DA FACCETTA NERA AI MATRIMONI MISTI

 I matrimoni misti sono balzati in primo piano con le due tragedie di Treviso e di Milano: madre e bimba sgozzate dall’ex compagno marocchino, il padre egiziano che massacra il figlioletto e si toglie la vita. Ma, a prescindere da questi apici di orrore, sono lo specchio, la fotografia fedele di cosa significhi la convivenza con gli stranieri; nel bene e nel male. Anche nel bene, appunto, perchè non possiamo ignorare che allo sboom dei matrimoni tra connazionali corrisponde il boom di quelli misti: 590 mila, 300 mila negli ultimi dieci anni; e stiamo parlando dei matrimoni regolari con stranieri e straniere, cui si aggiungono le convivenze.

Sarebbe questa la xenofobia, la paura del diverso? Queste cifre testimoniano l’esatto contrario: per il diverso proviamo attrazione, curiosità, passione. Sono sempre di più le donne e gli uomini italiani che trovano molto più interessanti i partner stranieri di quelli nostrani. Se posso divagare, ricordo che è una tradizione che viene da lontano. Da quando la molla delle nostre guerre coloniali era l’incontro con la “bella abissina” che “aspetta e spera”. Una canzone, Faccetta Nera, che era un vero e proprio inno alle unioni miste, al punto di essere messa al bando quando il regime varò le leggi a difesa della purezza della razza (bianca e ariana).

Tornando ai matrimoni misti dei tempi correnti, tanto ci attirano quanto presentano (una volta sbollita la passione) difficoltà e problemi oggettivi. Perchè l’altro dato clamoroso è che si sciolgono più rapidamente e con percentuali più alte ancora dei matrimoni tra connazionali: entro i primi tre anni si arriva all’80% di separazioni. Lasciamo stare i casi di violenza, che pure sono frequenti. Prescindiamo dai mariti musulmani, che pure sono di un maschilismo inaudito. Anche in tutti gli altri casi più “tranquilli” non è che improvvisamente esploda il razzismo o la paura del diverso. E’ che vengono a galla radici, tradizioni, culture, religioni, inconciliabili. La convivenza diventa un inferno, lo scontro è all’ordine del giorno, tanto più quando ci sono di mezzo i figli e la loro educazione; e così si arriva alla separazione.

E così ognuno per conto proprio. Dato che nel rapporto di coppia è possibile farlo. Ma il problema vero è nel rapporto sociale, dove il divorzio non è stato introdotto e nemmeno la separazione. Nel sociale la convivenza deve comunque continuare. Nei quartieri, nei condomini, nelle scuole, nei luoghi di lavoro non puoi dire: basta così, abbiamo sbagliato, facciamo un passo indietro e torniamo a vivere ognuno per conto proprio. Magari fosse come nei matrimoni. Nel sociale bisognava pensarci prima. Pensare quanto meno a regole precise di coesistenza. Ammesso di averle chiare, noi per primi, queste regole. Ammesso che l’attrazione fatale per lo straniero non ce le abbia confuse dall’inizio…


 


FRANCIA BATTE ITALIA 7.000 A 40

 

Se ai mondiali di calcio avevamo battuto la Francia per il rotto della cuffia, cioè ai rigori e con dubbio merito, adesso i francesi si prendono una larga rivincita su un tema drammaticamente caldo: il contrasto della criminalità rumena. Qui la Francia non solo ci batte, ma ci frantuma, ci polverizza. Finisce 7.000 a 40 per i “galletti”! Sono le cifre emerse in queste ore di polemiche con il governo di Bucarest: nel 2008 noi abbiamo espulso 40 rumeni, la Francia oltre 7 mila. E si che i problemi dovrebbero essere gli stessi. Cioè quelli che noi invochiamo a nostra giustificazione, che i romeni sono cittadini comunitari, che è garantita loro la libera circolazione, che bisognerebbe modificare le normative…Fatto sta che la Francia li fa circolare liberamente, salvo rimpatriarli altrettanto liberamente e celermente quando delinquono. Noi invece ce li teniamo nel corpaccione molle del nostro Paese in putrefazione: il 40% di tutti i ricercati romeni latitano tranquillamente qui da noi.

