DI RONDA CI RESTA…IL CLANDESTINO

 

Di fronte al tema della sicurezza, che nelle ultime ore si è riproposto come emergenza stupri; due sono le barzellette che possiamo raccontarci e che, puntualmente stiamo, ascoltando: La prima (vedi Casini) è che servono più uomini e mezzi alle forze dell’ordine. Come dire che servono più computer e più insegnanti per garantire una pubblica istruzione degna di questo nome. O che servono più magistrati e più fotocopiatrici per rendere celere la giustizia. Balle. Utili solo ad espandere ulteriormente lo spreco di risorse pubbliche: abbiamo infatti già gli organici più opulenti d’Europa e (nel caso dei magistrati) tra i meglio retribuiti. Non si tratta quindi certo di ampliarli. Servirebbero (condizionale, periodo ipotetico dell’irrealtà…) riforme strutturali in grado di riorganizzarli, motivarli e farli lavorare più seriamente.

L’altra barzelletta colossale (vedi Lega e ora perfino il Pd) è quella delle ronde. Proprio il Pd, prima di perdere completamente la bussola e diventare anche lui “rondista”, spiegava che le ronde sono al massimo un segnale del disagio della popolazione che, per una sera, scende in strada a segnalare, appunto, che ci vorrebbe più presidio sul territorio. Ma è impensabile che diventino una risposta, strutturata e continuativa, all’esigenza di maggior sicurezza. Alzi la mano chi è disposto non una sera, non sotto elezioni, non per conquistarsi benemerenze da trasformare in candidature, ma ad impegnarsi tutte le sere per il prossimo anno ad andare di ronda. E ad andarci in modo particolare quando più serve: cioè la notte dell’ultimo dell’anno, la domenica sera quando le forze dell’ordine hanno fatto il turno negli stadi, nei mesi estivi quando le stesse forze dell’ordine vanno in ferie.

Ben pochi veneti, ben pochi italiani si assumerebbero un impegno del genere, un compito così gravoso. Così come sono pochi ad accudire i propri cari (che per la quasi totalità affidiamo alle badanti), pochi a raccogliere la monnezza, pochi a lavorare in conceria, pochi a svolgere quelle mansioni ingrate che abbiamo quasi completamente delegato agli stranieri. E allora è chiaro dove giunge il paradosso: alla fine di ronda in maniera continuativa resterebbero solo gli immigrati, i clandestini! Cioè coloro contro i quali le ronde stesse sono invocate!…

Anche perchè il rondismo è un sottoinsieme del più ampio capitolo del volontariato. Il quale volontariato, quando non è un puro pretesto di magna-magna, ed in effetti in alcuni casi non lo è, resta comunque un apporto marginale cui non puoi delegare funzioni importanti in modo continuativo. Puoi solo ringraziarlo se e quando decide di fornire una prestazione, non certo pretendere che la garantisca sempre. Tanto per intenderci può capitare che arrivi il volontario un giorno a cambiare una volta il pannolone al nostro anziano, ma chi glielo cambia tutti i giorni quattro volte al giorno è solo la badante in regola o fuori regola. E così di ronda tutte le sere ci troveremmo solo lo straniero regolare o clandestino.

DALL’ELETTRICISTA AL BANCHIERE

 

 

 

 

 

Dall’elettricista al banchiere. Sentite un po’ cosa mi hanno raccontato due conoscenti, due professionisti che operano in ambiti molto diversi; ma che alla fine fanno un’analisi complementare che ci fa capire quanto male è ridotto il nostro Paese.

L’elettricista mi ha spiegato che lui, come ogni altro artigiano, come chiunque abbia un’attività produttiva, ha dovuto seguire un corso di primo soccorso. Siamo un Paese molto avanzato, da noi c’è la prevenzione e, se uno si sente male finché è nella tua bottega, nella tua officina, nel tuo ufficio o nel negozio, zac: tu conosci il primo soccorso e gli salvi la vita. E così il bravo elettricista ha frequentato le 32 ore del corso, sottraendole al suo lavoro, ha pagato 2.400 euro, in aggiunta alle tasse e ai balzelli che già gravano su chiunque abbia un attività. Peccato solo che terminato l’addestramento il responsabile del corso gli abbia spiegato: se qualcuno si sente male davvero, non sognarti di toccarlo! Rischi di avere rogne a non finire! Tu limitati a chiamare il 118…Ovvia la conclusione dell’elettricista: il 118 lo chiamavo anche senza perdere 32 ore e senza spendere 2.400 euro.

