che sei in grado di instaurare un autentico regime. Ed oggi, grazie alla crisi, le banche stanno finendo dritte dritte in bocca al Cavaliere. Ma il colmo è che ci vanno a finire tra gli applausi e i gridolini di gioia di un’opposizione che capisce poco nulla. Un’opposizione, specie quella di estrema sinistra, che è accecata dal proprio schematismo ideologico; e quindi gioisce perchè il mercato sarebbe morto e il liberismo sepolto assieme al capitalismo. Gioisce perchè torna l’intervento pubblico in economia, perchè è convinta che i fatti dimostrino che aveva ragione lei: ad invocare la presenza dello Stato nei settori strategici; e cosa c’è di più strategico del credito? Ben venga – conclude questa opposizione – la statalizzazione delle banche. Dimentica un piccolo particolare: che oggi lo Stato non sono i soviet, oggi lo Stato è Silvio Berlusconi; e quindi statalizzare in qualunque forma le banche significa mettergliele in mano.

Quello che non capisce l’opposizione lo capiscono assai bene i banchieri i quali, pur ridotti alla canna del gas, tentano l’estrema resistenza e non hanno sottoscritto il Tremonti-bond (capito come si chiamano? Tremonti, non Lenin-bond…); non l’hanno fatto perchè sanno che sottoscriverli significa che non comandano più loro ma comanda chi è entrato attraverso i bond pubblici nel capitale delle loro (ex) banche private.

Domandiamoci come è potuto accadere due volte il “miracolo” della vittoria di Romano Prodi su Silvio Berlusconi. Forse perchè il buon Romano era un miglior comunicatore? Perchè sapeva far sognare gli italiani grazie al carisma e alla visione profetica del futuro del nostro Paese? O che abbia vinto due volte perchè era l’uomo di quei banchieri che – da Bazoli a Passera a Profumo – anche scopertamente erano schierati dalla sua parte e andavano a votarlo alle primarie. I banchieri sono sempre stati i poteri forti del nostro Paese. Se Licio Gelli era la P2, la P1 era Enrico Cuccia davanti al quale perfino Agnelli si prostava. Banchieri, poteri forti che hanno sempre considerato Berlusconi un pervenù, che hanno fatto il possibile per tenerlo fuori dal “salotto buono” della finanza. Dove adesso è entrata la figlia Marina. Mentre lui i banchieri ora se li mangia uno ad uno a colpi di Tremonti bond; e con la benedizione dell’opposizione che esulta perchè lo Stato torna a regolare l’economia contro il mercato “libero e selvaggio”…

Far rientrare lo Stato (a qualunque titolo) nelle banche, significa metterle in mano a chi esercita il potere politico: oggi Berlusconi, domani chiunque sarà il suo successore. Significa dargli in mano un potere enorme fuori da qualunque controllo; dargli mezzi economici illimitati per ottenere il consenso. Altro che le televisioni dove devi almeno fingere di fare un’informazione equilibrata: se hai in mano le banche puoi elargire a piacimento il credito più squilibrato. Tanto per capirci con il controllo statale sul sistema bancario di Banche del Sud puoi aprirne non una ma dieci (e a quel punto il Sud potrà tranquillamente trangugiare anche il “brodino” federalista). Può anche darsi (e ne dubito) che le banche statalizzate diano respiro all’economia, ma di certo ammazzano la democrazia.

ROMENI INNOCENTI, ITALIANI COLPEVOLI

 

 

Come sappiamo le indagini sullo stupro nel parco romano della Caffarella hanno avuto sviluppi sorprendenti: l’esame del dna esclude che siano stati i due romeni. I quali dunque risulterebbero innocenti, non ostante fossero stati riconosciuti dalla ragazzina violentata e dal suo fidanzato; e non ostante uno dei due avesse addirittura confessato il delitto. Diamo per scontato che siano innocenti. Ma non è scontata, anzi è aberrante, l’equazione che ne è scaturita: dal momento che sono risultati innocenti i romeni, sono colpevoli di razzismo gli italiani; lo sono i mezzi d’informazione che, per assecondare il furor di popolo xenofobo, hanno sbattuto il mostro romeno in prima pagina.

E’ la tesi sostenuta sia da Riccardo Barenghi su La Stampa che da Piero Sansonetti sul Riformista. Ma è una tesi aberrante. Come ha spiegato Michele Brambilla su Il Giornale, non possiamo infatti scambiare un errore giudiziario con il razzismo. Lo stesso errore giudiziario che inquirenti e magistrati hanno compiuto con Elvo Zornitta, per mesi e mesi indicato come Unabomber e anche lui sbattuto, innocente, in prima pagina; benché sia friulano e non romeno.