Un giovane ospite Pd di Rosso & Nero ha fatto l’osservazione ovvia: c’è un governo di destra in Francia, uno di destra anche in Italia eppure la differenza nella capacità di risposta è abissale. Certo, potremmo avere Mitterandt a Parigi e Prodi o D’Alema a Roma e sarebbe sempre 7.000 a 40. E potremmo parlare di qualunque altra questione invece che della capacità di contrastare la criminalità romena. La Francia ci straccerebbe sempre. Perchè non conta il colore del governo, ma l’efficienza o meno degli apparati pubblici, dello Stato.

Sempre a Rosso & Nero un sindacalista Cgil del dipartimento immigrazione denunciava la lentezza della questura di Verona che ci mette più di due anni per rilasciare il permesso di soggiorno al lavoratore straniero regolare; quando in Germania – aggiungeva il sindacalista – te lo danno in un giorno. Certo. Ma là ci mettono un giorno anche ad espellere l’irregolare. Sono le due facce della stessa medaglia. Lo stato inefficiente, il nostro (qualora ci fosse bisogno di precisarlo) ci mette anni per dare un semplice permesso di soggiorno allo straniero così come ci mette anni per espellere il clandestino. Ammesso che ci riesca. Perchè aggiungo anche il racconto di un terzo ospite di Rosso & Nero, Marta Meo del Pd di Venezia, che ricordava i 25 stranieri, non con il semplice decreto di espulsione in mano, ma accompagnati alla frontiera, cioè fino all’aeroporto Marco Polo con tanto di biglietto pagato. Peccato che siano stati accompagnati solo fino al ceck-in. Col risultato che sull’aereo sono saliti in tre, e gli altri 22 si sono scappati durante l’imbarco restando quindi in Italia ma risultando ufficialmente espulsi!…E, se avviene così, è chiaro che servirà a poco nulla anche costruire il nuovo centro clandestini a Verona a Boscomantico.

Quando l’apparato pubblico, quando lo Stato di sfalda, si perde la capacità di intervenire in maniera rapida ed efficiente in qualunque settore. Non solo nel contrasto della criminalità, ma anche in quello dell’ignoranza: moltiplicando corsi di laurea inutili, portando inutilmente da 4 a 5 anni la durata dei corsi stessi; anche nel contrasto della malattia: allungando i tempi di esami e visite specialistiche e interventi chirurgici; anche nel contrasto dell’ingiustizia: con le sentenze andate alle Calende greche. Ed è inutile prendersela con magistrati, medici, insegnati, tutori dell’ordine o burocrati vari. Sono tutte facce della stessa medaglia che reca inciso lo sfaldamento del nostro Stato. E’ l’abisso che ci separa dalla Francia come dalla Germania, dall’Inghilterra come dalla Spagna, dall’Austria come dalla Svizzera. Consoliamoci con la nazionale di calcio, raro esempio rimasto di efficienza italiana.

RONDE, IMMIGRATI E MONDO ALLA ROVESCIA

 Ho appena espresso tutto il mio scetticismo sulle ronde: una risposta molto più di strumentalità politica che di soluzione al problema della sicurezza. Dopo di che non posso nemmeno accettare il classico mondo alla rovescia che molti stanno delineando in queste ore scambiando, al solito, l’effetto con la causa. Tipico esempio Gad Lerner che oggi su Repubblica le definisce “piccoli passi verso l’inciviltà”. Non si può avvitare la logica su se stessa in questo modo. Le ronde saranno una risposta inadeguata, strumentale, anche sbagliata. Ma i piccoli, anzi, i grandi passi verso l’inciviltà li abbiamo compiuti aprendo le frontiere a tutti: non solo alle persone venute per lavorare, e che potevano trovare un posto di lavoro, ma anche a tutti gli altri delinquenti compresi.

Va chiarito una volta per tutte qual’è il parametro. Se è il loro bisogno, creaiamo un ponte aereo umanitario con le bandierine della Caritas e facciamone arrivare centinaia di milioni; guardiamo quanti concreamente ne sfama il Vaticano, e poi entriamo tutti nella giungla a sbranarci per un tozzo di pane. Se invece il parametro è mantenere uno standard di civiltà e di benessere, cui far partecipare anche gli immigrati, non possono che entrare quelli che il mercato del lavoro è in grado di assorbire. Non si può scambiare spudoratamente la causa per l’effetto: a grandi passi verso l’inciviltà ci siamo avviati non sapendo governare l’immigrazione, lasciando entrare centinaia di migliaia di sbandati che hanno stravolto il tessuto sociale delle città compromesso la sicurezza. Non certo ora con la legalizzazione delle ronde. L’inciviltà l’hanno portata tanti immigrati con i loro comportamenti quotidiani che, come effetto, hanno innescato anche reazioni sbagliate dei cittadini.