Discorso identico per la sicurezza. In ogni ambito di lavoro (non parliamo della Thissen e degli altri posti dove servirebbe davvero), in qualunque ufficietto, dove il massimo del rischio è di inciampare come sulla pubblica via, deve esserci il responsabile della sicurezza (avete presente il capo fabbricato di memoria fascista o sovietica?); e anche qui ci sono corsi da frequentare, tempo da perdere, somme da pagare. Del tutto inutilmente per chi lavora e produce; ma a beneficio di chi vende i corsi, di chi li istruisce, dello Stato che incassa tasse aggiuntive.

Insomma un fiume di leggi, di adempimenti, di forche caudine burocratiche hanno uno scopo preciso e studiato: taglieggiare il popolo dei produttori; quelli che, appunto, producono sul serio la ricchezza; che oggi in particolare andrebbero aiutati perchè perdono le commesse e i posti di lavoro. E, prima ancora di perdere il lavoro, per la paura, sono già entrati in recessione cioè hanno cominciato a tagliare i propri consumi. Invece di aiutare loro aiutiamo il comune di Palermo: altri 280 milioni di euro perchè continui a sperperarli come ha fatto fino ad adesso.

Veniamo al banchiere, al vertice di uno degli istituti di credito importanti che hanno il polso della situazione. Mi faceva un quadro fosco di un Veneto dove la crisi si sente eccome, dove interi comparti stanno lasciando a casa i dipendenti a raffica; un tessuto produttivo diffuso che non ha nemmeno gli ammortizzatori sociali delle grandi aziende del Nordovest. Mi spiegava anche lui che i dipendenti del settore privato hanno già cominciato a tagliare i propri consumi per paura di restare senza lavoro. E poi aggiungeva: sa qual’è l’unico posto dove non senti la crisi? E’ Roma, perchè là sono praticamente tutti pubblici dipendenti, statali o ministeriali, non esiste che possano perdere il lavoro o andare in cassa integrazione, e quindi continuano a spendere come prima e come sempre. E, pensavo io, non hanno bisogno di frequentare corsi né di farsi taglieggiare. Se li frequentano e “per aggiornarsi”, cioè una vacanza pagata dallo Stato.

Le due Italie, che in parte ci sono sempre state. Adesso però la crisi economica si fa sentire sempre di più. E allora, come dicono a Milano, “dura minga”: non può durare. Sono contraddizioni troppo esplosive quelle che mi hanno raccontato l’elettricista e il banchiere. O non accadrà nulla nemmeno ‘sta volta?

HA RAGIONE BERLUSCA: LA CARTA E’ DATATA 1946

 

 

Restano certamente opinabili i motivi reali che hanno convinto Berlusconi a scendere in campo con tanta determinazione nel caso Eluana: è stato spinto dalla vicenda umana e dal desiderio di salvare la donna da morte certa? Lo ha fatto per andare allo scontro con Napolitano e ridisegnare a suo vantaggio i poteri del presidente della Repubblica? Ha voluto diventare il referente del Vaticano, del mondo cattolico e dei tanti poteri non solo elettorali che ruotano attorno alla Chiesa? Si può appunto discutere e sguazzare nella dietrologia; personalmente sono troppo vecchio e disincantato per credere ancora alle battaglie ideali disinteressate.

Mi sembra invece che, al di là di ogni strumentalità, ci sia poco da discutere nel merito delle critiche che Berlusconi ha rivolto alla Costituzione. Critiche che sono dati di fatto storici acquisiti. Possiamo forse negare che tra i padri costituenti ci fosse una forte componente filosovietica? Lo erano non solo tutti i costituenti comunisti ma anche una buona parte di quelli socialisti: gli stessi che dieci anni dopo, nel 1956 all’invasione dell’Ungheria, vennero chiamati i “carristi” perchè appoggiarono i carri armati sovietici a Budapest. Quanto al Pci celebrò, a fine anni Settanta, “lo strappo” di Berlinguer con Mosca proprio perchè fino ad allora il Partito comunista era rimasto legato a filo doppio con Mosca stessa. La quale lo finanziava con fiumi di rubli non per spirito caritatevole ma perchè il Pci era allineato e funzionale alla strategia sovietica. Sul piano della cultura politica questi padri costituenti diedero alla Carta un’impronta statalista, che si sposava abbastanza bene con la componente cattolica ma che era e resta agli antipodi rispetto ad una visione liberale.