Se vogliamo è un malcostume dei mezzi d’informazione, questo di sbattere il mostro in prima pagina prima di avere la certezza assoluta che sia davvero un mostro. Ma è un malcostume che prescinde dalla nazionalità del mostro presunto, che vale appunto anche per quelli italiani. Ma, nei confronti, dei romeni c’è o no un pregiudizio? Lo chiamerei piuttosto un postgiudizio. Nel senso che è andato maturando a seguito di una serie di riscontri: quando le statistiche ufficiali ci dicono che il 20% dei reati è compiuto da romeni benché siano meno del 2% della popolazione residente nel nostro Paese, il giudizio negativo che monta nei loro confronti come lo chiamiamo? Un pregiudizio o un postgiudizio? Ripeto un osservazione già fatta: gli italiani in Europa spesso sono detti mafiosi, è un pregiudizio o un postgiudizio? Ripudiamo noi la mafia, ripudino loro il ricorso al crimine, e scompariranno i pre o i post giudizi.

Un autocritica però va sicuramente fatta. Ed è sulla tendenza che abbiamo ad equiparare e confondere romeni con rom. Non hanno lo stesso stile di vita, non generano lo stesso allarme sociale. Direi che l’ha spiegato in modo convincente il sindaco di Verona Flavio Tosi giovedì sera ad Annozero, ricordando che nella sua città c’è una grossa comunità di 8 mila romeni, i quali lavorano in edilizia o in altri settori, molte donne fanno le badante, tutti vivono in case civili, pagano l’affitto e vogliono inserirsi. Una situazione ben diversa – ha spiegato sempre Tosi – dagli zingari che bivaccano nei campi o nelle baraccopoli, che rifiutano le regole della convivenza civile e nulla fanno per inserirsi. La massima parte dei reati arrivano da queste aree di degrado.

Dopo di che non nascondiamoci che il razzismo può sempre scatenarsi. Non ci sono anime belle o colte che ne siano immuni. L’importante è evitare l’innesco: finché non veniamo toccati è abbastanza facile ragionare molto civilmente come Barenghi e Sansonetti, ma se ci stuprano la figlia è quasi impossibile non reagire alla Borghezio. Quindi il modo più efficace di combattere il razzismo non è predicare la fratellanza umana universale, ma prevenire lo stupro sotto casa.


SUSSIDIO PERENNE DI ASSISTENZIALISMO

 E’ così civile, è così europea questa proposta di Franceschini di introdurre anche qui da noi il sussidio unico di disoccupazione che, tra l’altro, avrebbe il pregio di eliminare le vergognose disuguaglianze tra categorie iperprotette (stile ex Alitalia) e precari lasciati allo sbando. Da introdurlo domani a furor di popolo e di schieramenti trasversali. A patto di riuscire a fare prima i conti con un altra misura che non è né civile né europea ma squisitamente italiana: il sussidio perenne di assistenzialismo, che da tempo immemorabile continuamo (senza risultati) ad elargire al Sud. Diventa molto più difficile garantire oggi l’assegno a chi perde il posto di lavoro quando, a prescindere dalla crisi, lo paghi da decenni ai finti occupati; cioè a chi ha un posto di lavoro pubblico, del tutto inutile ed improduttivo, che però assicura uno stipendio inteso come panacea sociale a tempo indeterminato.

Il sussidio perenne di assistenzialismo esiste solo in Italia. La Germania, quando ha dovuto affrontare l’impresa colossale di “rianimare” il suo cadavere dell’Est ex comunista, ha previsto finanziamenti pubblici colossali, ma finalizzati al raggiungimento di obiettivi precisi e con scadenze temporali non procastinabili. Noi, cinquant’anni dopo l’unitile Cassa del Mezzogiorno, permettiamo a Tremonti (senza mandarlo in esilio perpetuo) di proporre la nuova versione della voraggine chiamata Banca del Mezzogiorno. L’ultimo scandalo denunciato dal quotidiano La Stampa è quello dei “bidelli a metro quadro”: uno per classe assunti in provincia di Caserta, rispetto alla media nazionale di uno ogni tre classi, dieci volte più bidelli a Palermo rispetto a Trento. Ed è solo l’ultimo esempio di un elenco interminabile. Continamo ad assumere bidelli, spazzini, comunali, medici, postini, magistrati, insegnanti, tutori dell’ordine, etc., etc., non perchè servono al Paese ma perchè sono meridionali. Con l’unico risultato che il Sud, intossicato dall’assistenzialismo, ha perso ogni stimolo a creare un’economia che gli consenta di reggersi sulle proprie gambe. Contrariamente a quanto avvenuto nelle Marche, in Toscana, in Emilia, in Veneto…in tutto il Centro-Nord.