Stesso mondo alla rovescia ci viene proposto riguardo ai centri per clandestini. Le nostre anime belle si scandalizzano e dicono che non possibile, è incivile e contro la Costituzione, tenere degli esseri umani amassati, ora addirittura per sei mesi, in queste strutture. Ma, scusate, siamo noi che vogliamo tenerceli o sono loro che ci costringono? Diano quelle generalità autentiche, che si rifiutano di dare, e i tempi di soluzione diventeranno rapidissimi. La smettano i loro Paesi d’origine di fare i furbi, e il rimpatrio avverrà in pochi giorni evitando loro la sofferenza di una più lunga permanenza nei centri. O dobbiamo farci ricattare dai Paesi d’origine? O, per essere civili e ligi ai diritti costituzionali, dobbiamo lasciarli liberi di sciamare da calndestini a rendere ancora più pesante e insicura la vita nelle nostre città?

Ultimo esempio di mondo alla rovescia, i rom dei campi attorno a Roma che dichiarano: “Ci trattano come ad Auschwitz”. E l’altro giorno Repubblica mette in prima pagina questa loro affermazione senza accompagnarla con il più ovvio dei commenti. Cioè che i nazisti andavano a prenderli, li deportavano nei lager e qui li sterminavano. Oggi invece i rom arrivano nel nostro Paese per loro libera scelta, vivono come vogliono loro spesso nemmeno cercando un lavoro e spesso dedicandosi ad attività criminali. Saremmo ben felici che, liberamente, se ne andassero altrove. Invece scelgono di rimanere qui, creano mille problemi, devastano ulteriormente la convivenza nelle nostre città e, se appena fai controllare i campi rom dalle forze dell’ordine, si mettono a sbraitare che li hai rinchiusi ad Auschwitz. E Repubblica lo scrive. E qualche magistrato di Bologna ovviamente ci crede…

DI RONDA CI RESTA…IL CLANDESTINO

 

Di fronte al tema della sicurezza, che nelle ultime ore si è riproposto come emergenza stupri; due sono le barzellette che possiamo raccontarci e che, puntualmente stiamo, ascoltando: La prima (vedi Casini) è che servono più uomini e mezzi alle forze dell’ordine. Come dire che servono più computer e più insegnanti per garantire una pubblica istruzione degna di questo nome. O che servono più magistrati e più fotocopiatrici per rendere celere la giustizia. Balle. Utili solo ad espandere ulteriormente lo spreco di risorse pubbliche: abbiamo infatti già gli organici più opulenti d’Europa e (nel caso dei magistrati) tra i meglio retribuiti. Non si tratta quindi certo di ampliarli. Servirebbero (condizionale, periodo ipotetico dell’irrealtà…) riforme strutturali in grado di riorganizzarli, motivarli e farli lavorare più seriamente.

L’altra barzelletta colossale (vedi Lega e ora perfino il Pd) è quella delle ronde. Proprio il Pd, prima di perdere completamente la bussola e diventare anche lui “rondista”, spiegava che le ronde sono al massimo un segnale del disagio della popolazione che, per una sera, scende in strada a segnalare, appunto, che ci vorrebbe più presidio sul territorio. Ma è impensabile che diventino una risposta, strutturata e continuativa, all’esigenza di maggior sicurezza. Alzi la mano chi è disposto non una sera, non sotto elezioni, non per conquistarsi benemerenze da trasformare in candidature, ma ad impegnarsi tutte le sere per il prossimo anno ad andare di ronda. E ad andarci in modo particolare quando più serve: cioè la notte dell’ultimo dell’anno, la domenica sera quando le forze dell’ordine hanno fatto il turno negli stadi, nei mesi estivi quando le stesse forze dell’ordine vanno in ferie.