Allo stesso modo non si può negare che la Costituzione sia nata come contrapposizione al Ventennio fascista: il primo obiettivo cioè era di prevenire una nuova dittatura rendendo il potere esecutivo più debole possibile, ampliando a dismisura i poteri del Parlamento attraverso il bicameralismo e immaginando un presidente della Repubblica in grado di ostacolare meglio di quanto non avessero fatto i Savoia le mire di un nuovo Mussolini. Questa impostazione aveva senso allora. Ha ancora senso se siamo convinti, come dice Di Pietro, che Berlusconi sia come Hitler…Ma altrimenti dobbiamo riconoscere che il Paese ha bisogno di un governo in grado di governare; ha bisogno, come avvenuto positivamente per i Comuni, di un “sindaco d’Italia”.

Tornando alla Costituzione è figlia del suo tempo. Cioè al di là di alcuni grandi principi generali (uguaglianza dei cittadini, separazione dei poteri, etc.) che restano validi, per il resto è legata alla sensibilità e alla cultura dei padri costituenti del 1946. Per quali, tanto per dire, era inconcepibile non solo l’eutanasia, non solo i diritti dei gay (che tutti, allora, consideravano dei malati da curare), ma anche l’aborto e perfino il divorzio. La nostra Costituzione ribadisce la centralità della famiglia, il matrimonio tra uomo e donna, la difesa della vita dal concepimento alla morte. Vita che, secondo i comunisti filosovietici e i socialisti, appartiene allo Stato, secondo i cattolici a Dio; e quindi l’individuo comunque non può disporne.

E’ questa la Costituzione viva e intangibile, la sacra Carta di fronte alla quale Veltroni invita Berlusconi ad inginocchiarsi? E cosa facciamo dei cosiddetti “diritti civili”? Li rottamiamo per restare fedeli al dettato costituzionale?

 

GALAN “CURA” LA LEGA PIU’ DEI CLANDESTINI

La prima preoccupazione del governatore Giancarlo Galan è di “curare” la Lega, cercare cioè di evitare che gli porti via la presidenza del Veneto che nel 2010 vorrebbe ottenere per il quarto mandato. Va capito, tutti al suo posto avremmo la stessa cura. Anch’io, potendo, vorrei diventare il monarca del Veneto e lasciarlo poi in eredità a mia figlia Lucia. Naturale dunque che Galan pensi ad una presidenza a vita da lasciare poi in dote a Margherita.

Per marcare stretto la Lega, però, bisogna distinguersi sempre, polemizzare in ogni occasione. Anche in barba al buon senso e al comune sentire dei cittadini veneti. Come fatto puntualmente da Galan cogliendo in queste ore il pretesto delle cure ai clandestini. Cure che sarebbero a rischio adesso che è stato tolto ai medici il divieto di segnalare quelli che si presentano. Andando contro la Lega e la sua stessa maggioranza di governo, il presidente del Veneto denuncia “il rischio di creare malattie clandestine, di perdere il controllo sanitario del nostro territorio e mettere in pericolo la salute di tutti, anche degli italiani”.

Va bene l’esigenza di “curare” la Lega, ma non al punto di stravolgere la realtà e calpestare il buon senso. Se c’è infatti un rischio “di perdere il controllo sanitario del nostro territorio” questo sarà dovuto alla presenza di decine di migliaia di clandestini, che entrano senza alcun controllo né sanitario né di altro genere; che possono portare qualunque malattia; che vanno dal medico e poi possono tornare a scomparire senza che nessuno più possa controllare che fine ha fatto una scabbia, una tubercolosi, una qualunque patologia infettiva. O dobbiamo credere che il rischio, delineato da Galan con toni così apocalittici, si presenti solo ora perchè il medico ha facoltà di segnalare di aver curato uno sconosciuto?