Chi è rimasto fermo al 1917 (anche Obama?) è convinto che basti togliere ai ricchi, tassarli in maniera adeguata, per risolvere tutti i problemi: per uscire dalla crisi e, nel caso italiano, per trovare le risorse che finanzino sia il nuovo sussidio unico di disoccupazione che il vecchio sussidio perenne di assistenzialismo. Ignora un dettaglio: che la Rivoluzione d’Ottobre tolse tutto ai ricchi, anzi li eliminò anche fisicamente. Ma con l’unico risultato di produrre (in Urss e in Cina) le più spaventose carestie della storia contemporanea; decine di milioni di persone morte di fame grazie allo Stato che programmava piani quinquennali e “grandi balzi in avanti”.

Chi ragiona e accetta la realtà si rende conto che, oggi più di ieri, le risorse a disposizione sono limitate. Non bastano a coprire tutte le esigenze. Non basta nemmeno reperirne di ulteriori mettendo mano al sistema pensionistico. Bisogna comunque scegliere: o il merito, di chi ha lavorato sul serio e oggi perde il posto, o il sussidio perenne d’assistenzialismo; cioè la droga da iniettare ancora a chi non ha mai lavorato.

 

DA FACCETTA NERA AI MATRIMONI MISTI

 I matrimoni misti sono balzati in primo piano con le due tragedie di Treviso e di Milano: madre e bimba sgozzate dall’ex compagno marocchino, il padre egiziano che massacra il figlioletto e si toglie la vita. Ma, a prescindere da questi apici di orrore, sono lo specchio, la fotografia fedele di cosa significhi la convivenza con gli stranieri; nel bene e nel male. Anche nel bene, appunto, perchè non possiamo ignorare che allo sboom dei matrimoni tra connazionali corrisponde il boom di quelli misti: 590 mila, 300 mila negli ultimi dieci anni; e stiamo parlando dei matrimoni regolari con stranieri e straniere, cui si aggiungono le convivenze.

Sarebbe questa la xenofobia, la paura del diverso? Queste cifre testimoniano l’esatto contrario: per il diverso proviamo attrazione, curiosità, passione. Sono sempre di più le donne e gli uomini italiani che trovano molto più interessanti i partner stranieri di quelli nostrani. Se posso divagare, ricordo che è una tradizione che viene da lontano. Da quando la molla delle nostre guerre coloniali era l’incontro con la “bella abissina” che “aspetta e spera”. Una canzone, Faccetta Nera, che era un vero e proprio inno alle unioni miste, al punto di essere messa al bando quando il regime varò le leggi a difesa della purezza della razza (bianca e ariana).

Tornando ai matrimoni misti dei tempi correnti, tanto ci attirano quanto presentano (una volta sbollita la passione) difficoltà e problemi oggettivi. Perchè l’altro dato clamoroso è che si sciolgono più rapidamente e con percentuali più alte ancora dei matrimoni tra connazionali: entro i primi tre anni si arriva all’80% di separazioni. Lasciamo stare i casi di violenza, che pure sono frequenti. Prescindiamo dai mariti musulmani, che pure sono di un maschilismo inaudito. Anche in tutti gli altri casi più “tranquilli” non è che improvvisamente esploda il razzismo o la paura del diverso. E’ che vengono a galla radici, tradizioni, culture, religioni, inconciliabili. La convivenza diventa un inferno, lo scontro è all’ordine del giorno, tanto più quando ci sono di mezzo i figli e la loro educazione; e così si arriva alla separazione.