Ben pochi veneti, ben pochi italiani si assumerebbero un impegno del genere, un compito così gravoso. Così come sono pochi ad accudire i propri cari (che per la quasi totalità affidiamo alle badanti), pochi a raccogliere la monnezza, pochi a lavorare in conceria, pochi a svolgere quelle mansioni ingrate che abbiamo quasi completamente delegato agli stranieri. E allora è chiaro dove giunge il paradosso: alla fine di ronda in maniera continuativa resterebbero solo gli immigrati, i clandestini! Cioè coloro contro i quali le ronde stesse sono invocate!…

Anche perchè il rondismo è un sottoinsieme del più ampio capitolo del volontariato. Il quale volontariato, quando non è un puro pretesto di magna-magna, ed in effetti in alcuni casi non lo è, resta comunque un apporto marginale cui non puoi delegare funzioni importanti in modo continuativo. Puoi solo ringraziarlo se e quando decide di fornire una prestazione, non certo pretendere che la garantisca sempre. Tanto per intenderci può capitare che arrivi il volontario un giorno a cambiare una volta il pannolone al nostro anziano, ma chi glielo cambia tutti i giorni quattro volte al giorno è solo la badante in regola o fuori regola. E così di ronda tutte le sere ci troveremmo solo lo straniero regolare o clandestino.

DALL’ELETTRICISTA AL BANCHIERE

 

 

 

 

 

Dall’elettricista al banchiere. Sentite un po’ cosa mi hanno raccontato due conoscenti, due professionisti che operano in ambiti molto diversi; ma che alla fine fanno un’analisi complementare che ci fa capire quanto male è ridotto il nostro Paese.

L’elettricista mi ha spiegato che lui, come ogni altro artigiano, come chiunque abbia un’attività produttiva, ha dovuto seguire un corso di primo soccorso. Siamo un Paese molto avanzato, da noi c’è la prevenzione e, se uno si sente male finché è nella tua bottega, nella tua officina, nel tuo ufficio o nel negozio, zac: tu conosci il primo soccorso e gli salvi la vita. E così il bravo elettricista ha frequentato le 32 ore del corso, sottraendole al suo lavoro, ha pagato 2.400 euro, in aggiunta alle tasse e ai balzelli che già gravano su chiunque abbia un attività. Peccato solo che terminato l’addestramento il responsabile del corso gli abbia spiegato: se qualcuno si sente male davvero, non sognarti di toccarlo! Rischi di avere rogne a non finire! Tu limitati a chiamare il 118…Ovvia la conclusione dell’elettricista: il 118 lo chiamavo anche senza perdere 32 ore e senza spendere 2.400 euro.

Discorso identico per la sicurezza. In ogni ambito di lavoro (non parliamo della Thissen e degli altri posti dove servirebbe davvero), in qualunque ufficietto, dove il massimo del rischio è di inciampare come sulla pubblica via, deve esserci il responsabile della sicurezza (avete presente il capo fabbricato di memoria fascista o sovietica?); e anche qui ci sono corsi da frequentare, tempo da perdere, somme da pagare. Del tutto inutilmente per chi lavora e produce; ma a beneficio di chi vende i corsi, di chi li istruisce, dello Stato che incassa tasse aggiuntive.

Insomma un fiume di leggi, di adempimenti, di forche caudine burocratiche hanno uno scopo preciso e studiato: taglieggiare il popolo dei produttori; quelli che, appunto, producono sul serio la ricchezza; che oggi in particolare andrebbero aiutati perchè perdono le commesse e i posti di lavoro. E, prima ancora di perdere il lavoro, per la paura, sono già entrati in recessione cioè hanno cominciato a tagliare i propri consumi. Invece di aiutare loro aiutiamo il comune di Palermo: altri 280 milioni di euro perchè continui a sperperarli come ha fatto fino ad adesso.

Veniamo al banchiere, al vertice di uno degli istituti di credito importanti che hanno il polso della situazione. Mi faceva un quadro fosco di un Veneto dove la crisi si sente eccome, dove interi comparti stanno lasciando a casa i dipendenti a raffica; un tessuto produttivo diffuso che non ha nemmeno gli ammortizzatori sociali delle grandi aziende del Nordovest. Mi spiegava anche lui che i dipendenti del settore privato hanno già cominciato a tagliare i propri consumi per paura di restare senza lavoro. E poi aggiungeva: sa qual’è l’unico posto dove non senti la crisi? E’ Roma, perchè là sono praticamente tutti pubblici dipendenti, statali o ministeriali, non esiste che possano perdere il lavoro o andare in cassa integrazione, e quindi continuano a spendere come prima e come sempre. E, pensavo io, non hanno bisogno di frequentare corsi né di farsi taglieggiare. Se li frequentano e “per aggiornarsi”, cioè una vacanza pagata dallo Stato.