Va bene l’esigenza di “curare” la Lega, ma come fa Galan ad affermare che “il clandestino, che sa di rischiare l’espulsione andando in ospedale, deciderà di non curarsi”? Ma in che Paese vive il governatore del Veneto? Vive forse in un Paese dove le espulsioni sono all’ordine del giorno, dove vengono effettuate a migliaia nel modo più inflessibile? Il clandestino sa benissimo che non rischia nessuna espulsione. Sa che, quando proprio dovesse andargli male, gli verrà consegnato un pezzo di carta con su scritta l’intimazione a lasciare il Paese; e lui, come fan tutti, quel pezzo di carta lo userà come carta igienica. Il clandestino quindi continuerà a farsi curare perchè sa di non rischiare proprio nulla nel nostro Paese sfasciato dove il rispetto delle regole è solo un ricordo.

Modificando questo emendamento del Testo unico sull’immigrazione, Lega e governo fanno semplicemente finta che esista ancora uno Stato che tutti – ed i clandestini per primi – sanno non esistere più da decenni.

Esiste invece ancora la deontologia professionale, l’etica, lo slancio umanistico di quegli operatori sanitari pronti alla disobbedienza civile al grido “siamo medici ed infermieri, non siamo spie!”. E, siccome non siamo spie, di fronte ad un reato (posso ricordare che la clandestinità sarebbe, appunto, un reato?) ci giriamo prontamente dall’altra parte; non vediamo e non sentiamo. Che uomini tutti d’un pezzo! Che eroi civili! Totò Riina rimpiangerà di non aver avuto picciotti così.

E i tassisti non capiranno perchè, se loro montano un clandestino in macchina, rischiano la denuncia per favoreggiamento; mentre il medico nemmeno deve segnalarlo. Forse perchè loro, i tassisti, non sono…”tassisti senza frontiere”.

BENVENUTI IN BOSNIA!

 

 

Benvenuti in Bosnia! Possiamo scriverlo e appendere il cartello ai confini del nostro Paese. Lo ha puntualizzato il magistrato milanese Giuseppe Grechi: “Siamo al primo posto in Europa per numero di reati gravi. Pari alla Bosnia per omicidi e reati di massima gravità”. L’accostamento proposto da Grechi può avere una sua strumentalità contingente, legate alle polemiche col governo sulla intercettazioni e sulle risorse da destinare o meno alla magistratura, ma nessuno può contestarlo nella sostanze e nei numeri: 714 omicidi volontari, 1.425 tentati omicidi, 46.265 rapine.

Non sono i reati pur gravi e che, comprensibilmente, destano molto allarme sociale. Non sono gli stupri e le violenze compiuti dai branchi stranieri e anche italiani. Stiamo parlando dei reati tipici della criminalità organizzata, sono la mafia e la camorra che ci rendono drammaticamente simili alla Bosnia e del tutto estranei all’Europa civile. Anche noi come i bosniaci abbiamo l’elenco dei “most wanted”, la lista continuamente aggiornata dei trenta latitanti più pericolosi (che tali restano per decenni). La Bosnia non è mai uscita dalla guerra civile, resta spaccata in due. E anche noi non ne usciamo dalla guerra tra lo Stato e la criminalità organizzata, che controlla un terzo del nostro Paese; che amministra la giustizia, i posti di lavoro, gli interventi pubblici in almeno quattro regioni d’Italia.

L’opinione pubblica internazionale non è più informata su ciò che succede in Bosnia. Allo stesso modo l’opinione pubblica italiana non è informata su ciò che continua ad accadere nel nostro Mezzogiorno. Sono informati molto meglio i cittadini degli altri Paesi europei, che infatti ci trattano con le molle. Noi subiamo la tipica disinformazione del tempo di guerra: si esalta la vittoria in una scaramuccia (catturato un latitante!), si sorvola sul susseguirsi di sconfitte devastanti, cioè sui fatturati delle mafie che crescono in maniera esponenziale e rendendo sempre più ricco e prospero l’antistato del Sud.