E così ognuno per conto proprio. Dato che nel rapporto di coppia è possibile farlo. Ma il problema vero è nel rapporto sociale, dove il divorzio non è stato introdotto e nemmeno la separazione. Nel sociale la convivenza deve comunque continuare. Nei quartieri, nei condomini, nelle scuole, nei luoghi di lavoro non puoi dire: basta così, abbiamo sbagliato, facciamo un passo indietro e torniamo a vivere ognuno per conto proprio. Magari fosse come nei matrimoni. Nel sociale bisognava pensarci prima. Pensare quanto meno a regole precise di coesistenza. Ammesso di averle chiare, noi per primi, queste regole. Ammesso che l’attrazione fatale per lo straniero non ce le abbia confuse dall’inizio…


 


FRANCIA BATTE ITALIA 7.000 A 40

 

Se ai mondiali di calcio avevamo battuto la Francia per il rotto della cuffia, cioè ai rigori e con dubbio merito, adesso i francesi si prendono una larga rivincita su un tema drammaticamente caldo: il contrasto della criminalità rumena. Qui la Francia non solo ci batte, ma ci frantuma, ci polverizza. Finisce 7.000 a 40 per i “galletti”! Sono le cifre emerse in queste ore di polemiche con il governo di Bucarest: nel 2008 noi abbiamo espulso 40 rumeni, la Francia oltre 7 mila. E si che i problemi dovrebbero essere gli stessi. Cioè quelli che noi invochiamo a nostra giustificazione, che i romeni sono cittadini comunitari, che è garantita loro la libera circolazione, che bisognerebbe modificare le normative…Fatto sta che la Francia li fa circolare liberamente, salvo rimpatriarli altrettanto liberamente e celermente quando delinquono. Noi invece ce li teniamo nel corpaccione molle del nostro Paese in putrefazione: il 40% di tutti i ricercati romeni latitano tranquillamente qui da noi.

Un giovane ospite Pd di Rosso & Nero ha fatto l’osservazione ovvia: c’è un governo di destra in Francia, uno di destra anche in Italia eppure la differenza nella capacità di risposta è abissale. Certo, potremmo avere Mitterandt a Parigi e Prodi o D’Alema a Roma e sarebbe sempre 7.000 a 40. E potremmo parlare di qualunque altra questione invece che della capacità di contrastare la criminalità romena. La Francia ci straccerebbe sempre. Perchè non conta il colore del governo, ma l’efficienza o meno degli apparati pubblici, dello Stato.

Sempre a Rosso & Nero un sindacalista Cgil del dipartimento immigrazione denunciava la lentezza della questura di Verona che ci mette più di due anni per rilasciare il permesso di soggiorno al lavoratore straniero regolare; quando in Germania – aggiungeva il sindacalista – te lo danno in un giorno. Certo. Ma là ci mettono un giorno anche ad espellere l’irregolare. Sono le due facce della stessa medaglia. Lo stato inefficiente, il nostro (qualora ci fosse bisogno di precisarlo) ci mette anni per dare un semplice permesso di soggiorno allo straniero così come ci mette anni per espellere il clandestino. Ammesso che ci riesca. Perchè aggiungo anche il racconto di un terzo ospite di Rosso & Nero, Marta Meo del Pd di Venezia, che ricordava i 25 stranieri, non con il semplice decreto di espulsione in mano, ma accompagnati alla frontiera, cioè fino all’aeroporto Marco Polo con tanto di biglietto pagato. Peccato che siano stati accompagnati solo fino al ceck-in. Col risultato che sull’aereo sono saliti in tre, e gli altri 22 si sono scappati durante l’imbarco restando quindi in Italia ma risultando ufficialmente espulsi!…E, se avviene così, è chiaro che servirà a poco nulla anche costruire il nuovo centro clandestini a Verona a Boscomantico.

Quando l’apparato pubblico, quando lo Stato di sfalda, si perde la capacità di intervenire in maniera rapida ed efficiente in qualunque settore. Non solo nel contrasto della criminalità, ma anche in quello dell’ignoranza: moltiplicando corsi di laurea inutili, portando inutilmente da 4 a 5 anni la durata dei corsi stessi; anche nel contrasto della malattia: allungando i tempi di esami e visite specialistiche e interventi chirurgici; anche nel contrasto dell’ingiustizia: con le sentenze andate alle Calende greche. Ed è inutile prendersela con magistrati, medici, insegnati, tutori dell’ordine o burocrati vari. Sono tutte facce della stessa medaglia che reca inciso lo sfaldamento del nostro Stato. E’ l’abisso che ci separa dalla Francia come dalla Germania, dall’Inghilterra come dalla Spagna, dall’Austria come dalla Svizzera. Consoliamoci con la nazionale di calcio, raro esempio rimasto di efficienza italiana.