Le due Italie, che in parte ci sono sempre state. Adesso però la crisi economica si fa sentire sempre di più. E allora, come dicono a Milano, “dura minga”: non può durare. Sono contraddizioni troppo esplosive quelle che mi hanno raccontato l’elettricista e il banchiere. O non accadrà nulla nemmeno ‘sta volta?

HA RAGIONE BERLUSCA: LA CARTA E’ DATATA 1946

 

 

Restano certamente opinabili i motivi reali che hanno convinto Berlusconi a scendere in campo con tanta determinazione nel caso Eluana: è stato spinto dalla vicenda umana e dal desiderio di salvare la donna da morte certa? Lo ha fatto per andare allo scontro con Napolitano e ridisegnare a suo vantaggio i poteri del presidente della Repubblica? Ha voluto diventare il referente del Vaticano, del mondo cattolico e dei tanti poteri non solo elettorali che ruotano attorno alla Chiesa? Si può appunto discutere e sguazzare nella dietrologia; personalmente sono troppo vecchio e disincantato per credere ancora alle battaglie ideali disinteressate.

Mi sembra invece che, al di là di ogni strumentalità, ci sia poco da discutere nel merito delle critiche che Berlusconi ha rivolto alla Costituzione. Critiche che sono dati di fatto storici acquisiti. Possiamo forse negare che tra i padri costituenti ci fosse una forte componente filosovietica? Lo erano non solo tutti i costituenti comunisti ma anche una buona parte di quelli socialisti: gli stessi che dieci anni dopo, nel 1956 all’invasione dell’Ungheria, vennero chiamati i “carristi” perchè appoggiarono i carri armati sovietici a Budapest. Quanto al Pci celebrò, a fine anni Settanta, “lo strappo” di Berlinguer con Mosca proprio perchè fino ad allora il Partito comunista era rimasto legato a filo doppio con Mosca stessa. La quale lo finanziava con fiumi di rubli non per spirito caritatevole ma perchè il Pci era allineato e funzionale alla strategia sovietica. Sul piano della cultura politica questi padri costituenti diedero alla Carta un’impronta statalista, che si sposava abbastanza bene con la componente cattolica ma che era e resta agli antipodi rispetto ad una visione liberale.

Allo stesso modo non si può negare che la Costituzione sia nata come contrapposizione al Ventennio fascista: il primo obiettivo cioè era di prevenire una nuova dittatura rendendo il potere esecutivo più debole possibile, ampliando a dismisura i poteri del Parlamento attraverso il bicameralismo e immaginando un presidente della Repubblica in grado di ostacolare meglio di quanto non avessero fatto i Savoia le mire di un nuovo Mussolini. Questa impostazione aveva senso allora. Ha ancora senso se siamo convinti, come dice Di Pietro, che Berlusconi sia come Hitler…Ma altrimenti dobbiamo riconoscere che il Paese ha bisogno di un governo in grado di governare; ha bisogno, come avvenuto positivamente per i Comuni, di un “sindaco d’Italia”.

Tornando alla Costituzione è figlia del suo tempo. Cioè al di là di alcuni grandi principi generali (uguaglianza dei cittadini, separazione dei poteri, etc.) che restano validi, per il resto è legata alla sensibilità e alla cultura dei padri costituenti del 1946. Per quali, tanto per dire, era inconcepibile non solo l’eutanasia, non solo i diritti dei gay (che tutti, allora, consideravano dei malati da curare), ma anche l’aborto e perfino il divorzio. La nostra Costituzione ribadisce la centralità della famiglia, il matrimonio tra uomo e donna, la difesa della vita dal concepimento alla morte. Vita che, secondo i comunisti filosovietici e i socialisti, appartiene allo Stato, secondo i cattolici a Dio; e quindi l’individuo comunque non può disporne.