Un anno fa a Palermo fu arrestato il latitante Salvatore Lo Piccolo, fu annunciata la cattura del successore di Riina. Ma intanto sempre a Palermo i danneggiamenti con incendio doloso, che gli stessi investigatori definiscono “classici reati spia”, solo saliti da qualche centinaio a 2.644. Il che significa che il racket è sempre più potente, che domina sempre più incontrastato dalle varie superprocure, dalle divisioni antimafia, dalle articolazioni di uno Stato che non riesce a riportare la legge, a riconquistare il Mezzogiorno.

Dopo di che qui in Veneto, nel nostro quotidiano, siamo più preoccupati che il branco straniero stupri le donne o che il branco nostrano pesti a sangue il diverso. Ma questo accade anche in Francia, in Germania, in Olanda. E’ il resto che succede solo da noi, solo al Sud e in Bosnia.

 

CARLA’, IL NULLA DAVANTI A SARKOZY

 

 

Una volta si diceva (era la società maschilista?) che “dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Se il detto vale ancora, dobbiamo concludere che Nicolas Sarkozy non è un grande uomo. Perchè, nemmeno dietro, ma addirittura davanti, cioè a contendergli la scena, ha il nulla; cioè Carla Bruni, incarnazione perfetta del fighettismo da subrette col complesso di non essere abbastanza engagée, copia conforma di Alba Parietti: firma appelli, è molto impegnata politicamente, molto sensibile alla discriminazione razziale (specie se riguarda Naomi Campbell), molto preoccupata per la condizione della donna e, ovviamente, molto di sinistra. Insomma la tipica incontinente, anche se dichiara di contenersi da quando è diventata Bruni-Sarkozy.

Concordo con il presidente Cossiga: c’è da rallegrarsi, da essere felici, che non sia più cittadina italiana. Per una volta il peggio è diventato francese. Qualche timore per noi, a dire il vero, era balenato con la passione di Gianfranco Fini per l’ex fiamma di Gaucci. Ma (almeno per il momento) il presidente della Camera non l’ha trasformata nella signora Fini; e (almeno per il momento) questa subrettina nostrana non firma appelli.

La cosa più vergognosa di Carla Bruni l’ha ricordata l’associazione dei parenti delle vittime del terrorismo: negli anni di piombo la sua famiglia lasciò l’Italia proprio per non finire nel mirino dei brigatisti, per salvarsi e salvare la piccola Carlà. La quale diventata grande (si fa per dire) ora si batte per garantire l’impunità ai sui carnefici mancati. Questa stronzetta scema che non è altro.

Una considerazione a parte merita la sua ospitata da Fabio Fazio. Il quale ha pensato di replicare Michele Santoro in ginocchio davanti ad Antonio Di Pietro. Non ho mai apprezzato gli intervistatori incalzanti e arroganti; ho sempre avuto il dubbio che lo siano con gli intervistati “nemici” (e deboli), pronti invece a prostarsi di fronte agli “amici” (e potenti). Però con un minimo di educazione (dovuta al fatto che chi accetta di farsi intervistare da te ti fa un favore) le domande vanno fatte. Almeno qualcuna di quelle vere. Non puoi limitarti ai complimenti, ai salamelecchi e alle domande compiacenti. Come fatto invece da Fazio con la Bruni e da Santoro con Di Pietro.

 

 

CLANDESTINI CURATI MA IDENTIFICATI

 L’ambulatorio per soli immigrati di Bassano ha riaperto le polemiche sulle cure mediche agli stranieri presenti nel nostro Paese, clandestini compresi. Ci sono stati interventi puntuali e sdegnati, anche di giuristi illustri (Mario Bertolissi), per ricordare che l’art. 32 della nostra Costituzione sancisce il diritto alla salute e l’obbligo delle cure gratuite per tutti gli indigenti. Perfetto. Ma a cosa serve sfondare una porta già aperta? Nessuno infatti nega il dovere, umano e civile prima ancora che costituzionale, di curare chiunque ne abbia bisogno. O c’è forse qualcuno che sostiene che il clandestino va lasciato morire se non si paga l’assistenza sanitaria? La stessa Lega contesta solo quello che potremmo chiamare “l’eccesso” di cure: cioè lo straniero che si presenta, ubriaco e arrogante ma sostanzialmente sano, nel pronto soccorso andando a mettere in crisi inutilmente questa struttura. Oppure il caso, denunciato proprio dalla Lega Nord di Padova, del giudice di pace che impone di dare in dote al tunisino colpito da decreto di espulsione un corredo di farmaci del valore di ben 9 mila euro; aggiungendo anche la facoltà di rientrare nel nostro Paese per accertamenti e visite mediche sull’andamento della sua patologia.