RONDE, IMMIGRATI E MONDO ALLA ROVESCIA

 Ho appena espresso tutto il mio scetticismo sulle ronde: una risposta molto più di strumentalità politica che di soluzione al problema della sicurezza. Dopo di che non posso nemmeno accettare il classico mondo alla rovescia che molti stanno delineando in queste ore scambiando, al solito, l’effetto con la causa. Tipico esempio Gad Lerner che oggi su Repubblica le definisce “piccoli passi verso l’inciviltà”. Non si può avvitare la logica su se stessa in questo modo. Le ronde saranno una risposta inadeguata, strumentale, anche sbagliata. Ma i piccoli, anzi, i grandi passi verso l’inciviltà li abbiamo compiuti aprendo le frontiere a tutti: non solo alle persone venute per lavorare, e che potevano trovare un posto di lavoro, ma anche a tutti gli altri delinquenti compresi.

Va chiarito una volta per tutte qual’è il parametro. Se è il loro bisogno, creaiamo un ponte aereo umanitario con le bandierine della Caritas e facciamone arrivare centinaia di milioni; guardiamo quanti concreamente ne sfama il Vaticano, e poi entriamo tutti nella giungla a sbranarci per un tozzo di pane. Se invece il parametro è mantenere uno standard di civiltà e di benessere, cui far partecipare anche gli immigrati, non possono che entrare quelli che il mercato del lavoro è in grado di assorbire. Non si può scambiare spudoratamente la causa per l’effetto: a grandi passi verso l’inciviltà ci siamo avviati non sapendo governare l’immigrazione, lasciando entrare centinaia di migliaia di sbandati che hanno stravolto il tessuto sociale delle città compromesso la sicurezza. Non certo ora con la legalizzazione delle ronde. L’inciviltà l’hanno portata tanti immigrati con i loro comportamenti quotidiani che, come effetto, hanno innescato anche reazioni sbagliate dei cittadini.

Stesso mondo alla rovescia ci viene proposto riguardo ai centri per clandestini. Le nostre anime belle si scandalizzano e dicono che non possibile, è incivile e contro la Costituzione, tenere degli esseri umani amassati, ora addirittura per sei mesi, in queste strutture. Ma, scusate, siamo noi che vogliamo tenerceli o sono loro che ci costringono? Diano quelle generalità autentiche, che si rifiutano di dare, e i tempi di soluzione diventeranno rapidissimi. La smettano i loro Paesi d’origine di fare i furbi, e il rimpatrio avverrà in pochi giorni evitando loro la sofferenza di una più lunga permanenza nei centri. O dobbiamo farci ricattare dai Paesi d’origine? O, per essere civili e ligi ai diritti costituzionali, dobbiamo lasciarli liberi di sciamare da calndestini a rendere ancora più pesante e insicura la vita nelle nostre città?

Ultimo esempio di mondo alla rovescia, i rom dei campi attorno a Roma che dichiarano: “Ci trattano come ad Auschwitz”. E l’altro giorno Repubblica mette in prima pagina questa loro affermazione senza accompagnarla con il più ovvio dei commenti. Cioè che i nazisti andavano a prenderli, li deportavano nei lager e qui li sterminavano. Oggi invece i rom arrivano nel nostro Paese per loro libera scelta, vivono come vogliono loro spesso nemmeno cercando un lavoro e spesso dedicandosi ad attività criminali. Saremmo ben felici che, liberamente, se ne andassero altrove. Invece scelgono di rimanere qui, creano mille problemi, devastano ulteriormente la convivenza nelle nostre città e, se appena fai controllare i campi rom dalle forze dell’ordine, si mettono a sbraitare che li hai rinchiusi ad Auschwitz. E Repubblica lo scrive. E qualche magistrato di Bologna ovviamente ci crede…

DI RONDA CI RESTA…IL CLANDESTINO

 

Di fronte al tema della sicurezza, che nelle ultime ore si è riproposto come emergenza stupri; due sono le barzellette che possiamo raccontarci e che, puntualmente stiamo, ascoltando: La prima (vedi Casini) è che servono più uomini e mezzi alle forze dell’ordine. Come dire che servono più computer e più insegnanti per garantire una pubblica istruzione degna di questo nome. O che servono più magistrati e più fotocopiatrici per rendere celere la giustizia. Balle. Utili solo ad espandere ulteriormente lo spreco di risorse pubbliche: abbiamo infatti già gli organici più opulenti d’Europa e (nel caso dei magistrati) tra i meglio retribuiti. Non si tratta quindi certo di ampliarli. Servirebbero (condizionale, periodo ipotetico dell’irrealtà…) riforme strutturali in grado di riorganizzarli, motivarli e farli lavorare più seriamente.