E’ questa la Costituzione viva e intangibile, la sacra Carta di fronte alla quale Veltroni invita Berlusconi ad inginocchiarsi? E cosa facciamo dei cosiddetti “diritti civili”? Li rottamiamo per restare fedeli al dettato costituzionale?

 

GALAN “CURA” LA LEGA PIU’ DEI CLANDESTINI

La prima preoccupazione del governatore Giancarlo Galan è di “curare” la Lega, cercare cioè di evitare che gli porti via la presidenza del Veneto che nel 2010 vorrebbe ottenere per il quarto mandato. Va capito, tutti al suo posto avremmo la stessa cura. Anch’io, potendo, vorrei diventare il monarca del Veneto e lasciarlo poi in eredità a mia figlia Lucia. Naturale dunque che Galan pensi ad una presidenza a vita da lasciare poi in dote a Margherita.

Per marcare stretto la Lega, però, bisogna distinguersi sempre, polemizzare in ogni occasione. Anche in barba al buon senso e al comune sentire dei cittadini veneti. Come fatto puntualmente da Galan cogliendo in queste ore il pretesto delle cure ai clandestini. Cure che sarebbero a rischio adesso che è stato tolto ai medici il divieto di segnalare quelli che si presentano. Andando contro la Lega e la sua stessa maggioranza di governo, il presidente del Veneto denuncia “il rischio di creare malattie clandestine, di perdere il controllo sanitario del nostro territorio e mettere in pericolo la salute di tutti, anche degli italiani”.

Va bene l’esigenza di “curare” la Lega, ma non al punto di stravolgere la realtà e calpestare il buon senso. Se c’è infatti un rischio “di perdere il controllo sanitario del nostro territorio” questo sarà dovuto alla presenza di decine di migliaia di clandestini, che entrano senza alcun controllo né sanitario né di altro genere; che possono portare qualunque malattia; che vanno dal medico e poi possono tornare a scomparire senza che nessuno più possa controllare che fine ha fatto una scabbia, una tubercolosi, una qualunque patologia infettiva. O dobbiamo credere che il rischio, delineato da Galan con toni così apocalittici, si presenti solo ora perchè il medico ha facoltà di segnalare di aver curato uno sconosciuto?

Va bene l’esigenza di “curare” la Lega, ma come fa Galan ad affermare che “il clandestino, che sa di rischiare l’espulsione andando in ospedale, deciderà di non curarsi”? Ma in che Paese vive il governatore del Veneto? Vive forse in un Paese dove le espulsioni sono all’ordine del giorno, dove vengono effettuate a migliaia nel modo più inflessibile? Il clandestino sa benissimo che non rischia nessuna espulsione. Sa che, quando proprio dovesse andargli male, gli verrà consegnato un pezzo di carta con su scritta l’intimazione a lasciare il Paese; e lui, come fan tutti, quel pezzo di carta lo userà come carta igienica. Il clandestino quindi continuerà a farsi curare perchè sa di non rischiare proprio nulla nel nostro Paese sfasciato dove il rispetto delle regole è solo un ricordo.

Modificando questo emendamento del Testo unico sull’immigrazione, Lega e governo fanno semplicemente finta che esista ancora uno Stato che tutti – ed i clandestini per primi – sanno non esistere più da decenni.

Esiste invece ancora la deontologia professionale, l’etica, lo slancio umanistico di quegli operatori sanitari pronti alla disobbedienza civile al grido “siamo medici ed infermieri, non siamo spie!”. E, siccome non siamo spie, di fronte ad un reato (posso ricordare che la clandestinità sarebbe, appunto, un reato?) ci giriamo prontamente dall’altra parte; non vediamo e non sentiamo. Che uomini tutti d’un pezzo! Che eroi civili! Totò Riina rimpiangerà di non aver avuto picciotti così.

E i tassisti non capiranno perchè, se loro montano un clandestino in macchina, rischiano la denuncia per favoreggiamento; mentre il medico nemmeno deve segnalarlo. Forse perchè loro, i tassisti, non sono…”tassisti senza frontiere”.

BENVENUTI IN BOSNIA!