Il distinguo netto che fa la Lega non è sul dovere di curare anche il clandestino: è sul garantire al clandestino stesso la possibilità di continuare a restare indisturbato nel nostro territorio dopo che è stato curato. Ci sono infatti leggi precise che vietano di entrare illegalmente nel nostro Paese. Dobbiamo rispettare la Costituzione per ciò che concerne il diritto alla salute. Bene. Dobbiamo anche rispettare le leggi sull’immigrazione o queste dobbiamo tranquillamente accettare che vengano violate?

E’ lo stesso discorso dei barconi che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo carichi di stranieri spesso stremati dal viaggio. Nessuno nega che vadano dissetati, sfamati e anche curati. Il distinguo inizia da qui in avanti: dobbiamo fargli fare dietrofront e scortarli verso i lidi da cui erano partiti o dobbiamo aiutarli ad entrare illegalmente nel nostro Paese portandoli fino a Lampedusa? Fin’ora abbiamo scelto la seconda opzione. E personalmente la giudico una follia. Ma nessuno ha mai sostenuto che o pagano oppure li lasciamo morire di sete e di stenti.

Mi sembra dunque una mossa ribalda confondere volutamente i due piani: cioè tirare in ballo il grande tema umanitario delle cure mediche, da tutti condiviso, per nascondere il tema altrettanto grande del mancato contrasto della clandestinità, da molti non condiviso. L’obiezione è che se il clandestino venisse identificato, quando si presenta all’ambulatorio o al pronto soccorso, rinuncerebbe a curarsi piuttosto che incorrere nel pericolo dell’espulsione. Verissimo. Ma che scelga. O pretende di avere la botte piena e la moglie ubriaca, cioè il diritto sia alle alle cure che a rimanere illegalmente nel nostro Paese? Anche perchè a quel punto il cittadino, al contrario, è sia cornuto che mazziato: nel senso che deve pagare lui le cure tramite la fiscalità generale e nello stesso tempo continuare a subire la pesante turbativa rappresentata dalla massiccia presenza di clandestini nel proprio territorio.


FINI, LE MOSCHEE E SANTA LUCIA

 

Il presidente della Camera Fini ha dichiarato che, a scanso di equivoci, bisogna che nelle moschee gli imam predichino in italiano per sapere cosa dicono. E nelle madrasse, cioè nelle loro scuole di catechismo, anche? Però il problema non è solo di capire cosa dicono, è di saperlo valutare. Non aspettiamoci cioè di sentire una predicazione diretta del terrorismo. Domandiamoci però se la rivendicazione dell’esistenza di un unico vero dio non sia la base teorica da cui discende l’esigenza di eliminare, o convertire con la forza, i falsi credenti colpevoli di venerare un falso dio. (In passato l’intolleranza religiosa cristiana veniva predicato in italiano o in spagnolo, non in arabo né in latino. Il problema erano i contenuti, tanto comprensibili quanto condivisi, non la lingua).

Oggi la differenza abissale, che ci separa dagli islamici fondamentalisti, consiste nel fatto che noi consideriamo il rapporto con la nostra fede e con le fedi altrui alla stregua del rapporto con Santa Lucia, la Befana, San Nicolò e Babbo Natale. Con le feste dei regali cioè siamo molto tolleranti, capiamo che ognuno ha la sua storia e le sue tradizioni: così i veronesi i regali ai propri figli li fanno trovare per Santa Lucia, i padovani per la Befana, i triestini per San Nicolò; e, a tutti gli altri che hanno accettato il mito inventato (pare) dalla Coca Cola, i regali li porta Babbo Natale. Nessuno si sogna di sostenere che Santa Lucia è vera e la Befana falsa, o viceversa.