L’altra barzelletta colossale (vedi Lega e ora perfino il Pd) è quella delle ronde. Proprio il Pd, prima di perdere completamente la bussola e diventare anche lui “rondista”, spiegava che le ronde sono al massimo un segnale del disagio della popolazione che, per una sera, scende in strada a segnalare, appunto, che ci vorrebbe più presidio sul territorio. Ma è impensabile che diventino una risposta, strutturata e continuativa, all’esigenza di maggior sicurezza. Alzi la mano chi è disposto non una sera, non sotto elezioni, non per conquistarsi benemerenze da trasformare in candidature, ma ad impegnarsi tutte le sere per il prossimo anno ad andare di ronda. E ad andarci in modo particolare quando più serve: cioè la notte dell’ultimo dell’anno, la domenica sera quando le forze dell’ordine hanno fatto il turno negli stadi, nei mesi estivi quando le stesse forze dell’ordine vanno in ferie.

Ben pochi veneti, ben pochi italiani si assumerebbero un impegno del genere, un compito così gravoso. Così come sono pochi ad accudire i propri cari (che per la quasi totalità affidiamo alle badanti), pochi a raccogliere la monnezza, pochi a lavorare in conceria, pochi a svolgere quelle mansioni ingrate che abbiamo quasi completamente delegato agli stranieri. E allora è chiaro dove giunge il paradosso: alla fine di ronda in maniera continuativa resterebbero solo gli immigrati, i clandestini! Cioè coloro contro i quali le ronde stesse sono invocate!…

Anche perchè il rondismo è un sottoinsieme del più ampio capitolo del volontariato. Il quale volontariato, quando non è un puro pretesto di magna-magna, ed in effetti in alcuni casi non lo è, resta comunque un apporto marginale cui non puoi delegare funzioni importanti in modo continuativo. Puoi solo ringraziarlo se e quando decide di fornire una prestazione, non certo pretendere che la garantisca sempre. Tanto per intenderci può capitare che arrivi il volontario un giorno a cambiare una volta il pannolone al nostro anziano, ma chi glielo cambia tutti i giorni quattro volte al giorno è solo la badante in regola o fuori regola. E così di ronda tutte le sere ci troveremmo solo lo straniero regolare o clandestino.

DALL’ELETTRICISTA AL BANCHIERE

 

 

 

 

 

Dall’elettricista al banchiere. Sentite un po’ cosa mi hanno raccontato due conoscenti, due professionisti che operano in ambiti molto diversi; ma che alla fine fanno un’analisi complementare che ci fa capire quanto male è ridotto il nostro Paese.

L’elettricista mi ha spiegato che lui, come ogni altro artigiano, come chiunque abbia un’attività produttiva, ha dovuto seguire un corso di primo soccorso. Siamo un Paese molto avanzato, da noi c’è la prevenzione e, se uno si sente male finché è nella tua bottega, nella tua officina, nel tuo ufficio o nel negozio, zac: tu conosci il primo soccorso e gli salvi la vita. E così il bravo elettricista ha frequentato le 32 ore del corso, sottraendole al suo lavoro, ha pagato 2.400 euro, in aggiunta alle tasse e ai balzelli che già gravano su chiunque abbia un attività. Peccato solo che terminato l’addestramento il responsabile del corso gli abbia spiegato: se qualcuno si sente male davvero, non sognarti di toccarlo! Rischi di avere rogne a non finire! Tu limitati a chiamare il 118…Ovvia la conclusione dell’elettricista: il 118 lo chiamavo anche senza perdere 32 ore e senza spendere 2.400 euro.

Discorso identico per la sicurezza. In ogni ambito di lavoro (non parliamo della Thissen e degli altri posti dove servirebbe davvero), in qualunque ufficietto, dove il massimo del rischio è di inciampare come sulla pubblica via, deve esserci il responsabile della sicurezza (avete presente il capo fabbricato di memoria fascista o sovietica?); e anche qui ci sono corsi da frequentare, tempo da perdere, somme da pagare. Del tutto inutilmente per chi lavora e produce; ma a beneficio di chi vende i corsi, di chi li istruisce, dello Stato che incassa tasse aggiuntive.

Insomma un fiume di leggi, di adempimenti, di forche caudine burocratiche hanno uno scopo preciso e studiato: taglieggiare il popolo dei produttori; quelli che, appunto, producono sul serio la ricchezza; che oggi in particolare andrebbero aiutati perchè perdono le commesse e i posti di lavoro. E, prima ancora di perdere il lavoro, per la paura, sono già entrati in recessione cioè hanno cominciato a tagliare i propri consumi. Invece di aiutare loro aiutiamo il comune di Palermo: altri 280 milioni di euro perchè continui a sperperarli come ha fatto fino ad adesso.