 

 

Benvenuti in Bosnia! Possiamo scriverlo e appendere il cartello ai confini del nostro Paese. Lo ha puntualizzato il magistrato milanese Giuseppe Grechi: “Siamo al primo posto in Europa per numero di reati gravi. Pari alla Bosnia per omicidi e reati di massima gravità”. L’accostamento proposto da Grechi può avere una sua strumentalità contingente, legate alle polemiche col governo sulla intercettazioni e sulle risorse da destinare o meno alla magistratura, ma nessuno può contestarlo nella sostanze e nei numeri: 714 omicidi volontari, 1.425 tentati omicidi, 46.265 rapine.

Non sono i reati pur gravi e che, comprensibilmente, destano molto allarme sociale. Non sono gli stupri e le violenze compiuti dai branchi stranieri e anche italiani. Stiamo parlando dei reati tipici della criminalità organizzata, sono la mafia e la camorra che ci rendono drammaticamente simili alla Bosnia e del tutto estranei all’Europa civile. Anche noi come i bosniaci abbiamo l’elenco dei “most wanted”, la lista continuamente aggiornata dei trenta latitanti più pericolosi (che tali restano per decenni). La Bosnia non è mai uscita dalla guerra civile, resta spaccata in due. E anche noi non ne usciamo dalla guerra tra lo Stato e la criminalità organizzata, che controlla un terzo del nostro Paese; che amministra la giustizia, i posti di lavoro, gli interventi pubblici in almeno quattro regioni d’Italia.

L’opinione pubblica internazionale non è più informata su ciò che succede in Bosnia. Allo stesso modo l’opinione pubblica italiana non è informata su ciò che continua ad accadere nel nostro Mezzogiorno. Sono informati molto meglio i cittadini degli altri Paesi europei, che infatti ci trattano con le molle. Noi subiamo la tipica disinformazione del tempo di guerra: si esalta la vittoria in una scaramuccia (catturato un latitante!), si sorvola sul susseguirsi di sconfitte devastanti, cioè sui fatturati delle mafie che crescono in maniera esponenziale e rendendo sempre più ricco e prospero l’antistato del Sud.

Un anno fa a Palermo fu arrestato il latitante Salvatore Lo Piccolo, fu annunciata la cattura del successore di Riina. Ma intanto sempre a Palermo i danneggiamenti con incendio doloso, che gli stessi investigatori definiscono “classici reati spia”, solo saliti da qualche centinaio a 2.644. Il che significa che il racket è sempre più potente, che domina sempre più incontrastato dalle varie superprocure, dalle divisioni antimafia, dalle articolazioni di uno Stato che non riesce a riportare la legge, a riconquistare il Mezzogiorno.

Dopo di che qui in Veneto, nel nostro quotidiano, siamo più preoccupati che il branco straniero stupri le donne o che il branco nostrano pesti a sangue il diverso. Ma questo accade anche in Francia, in Germania, in Olanda. E’ il resto che succede solo da noi, solo al Sud e in Bosnia.

 

CARLA’, IL NULLA DAVANTI A SARKOZY

 

 

Una volta si diceva (era la società maschilista?) che “dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Se il detto vale ancora, dobbiamo concludere che Nicolas Sarkozy non è un grande uomo. Perchè, nemmeno dietro, ma addirittura davanti, cioè a contendergli la scena, ha il nulla; cioè Carla Bruni, incarnazione perfetta del fighettismo da subrette col complesso di non essere abbastanza engagée, copia conforma di Alba Parietti: firma appelli, è molto impegnata politicamente, molto sensibile alla discriminazione razziale (specie se riguarda Naomi Campbell), molto preoccupata per la condizione della donna e, ovviamente, molto di sinistra. Insomma la tipica incontinente, anche se dichiara di contenersi da quando è diventata Bruni-Sarkozy.

Concordo con il presidente Cossiga: c’è da rallegrarsi, da essere felici, che non sia più cittadina italiana. Per una volta il peggio è diventato francese. Qualche timore per noi, a dire il vero, era balenato con la passione di Gianfranco Fini per l’ex fiamma di Gaucci. Ma (almeno per il momento) il presidente della Camera non l’ha trasformata nella signora Fini; e (almeno per il momento) questa subrettina nostrana non firma appelli.

La cosa più vergognosa di Carla Bruni l’ha ricordata l’associazione dei parenti delle vittime del terrorismo: negli anni di piombo la sua famiglia lasciò l’Italia proprio per non finire nel mirino dei brigatisti, per salvarsi e salvare la piccola Carlà. La quale diventata grande (si fa per dire) ora si batte per garantire l’impunità ai sui carnefici mancati. Questa stronzetta scema che non è altro.