Giusto o sbagliato che sia oggi noi occidentali siamo altrettanto tolleranti anche con le varie fedi. Riteniamo cioè che il bisogno di religiosità insito in (quasi) tutti gli uomini, a seconda della loro storia e delle loro cultura, trovi espressioni e nomi diversi: Dio e Gesù per i cristiani, Yahvè per gli ebrei, Allah e Maometto per i musulmani, la triade induista Brahma-Shiva-Visnù, e via dicendo. Non ci sogniamo di affermare che il nostro dio è l’unico vero e gli altri tutti falsi. Il relativismo religioso, che tanto dispiace a Benedetto XVI°, è la base per un rapporto non conflittuale tra le varie fedi

Per i musulmani invece Santa Lucia è Santa Lucia, e non c’è Befana che tenga! Il relativismo non sanno dove stia di casa. Per loro Allah è il vero dio e Maometto è il suo profeta. Punto.

Lo stesso percorso di relativizzazione da noi ha investito anche la fede politica: un tempo eravamo convinti che la nostra ideologia fosse l’unica degna, quella che voleva liberare il proletariato dalle catene, riscattare l’uomo; e che l’ideologia avversaria fosse da servi dei padroni. Oggi viene riconosciuto (almeno in parte) a destra e sinistra lo stesso diritto di cittadinanza politica, la stressa buonafede nelle convinzioni dei militanti contrapposti. Restano residui di fondamentalismo. Antonio Di Pietro, ad esempio, è l’ultimo ahiatollah rimasto in parlamento: solo i miei sono i puri, gli onesti, i veri Cristiano…gli altri sono tutti ladri e corrotti…

Tornando agli imam il punto cruciale (e temo di là da venire) non è tanto che predichino in italiano invece che in arabo, ma che smettano di predicare in qualunque lingua la supremazia del Corano sugli altri libri sacri, che smettano di contrapporre i veri ai falsi credenti. In una parola: che la smettano di essere oggi quello che noi eravamo fino a ieri.

 

 

 

PER SANTORO CENSURA O TSO?

 

Benedetto quel “editto bulgaro” che aveva liberato la Rai da uno come Michele Santoro! Vien da dirlo dopo quanto accaduto nell’ultima puntata di Annozero, una puntata schierata spudoratamente dalla parte di Hamas e contro Israele. Sarà scontata la protesta dell’ambasciatore israeliano Meir; si potrà obiettare che Fini, il quale ha definito “indecente” la puntata, è grande amico dello Stato ebraico; ma c’è anche una giornalista di sinistra come Lucia Annunziata, che ha abbandonato per protesta la trasmissione, dichiarando:”Qui si presentano al 99% solo le ragioni dei palestinesi”.

Qui, cioè in Rai. Ed è questo il punto: in Rai, non sul Manifesto che, essendo un mezzo d’informazione di parte, per scelta legittima presenta solo le ragioni dei palestinesi anche al 100%. Mentre la televisione pubblica, proprio perché tale, è tenuta ad avere un minimo di equilibrio. Non può diventare il megafono del conduttore di turno e delle sue idee. Nessuno pretende – sia chiaro – che un conduttore non abbia la sua visione del mondo e le sue convinzioni. E’ comprensibile ed anche accettabile che queste idee traspaiano. Ma altra cosa è costruire l’intera trasmissione – scelta degli ospiti, taglio dei servizi, spazio alle argomentazioni – per dimostrare una tesi preconcetta. Appunto al 99% da una parte, e con il restante 1% riservato alla vittima sacrificale di turno. Non si chiede l’imparzialità assoluta, che non esiste; solo un po’ di decenza, della serie: se senti i giovani palestinesi di Milano, poi dai la parola anche alla comunità israelitica di Roma (magari per metà del tempo e tagliando le affermazioni che non ti piacciono, ma gliela dai).

Esempio perfetto di paranoia, in fine, la replica di Santoro alle critiche:”Censura! Vogliono censurarmi!”… Quindi devo essere completamente libero di dire in Rai qualunque cosa: che Olmert è come Hitler, che i preti sono tutti pedofili, che Berlusconi è un delinquente e Di Pietro un santo. E se qualcuno obietta, se mi invitano ad un maggiore equilibrio, se mi ricordano che devo dare spazio ad una pluralità di voci, mi metto ad urlare come un pazzo:” Censura!, Censura!, Censura!”. Lasciamo stare gli editti bulgari, ma c’è almeno qualcuno disposto a firmare un tso per Michele Santoro?