Veniamo al banchiere, al vertice di uno degli istituti di credito importanti che hanno il polso della situazione. Mi faceva un quadro fosco di un Veneto dove la crisi si sente eccome, dove interi comparti stanno lasciando a casa i dipendenti a raffica; un tessuto produttivo diffuso che non ha nemmeno gli ammortizzatori sociali delle grandi aziende del Nordovest. Mi spiegava anche lui che i dipendenti del settore privato hanno già cominciato a tagliare i propri consumi per paura di restare senza lavoro. E poi aggiungeva: sa qual’è l’unico posto dove non senti la crisi? E’ Roma, perchè là sono praticamente tutti pubblici dipendenti, statali o ministeriali, non esiste che possano perdere il lavoro o andare in cassa integrazione, e quindi continuano a spendere come prima e come sempre. E, pensavo io, non hanno bisogno di frequentare corsi né di farsi taglieggiare. Se li frequentano e “per aggiornarsi”, cioè una vacanza pagata dallo Stato.

Le due Italie, che in parte ci sono sempre state. Adesso però la crisi economica si fa sentire sempre di più. E allora, come dicono a Milano, “dura minga”: non può durare. Sono contraddizioni troppo esplosive quelle che mi hanno raccontato l’elettricista e il banchiere. O non accadrà nulla nemmeno ‘sta volta?

HA RAGIONE BERLUSCA: LA CARTA E’ DATATA 1946

 

 

Restano certamente opinabili i motivi reali che hanno convinto Berlusconi a scendere in campo con tanta determinazione nel caso Eluana: è stato spinto dalla vicenda umana e dal desiderio di salvare la donna da morte certa? Lo ha fatto per andare allo scontro con Napolitano e ridisegnare a suo vantaggio i poteri del presidente della Repubblica? Ha voluto diventare il referente del Vaticano, del mondo cattolico e dei tanti poteri non solo elettorali che ruotano attorno alla Chiesa? Si può appunto discutere e sguazzare nella dietrologia; personalmente sono troppo vecchio e disincantato per credere ancora alle battaglie ideali disinteressate.

Mi sembra invece che, al di là di ogni strumentalità, ci sia poco da discutere nel merito delle critiche che Berlusconi ha rivolto alla Costituzione. Critiche che sono dati di fatto storici acquisiti. Possiamo forse negare che tra i padri costituenti ci fosse una forte componente filosovietica? Lo erano non solo tutti i costituenti comunisti ma anche una buona parte di quelli socialisti: gli stessi che dieci anni dopo, nel 1956 all’invasione dell’Ungheria, vennero chiamati i “carristi” perchè appoggiarono i carri armati sovietici a Budapest. Quanto al Pci celebrò, a fine anni Settanta, “lo strappo” di Berlinguer con Mosca proprio perchè fino ad allora il Partito comunista era rimasto legato a filo doppio con Mosca stessa. La quale lo finanziava con fiumi di rubli non per spirito caritatevole ma perchè il Pci era allineato e funzionale alla strategia sovietica. Sul piano della cultura politica questi padri costituenti diedero alla Carta un’impronta statalista, che si sposava abbastanza bene con la componente cattolica ma che era e resta agli antipodi rispetto ad una visione liberale.

Allo stesso modo non si può negare che la Costituzione sia nata come contrapposizione al Ventennio fascista: il primo obiettivo cioè era di prevenire una nuova dittatura rendendo il potere esecutivo più debole possibile, ampliando a dismisura i poteri del Parlamento attraverso il bicameralismo e immaginando un presidente della Repubblica in grado di ostacolare meglio di quanto non avessero fatto i Savoia le mire di un nuovo Mussolini. Questa impostazione aveva senso allora. Ha ancora senso se siamo convinti, come dice Di Pietro, che Berlusconi sia come Hitler…Ma altrimenti dobbiamo riconoscere che il Paese ha bisogno di un governo in grado di governare; ha bisogno, come avvenuto positivamente per i Comuni, di un “sindaco d’Italia”.