Una considerazione a parte merita la sua ospitata da Fabio Fazio. Il quale ha pensato di replicare Michele Santoro in ginocchio davanti ad Antonio Di Pietro. Non ho mai apprezzato gli intervistatori incalzanti e arroganti; ho sempre avuto il dubbio che lo siano con gli intervistati “nemici” (e deboli), pronti invece a prostarsi di fronte agli “amici” (e potenti). Però con un minimo di educazione (dovuta al fatto che chi accetta di farsi intervistare da te ti fa un favore) le domande vanno fatte. Almeno qualcuna di quelle vere. Non puoi limitarti ai complimenti, ai salamelecchi e alle domande compiacenti. Come fatto invece da Fazio con la Bruni e da Santoro con Di Pietro.

 

 

CLANDESTINI CURATI MA IDENTIFICATI

 L’ambulatorio per soli immigrati di Bassano ha riaperto le polemiche sulle cure mediche agli stranieri presenti nel nostro Paese, clandestini compresi. Ci sono stati interventi puntuali e sdegnati, anche di giuristi illustri (Mario Bertolissi), per ricordare che l’art. 32 della nostra Costituzione sancisce il diritto alla salute e l’obbligo delle cure gratuite per tutti gli indigenti. Perfetto. Ma a cosa serve sfondare una porta già aperta? Nessuno infatti nega il dovere, umano e civile prima ancora che costituzionale, di curare chiunque ne abbia bisogno. O c’è forse qualcuno che sostiene che il clandestino va lasciato morire se non si paga l’assistenza sanitaria? La stessa Lega contesta solo quello che potremmo chiamare “l’eccesso” di cure: cioè lo straniero che si presenta, ubriaco e arrogante ma sostanzialmente sano, nel pronto soccorso andando a mettere in crisi inutilmente questa struttura. Oppure il caso, denunciato proprio dalla Lega Nord di Padova, del giudice di pace che impone di dare in dote al tunisino colpito da decreto di espulsione un corredo di farmaci del valore di ben 9 mila euro; aggiungendo anche la facoltà di rientrare nel nostro Paese per accertamenti e visite mediche sull’andamento della sua patologia.

Il distinguo netto che fa la Lega non è sul dovere di curare anche il clandestino: è sul garantire al clandestino stesso la possibilità di continuare a restare indisturbato nel nostro territorio dopo che è stato curato. Ci sono infatti leggi precise che vietano di entrare illegalmente nel nostro Paese. Dobbiamo rispettare la Costituzione per ciò che concerne il diritto alla salute. Bene. Dobbiamo anche rispettare le leggi sull’immigrazione o queste dobbiamo tranquillamente accettare che vengano violate?

E’ lo stesso discorso dei barconi che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo carichi di stranieri spesso stremati dal viaggio. Nessuno nega che vadano dissetati, sfamati e anche curati. Il distinguo inizia da qui in avanti: dobbiamo fargli fare dietrofront e scortarli verso i lidi da cui erano partiti o dobbiamo aiutarli ad entrare illegalmente nel nostro Paese portandoli fino a Lampedusa? Fin’ora abbiamo scelto la seconda opzione. E personalmente la giudico una follia. Ma nessuno ha mai sostenuto che o pagano oppure li lasciamo morire di sete e di stenti.

Mi sembra dunque una mossa ribalda confondere volutamente i due piani: cioè tirare in ballo il grande tema umanitario delle cure mediche, da tutti condiviso, per nascondere il tema altrettanto grande del mancato contrasto della clandestinità, da molti non condiviso. L’obiezione è che se il clandestino venisse identificato, quando si presenta all’ambulatorio o al pronto soccorso, rinuncerebbe a curarsi piuttosto che incorrere nel pericolo dell’espulsione. Verissimo. Ma che scelga. O pretende di avere la botte piena e la moglie ubriaca, cioè il diritto sia alle alle cure che a rimanere illegalmente nel nostro Paese? Anche perchè a quel punto il cittadino, al contrario, è sia cornuto che mazziato: nel senso che deve pagare lui le cure tramite la fiscalità generale e nello stesso tempo continuare a subire la pesante turbativa rappresentata dalla massiccia presenza di clandestini nel proprio territorio.