L’ISLAM E IL DECOLLETE’ DI SCALFARO

 Di fronte alle migliaia di fondamentalisti islamici che in questi giorni occupano le nostre piazze “maschilmente” (avete notato che in mezzo a loro a pregare proni verso la Mecca non vedi una donna che sia una?), è utile pensare ai fondamentalisti cristiani: oggi sono praticamente estinti, ma nel recente passato erano numerosi e combattivi. E anche loro “turbati” dalle presenze femminili. Ricordarli forse serve a capire meglio gli islamici.

A proposito di turbamenti indotti dalle presenze femminili, i vecchi come me non dimenticano quello clamoroso di Oscar Luigi Scalfaro che, negli anni Cinquanta, di fronte al “generoso décolleté” (allora si chiamava così, era indecente parlare di “seno prosperoso”) di una signora che aveva avuto la sventura di cenare nel suo stesso ristorante, non esito a schiaffeggiarla. Allora era intollerabile che una signora si presentasse scollacciata in un locale pubblico. Intollerabile non solo per il futuro presidente della Repubblica, ma per il comune senso del pudore, cioè per il comune sentire cattolico (e anche laico) di quegli anni.

Sul piano personale il turbamento di Scalfaro va capito: ciò che intravvedeva nel décolleté era così contrario alla sua cultura, alla sua educazione, ai suoi sentimenti religiosi da scatenargli una tempesta di emozioni, un maremoto fisico e psichico, che ci fa comprendere la reazione, ossia il tentativo di eliminare – quantomeno dalla vista a suon di schiaffi – la responsabile di tanto turbamento. Uno come Scalfaro poteva vivere relativamente sereno nell’Italia degli anni Cinquanta, dove erano rare le donne che esibivano in pubblico seni prosperosi. Per lui sarebbe stato un tormento costante trasferirsi in una Las Vegas dove donne dal décolleté generoso le incontravi già allora in ogni momento, e per giunta libere di divorziare, di accoppiarsi con chiunque, di schiaffeggiare loro gli uomini. Per Scalfaro Las Vegas sarebbe stata (se mai ci fosse andato) un autentica Sodoma e Gomorra. Non ci sarebbe mai andato spontaneamente. A meno che l’Azione cattolica (per dire di una qualunque autorità religiosa) non ce lo avesse mandato, in terra di missione, col compito di convertire i peccatori. (E le peccatrici in décolleté).

Messo a fuoco il ricordo dei nostri fondamentalisti, arriviamo al dunque: cosa ci vengono a fare decine di migliaia di fondamentalisti islamici (tutti quelli che vediamo pronti a pregare cinque volte al giorno) in questa Sodoma e Gomorra che per loro è il nostro Paese? Dove non solo le donne – che loro nemmeno portano alle manifestazioni di piazza con preghiera – sono completamente libere, nei vestiti e nei costumi? Dove sono liberi perfino i gay? Dove la nostra vita quotidiana è un insulto alla loro cultura e ai dettami della fede in cui credono? Vangono forse a soffrire come soffriva Scalfaro? Vengono in terra di missione convinti che Sodoma e Gomorra saranno distrutte e che tutti noi verremo convertiti alla vera fede? Convertiti spontaneamente o come i nostri missionari convertivano gli indios?

Tanti nostri telespettatori (spesso persone comuni, che ragionano alla Enzo Flego) lanciano l’allarme: dicono che in atto l’invasione, che vogliono colonizzarci, che aveva ragione Oriana Fallaci a parlare di Eurabia. Ogni volta ci sono ospiti che replicano loro sostenendo che non è il caso di essere così allarmisti, che è paranoico parlare di una invasione programmata. Anche a me certi scenari continuano a sembrare apocalittici. Però non so nemmeno darmi una risposta: cosa ci vengono a fare decine di migliaia di Scalfaro islamici in queste Sodoma e Gomorra che per loro sono le nostre città? Che progetti coltivano a medio termine: concedere la scollatura alle proprie donne o mettere il burqa alle nostre?