Tornando alla Costituzione è figlia del suo tempo. Cioè al di là di alcuni grandi principi generali (uguaglianza dei cittadini, separazione dei poteri, etc.) che restano validi, per il resto è legata alla sensibilità e alla cultura dei padri costituenti del 1946. Per quali, tanto per dire, era inconcepibile non solo l’eutanasia, non solo i diritti dei gay (che tutti, allora, consideravano dei malati da curare), ma anche l’aborto e perfino il divorzio. La nostra Costituzione ribadisce la centralità della famiglia, il matrimonio tra uomo e donna, la difesa della vita dal concepimento alla morte. Vita che, secondo i comunisti filosovietici e i socialisti, appartiene allo Stato, secondo i cattolici a Dio; e quindi l’individuo comunque non può disporne.

E’ questa la Costituzione viva e intangibile, la sacra Carta di fronte alla quale Veltroni invita Berlusconi ad inginocchiarsi? E cosa facciamo dei cosiddetti “diritti civili”? Li rottamiamo per restare fedeli al dettato costituzionale?

 

GALAN “CURA” LA LEGA PIU’ DEI CLANDESTINI

La prima preoccupazione del governatore Giancarlo Galan è di “curare” la Lega, cercare cioè di evitare che gli porti via la presidenza del Veneto che nel 2010 vorrebbe ottenere per il quarto mandato. Va capito, tutti al suo posto avremmo la stessa cura. Anch’io, potendo, vorrei diventare il monarca del Veneto e lasciarlo poi in eredità a mia figlia Lucia. Naturale dunque che Galan pensi ad una presidenza a vita da lasciare poi in dote a Margherita.

Per marcare stretto la Lega, però, bisogna distinguersi sempre, polemizzare in ogni occasione. Anche in barba al buon senso e al comune sentire dei cittadini veneti. Come fatto puntualmente da Galan cogliendo in queste ore il pretesto delle cure ai clandestini. Cure che sarebbero a rischio adesso che è stato tolto ai medici il divieto di segnalare quelli che si presentano. Andando contro la Lega e la sua stessa maggioranza di governo, il presidente del Veneto denuncia “il rischio di creare malattie clandestine, di perdere il controllo sanitario del nostro territorio e mettere in pericolo la salute di tutti, anche degli italiani”.

Va bene l’esigenza di “curare” la Lega, ma non al punto di stravolgere la realtà e calpestare il buon senso. Se c’è infatti un rischio “di perdere il controllo sanitario del nostro territorio” questo sarà dovuto alla presenza di decine di migliaia di clandestini, che entrano senza alcun controllo né sanitario né di altro genere; che possono portare qualunque malattia; che vanno dal medico e poi possono tornare a scomparire senza che nessuno più possa controllare che fine ha fatto una scabbia, una tubercolosi, una qualunque patologia infettiva. O dobbiamo credere che il rischio, delineato da Galan con toni così apocalittici, si presenti solo ora perchè il medico ha facoltà di segnalare di aver curato uno sconosciuto?

Va bene l’esigenza di “curare” la Lega, ma come fa Galan ad affermare che “il clandestino, che sa di rischiare l’espulsione andando in ospedale, deciderà di non curarsi”? Ma in che Paese vive il governatore del Veneto? Vive forse in un Paese dove le espulsioni sono all’ordine del giorno, dove vengono effettuate a migliaia nel modo più inflessibile? Il clandestino sa benissimo che non rischia nessuna espulsione. Sa che, quando proprio dovesse andargli male, gli verrà consegnato un pezzo di carta con su scritta l’intimazione a lasciare il Paese; e lui, come fan tutti, quel pezzo di carta lo userà come carta igienica. Il clandestino quindi continuerà a farsi curare perchè sa di non rischiare proprio nulla nel nostro Paese sfasciato dove il rispetto delle regole è solo un ricordo.

Modificando questo emendamento del Testo unico sull’immigrazione, Lega e governo fanno semplicemente finta che esista ancora uno Stato che tutti – ed i clandestini per primi – sanno non esistere più da decenni.

Esiste invece ancora la deontologia professionale, l’etica, lo slancio umanistico di quegli operatori sanitari pronti alla disobbedienza civile al grido “siamo medici ed infermieri, non siamo spie!”. E, siccome non siamo spie, di fronte ad un reato (posso ricordare che la clandestinità sarebbe, appunto, un reato?) ci giriamo prontamente dall’altra parte; non vediamo e non sentiamo. Che uomini tutti d’un pezzo! Che eroi civili! Totò Riina rimpiangerà di non aver avuto picciotti così.

E i tassisti non capiranno perchè, se loro montano un clandestino in macchina, rischiano la denuncia per favoreggiamento; mentre il medico nemmeno deve segnalarlo. Forse perchè loro, i tassisti, non sono…”tassisti senza frontiere”.